Disuguaglianze
Ci salverà solo la giustizia sociale
di Fabrizio Barca*
in “la Repubblica” del 13 novembre 2019
Disuguaglianze. Da qualche tempo classi dirigenti, mezzi di comunicazione di massa, pensiero economico ortodosso, ne parlano assai, in Italia e in tutto l’Occidente. «Sono eccessive, vanno ridotte», scrivono gli editoriali de L’Economist, Martin Wolf sul Financial Times. La montante dinamica autoritaria, frutto dell’abbandono dei ceti deboli o subalterni da parte delle “loro” classi dirigenti, è la fonte di questo risveglio di sensibilità. Si riconosce che la soluzione non sta nella crescita “che prima o poi tutti solleva”. Bene. Ma c’è un problema. Al risveglio non corrisponde un’adeguata diagnosi delle cause delle disuguaglianze. È insufficiente la loro stessa descrizione. E dunque le soluzioni proposte (pure talora condivisibili) sono “al margine”. Non bastano. Non possono parlare ai ceti deboli. La parola “disuguaglianze” rischia di diventare retorica. La dinamica autoritaria di non avere ostacoli.
Non possiamo permettercelo. Il risentimento per disuguaglianze e ingiustizie può e deve trasformarsi in un nuovo moto di emancipazione sociale. Con urgenza. Si parta, allora, prestando attenzione ai dati e alle analisi prodotte da chi ha costruito un patrimonio di conoscenza occupandosi di disuguaglianze e giustizia sociale. Si parta ascoltando il sapere accumulato in questi stessi anni da decine di migliaia di attivisti di mondi diversi – organizzazioni di cittadinanza attiva, sindacati, movimenti, “imprese sociali” e private, pubblici amministratori – nel contrasto di povertà e ingiustizie. Un universo di talenti e pratiche che, costruendo ponti con chi non ha potere, indica innovative vie d’uscita.
Aiutati dalle spalle robuste di maestri del pensiero come Amartya Sen, Anthony Atkinson o Axel Honneth, si scoprirà allora che le “disuguaglianze” sono certo quelle cruciali di reddito, ma sono anche di ricchezza e di accesso e qualità del lavoro, e toccano tutte le dimensioni della vita: accesso e qualità dei servizi fondamentali, autostima, riconoscimento della propria dignità, abilità e capacità di contribuire alle comunità di cui si è parte. Sono questi i molteplici piani di vita dove in oltre trent’anni, in tutto l’Occidente, sono cresciuti gli «ostacoli al pieno sviluppo della persona umana», che secondo la nostra Costituzione (art.3) «è compito della Repubblica rimuovere».
Si scopriranno i numeri che descrivono questi ostacoli. L’aumento dal 2 al 7%, fra 1995 e 2016, della quota di ricchezza posseduta dai 5mila adulti più ricchi d’Italia. Il divario di competenze fra quindicenni del Sud e Nord-Italia e la ripresa degli abbandoni scolastici. La povertà assoluta minorile, triplicatasi dal 2005. I 40-60-80 minuti necessari, in molte aree interne, per l’arrivo del soccorso dopo una chiamata per emergenza, contro lo standard nazionale di 16 minuti. Il divario complessivo di genere, superiore alla media europea. E mille altre informazioni ancora.
Si scoprirà che una diagnosi delle cause di queste disuguaglianze esiste già. È già stato mostrato che le disuguaglianze non sono ineluttabili. Non dipendono da globalizzazione, cambiamento tecnologico, migrazioni; ma piuttosto dal modo in cui abbiamo governato o non governato questi fenomeni. Dipendono da scelte intenzionalmente compiute: la rinunzia dello Stato a perseguire “missioni strategiche”, affidandosi alle decisioni di chi controlla conoscenza e ricchezza, disinvestendo nelle pubbliche amministrazioni e utilizzando il terzo settore per esternalizzare servizi e sottopagare il lavoro; la rinunzia o l’attenuarsi degli obiettivi di piena occupazione, tutela della concorrenza, progressività fiscale; l’indebolimento sistematico dei lavoratori organizzati; la cecità ai luoghi, generatrice di riforme istituzionali distorsive; i sussidi pubblici per aree marginalizzate (a pseudo-formatori, infrastrutture inutili, imprese insostenibili) usati per compensare (in realtà, ampliare) i danni delle altre scelte.
Il tutto spronato e sorretto da cambiamenti del senso comune, per cui “ciò che è pubblico è peggiore di ciò che è privato”, “la povertà è una colpa o una forma di furbizia sociale”, “il merito è provato dal patrimonio accumulato”.
È la diagnosi che il Forum Disuguaglianze e Diversità ha fatto propria e sviluppato, mettendo insieme sapere e agire di organizzazioni di cittadinanza di diversa cultura e del mondo della ricerca.
Sono così apparsi evidenti alcuni nodi prioritari da affrontare e come farlo. Una strategia radicale per l’azione pubblica e collettiva che miri a ridurre le disuguaglianze perché è giusto. Che intervenga nei processi di formazione della ricchezza (pre-distribuzione), redistribuisca potere e si saldi con altre simili strategie rivolte ai nodi del welfare e dell’istruzione. Che aggredisca gli ostacoli nell’accesso alla conoscenza, promuovendone il controllo collettivo attorno a missioni strategiche condivise e offrendo opportunità alle aree marginalizzate. Che dia potere e riunifichi lavoro forte e lavoro precario, ricostruendo dialogo e alleanza fra istanze sociali e ambientali. Che ripristini una “protezione collettiva” dei giovani, oggi sostituita da una protezione individuale per cui il tuo destino è sempre più dipendente dalla famiglia e dal contesto in cui nasci.
Si tratta delle 15 proposte per la giustizia sociale che ora stiamo “mettendo a terra” grazie al lavoro con un crescente numero di alleati: discutendole, modificandole, sperimentandole sul campo, portandole dentro sedi istituzionali. Non cerchiamo consenso passivo, ma impegno e confronto “ragionevole”; ossia “aperto e rivolto ai punti di vista altrui”, con ogni altra idea e proposta su come contrastare le disuguaglianze. Anche, ovviamente, con le proposte che vengono dalla cultura egemone, dalla cui critica queste considerazioni hanno preso le mosse. Con un motto: fare presto.
* L’autore è coordinatore del Forum Disuguaglianze e Diversità – L’articolo e l’illustrazione in testa sono tratti dal sito del Forum.
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Lega e Cinque Stelle, le basi economiche del voto
Daniela Chironi, Mario Pianta, su Sbilanciamoci
13 Novembre 2019 | Sbilanciamoci – Sezione: Apertura, Politica.
L’analisi del voto nel periodo che va dal 1994 al 2018 evidenzia come le disuguaglianze abbiano un peso rilevante sui comportamenti elettorali. Il voto alla Lega è legato all’impoverimento delle classi medie, quello ai Cinque Stelle all’aumento di povertà e precarietà.
Le elezioni regionali del gennaio prossimo in Emilia Romagna e Calabria saranno una prova importante per l’ascesa della destra guidata dal leader della Lega Matteo Salvini, dopo i suoi successi alle elezioni in Umbria e in quelle europee del maggio 2019. Insieme agli effetti delle campagne politiche e di comunicazione, è importante valutare quali siano i fattori economici che si associano ai comportamenti elettorali.
Per capire questi meccanismi è necessaria un’analisi di lungo periodo, che consideri l’evoluzione del voto alle elezioni politiche dal 1994 al 2018, dall’inizio della Seconda Repubblica al voto del 4 marzo 2018 che aveva portato al governo Lega-Cinque Stelle. Ricordiamo che allora il Movimento Cinque Stelle (32,7%) si era affermato come primo partito, radicato nel Sud del Paese. La Lega (17,4%) era diventata il principale partito di destra, predominante nel Nord. Il Partito Democratico (18,8%) e Forza Italia (14%) avevano subito una pesante sconfitta, risultando competitivi esclusivamente nelle regioni della cosiddetta Terza Italia e nelle grandi città.
Quali sono le ragioni strutturali che hanno portato a un esito così dirompente? Anticipiamo qui alcuni risultati di uno studio di Francesco Bloise, Daniela Chironi e Mario Pianta su Inequality and elections in Italian regions (scaricabile qui) in cui analizziamo nelle regioni italiane l’associazione fra alcune variabili economiche – disuguaglianza, variazioni nei redditi, livelli di ricchezza, precarizzazione del lavoro, disoccupazione – e le scelte di voto nelle sette elezioni politiche tenutesi tra il 1994 e il 2018. L’analisi è stata compiuta integrando dati ottenuti da diverse fonti: i risultati elettorali ufficiali per la Camera dei Deputati, i dati amministrativi INPS sui redditi dei lavoratori dipendenti (LoSai database) e l’indagine della Banca d’Italia sui bilanci delle famiglie italiane (Survey on Household Income and Wealth, SHIW).
Per semplificare la descrizione degli andamenti regionali, abbiamo suddiviso le regioni italiane in tre gruppi sulla base delle caratteristiche economiche e della disuguaglianza: 1) le regioni metropolitane (Piemonte, Lombardia, Liguria e Lazio), contraddistinte dalla presenza di grandi metropoli (Torino, Milano, Genova e Roma) e caratterizzate dai più alti livelli di reddito e disuguaglianza; 2) la Terza Italia (Trentino Alto Adige, Veneto, Friuli Venezia Giulia, Emilia Romagna, Toscana, Umbria e Marche), caratterizzata da livelli di reddito medi e disuguaglianza più bassa rispetto alle altre aree; 3) il Sud (Abruzzo-Molise, Campania, Puglia, Basilicata-Calabria, Sardegna e Sicilia), caratterizzato da redditi più bassi e da elevata disuguaglianza.
Quale associazione esiste fra queste caratteristiche strutturali e il voto per la Lega e il M5S? La figura 1 mostra una chiara associazione fra il voto per la Lega e la compressione verso il basso dei redditi. La Lega cresce dove è più ridotta la distanza tra il reddito da lavoro dipendente mediano (il valore che divide in due parti uguali la distribuzione del reddito) e la soglia che separa il 25% più povero dei lavoratori dipendenti. Nelle regioni del centro-nord, in altro a sinistra nel grafico, tale compressione è più forte, mentre nelle regioni del Sud, in basso a destra, i redditi dei più poveri sono molto bassi, più distanti dal reddito mediano.
La figura 2 mostra che il voto per il M5S è strettamente associato alla quota di lavoratori dipendenti con un contratto part-time, un fenomeno di particolare rilievo nelle regioni del Sud (ma non solo), concentrate nella parte in alto a destra del grafico.
Figura 1. Voto per la Lega e rapporto tra la retribuzione mediana e il venticinquesimo percentile della distribuzione dei redditi da lavoro nelle regioni italiane (1993-2018)
Figura 2. Voto per il Movimento Cinque Stelle e quota di lavoratori con un contratto part-time nelle regioni italiane (2013-2018)
A partire da questi dati descrittivi, abbiamo stimato un modello econometrico per spiegare l’impatto della disuguaglianza e di altri fattori economici sul comportamento elettorale nelle regioni italiane. La Lega cresce soprattutto dove è più forte l’impoverimento delle classi medie, con il reddito da lavoro dipendente mediano che si avvicina al 25% più povero. Il voto per la Lega aumenta nelle regioni dove diminuisce la presenza di lavoratori dipendenti più ricchi, che rientrano nel 10% delle più alte retribuzioni del Paese, e dove si assottiglia la distanza fra le classi di reddito più elevate e le classi medie. Infine, la Lega raccoglie più ampi consensi nelle regioni con minor variazione nel patrimonio netto medio delle famiglie, lontane dalle aree metropolitane, e dove cresce la precarietà del lavoro.
I fattori che sono associati al voto per il Movimento Cinque Stelle sono significativamente diversi. C’è innanzi tutto l’aumento della quota di lavoratori dipendenti sotto il livello di povertà, concentrato nelle regioni del Sud dove i Cinque Stelle hanno i maggiori consensi. Sembra dunque che gli elettori in condizioni economiche svantaggiate abbiano teso ad affidarsi al partito che ha proposto il reddito di cittadinanza. La precarizzazione del lavoro dipendente è un secondo fattore importante per spiegare il successo elettorale del M5S; la quota di lavoratori part-time è aumentata rapidamente nel periodo considerato e risulta positivamente associata alla scelta di voto il M5S.
La nostra ricerca evidenzia che la composizione sociale degli elettorati del M5S e della Lega differisce in maniera significativa. Le differenze fra i due partiti in termini di basi sociali e agende politiche mettono in dubbio la validità di nozioni come “ondata populista” o “rivolta contro le élite” che sono stata largamente utilizzate per descrivere le più recenti trasformazioni del sistema politico italiano. Le condizioni economiche e le disuguaglianze hanno un forte peso sulla scelta di voto: la Lega ottiene maggiori consensi dove i redditi delle classi medie vengono spinti verso il basso, mentre il sostegno per il M5S è guidato dall’aumento di povertà e precarietà.
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