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Governo della Regione. Si può fare di più, molto di più. La Sardegna ne ha bisogno. DIBATTITO – VALUTAZIONI e DIBATTITO
Proseguiamo nella pubblicazione di riflessioni di valutazione critica dell’operato della Giunta regionale (e non solo), auspicando positivi cambiamenti di politiche e, ovviamente, di persone che sappiano interpretarli e rendere efficaci. E’ la volta di Vito Biolchini, che ha scritto l’articolo – che sotto riproduciamo – nel suo blog vitobiolchini.it , nonchè di Gianni Corbia e di Carlo Melis, con le loro riflessioni, intitolate rispettivamente “Sciatterie democratiche” e “Segretari e sottosegretari ai Segreti di Stato alla festa del Pd a Cagliari“, ambedue pubblicate sulla rivista on line SardegnaSoprattutto e che qui sotto riproduciamo.
Pigliaru crede nell’Italia di Renzi, io no. E adesso come dice Vasco Rossi…
“Voglio proprio vedere / come va a finire”
di Vito Biolchini
Tra le tante qualità del presidente Pigliaru c’è anche quella di essere permaloso. Il mio post “Il Pd apre il dibattito sul mezzogiorno ma Pigliaru si rifiuta di parlare della Sardegna” non gli è piaciuto e me lo ha detto pubblicamente qualche giorno fa (“Mi hai trattato malissimo…”) nel corso di una iniziativa da me coordinata a Cagliari in cui si parlava dei fondi Por 2014-2020.
Ovviamente non ero nelle condizioni di poter replicare e infatti non l’ho fatto. E devo dire che non ho intenzione di farlo neanche adesso visto che la riposta del presidente non solo non mi ha convinto per niente ma anzi ritengo che abbia (dal mio punto di vista) anche aggravato la sua posizione.
Mettiamola così: Pigliaru crede nell’Italia di Renzi, io no. È una cosa curiosa visto che il suo cognome finisce per u e il mio no, che suo padre è nato ad Orune e il mio a Bressanone: però è così.
Pigliaru crede che la salvezza della Sardegna passi per la salvezza dell’Italia: io credo che la Sardegna debba invece trovare una sua strada (che non significa necessariamente l’indipendenza) che la porti ad avere più poteri da esercitare autonomamente.
Poi Pigliaru ritiene che Renzi sia il primo presidente del Consiglio che si sta occupando di Mezzogiorno: vorrei sapere esattamente con quali provvedimenti.
Pigliaru ritiene inoltre che i mali della Sardegna siano soprattutto l’assenza di meritocrazia e l’assistenzialismo. Io penso che il problema sia invece la qualità della nostra classe dirigente.
Sulla meritocrazia nulla da eccepire, ma non mi sembra che il presidente con le sue scelte la stia mettendo in pratica: alcuni assessori non dovevano neanche essere nominati, altri dopo sei mesi potevano tranquillamente essere rimandati alle loro precedenti occupazioni: ma se dopo un anno e mezzo stanno ancora al loro posto evidentemente io e il presidente abbiamo un metro di valutazione diverso.
Anche sull’assistenzialismo forse parliamo lingue diverse: altrimenti i contratti che consentono all’editore Sergio Zuncheddu di affittare alla Regione locali che poi restano vuoti sarebbero stati prontamente disdetti. Non è andata così.
Pigliaru assume il tono di chi dice “lasciateci lavorare” e io rispondo: e chi ve lo sta impendendo? Piuttosto lavorate!
Dopo un anno e mezzo a che punto è la riforma dello statuto? E la nuova legge elettorale? E la legge urbanistica? E il nuovo corso sulle servitù militari? E la vertenza entrate?
Come andrà a finire la riforma degli enti locali? Temo male.
E quella della sanità? Idem, e mi dispiace. Perché il metodo messo in campo dall’assessore Arru è assolutamente condivisibile ma sconta un peccato mortale: il ritardo.
Un anno fa la riforma sanitaria avrebbe potuto godere di una forza che discendeva direttamente dal consenso elettorale, una forza che avrebbe limitato le agghiaccianti rivendicazioni feudali portate avanti da politici di ogni ordine e grado e di cui i giornali ci danno conto quotidianamente; oggi invece la politica sarda è totalmente per aria e il fallimento clamoroso della festa regionale dell’Unità (penosamente occultato, per un motivo o per un altro, dai maggiori organi di informazione) ne è la rappresentazione più evidente.
Con questo clima, come pensa il presidente di poter portare a casa una riforma di questo genere?
Pigliaru ha perso tempo ma evidentemente solo perché non aveva le idee sufficientemente chiare sulla strada che voleva far prendere alla Sardegna, altrimenti una riforma come quella sanitaria l’avrebbe proposta pochi mesi dopo la sua elezione (per dirla tutta così come Soru fece la Salvacoste, in quattro e quattr’otto).
Fra qualche settimana sapremo che fine faranno le richieste su trasporti energia ed insularità avanzate dal nostro presidente a Renzi lo scorso mese di maggio. Pigliaru si dice ottimista e noi tutti siamo con lui. Staremo a vedere ma l’aria che tira mi sembra che non sia è delle migliori. Saremo costretti a fare buon viso a cattivo gioco? Io certamente no.
In ogni caso, io non escludo che l’amministrazione Pigliaru possa ancora raggiungere significativi traguardi e portare a casa risultati di tappa importanti: sinceramente me lo auguro. Però ritengo anche che abbia già sostanzialmente esaurito la sua spinta e che politicamente non rappresenti più alcuna novità: game over. Con buona pace dei sovranisti, annegati in un bicchier d’acqua.
“E quindi mi stai dicendo che non c’è nessuna specificità, nessuna originalità, che il modello Pigliaru non esiste, che il Pd in Sardegna e a pezzi?” mi ha chiesto qualche giorno fa l’inviato di un noto giornale italiano, anche lui colpito dal post che tanto è piaciuto anche al presidente. Sì, è così: il modello Pigliaru non esiste più, ora c’è solo casino. A tutti i livelli.
Non ho altro da aggiungere. Però adesso, come cantava una volta Vasco Rossi, “Voglio proprio vedere / come va a finire”.
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Sciatterie democratiche
di Gianni Corbia
By sardegnasoprattutto / 29 settembre 2015/ Società & Politica/
Festa del Pd a Cagliari. Slogan “nuragica, fenicia, romana, bizantina, pisana, spagnola. Sardegna” (sic!), un bignami manchevole della storia della Sardegna. Lo slogan non poteva che essere dimesso come la Festa, autoesclusa rispetto alla città, ininfluente e poco frequentata al punto che al sondaggio dell’Unione Sarda – che pure ha dato molta visibilità all’evento – oltre il’86% del campione ha risposto che la Festa non avrebbe potuto avere nessuna capacità di aggregazione.
Festa autoreferenziale, lontana dai quartieri popolari e dall’antica sede del PCI che vede nei suoi paraggi un terribile muro segregare una chiesa dalla piazza come se l’una possa vivere senza l’altra. Una ferita che si accompagna alla perdita del complessivo senso dell’urbano a Cagliari, come tutti vanno ripetendo visto il degrado del centro storico segnalato dal Prefetto e l’abbandono delle periferie. Chissà cosa ne pensa Papa Francesco che iniziò il suo pontificato a poca distanza con parole che la dicevano lunga sul percorso che lo avrebbe portato a Cuba e in America ad abbattere muri in favore di ponti tra comunità. Evidentemente chi governa Cagliari ha inteso farlo nella logica dell’esclusione, del tutti nemici e se qualcuno si porta distante dagli incensieri e dagli incensatori apriti cielo.
Va da se che coloro che non vivono da beneficiati cercano di stimolare il dibattito, di esprimere critica, di spronare le amministrazioni a pratiche che facciano crescere la città dal punto di vista etico, sociale, economico. Qui forse sta uno dei motivi di un autentico tonfo della festa per pochi che voleva essere il battesimo per la campagna elettorale della riconferma di Massimo Zedda, incombente e presente in ogni ora del giorno e della notte. Niente bagni di folla, niente popolo e niente elite.
Provate ad immaginare l’animo di Luca Lotti vedendo la piccola pattuglia davanti a se? Avrà pensato si trattasse di un seminario per gli intimi che simpaticamente lo riportava indietro ai beni tempi dei boy scout e dei giochi serali intorno al fuoco. Ma come è possibile con una maggioranza bulgara come non mai? Renzi al governo, Pigliaru, presidente di Regione, Zedda sindaco di Cagliari, Soru segretario regionale. Come è che non si riesce a mettere insieme neanche una quota minima di pubblico degno di un sottosegretario alla presidenza del consiglio? Vero è che non si capisce bene cosa sia venuto a fare Lotti se non a trattare da manichini i rappresentanti delle istituzioni sarde che entusiasti si accontentano di fare i maggiordomi e i passacarte.
E tutto qui il senso di quei banner manchevoli di pezzi fondamenti della storia. Si tratta forse delle surreali conseguenze del mancato inserimento della storia sarda nelle scuole? Provvederà Pigliaru a ovviare simile travisamento. Perché questi popoli e non altri? Proviamo a darne una interpretazione.
I nuragici non potevano essere tralasciati. Una volta sì, quando la testimonianza della loro esistenza era relegata agli ottomila nuraghi e ad un po’ di bronzetti, ma dopo la scoperta dei Giganti, non è più possibile. E se poi la Sardegna è stata Atlantide, come la mettiamo? Ci giochiamo un atout di marketing da niente. I fenici, questa è facile, popolo di commercianti, quelli che hanno, secondo la vulgata, portato la civiltà nell’isola, sono i migliori testimonial di quel che vorremmo essere, un popolo di esportatori. Non a caso la Regione in questi giorni investe capitali per internazionalizzare le aziende sarde.
I romani non potevano essere tralasciati, siamo cattolici, i segni della loro presenza sono dappertutto e poi ci hanno lasciato la lingua che parliamo: l’italiano. I bizantini, ecco qui si strizza l’occhio a due categorie. La prima la pubblica amministrazione, campione di bizantinismo e unica riserva di voti rimasta. La seconda è la Russia di Putin. La Saras non è proprietà di un amico suo? Lo so, ci si deve accontentare dei Pisani, non fatevi ingannare dalle torri di Cagliari o dal conte Ugolino, la ragione è un’altra. In Sardegna non abbiamo mai avuto la signoria dei Medici e a Renzi un contentino bisognava pur darlo. Spagnoli, ecco questo resta misterioso, forse si vuol dare un aiuto a Madrid, perché la Catalogna minaccia la secessione? O forse perché, in fin dei conti il sardo è un dialetto spagnolo? Chi lo sa.
In realtà forse la ragione è un’altra, quelli del PD a scuola andavano male in storia e di quella sarda ne sanno poco o niente.
Provate a fare una salto nel tempo, pensate al compianto Umberto Cardia che fa apporre uno slogan simile alle feste del giornale fondato da Antonio Gramsci. Non sappiamo di chi sia stata l’idea di rappresentare la Sardegna con quelle dominazioni. Di sicuro rivelano una grande rimozione, quella dei Sardi. Perché, detto così la Sardegna è solo un luogo geografico, invaso da stranieri ed abitato da popolazioni di cui non si conosce neanche il nome. Questa festa è la rappresentazione plastica della vergogna di essere sardi, è la dichiarazione esplicita di subalternità.
D’altronde la giunta che governa l’isola è lo strumento della dipendenza da Roma e da Renzi. A questo punto non si può più neanche affermare che manchi una classe dirigente, perché esiste e lotta contro la Sardegna.
A noi che assistiamo attoniti ci resta solo una grande tristezza. Hic rodus, hic salta.
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Segretari e sottosegretari ai Segreti di Stato alla festa del Pd a Cagliari
di Carlo Melis
By sardegnasoprattutto / 30 settembre 2015/ Società & Politica/
Il titolo definisce la presenza di Luca Lotti, sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, in quella che voleva essere la celebrazione del segretario regionale, del presidente della Regione, del sindaco di Cagliari: la Festa dell’Unità regionale. Presentata dal favore della stampa ma anche da spifferi significativi: ”Fibrillazioni dentro il Pd, si rompe il patto a quattro” o mal di pancia che “peseranno nel rimpasto in Giunta”.
Conclusione? Poca unità e poca festa. Dove sono gli arrosti di “sartizzu”, che irrobustiscono lo spirito di corpo e fanno tanto “compagno” alle feste dell’Unità? In continente piacciono ancora al “giglio magico” che le frequenta a beneficio dei social media. Ve lo immaginate l’attuale segretario del Pd sardo arrostire con in testa una bandana per ripararsi dal sole? O peggio operai e cassintegrati sentirsi compagni di chi a suo tempo (un secolo fa) la rivista Forbes inserì nella lista delle 100 persone più ricche del mondo.
Fu gioco facile sostenerlo come presidente della Regione. Convincenti e coinvolgenti i programmi e la sua giunta di centrosinistra. Lasciò persino il controllo della sua azienda. Oggi è segretario regionale del Pd, europarlamentare europeo, presidente e amministratore delegato di Tiscali, che ha incorporato la società Aria, che offre servizi wireless in modalità banda larga, di Riccardo Ruggiero, ex numero uno di Telecom Italia.
Tutto bene. Conforta infatti sapere che una società sarda si sia anche aggiudicata il maxi appalto della Consip da 2,4 miliardi per la realizzazione del sistema della connettività della Pubblica Amministrazione. Ma la domanda per un militante è: “Un imprenditore di successo così impegnato in operazioni di sviluppo industriale della propria azienda per produrre aumenti di fatturato e riduzione degli oneri finanziari capaci di consolidare l’occupazione, di che tempo e di quali energie dispone per occuparsi proficuamente delle questioni europee e, soprattutto, della gestione e della guida del Partito Democratico in Sardegna?”.
Risposta: di poco tempo e di poche energie. Uno sguardo ai disastrosi i risultati delle ultime amministrative in Sardegna per affermare che sono state una vera Caporetto per il Pd. In qualche comune – vedi Quartu Sant’Elena – non ha perso ma quel che è accaduto dopo rasenta il surreale. La latitanza della politica e di quella del Pd in particolare si registra drammaticamente anche nelle faccende regionali soprattutto nelle politiche relative al paesaggio, all’istruzione e alla cultura, all’industria e al lavoro. I cavalli di battaglia che furono dell’attuale segretario, ormai consegnato all’autocensura e alla solitudine. Si è visto alla kermesse cagliaritana. Che Partito democratico è quello della cosiddetta Festa dell’Unità regionale? Da chi è formato? Parafrasando un detto antico pare che il Pd sia formato da pocos y malunidos. Altro che riconoscersi nella ”comunità di destino” cara al segretario regionale, che teorizza il superamento della dicotomia capitale-lavoro.
Che dire dell’onorevole Luca Lotti, il fedelissimo sottosegretario renziano. Doveva essere il “pezzo forte”, il testimonial dell’autorevolezza che la Regione Sardegna esprime a Roma con il segretario del Pd e il presidente della Regione. Le sue fulminanti dichiarazioni?
– Patto per la Sardegna? Pronto fra qualche settimana. “Non posso dire di più perché se ne sta occupando il sottosegretario De Vincenti“.
– Scorie nucleari in Sardegna? ” Non posso né giurare né garantire nulla. Ma un po’ mi posso sbilanciare: questa cosa la Sardegna può anche evitarsela visto che ha dato e sta già dando tanto“,
– Piano città metropolitane? “C’e un Patto fra Governo e città metropolitane che coinvolgerà anche Cagliari. Contenuti ancora top secret: il Piano sarà svelato nelle prossime settimane“.
Da qui il nuovo titolo di “Sottosegretario ai Segreti di Stato”. Che verranno svelati, al premier piacendo, quando parrà opportuno al governo. Chi ricorda l’attuale segretario del Pd da presidente della Regione battersi contro il Governo “amico” Prodi e in particolare contro il ministro degli Affari Regionali Linda Lanzillotta sulla vicenda della cosiddetta tassa sul lusso: (“C’è qualcuno che vorrebbe cancellare la nostra autonomia, ma noi la difenderemo. E difenderemo questa legge, che è stata definita sul lusso ma è un semplice contributo per la tutela ambientale!”), non può che restare perplesso nel leggere le dichiarazioni della stessa persona oggi: “È comprensibile che il Sottosegretario Lotti non possa sbilanciarsi su questo tema (scorie nucleari), ma apprezziamo che abbia detto cose che noi stessi diciamo e che abbia sposato l’impostazione del nostro ragionamento“.
Parafrasando l’espressione attribuita a Voltaire: “Non siamo d’accordo con quello che direte di voler fare in Sardegna con le scorie nucleari, ma daremo la vita affinché possiate affermare ciò che noi stessi diciamo”.
Così è la politica, bellezza. Così piace a Renzi. Povera Sardegna, povero Pd sardo.