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L’Università della Sardegna non è più rinviabile
Classifiche ed Università. Il posto di Cagliari e Sassari
di Nicolò Migheli ***
In questo periodo dell’anno fioccano le classifiche e i ranking delle università. Servono ad orientare gli studenti nelle loro scelte e le imprese che in tempi di privatizzazione devono sapere dove indirizzare investimenti e sponsorizzazioni. La settimana scorsa è stata pubblicata la classifica su 1000 università del mondo del The Center for World University Rankings (CWUR) di Jeddah in Arabia Saudita. Istituto che ha un certo seguito nel mondo accademico e delle imprese.
Le classifiche sono sempre determinate dagli indicatori scelti. In questo caso: il numero degli studenti che hanno avuto un premio o riconoscimento internazionale; il numero degli ex studenti che hanno incarichi direttivi nelle imprese internazionali; il numero dei docenti e accademici che hanno conseguito premi o riconoscimenti internazionali; il numero delle pubblicazioni scientifiche; le citazioni in ricerche internazionali degli autori e degli studi prodotti dall’università; il numero di brevetti. È abbastanza intuitivo che basterebbe cambiare i criteri perché la posizione di una determinata università cambi.
Come sempre i primi posti sono tenuti dalle università americane e britanniche. Quelle della Ivy League, più Oxford e Cambridge. Tali posizioni sono la diretta conseguenza del numero alto di premi Nobel che insegnano in quegli atenei, delle ricerche e pubblicazioni; allo stesso tempo, sono i luoghi da cui attingono le imprese multinazionali per quadri e dirigenti. La prima università italiana che compare nell’elenco del CWUR è La Sapienza di Roma, in posizione 90^. Nel 2015 era nella 112^. Un progresso. Altre università famose hanno posizioni decisamente inferiori come: Padova al 157°, Bologna al 198°, Torino 211, Firenze 251, Pisa 285, la Scuola Normale di Pisa 377. Si potrebbe continuare.
Tra quelle meridionali si salvano solo Bari e la Federico II di Napoli. Anche le università del nord, nonostante i finanziamenti – negli ultimi anni principalmente dati a loro – non fanno bella figura, scontano la diminuzione degli stanziamenti per la ricerca. Per quel che riguarda le università sarde il ranking non è felice: Cagliari è in classifica medio bassa con la 556^ posizione – nel 2015 570 -, Sassari 811- nel 2015 817.
Entrambe hanno migliorato di pochi punti, ma soprattutto Sassari è in condizione critica. È vero che le università sarde, più di altre, hanno subito tagli nei finanziamenti governativi perchè, ad esempio, uno degli elementi di premialità contemplati dal ministero è l’essere attrattive per gli studenti delle regioni vicine. Qualcuno si è dimenticato, o ha voluto dimenticare, che la Sardegna è un’isola e che l’unica regione vicina: la Corsica, è francese. Deficit finanziario che la Regione Sarda cerca di supplire con ingenti stanziamenti che coprono l’ordinario. A cui si aggiungono finanziamenti alla ricerca e bandi europei.
In molti nel mondo accademico e sui media si consolano dicendo che i laureati italiani che vanno all’estero, quando si confrontano con quelli provenienti dalle più importanti università globali, non sono secondi a nessuno. Si omette di dire che quelli sono i migliori, mentre la media dei laureati trova difficoltà ad inserirsi nel mondo del lavoro. Una ragione, non secondaria, è che il sistema produttivo italiano, basato su una rete vasta di piccole imprese a basso tasso di innovazione, non riesce ad assorbire laureati con conoscenze superiori alle loro necessità.
Qualsiasi considerazione si voglia fare su queste classifiche è indubbio che le università della Sardegna hanno un problema. Si può continuare così e fare finta di nulla ed accontentarsi? Oppure è necessario un cambio drastico di prospettiva, affinché gli studenti sardi non emigrino e si attraggano fondi e studenti dall’Italia e dal Mediterraneo?
E’ di qualche anno fa – nella 13^ legislatura per ovviare alla dispersione di fondi – la proposta di unificare i due atenei per creare il Sistema delle Università della Sardegna o Università della Sardegna. Passaggio non facile, significa agire con accorpamenti che alla fine incideranno su sistemi di potere consolidati, su tradizioni storiche di tutto rispetto. Eppure non vi è altra strada, sia per il calo demografico che per il basso appeal dato dal progressivo decadimento e dalla presenza nelle fasce basse delle classifiche internazionali.
Gli atenei di Cagliari e Sassari sono destinati, soprattutto quest’ultimo, a sparire. Sarebbe un danno enorme, dopo quattrocento anni l’isola si troverebbe senza studi superiori. Si può evitare tutto questo? Certo, il primo passo sarebbe riprendere a ragionare sul il Sistema delle Università della Sardegna. Bisognerebbe farlo subito.
*Per saperne di più: http://cwur.org/
*** su SardegnaSoprattutto
http://www.sardegnasoprattutto.com/archives/10929
- Per correlazione: L’Università della Sardegna su Aladinews.