No al “principio guerra” come vanto e stato del mondo. E questo vale per Zelensky. E dire quattro Si: Si al “Cessiamo il Fuoco”. Si all’unità umana. Sì alla Terra di Tutti. E in questo 11 ottobre che ricorda quello del 1962, in faccia ai popoli oppressi dire Si alla Terra di Tutti e particolarmente alla Terra degli altri. E questo vale per noi.
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Newsletter n.278 dell’11 ottobre 2022
MANIFESTAZIONE PER LA PACE
Cari amici,
Lunedì 10 ottobre l’Occidente si è accorto di avere dichiarato guerra alla Russia, una guerra di cui si dice che non possa avere alcun altra fine che la sua sconfitta, con la vittoria dell’Ucraina, cosa che nessuno aveva mai osato pensare durante tutto il lungo calvario della guerra fredda, neppure il peggior Biden che gli Stati Uniti possono avere avuto, Nixon o Johnson che fosse La sorpresa è che la Russia questa guerra si è messa a combatterla, invece di scappare, come aveva detto mettendola alla gogna Zelensky.
E che cos’altro ci si poteva aspettare nell’escalation perversa innescata dalla guerra portata dalla Russia nel cuore dell’Ucraina? Si credeva davvero che la Russia avrebbe scatenato la nuova Apocalisse con l’arma nucleare tattica? E invece lei ha ripetuto le vecchie Apocalissi ben note, al netto di Hiroshima e Nagasaki, con bombe missili e droni “convenzionali”, quelli che come di norma ammazzano, e perché no?, pure i bambini.
E quanto alla NATO, cui è gloria per noi appartenere, è proprio lei a stare in guerra con la Russia, ne affonda la flotta nel mar Nero, ne distrugge l’oleodotto nel Baltico, gioisce per il sabotaggio del ponte per la Crimea, annuncia l’invio di 3000 soldati al suo confine, pianifica e dirige la controffensiva militare dell’Ucraina. Biden poi ha assicurato alla Russia che con le sue sanzioni, “quali non si sono mai viste prima” l’avrebbe messa nella condizione in cui sono i fuori casta, gli “intoccabili” indiani, che appunto non devono essere toccati perché contaminanti, meno che uomini. E ai suoi officianti europei manda dollari e armi obsolete.
Quanto all’Europa, essa è vociante e introversa, indossa i colori dell’Ucraina come i ragazzi le magliette dei calciatori, ma tifa per il suo olocausto, tutta atlantismo e niente visione. E il suo Parlamento ben più che votare i crediti di guerra come fecero i socialisti nel 1914, proclama e incoraggia il conflitto, e chiama alle armi per la guerra totale alla Russia. Né mai nomina “negoziati” o “trattative”, che Zelensky ha proibito per legge, non lasciando aperta altra strada, che non sia la guerra, questa sì nucleare.
L’Italia poi manda le armi su liste segrete, bacia la destra ma pensa alle bollette.
E nessuno pensa che tra i popoli da difendere ci sono pure quelli del Donbass, che hanno diritto anche loro all’autodeterminazione, e per i quali tutto è cominciato già otto anni fa.
In tutto questo la posizione più decente sarebbe il silenzio, è impossibile dire qualcosa che non produca la veemente ripulsa di qualcuno. Basta leggere i giornali, accendere, finché c’è la luce, la TV. La guerra e i dibattiti sulla guerra sono i soli spettacoli che agli editori non costano niente; c’è un profitto anche per loro.
Tuttavia in questa situazione nessuno può mettersi fuori. Ciò che comunque e sempre è da fare, è testimoniare per la pace: e infatti finalmente si sta pensando a una o più grandi manifestazioni per la pace il che vuol dire condannare e lottare per sopprimere la guerra che già noi avevamo ripudiato. Conte ne promuove una senza bandiere di partito, e questa è purtroppo una richiesta fondata perché non possono scagliare la prima pietra i partiti che con la ripudiata erano tornati a far causa comune e a fornicare. Però non si può scendere in piazza senza aver chiaro per che cosa si manifesta, che cosa veramente si vuole, qual è il grido per striscioni e manifesti. Perché, come la destra rinfaccia giustamente a molti, tutti dicono di volere la pace, tutti si ammantano della livrea della pace, ma la pace non la fanno. E c’è chi dice no all’aggressione, ma sì alle armi, sì alle sanzioni,, sì alla vittoria contro i russi invasori , e chi esige che il metro di ogni misura sia il voler stare dove già stiamo, la fedeltà alle alleanze, il professarsi, magari anche senza esserlo, europeisti e atlantisti. E dunque che pace sarebbe? E si manifesterebbe per cosa? Bisogna allora ricordare che la pace non è la vittoria, come non può essere la sconfitta. E bisogna dire almeno quattro No: No all’invasione e alle annessioni. E questo vale per Putin. No all’invio di armi per attizzare il fuoco. E questo vale per la NATO, per Draghi e per Guerini. No alle sanzioni. E questo vale per Biden e mezzo mondo che vuole buttare fuori della storia l’altro mezzo mondo. No al “principio guerra” come vanto e stato del mondo. E questo vale per Zelensky. E dire quattro Si: Si al “Cessiamo il Fuoco”. Si all’unità umana. Sì alla Terra di Tutti. E in questo 11 ottobre che ricorda quello del 1962, in faccia ai popoli oppressi dire Si alla Terra di Tutti e particolarmente alla Terra degli altri. E questo vale per noi.
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo su una scandalosa risoluzione del Parlamento europeo.
Un cordiale saluto,
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Una risoluzione scandalosa
L’EUROPA VA ALLA GUERRA
11 OTTOBRE 2022 / EDMINXTRATOR / DICE LA STORIA /
di Domenico Gallo
Il Parlamento europeo ha votato un programma di guerra totale alla Russia nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile, costi quel che costi. Un voto quasi unanime. L’eccezione dei Cinque Stelle
Domenico Gallo
“Invita gli Stati membri e gli altri Paesi che sostengono l’Ucraina a rafforzare massicciamente la loro assistenza militare, in particolare negli ambiti in cui è richiesta dal governo ucraino, al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale e di difendersi efficacemente da qualsiasi ulteriore aggressione da parte della Russia; chiede che sia presa in considerazione la possibilità di istituire uno strumento di assistenza militare a lungo termine del tipo “lend-lease” (affitto e prestito) per l’Ucraina; invita in particolare gli Stati membri esitanti a fornire la loro giusta parte di assistenza militare necessaria per contribuire a una conclusione più rapida della guerra”.
Non è il Summit di Madrid della NATO che ha partorito questo invito; incredibile a dirsi, si tratta di un documento ufficiale del Parlamento europeo, la Risoluzione del 6 ottobre 2022 sull’escalation della guerra di aggressione della Russia contro l’Ucraina.
Con questa Risoluzione il Parlamento Europeo, non si è limitato a confermare la scontata condanna della Russia per l’aggressione condotta contro l’Ucraina e a constatare l’illegalità dell’annessione dei territori occupati a seguito di referendum farlocchi, ma ha praticamente dichiarato guerra alla Russia impegnando tutti i paesi UE a diventare attivamente cobelligeranti, sia incrementando il flusso di armi e finanziamenti a favore del Governo Ucraino, con l’indicazione persino del tipo di sistemi d’arma fornire (carri armati Leopard), sia attivando immediatamente l’addestramento dei soldati ucraini all’uso dei sofisticati armamenti occidentali. Quel che è peggio la risoluzione istiga l’Ucraina a portare la guerra sino alle sue estreme conseguenze: “al fine di consentire all’Ucraina di riacquisire il pieno controllo su tutto il suo territorio riconosciuto a livello internazionale”. Insomma per il Parlamento Europeo, la guerra non si deve limitare a respingere l’aggressione russa, ma deve consentire all’Ucraina di riprendere quei territori (come la Crimea e le autoproclamate repubbliche del Donbass) sui quali non esercita più la sua sovranità dal 2014. Orbene i territori delle autoproclamate repubbliche di Donetsk, Lugansk si sono distaccati dalla Crimea nel 2014 in virtù di una sanguinosa guerra civile che ha causato, secondo varie fonti, oltre 14.000 morti. Il loro status è stato oggetto di negoziati e, con l’accordo di Minsk II, fu stabilito che dovessero tornare sotto la sovranità Ucraina, previo riconoscimento di un loro status speciale di autonomia (tipo l’Alto Adige in Italia). Kiev non ha mai dato seguito a questi accordi per cui questi territori non sono stati più sottoposti alla sovranità dell’Ucraina. Diverso è il discorso per la Crimea, regione che solo amministrativamente fu unificata all’Ucraina nel 1954. Nel 2014 il Parlamento della Crimea votò la secessione da Kiev e l’annessione alla Federazione russa. La decisione fu confermata da un referendum popolare e la Crimea fu annessa alla Russia con lo status di Repubblica autonoma.
Dal 2014 l’Ucraina è una Repubblica autonoma inserita nella Federazione russa. La NATO e la UE non hanno riconosciuto la separazione della Crimea dall’Ucraina, ritenendola contraria al principio dell’inviolabilità delle frontiere, così come la Russia non ha riconosciuto l’indipendenza del Kosovo, che la NATO ha violentemente distaccato dalla Serbia, a seguito di una guerra aerea durata 78 giorni. Tuttavia per la Crimea, come per il Kosovo, si è ormai consolidato uno stato di fatto per cui questi territori sono diventate entità indipendenti, non più soggette alla originaria sovranità. Una eventuale azione militare per rovesciare questo stato di fatto costituirebbe una palese violazione del divieto dell’uso della forza di cui all’art. 2, comma 4 della Carta dell’ONU. La pretesa dell’Ucraina di distaccare manu militari la Repubblica autonoma di Crimea dalla Federazione russa costituirebbe un’aggressione, al pari di quella perpetrata dalla Russia contro l’Ucraina il 24 febbraio. Eppure incredibilmente il Parlamento Europeo ha legittimato l’ambizione del Governo ucraino di proseguire la guerra fino al punto di recuperare il pieno controllo della Crimea e di tutto il Donbass.
Non a caso il documento parla di escalation della guerra, perché è proprio l’escalation della guerra l’obiettivo a cui punta la Risoluzione, assegnando i compiti agli Stati membri perché forniscano all’Ucraina l’assistenza militare necessaria per sconfiggere e umiliare il nemico.
Se si considera che il territorio della Crimea ha per la Russia una valenza strategica insuperabile perché è la sede della sua flotta principale, è evidente che sostenere la pretesa del Governo ucraino di “riacquisire il pieno controllo su questo territorio incide su interessi vitali della Federazione, che non potrebbe mai accettare di essere estromessa dall’Ucraina. Così come gli abitanti delle autoproclamate repubbliche di Donetsk e Lugansk, non potrebbero mai accettare di ritornare sotto il controllo dell’Ucraina, dopo essersi ribellati a prezzo di una durissima guerra civile. Legittimare queste pretese significa boicottare la volontà di trovare una soluzione pacifica al conflitto.
Del resto l’intenzione dell’Ucraina di alzare il livello dello scontro proprio sulla Crimea è testimoniata dall’attacco che ha parzialmente distrutto il ponte che collega la penisola di Crimea alla Russia attraversando il Mar d’Azov.
Se si progetta di mettere la Russia con le spalle al muro e di privarla di territori che hanno un alto valore strategico e da molti anni sono stati inclusi nella Federazione, è evidente che si sta spingendo per un’escalation della violenza militare.
Il Parlamento europeo ne è perfettamente consapevole prendendo atto:
“che il 21 settembre 2022 Vladimir Putin ha annunciato la prima mobilitazione della Russia dalla seconda guerra mondiale; che, secondo quanto riportato dai media, la mobilitazione riguarda tra i 300 000 e gli 1,2 milioni di riservisti che saranno chiamati alle armi”;
che, in un discorso televisivo tenuto il 21 settembre 2022, Vladimir Putin ha avvertito che se fosse minacciata l’integrità territoriale della Russia, ossia i territori ucraini illegalmente annessi, utilizzerebbe certamente “tutti i mezzi a nostra disposizione per proteggere la Russia e il nostro popolo”; che l’espressione “tutti i mezzi a nostra disposizione” sottende una minaccia nucleare neppure tanto velata;
Però dalla consapevolezza di questa svolta nella guerra non ne trae alcuna spinta volta a contrastare l’indurimento del conflitto, non a caso nel lunghissimo testo della Risoluzione non compaiono mai le parole “pace”, “cessate il fuoco”, “trattative”, “negoziato”, “conferenza internazionale”. Anzi si arriva al punto di banalizzare il rischio del ricorso alle armi nucleari, minacciando serie ritorsioni in caso del loro uso e dichiarando spavaldamente che la minaccia nucleare non dissuaderà l’UE dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina. Testualmente il Parlamento Europeo:
condanna le recenti minacce russe circa l’utilizzo di armi nucleari, ritenendole irresponsabili e pericolose; invita gli Stati membri e i partner internazionali a preparare una risposta rapida e decisa qualora la Russia compia un attacco nucleare contro l’Ucraina; invita la Russia a porre immediatamente fine alle minacce di un’escalation nucleare, date le ripercussioni globali che un’eventuale catastrofe nucleare avrebbe sulla vita umana e l’ambiente per decenni a venire; ricorda che qualsiasi tentativo da parte della Russia di far passare gli attacchi ai territori occupati come un’aggressione contro la Russia e quindi come un pretesto per un’offensiva nucleare è illegale e privo di fondamento e non dissuaderà l’Unione europea dal fornire ulteriore assistenza all’Ucraina ai fini della sua autodifesa;
In pratica è stato votato un programma di guerra totale alla Russia, dando per scontato anche la possibilità che si usino armi nucleari, nella convinzione che la “vittoria” sia l’unico obiettivo perseguibile, costi quel che costi. L’appello rivolto dal Papa: In nome di Dio e in nome del senso di umanità che alberga in ogni cuore affinché si giunga subito al cessate-il-fuoco, non solo è rimasto inascoltato, ma è stato ripudiato con una scelta politica diametralmente opposta. Evidentemente nessun senso di umanità alberga nel cuore dei parlamentari europei, che hanno approvato la Risoluzione quasi all’unanimità. In particolare per quanto riguarda l’Italia hanno votato a favore tutti i gruppi politici, di destra, di centro e di sinistra (escluso il Movimento 5 Stelle).
Ma noi sappiamo che quando la politica ripudia il senso di umanità che alberga nel cuore di ogni uomo si apre la strada verso l’abisso, la guerra è una sconfitta per l’Umanità. Ricordiamo il manifesto di Bertrand Russel ed Albert Einstein: “Ci appelliamo in quanto esseri umani ad altri esseri umani: ricordate la vostra umanità e dimenticate tutto il resto”.
Questo è il momento di dire basta e di alzare alta la voce per la pace.
Domenico Gallo
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OSSERVATORIO GLOBALIZZAZIONE
La dottrina Bergoglio per la pace
6 OTTOBRE 2022 BY ANDREA MURATORE
Papa Francesco sul conflitto russo-ucraino ha varato la “dottrina Bergoglio”, una via cattolica alla diplomazia, una “geopolitica della misericordia” proiettata alla Pace che unisce al portato della visione cattolica delle relazioni internazionali (vocazione universalistica, impegno per la compensazione delle rivalità, apertura trasversale al dialogo) un sostanziale realismo fondato su pochi e chiari capisaldi.
[segue]
La “Guerra Fredda 2.0”
La certezza, in primo luogo, che la rivalità internazionale sottostante alla guerra in Ucraina è qualcosa di paragonabile in intensità e pericolosità alla Guerra Fredda. Una Guerra Fredda 2.0 o, come la chiama Bergoglio, una “terza guerra mondiale a pezzi” in cui i diversi piani vanno tenuti distinti ma possono sommarsi.
E se dunque da un lato il Papa denuncia la futilità di ogni guerra d’aggressione e sottolinea il martirio del popolo ucraino, dall’altro non manca di sottolineare come la guerra indiretta tra Mosca e l’Occidente, in un mondo privo dei pesi e dei contrappesi dell’era della Guerra Fredda rischi di portare le classi dirigenti del pianeta, come sonnambuli, alla rovina.
La “dottrina Bergoglio”, un messaggio all’Europa
La constatazione, su un secondo livello, che quando a sanguinare è l’Europa per il mondo è tempo di prendere sul serio ogni minaccia. E in un certo senso lo sprone all’Europa perché diventi piattaforma mediatrice. Quando il 14 settembre, in occasione della Festa dell’Esaltazione della Santa Croce, il Vaticano ha dato il suo imprimatur all’adorazione eucaristica promossa della Conferenze episcopali del continente per la pace,, il messaggio che la Chiesa Cattolica e il Papa hanno voluto dare è stato chiaro. Ovvero l’invito alle classe dirigenti del Vecchio Continente a prendere in considerazione un ruolo più attivo dell’Europa per la pace, per una pace di dignità e che non lasci semi di crisi in un’Europa fragile.
Vaste programme, per citare il generale De Gaulle. Ma ad oggi nessuno in Europa pare avere attenzione per il futuro del Vecchio Continente come centro propulsivo degli affari globali, come area di mondo capace di competere per il portato della sua storia, cultura e influenza quanto l’anziano pontefice venuto “dalla fine del mondo”, spesso considerato dai critici e anche da vari ammiratori come un leader in difficoltà nella comprensione dell’Europa. Il Pontefice ha chiesto a Vladimir Putin di «fermare, anche solo per amore del suo popolo, questa spirale di violenza e di morte»; a Volodymyr Zelensky di «essere aperto a serie proposte di pace» e a tutti i «protagonisti della vita internazionale e ai responsabili politici delle nazioni», con implicito riferimento a Stati Uniti e Cina, «di fare tutto quello che è nelle loro possibilità per porre fine alla guerra in corso». Ma da chi si aspetta una mossa profonda e sistemica? Dall’Europa, investita dal conflitto alle sue periferie e a cui è chiesta una risposta proporzionata. Il sostegno alla legittima difesa ucraina, questo il discorso di Bergoglio elaborato soprattutto attraverso le parole del Cardinale Segretario di Stato Pietro Parolin, ha un senso se operato con la proporzionalità di un fine politico preciso. Emmanuel Macron ha provato, in alcuni casi, a far suo questo ragionamento, per il resto in Europa ad oggi sembra prevalere il sonnambulismo.
La “dottrina Bergoglio” in Italia
In Italia, al contempo, nel discorso pubblico l’invito del Papa alla pace da intendersi sotto forma di un protagonismo diplomatico europeo, nella consapevolezza di interessi non necessariamente convergenti con quelli degli Stati Uniti, sta avendo molteplici interpreti. L’ex presidente del Consiglio Giuseppe Conte ne ha parlato in un’intervista ad Avvenire formulando una sua proposta concreta su come muoversi verso una soluzione di pace: “Pace”, ha detto Conte, “non può essere una parola associata alla debolezza. E le parole di papa Francesco non indeboliscono certo la comunità internazionale”, ha aggiunto. “Finora l’Europa risulta non pervenuta”: purtroppo “appare totalmente appiattita su questa strategia angloamericana, e questo mi preoccupa per gli scenari geopolitici futuri. Stiamo parlando di una guerra su suolo europeo e allo stato anche un eventuale negoziato di pace si svolgerebbe sopra la testa dei nostri Paesi”.
Per Conte “l’Ue deve farsi promotrice di una conferenza internazionale di pace, da svolgersi in sede europea sotto l’egida delle Nazioni Unite, con il pieno coinvolgimento del Vaticano”. All’ex premier divenuto leader del Movimento Cinque Stelle ha fatto eco, sulla sponda destra del dibattito politico, il giornalista cattolico Antonio Socci ha sottolineato come la via diplomatica del futuro governo italiano di centrodestra, potenzialmente guidato da Giorgia Meloni, possa giocare un ruolo diplomatico da pontiere facendo sponda con la Santa Sede e gli alleati europei: “in rappresentanza dell’Italia la Meloni, stabilendo un forte rapporto con la Santa Sede, cercando interlocutori come Macron e la Merkel, può promuovere nella UE un’iniziativa di pace che finalmente restituisca all’Europa un peso politico, per scongiurare ai nostri popoli sofferenze pesanti e incubi atomici. Questo sì sarebbe vero europeismo. Una rinascita grande della UE”, ha notato Socci su Libero.
Sintomatico che sia Conte che Socci individuino invece in Mario Draghi l’artefice di una strategia politica pro-guerra che allontana l’Italia da un ruolo concreto per una strutturata mediazione di pace. E il dualismo Bergoglio-Draghi, per quanto sicuramente non totalizzante del pluralismo delle opinioni in Italia, può essere una delle chiavi di lettura del posizionamento politico dell’opinione pubblica italiana sulla guerra nei suoi primi sette mesi.
L’incubo atomico
Terzo e decisivo punto della “dottrina Bergoglio” è la presa di consapevolezza del fatto che le grandi potenze siano, in questa fase, in all-in. E dunque della necessità di sminare il terreno per evitare che si arrivi alla “frontiera dell’Apocalisse” evocata nel 1975 da Giorgio La Pira, il ricorso all’arma atomica. Bergoglio vede nel 2022 i sonnambuli alla testa delle grandi potenze dirigersi verso un’inevitabile sorte bellicista e come Papa Benedetto XV ai tempi della Grande Guerra e Papa Giovanni XXIII ai tempi della Guerra Fredda cerca una radicale alternativa. Imperniata certamente sul Vangelo, ma capace anche di essere proiezione diplomatica.
Cos’è la “dottrina Bergoglio” se non il primo tentativo di fare breccia nel disordine globale proprio di questa fase gramsciana in cui il vecchio mondo unipolare è declinato ma in cui le promesse del cosiddetto “multipolarismo”, dell’architettura policentrica delle relazioni internazionali, tardano a realizzarsi. Più prosaicamente, Bergoglio, assieme a Parolin, constata l’anarchia mondiale che è contraria alla vocazione diplomatica della Santa Sede, fatta di contrapposizione degli opposti e fine tessitura diplomatica volta a consolidare le premesse per pace e dialogo. In questa fase, l’accorato appello del Papa ha un portato ulteriore, quasi profetico, in cui realismo geopolitico (l’Europa non può essere epicentro di possibili scontri tra grandi potenze), visione escatologica (l’atomica, anche solo evocata, è una sciagura) e diplomazia multilaterale (il Vaticano non ha divisioni, ma ha la credibilità di una grande potenza) si fondono.
Consapevole che la “fine della pace” scatenata dal crollo dell’Unione Sovietica può condurre, nel suo deterioramento, a una fine della Storia ben più tragica di quella descritta da Francis Fukuyama e perennemente controcorrente, pontiere prima ancora che pontefice, Bergoglio offre una rotta contro l’inevitabilità della guerra. Ben più articolata della semplice riduzione a pacifismo dottrinale con cui spesso le sue dichiarazioni sono archiviate sui media. Un vero e proprio “portare la Croce” della propria missione sociale, umana, politica, pastorale. “Per Pietro e gli altri discepoli – ma anche per noi! – la croce è una cosa incomoda, uno scandalo”, diceva Francesco in un Angelus dell’agosto 2020, “mentre Gesù considera scandalo il fuggire dalla croce, che vorrebbe dire sottrarsi alla volontà del Padre, alla missione che Lui gli ha affidato per la nostra salvezza”. Nessun passaggio passato del Papa è tanto saliente quanto questo per descrivere la motivazione per cui la “dottrina Bergoglio” è perseguita dal Papa con ostinazione. E rappresenta l’unica vera via per l’Europa per esser costruttrice di Pace.
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https://osservatorioglobalizzazione.it/osservatorio/la-dottrina-bergoglio-per-la-pace/ articolo interessante che potrebbe interessarti Franco! [Roberto Loddo].
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Padre conciliare. Luigi Bettazzi: «Il Vaticano II che ho vissuto»
Riccardo Maccioni martedì 11 ottobre 2022 su Avvenire.
A 60 anni dall’apertura, parla il vescovo emerito di Ivrea. «Io giovane presule mi trovai immerso nell’episcopato mondiale. Mi resi subito conto della libertà del dibattito»
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Quasi sempre a definire la grandezza di un evento sono le statistiche: quanti partecipanti e da quali Paesi, i giornalisti accreditati, i litri d’acqua che verranno bevuti. Nell’immaginario collettivo, nel cuore della gente semplice, invece, l’11 ottobre 1962, il giorno di apertura del Concilio Vaticano II, è segnato soprattutto dalle parole di Giovanni XXII, dal “discorso della luna”. Quell’invito tenerissimo a portare ai bambini la carezza del Papa, la spinta a dire una parola buona a chi è nella tristezza, sono un’eredità trasmessa dai genitori ai figli e conosciuta anche da tanti ragazzi di oggi. Un messaggio meraviglioso, certo, ma che andrebbe quantomeno collegato all’allocuzione “Gaudet Mater Ecclesiae” in cui, inaugurando l’assise, il Pontefice sottolineava come la Chiesa, nel combattere gli errori, «preferisse usare la medicina della misericordia invece di imbracciare le armi del rigore». Una svolta, l’annuncio di un cambiamento profondo di cui forse non si resero conto neppure tutti i padri conciliari. Allora, monsignor Luigi Bettazzi, emerito di Ivrea, già presidente di Pax Christi aveva 39 anni. Avrebbe partecipato direttamente al Concilio nella seconda sessione.
«L’11 ottobre 1962 – spiega il presule che compirà 99 anni il 26 novembre – risultò soprattutto un giorno di folclore, con gli oltre 2.000 vescovi del mondo che entravano processionalmente in San Pietro, apparati nei modi più vistosi (in particolare quelli di rito orientale) . Si pensava che in poco tempo avrebbero approvato le decine di documenti preparati da apposite Commissioni. Io stesso ne ero convinto: negli ultimi tempi, per la sollecitazione di papa Giovanni al cardinale arcivescovo di Bologna, Giacomo Lercaro di inserire qualche suo prete nelle Commissioni preparatorie, mi trovai nella Commissione dei Seminari, dove gli esperti (tra cui il famoso domenicano francese padre Congar) avevano preparato una decina di documenti. E mi resi conto che si trattava di problemi quasi ovvi, ad esempio la preminenza della teologia di san Tommaso d’Aquino o la più intransigente severità in ambito sessuale».
Lei entrò in Concilio durante la seconda sessione, il 29 settembre 1963, una settimana prima del 4 ottobre quando sarebbe stato consacrato vescovo ausiliare di Bologna. Pastore giovanissimo per i parametri di oggi.
Sì entrai in Concilio quando stavo per compiere 40 anni (in ambito missionario v’erano alcuni vescovi anche un po’ più giovani, in Europa lo si diveniva in genere dopo i 50 anni). L’assemblea era raccolta in lunghi banchi a gradini nel corridoio centrale della Basilica, con il posto assegnato secondo la data della propria nomina vescovile: presso l’altare i cardinali e i patriarchi, poi giù giù, verso l’ingresso, gli arcivescovi e i vescovi; ovviamente agli inizi ero tra gli ultimi. Mi trovai immerso nell’episcopato mondiale, con vescovi autoctoni dell’Africa, dell’Asia, dell’America Latina, e capii perché la Chiesa si definiva cattolica, cioè universale, mentre pensavamo quasi che la Chiesa fosse Roma con l’annessione di tutto il mondo. E subito mi resi conto della libertà con cui si discuteva, nei corridoi laterali lungo le soste (v’erano pure due bar di analcolici), ma anche al centro, nel corso dei dibattiti sui documenti che venivano man mano distribuiti. Era stato lo stesso papa Giovanni a incoraggiare questa libertà di discussione, rimandando di qualche giorno la votazione per le Commissioni dei vescovi circa i vari argomenti, contro quelle proposte dalla Segreteria – praticamente dalla Curia Vaticana – e rimandando d’autorità a rifare il Documento sulla Rivelazione, rifiutato da una maggioranza troppo esigua per essere accettata dalle norme imposte alla discussione. Ci rendemmo anche conto che, ad avviare le discussioni erano in genere i vescovi più organizzati, come i tedeschi e gli olandesi, abituati a dialogare con i protestanti, o i francesi e i belgi, abituati a muoversi in ambienti di laicità. Gli americani del Nord insistevano per la libertà religiosa, quelli meridionali per una Chiesa attenta ai poveri.
Cos’è rimasto soprattutto del Concilio? Penso ovviamente in particolare alle Costituzioni.
Sui sedici Documenti che sono stati emessi, più che alle tre Dichiarazioni ed ai nove Decreti, sono appunto le Costituzioni che segnano la novità, ma ancora insufficienti, nella vita della Chiesa. Come noto sono sulla Divina Liturgia, sulla Divina Rivelazione, sulla Chiesa in sé e sulla Chiesa nel mondo contemporaneo. Così La Liturgia non è più vista come l’insieme delle norme per il culto, bensì come l’orientamento per la preghiera comune dei cristiani, con la lingua dei singoli popoli ed una maggiore comprensione e semplificazione dei riti, ma – è da dire – senza una più ampia conversione di mentalità, per cui ancora oggi si vorrebbe qua e là tornare alle antiche formule, come più devote e convincenti. Così la Bibbia, la cui lettura veniva sconsigliata ai singoli cristiani come rischio di eccessiva familiarità con i protestanti, viene invece messa in mano a tutti i battezzati, ma sempre con le esitazioni di chi sa che non è facile comprendere quanto è stato scritto millenni fa con mentalità molto diverse dalla nostra. La Costituzione sulla Chiesa ne rivoluziona il concetto: essa viene affrontata in primo luogo non più come «società perfetta» fondata sulla gerarchia, ma come popolo di Dio, in cui ogni battezzato è parte importante, mentre la gerarchia, pur caratterizzata dal Sacramento dell’Ordine, è al servizio della vita della comunità cristiana, nelle singole esperienze e nella loro collettività.
Gaudium et spes, sulla Chiesa nel mondo contemporaneo, è come tutti sanno la Costituzione pastorale. Un testo sicuramente legato al tempo storico in cui fu redatto ma che resta anche molto attuale. Per esempio in rapporto allo stile di essere comunità centrata sul Vangelo. O nel richiamo alla necessità di dialogare a tutto tondo con la cultura contemporanea, partendo dall’antropologia.
Fin dagli inizi dichiara che le gioie e le speranze (in latino “Gaudium et spes”) «le tristezze e le angosce degli uomini d’oggi, dei poveri soprattutto e di tutti coloro che soffrono, sono pure le gioie e le speranze, le tristezze e le angosce dei discepoli di Cristo, e nulla vi è di genuinamente umano che non trovi eco nel loro cuore». Tutta la Costituzione continua ad esporre la dottrina del Vangelo come una conferma e uno sviluppo di quanto è “genuinamente umano”; dopo aver riflettuto sulla dignità della persona umana, sulla comunità umana e la sua attività, passa da alcuni esempi, dal matrimonio e la famiglia alla cultura, dalla vita economica alla politica, dalla comunità internazionale alla pace. E qui alcuni vescovi (ad esempio il cardinale Feltin arcivescovo di Parigi e il cardinale Alfrink di Utrecht) chiedevano la condanna della guerra, di ogni guerra (che in tempi atomici è una follia, come aveva dichiarato papa Giovanni nella “Pacem in terris”), con la resistenza, ad esempio, dei vescovi degli Usa ( allora impegnata nella guerra anticomunista in Vietnam) che supplicavano: «non pugnalate alle spalle i nostri giovani che in Estremo Oriente stanno difendendo la civiltà cristiana». Eppure in questa Costituzione vi è l’unica condanna (come invece gli anatemi degli altri Concili contro gli errori del tempo), ed è quella (al n 80 ) contro “la guerra totale” come oggi è di fatto ogni guerra: ogni atto di guerra che mira indiscriminatamente alla distruzione di intere città o di vaste regioni e dei loro abitanti, è delitto contro Dio e contro la stessa umanità e va condannato con fermezza e senza esitazione.
Congar diceva che si sarebbe pienamente capito il Concilio 50 anni dopo. Oggi ci siamo.
È vero che dopo cinquant’anni la pastorale di papa Francesco richiama il Concilio. La sinodalità si rifà alla collegialità della “Lumen gentium”, ampliando la responsabilità dei vescovi con il Papa a quella di ogni battezzato per la vita della chiesa, mentre l’attenzione ai poveri, agli scarti del mondo, realizza quella Chiesa dei poveri avviata nel Concilio ma che papa Paolo frenava, nel timore di interpretazioni politiche per la guerra fredda allora in corso tra Usa e Urss, promettendo che ne avrebbe trattato in un’enciclica, che fu la “Populorum progressio” del 1967, che peraltro tratta della pace, più che della povertà.
Lei aderì al patto delle catacombe. In che modo è stato di ispirazione per la sua vita? E ha cementato legami con gli altri firmatari?
Visto che il Papa esitava a trattare della Chiesa dei poveri, il Movimento interessato, che in Roma aveva sede al Collegio belga, verso la fine del Concilio (il 16 novembre 1965) promosse un libero incontro di Vescovi alle Catacombe di Domitilla. Vi si trovò una quarantina di vescovi venuti occasionalmente a conoscenza dell’iniziativa. Il vescovo belga, monsignor Himmer di Tournai presiedette l’Eucaristia e presentò alla fine un documento secondo cui ogni singolo vescovo si impegnava esemplarmente ad una vita più povera (nell’abitazione e nei mezzi di trasporto, ad una pastorale più vicina ai lavoratori manuali ed ai settori più emarginati, e a far gestire le finanze sue e diocesane da laici affidabili. Quarantadue firmammo (casualmente ero l’unico italiano) e ci impegnammo a far firmare da vescovi amici, così che al Papa furono portate oltre 500 firme. Non ci ritrovammo più se non con gli amici di prima (ero nel gruppo di una ventina di vescovi, da ogni parte del mondo, ispirati da fratel Charles De Foucauld, oggi santo).
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