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I negazionisti del clima e quella strana par condicio
di Giacomo Pellini su Sbilanciamoci
6 Novembre 2019 | Sezione: Ambiente, Apertura
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Una petizione recentemente promossa da ambientalisti, scienziati e climatologi italiani chiede di mettere al bando nei media le bufale – propagandate in nome della par condicio da sedicenti esperti e scienziati, spesso in posizione di conflitto di interesse – che negano l’origine antropica del riscaldamento globale.

Il fumo fa bene alla salute. Come reagireste se il vostro medico, durante una visita, se ne uscisse con questa affermazione? Molto probabilmente correreste al CUP chiedendo di cambiare dottore. Eppure, nemmeno molto tempo fa, la questione della correlazione tra cancro e sigaretta era molto dibattuta, tanto che alcuni sedicenti scienziati negavano che ci fosse un legame tra tumori e fumo.

Il caso più eclatante è riportato nel libro di Erik M. Conway e Naomi Oreskes Merchants of Doubts. How a Handful of Scientists Oscured the Truth on Issues from Tobacco Smoke to Global Warming. Nel testo si parla infatti della storia molto singolare di tre scienziati – Frederick Seitz, Fred Singer e Robert Jastrow – che lavoravano con diverse fondazioni private di stampo anticomunista e ultraconservatore adottando la prassi di screditare a suon di ricerche scientifiche diversi argomenti di attualità, in primis sulla pericolosità del fumo di sigaretta.

Ma il laborioso gruppo di negazionisti non si limitò a questo, e continuò negli anni a produrre report contro altre questioni dimostrate scientificamente, come le piogge acide o il buco nell’ozono, fino a negare l’origine antropica dei cambiamenti climatici. La cosiddetta “strategia del tabacco” – ossia barattare le proprie competenze scientifiche con il denaro mettendosi al servizio di potenti corporation private con precisi interessi, siano esse le compagnie petrolifere o quelle tabacco – ha prodotto alla fine importanti risultati. Uno dei principali: il Presidente degli Stati Uniti nel 2017 arriva a negare l’esistenza dei cambiamenti climatici sulla base di fantomatiche prove scientifiche, dichiarando il ritiro statunitense dall’Accordo di Parigi.

La comunità scientifica internazionale non ha dubbi: la crisi climatica è colpa dell’uomo ed è una realtà da affrontare al più presto. Secondo l’ultimo report dell’IPCC, il panel di esperti dell’ONU che si occupa di clima, se entro 11 anni non si ridurranno drasticamente le emissioni, non riusciremo a contenere l’aumento della temperatura terrestre entro i due gradi – obiettivo appunto dell’Accordo di Parigi. Una soglia che mette a repentaglio la sopravvivenza stessa delle specie umana.

Nonostante l’evidenza scientifica, ancora oggi si moltiplicano le opinioni pseudo-scientifiche sulla questione, con sedicenti “esperti” che da alcuni giornali o nei dibattitti televisivi rilanciano in nome della par condicio le loro teorie “scientifiche” sostenendo, tra le altre cose, che “There is no climate emergency”. È il caso di una lettera inviata al segretario generale dell’ONU Antonio Guterres e firmata da 500 scienziati e accademici, tra cui figurano anche alcuni nostri connazionali. Nel testo si nega fermamente la rilevanza della attività umane con il riscaldamento climatico.

A rilanciare entusiasticamente la lettera è stata la destra italiana, che per l’occasione ha organizzato un evento in Senato lo scorso 18 ottobre dal nome “Sul riscaldamento globale di origine antropica”. L’appello, presentato da Maurizio Gasparri e Vito Comencini, a detta degli organizzatori sarebbe servito contro “le politiche di riduzione acritica della immissione di anidride carbonica in atmosfera con l’illusione di governare il clima”.

Ma la questione non è solo italiana: si sta sviluppando un pericoloso network globale di negazionisti climatici alimentato dai partiti populisti di estrema destra europei e internazionali. Un rapporto di fine marzo della Fondazione tedesca Adelphi ha segnalato come i partiti di ultradestra non odino solo i migranti, ma anche il clima e l’ambiente: il dossier dimostra come molti di questi partiti si siano astenuti o abbiano votato contro la ratifica dell’Accordo di Parigi sul clima all’Europarlamento, avvenuta il 4 ottobre del 2016. Tra queste formazioni c’è ovviamente anche la Lega (“L’accordo raggiunto è stato un compromesso al ribasso per permettere alle aziende cinesi e dei Paesi in via di sviluppo di competere ingiustamente con le aziende italiane” dichiarava durante le votazioni l’allora eurodeputato del Carroccio Gianluca Pini).

Si sprecano poi le offese per delegittimare e colpire il movimento dei Fridays For Future e Greta Thunberg: i negazionisti climatici sostengono che la giovane attivista svedese sia “manipolata”, “una pessima attrice”, “un pappagallo”, “il nuovo cucciolo di Soros” mentre i giovani che seguono il suo messaggio vengono soprannominati in maniera dispregiativa come “gretini”.

La stragrande maggioranza di chi propaga queste “teorie”, tra cui i firmatari del famoso appello, non hanno competenze specifiche in materia, sostengono tesi già smentite da diversi anni – una su tutte: il pianeta non si sta scaldando dal 2000 – e basano le loro teorie su bufale.

Occorre fare chiarezza e di ribadire il primato della scienza sulle opinioni. Per questo alcuni ambientalisti, scienziati e climatologi italiani – Annalisa Corrado, Rossella Muroni, Francesco Ferrante, Antonello Pasini, Piero di Carlo, Rosy Battaglia, Luca Mercalli, Stefano Caserini, Gianni Silvestrini – hanno deciso di lanciare una petizione su change.org per chiedere che i media italiani seguano l’esempio di quelli inglesi, smettendo di dare spazio a posizioni antiscientifiche che negano i cambiamenti climatici in nome della par condicio.

La petizione si intitola “Cambiamenti climatici: nessuno spazio per posizioni antiscientifiche nei media”. Il 98% degli scienziati, del resto, non ha dubbi: come ribadisce Annalisa Corrado, i cambiamenti climatici di natura antropocentrica sono un’emergenza da affrontare, non un’opinione o un dibattito. Dare il medesimo spazio mediatico alle tesi scientifiche e a quelle negazioniste, sostenute dal 2% della comunità scientifica internazionale, non fa altro che prolungare l’agonia e contribuire alla diffusione di vere e proprie bufale.

Dopotutto, se qualche scienziato vi dicesse che la terra è piatta, lo considerereste ancora come tale?
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La “svolta verde” del governo. Ma è solo un primo passo
Una lettura tecnica delle misure varate dall’esecutivo conferma quanto annunciato all’ASviS dal ministro Gualtieri, anche se il “green new deal” richiede una visione di lungo termine. 7/11/2019

di Enrico Giovannini su ASviS online.

In occasione della presentazione del Rapporto ASviS, il 4 ottobre scorso, il ministro dell’Economia e delle finanze Roberto Gualtieri era intervenuto annunciando una serie di misure che il Governo avrebbe adottato con la Legge di Bilancio 2020, le quali, a sua detta, avrebbero rappresentato una “svolta verde” senza precedenti nella politica economica italiana. Leggendo i commenti apparsi sulla stampa alle varie bozze della Legge di Bilancio 2020 circolate nelle settimane scorse credo che nessuno abbia tratto l’impressione che il provvedimento sia in linea con quanto annunciato dal ministro. Dunque, chi ha ragione?

Fermo restando che si dovrà attendere il varo del testo finale, dopo il lavoro emendativo che su di esso svolgerà il Parlamento, una lettura “tecnica” del provvedimento proposto dal Governo conferma quanto aveva indicato il ministro Gualtieri, il che pone una evidente domanda sulla capacità dell’opinione pubblica italiana non tanto di valutare la singola norma, quanto di “unire i puntini”, leggendo l’insieme degli atti di governo, nel caso particolare la bozza della Legge di Bilancio, il Decreto legge “clima” e il Decreto legge “fiscale”, che rappresentano i tre atti legislativi finora varati dal Governo in carica.

E cominciamo proprio dal Decreto-legge “clima”, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 14 ottobre 2019 e attualmente oggetto di discussione al Senato. Al di là del contenuto un po’ confuso con il quale è stato predisposto, va ricordato che un decreto-legge va motivato in base ai criteri della gravità e dell’urgenza. Proprio per questo, sono sostanzialmente assenti nella storia legislativa nazionale decreti-legge in materia di politiche ambientali, al di là di interventi d’urgenza su specifici eventi. Ebbene, il preambolo del Decreto recita

“Il Presidente della Repubblica, visti gli articoli 77 e 87, quinto comma, della Costituzione, considerata la straordinaria necessità ed urgenza di adottare una politica strategica nazionale che permetta di fronteggiare l’emergenza climatica, tenuto conto dei lavori svolti a livello internazionale dall’International Panel on Climate Change (Ipcc) in ambito Nazioni unite che evidenziano come la variabilità climatica sia strettamente legata alle attività umane e come le temperature e le emissioni di CO2 continueranno progressivamente a crescere con impatti negativi su numerose aree del pianeta e sulla salute pubblica, …”.

Questo testo configura una vera e propria “dichiarazione di emergenza climatica” da parte del Governo e del Presidente della Repubblica, cioè un atto senza precedenti nella storia della legislazione italiana della quale l’ordinamento giuridico non potrà più prescindere d’ora in avanti. E non ci si può non rallegrare con le più alte istituzioni per aver finalmente, anche se con ritardo, riconosciuta la gravità della crisi climatica, operando nella direzione indicata dal Rapporto ASviS. Ora ci aspettiamo che il Parlamento italiano proceda a dichiarare ufficialmente lo “stato di emergenza climatica”, ribaltando la posizione negativa espressa solo pochi mesi fa sul tema dalle forze che sostenevano il governo “giallo-verde”.

Venendo alla Legge di Bilancio 2020, in primo luogo va notato che i capitoli nei quali essa è articolata utilizzano un linguaggio inusuale per la politica economica italiana, ma in linea con quanto annunciato dal ministro Gualtieri. Il Titolo 3 del testo, infatti, parla di “Misure per gli investimenti, la sostenibilità ambientale e sociale” (al cui interno compaiono articoli dedicati al “Green new deal” e alla “Green mobility”), mentre il Titolo 1 e il Titolo 2 della seconda parte contengono misure per la “Rimodulazione selettiva delle tax expenditures e dei sussidi dannosi per l’ambiente” e “Misure fiscali a tutela dell’ambiente e della salute”, e leggendo i titoli di singole misure si ritrovano “Incentivi fiscali all’acquisizione di beni strumentali e per l’economia circolare” e “Nuova Sabatini, investimenti Sud e investimenti eco-sostenibili delle Pmi”. Inoltre, considerando che i termini “sostenibile” e “sostenibilità” compaiono con una frequenza elevata nel testo, va riconosciuto che, sul piano puramente semantico, siamo in presenza di una forte innovazione rispetto al passato. Ovviamente, ciò che conta è il contenuto delle norme.

Da questo punto di vista, la proposta avanzata dal Governo prevede investimenti senza precedenti nella trasformazione del sistema socio-economico nel senso dello sviluppo sostenibile. Parliamo di oltre 22 miliardi nei prossimi 15 anni, dedicati (art. 7 del Titolo III) a interventi per “lo sviluppo del Paese, anche in riferimento all’economia circolare, alla decarbonizzazione dell’economia, alla riduzione delle emissioni, al risparmio energetico, alla sostenibilità ambientale e, in generale, ai programmi di investimento e ai progetti a carattere innovativo, anche attraverso contributi ad imprese, ad elevata sostenibilità e che tengano conto degli impatti sociali”.

Ferma restando la ben nota difficoltà a tradurre in realtà gli annunci sugli investimenti pubblici, è interessante sia l’entità degli interventi, sia il fatto che siano “spalmati” su un lungo arco temporale, a testimoniare l’intenzione di superare le ottiche di breve termine con cui i provvedimenti di spesa sono spesso adottati. Ovviamente, l’entità degli investimenti è del tutto insufficiente per trasformare il sistema produttivo italiano nella direzione dello sviluppo sostenibile ed è qui dove dovrebbe intervenire il settore privato. Interessanti sono, a questo proposito, gli interventi orientati a favorire le scelte di investimento e di innovazione a favore di un’economia che nel passato ho definito “digi-circolare”. Ad esempio, il sostegno alle Pmi per investimenti, anche in capitale umano, orientati simultaneamente alla digitalizzazione e alla transizione all’economia circolare recepisce una delle proposte dell’ASviS e dimostra che non si tratta solo di “spendere di più”, ma di orientare meglio il sostegno che lo stato offre all’azione dei privati. Va nella stessa direzione la costituzione del “Fondo per la crescita sostenibile” e il suo uso per offrire garanzie per operazioni dei privati orientate a investimenti per innovazione e sostenibilità.

Molto hanno fatto discutere le misure che prevedono nuove tasse (sulla plastica, sulle bevande gassose, ecc.) o la riduzione di sussidi dannosi per l’ambiente. A tale proposito, va ricordato che la Legge 221 del 2015 prevede già il graduale smantellamento di questi ultimi (circa 19 miliardi di euro all’anno) e la loro trasformazione in sussidi a favore dello sviluppo sostenibile. Da questo punto di vista, è evidente che la riduzione degli incentivi dannosi o l’inasprimento delle imposte su prodotti o attività ad alto impatto ambientale non debbano essere attuate per “fare cassa”, ma per accelerare la transizione verso la green economy. Se questo fosse non solo chiarito, ma anche praticato, è probabile che le misure in questione sarebbero sostenute da una parte consistente dell’opinione pubblica, giustamente preoccupata di nuove imposte tout court, visto l’elevato livello dell’imposizione fiscale. Allo stesso tempo, è necessario che le misure siano “ragionevoli” e “bilanciate”, nel senso di assicurare una “giusta” transizione, che tenga conto del tempo necessario per riconvertire processi e assetti consolidati. Al di là dell’opportunità che le singole misure possano essere migliorate nel corso del dibattito parlamentare, va ancora una volta ricordato che i provvedimenti vanno inquadrati in esplicite visioni di medio-lungo termine, che la politica deve chiaramente comunicare e perseguire negli anni.

Al di là delle singole misure, che l’ASviS analizzerà in dettaglio nelle prossime settimane, pubblicando a febbraio la valutazione dell’impatto della Legge di Bilancio 2020 sugli Obiettivi di sviluppo sostenibile, la discussione di queste settimane ha reso evidente a tutti che la transizione a un modello sostenibile di sviluppo non è un processo facile e senza costi, con potenziali tensioni tra gruppi sociali, settori di attività, innovatori e conservatori, ecc. Quello che è inaccettabile è un giorno lodare la pressione che i giovani esercitano per rendere il mondo sostenibile e il giorno successivo sostenere chi si oppone al cambiamento in nome dei propri interessi, per quanto legittimi. Alla politica, ma anche alla società civile e agli opinion leader, è richiesta una capacità straordinaria di orientare le scelte di oggi sapendo che viviamo un tempo straordinario, come il recente appello di migliaia di scienziati ci ha ricordato. Sapere che a rischio non è solo la qualità della vita delle future generazioni, ma quella dell’attuale generazione rende il quadro ancora più complesso, ma questa consapevolezza non può essere motivo di rinvio delle scelte difficili e urgenti che ci spetta fare.

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