Da Su Mortu Mortu a Su Prugatòriu, da Pro sas ànimas a Is Animeddas, da Sos Chi Tocant a Su Peti Cocone
Halloween? No, grazie!
di Carla Maria Casula
La lingua gaelica, pregna di risonanze suggestive, il pantheon, le usanze e le leggende irlandesi emanano un fascino particolare, ma il tanto gettonato quanto stereotipato Halloween non irradia certamente altrettanta malia.
Snaturata dell’essenza celtica, ossia la parte più autentica, la tradizione offre in eredità una vacua americanata, un apparato asettico di marketing, consacrato sull’altare della globalizzazione. Consumismo elevato all’ennesima potenza. Maschere e travestimenti standardizzati di streghe, scheletri, teschi e zucche frammiste a raccapriccianti aracnidi di gomma che troneggiano sugli scaffali dei negozi. Falci nere, ossa e lugubri simboli di morte, mescidati con prodotti dolciari industriali (rigorosamente “griffati” Kinder), in bella mostra nelle vetrine allestite ad hoc. Un carnevale anticipato, scevro del sapore etnoculturale originario, che si barcamena goffamente tra squarci di film di Hitchcock e spezzoni dei Cartoons della Disney. Nessun retaggio di Samhain. Che fine ha fatto l’antica festa pagana di origine gaelica, che celebra la fine dell’estate, il passaggio alla stagione buia e fredda, la ciclicità della natura, con i suoi ritmi inviolabili? È arduo ravvisarne le tracce. Il cosiddetto “Capodanno celtico”, munifico di suggestioni del plurimillenario ambiente agropastorale, capitola miseramente ai piedi dell’imperante e consumistico Halloween, creando un irriverente sincretismo con esso.
Questa macabra arlecchinata autunnale, particolarmente gradita ai più piccoli, non rappresenta soltanto una fatua creazione artificiale, depauperata della più autentica memoria celtica, ma si rivela un vero e proprio oltraggio nei confronti delle tradizioni sarde. Come può la nostra Terra, traboccante di leggende, usi e rituali, che si perdono nella notte dei tempi, scimmiottare ciò che oramai è diventato una mera usanza americana, adottata dai popoli sottomessi al diktat culturale statunitense? Inaudito. Eppure rappresenta una triste realtà che ci sovrasta e dalla quale, nonostante il tormento ideologico provocato, non riusciamo svincolarci (ben si attaglia, in questo frangente, la citazione tratta dal carme 85 del poeta latino Catullo /sed fieri sentio et excrucior/).
La Sardegna è uno tra i Paesi al mondo più fecondi di tradizioni, nelle quali il filone pagano interseca quello cristiano, per fondersi in un unicum di rara bellezza, che manifesta delle varianti nelle diverse aree dell’isola, accomunate dalla peculiarità e dalla vividezza del folklore. Dunque, un crogiolo, ossimoricamente ben assemblato, di tradizioni ataviche conferisce esclusività all’apparato di rituali che si ripetono la notte precedente alla celebrazione dei defunti. Dalla tavola imbandita con le pietanze predilette dei cari estinti, rigorosamente apparecchiata senza posate, affinché l’anima dei morti non possa ferirsi, alla preparazione dei dolci tipici di questa occasione, realizzati artigianalmente dalle massaie più ligie alle consuetudini, tra i quali spiccano “sos papassinos” e “su pistiddu”. Ma la sequenza più emblematica è rappresentata dalla processione dei giovanissimi, che condensa accenti profani e impronte religiose, volta a fare tappa nelle abitazioni (generalmente dei piccoli centri), per avere in dono dolci, caramelle e frutta secca, dopo aver pronunciato l’espressione di rito, doverosamente in lingua sarda. La formula, che si colora secondo le multiformi varianti dialettali della regione, rappresenta un vero e proprio “passepartout” che consente di ricevere in cambio le ghiottonerie e, nel contempo, è volta a celebrare la memoria dei defunti e onorare le tradizioni autoctone. Da Su Mortu Mortu a Su Prugatòriu, da Pro sas ànimas a Is Animeddas, da Sos Chi Tocant a Su Peti Cocone, in un’atmosfera sospesa tra realtà terrena e ultraterrena, in cui il tempo sembra fermarsi, la Sardegna mostra la propria eredità ancestrale, che si dipana tra suggestioni di substrato profano e credenze ascrivibili al cristianesimo. Ma l’attrattiva globalizzante di Halloween si rivela un acerrimo nemico che, nel corso degli anni, trascina tra le sue fila un numero sempre maggiore di fanciulli, adescati con larvate o palesi imposizioni esterofile, attraverso l’imponente macchina pubblicitaria. Attualmente, sono pochi i paesi dell’isola nei quali l’amministrazione locale si attiva per avvicinare i più piccoli al folklore sardo e per mantenere vivo questo prezioso connubio culturale in cui si compenetrano l’umano e il trascendente.
Un appello accorato alle alte sfere regionali, affinché il diktat statunitense non soppianti totalmente le nostre tradizioni: le istituzioni politiche e le scuole di ogni ordine e grado dovrebbero restare coese nell’istanza di salvaguardare il patrimonio atavico, ahinoi sempre più eroso dalle mode filoamericane, e rendersi fautrici di progetti mirati alla sua diffusione e valorizzazione. Solo in questo modo potremo tramandare ai posteri quello scrigno di inestimabile valore che racchiude il cuore pulsante della nostra isola.
Ritengo oltremodo oltraggioso che la Sardegna si uniformi alle celebrazioni di Halloween e alle sue manifestazioni collaterali, quali feste a tema stereotipate, ispirate alle tendenze d’oltreoceano, pertanto chi regge i fili del potere ha il dovere di preservare questa Terra da un’incombente capitolazione culturale. Non lasciamo che il folklore sardo giaccia sotto il peso delle tradizioni aliene che, con malcelata prepotenza, soffocano le nostre gloriose radici!
Carla Maria Casula
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Foto da: http://www.comune.gonnoscodina.or.it.
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La citazione:
Odi et amo Quare id faciam, fortasse requiris Nescio, sed fieri sentio et excrucior Ti odio e ti amo Come possa fare ciò, forse ti chiedi Non lo so, ma sento che così avviene e me ne tormento
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