CONTUS DE STAMPAXI. Zi Emma e su chirighittu de don Arthemalle
Quando don Arthemalle constatò, sbagliando, la morte di Zi Emma e altri fatti ancora.
La signora Emma, che tutti nel quartiere chiamavano Zi Emma, era stata provata dalla sorte, che l’aveva privata del marito quando aveva meno di quarant’anni, lasciandole quattro figli a carico: due maschi e due femmine. I primi li aveva affidati all’Istituto per orfani San Vincenzo, mentre aveva tenuto con se le due femmine: la grande per contribuire al mantenimento della famiglia, con lavori domestici presso parenti e la più piccola, Rosetta, che già maturava la vocazione religiosa e appena possibile si fece suora di carità. Col tempo anche i due maschi trovarono la loro strada, diventando buoni operai. Il più grande, Titino, fu assunto dalle Ferrovie dello Stato. In età ormai avanzata Zi Emma poteva essere fiera di aver tirato su, nonostante le difficoltà, una bella famiglia, che la ricambiava con affetto e attenzioni. La salute, seppure precaria, la sorreggeva e tutto volgeva nella normalità quando Zi Emma improvvisamente si ammalò gravemente, preda di alte febbri. Il medico di famiglia, prontamente convocato al domicilio della malata, diagnosticò trattarsi di bronco-polmonite, giunta a uno stadio che faceva temere il peggio. Fu allora sottoposta alle terapie del caso, che però nell’immediatezza non portarono ad alcun miglioramento, anzi Zi Emma sembrava essere ormai in transito verso l’altro mondo. Fu così che Titino si risolse a chiamare il parroco perché le impartisse l’estrema unzione. Il parroco, come sempre molto impegnato, delegò la funzione a don Arthemalle, il quale prontamente si recò al capezzale di Zi Emma. Don Arthemalle trovò la donna priva di conoscenza, a suo dire ormai morta. Lui ne aveva visto moltissime di persone in questo stato, tanto è che si piccava di essere un esperto nel constare il fine-vita, anche ricorrendo a particolari osservazioni e “manovre”. Per lui la prova provata consisteva nel fare il solletico ai piedi della persona (su chirighittu) e nel tirarle le dita dei piedi per constatarne l’eventuale reazione. Operazioni che don Arthemalle fece con attenzione e perizia, senza percepire risposta alcuna dell’inferma. Solo allora sentenziò: “E’ morta”. Aggiungendo, da prete, rivolto a tutti i presenti: “Bolemu essi deu aundi est immoi custa femmina!”. Evocando consolatoriamente il Paradiso. Impartì poi comunque l’estrema unzione, fece le condoglianze e congedandosi raccomandò a Titino di passare in parrocchia per concordare messa e funerale. Ma Zi Emma evidentemente non aveva alcuna intenzione di partire da questa terra verso celesti destinazioni. Tanto è che presto uscì dallo stato di torpore che aveva ingannato il prete e grazie alle terapie impartitele dal medico lentamente si riprese fino a guarire completamente. Questi furono i fatti. C’è solo da registrare ulteriormente che Zi Emma sopravvisse di molti anni al buon don Arthemalle!
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Don Arthemalle morì a 84 anni, non si sa per quale malanno. Era rimasto sano fino a tarda età. Poco avvezzo ad assumere farmaci, per lui l’unico e risolutivo era il tabacco da fiuto! Di questa estraneità alle cure farmacologiche ne da conto il raccontino che fece dopo un breve periodo di ricovero all’Ospedale civile a cui era seguita una prescrizione medica del dott. Spano, che lo aveva curato per non so quale patologia: gli fu consegnata una scatola di supposte da assumere due volte al giorno per breve tempo. Don Arthemalle assunse le supposte, almeno le prime, non per la via che tutto il mondo conosce, ma che lui evidentemente non conosceva, bensì per bocca, e nonostante accompagnate da abbondanti sorsate d’acqua, provando un insopportabile disgusto. Se ne lamentò con il medico a cui chiese spiegazioni e quindi così riferì: “Su dottori m’adi arrispustu inchietu e me partu po finsas maleducau: reverendo is suppostas si das ponghidi in culu. Appustis se postu a rridi e appu cumprendiu chi teniada arrexioni”. Il proverbiale e contagioso “scracalliu” risolse quindi ogni questione.
[Ringraziamo per le informazioni, fedeli ai fatti ma riportate liberamente, forniteci dalla signora Caterina Meloni, stampaxina]
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