Che succede?
Di dibattiti sardi.
Tonino Dessì su fb.
Non è che mi senta stimolato a partecipare o ad andare a ruota della discussione aperta su La Nuova Sardegna.
Poi i circuiti chiusi li trovo respingenti.
Nemmeno però voglio polemizzare con chi invece (legittimamente e con buona volontà innegabile) ha manifestato le proprie idee in quella sede.
Mi preme solo, come riepilogo di cose che ho già scritto più volte, precisare alcuni temi, sperando di non rendermi troppo antipatico.
[segue]
L’unica idea veramente nuova in campo è la proposta di reintrodurre qualcosa che richiami la questione insulare nella Costituzione, da dove Mezzogiorno e Isole furono espunti improvvidamente, in nome della parificazione con il sopravvenire di una “questione settentrionale”, dalla riforma costituzionale del 2001, voluta dal centrosinistra di allora per ingraziarsi la Lega Nord. Era un periodo di sdoganamenti e personalmente definii quella modifica dell’articolo 119 della Costituzione un principio di secessione dall’alto.
Sto tuttavia diventando piuttosto conservatore, sul piano costituzionale e sono allarmato per il fatto che ogni coalizione, partito, movimento, da troppo tempo, in Italia, non trovi di meglio che porre al centro delle proprie iniziative qualche modifica costituzionale.
Negli USA la Costituzione del 1788 è stata emendata appena diciassette volte in 231 anni e prevalentemente su punti specifici ai fini dell’ampliamento delle garanzie dell’esercizio delle libertà civili, anche riducendo a tal fine l’autonomia degli Stati dell’Unione e aumentando i poteri delle istituzioni federali.
Basta: in Italia sarebbe a mio avviso il momento di una moratoria generalizzata a tempo indeterminato in tema di modifiche della Costituzione.
Bocce ferme erga omnes.
D’altra parte, se è vero che lo Statuto speciale necessiterebbe di una profonda riscrittura -che io vedrei, certamente, in senso federalista- non può essere che si consideri nella discussione contemporanea come un convitato di pietra, del quale si censura addirittura l’esistenza, l’articolo 13 sulla “rinascita”. A chi invoca un nuovo “Congresso del Popolo sardo” ricordo che l’unico che ci sia stato, nel 1950, promosso dalle organizzazioni sindacali e tenutosi col contributo politico dei partiti autonomisti democratici e antifascisti, ebbe al centro proprio la rivendicazione dell’attuazione dell’articolo 13 e della “Rinascita”. L’insularità è costituzionalizzata lì, in una disposizione fondamentale, costitutiva dei rapporti che permanentemente dovrebbero connotare il rapporto fra Regione e Stato. Nessuna materia (nemmeno quella delle funzioni e dei poteri) può considerarsi preclusa dal “concorso” fra le parti con finalità “organiche” di garanzia per i Sardi quantomeno delle pari opportunità con gli abitanti dei territori peninsulari della Repubblica.
Ancorchè non ne abbia mai rivendicato il copyright, sono stato -é cosa nota, ancorché censurata da una forma più generale di damnatio memoriae- l’estensore della proposta di legge nazionale costituzionale di iniziativa regionale per l’istituzione di un’Assemblea costituente sarda, che il Consiglio regionale della Sardegna approvò e trasmise al Parlamento nel luglio del 2001, accompagnata da una relazione redatta anch’essa dal sottoscritto. Non fu un lavoro fatto come funzionario: mi fu commissionato dal movimento composito che allora animava quel tema. Non ne abbiamo cavato piede, nonostante con poche varianti nelle successive legislature qualche forza politica abbia riproposto un testo analogo. Non ci voglio tornare sopra: registro un dato di fatto e rinvio alla mia attuale inclinazione alle “bocce ferme”. Le condizioni parlamentari mi pare non ci siano nemmeno oggi.
Aprire fronti di revisioni costituzionali insieme a partiti della destra italiana, d’altra parte, non mi attirerebbe molto nemmeno in nome di una alleanza tutta sarda.
Infine: il Governo si sta muovendo a tutto campo per coinvolgere l’intero sistema regionale ordinario sull’attuazione del terzo comma dell’articolo 116 della Costituzione in materia di autonomie differenziate. Non pochi costituzionalisti hanno a suo tempo sostenuto che quel che la Costituzione elargisce alle regioni ordinarie non può essere precluso alle speciali e in considerazione di questo ho suggerito e suggerisco che varrebbe la pena di assumere un’iniziativa della Sardegna per inserirsi in quella partita, per evitare un nuovo spiazzamento della specialità rispetto alle dinamiche delle regioni ordinarie.
Ribadisco quindi questa che mi pare una questione urgente.
Tutto ciò premesso, sul piano più strettamente politico, culturale, sociale, confermo che nulla di quanto ricorrentemente andiamo rimasticando sulle tematiche generali è destinato a trovare nemmeno un barlume di speranza di mettere in moto la Sardegna civile e sociale senza un movimento, una concentrazione democratica di liberazione dalla sclerosi nella quale malamente vegetano i partiti e l’intera politica sarda.
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