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Che succede? Eppur si muove.
Il socialismo torna a vincere con nuove politiche anti diseguaglianze
di Nicola Cacace
25 Giugno 2019 by Forcesi | su C3dem.
I partiti socialdemocratici europei, che negli anni 2000-2014 avevano perso molti milioni di voti, dal 2015 sono in netta ripresa. La recente vittoria del Psoe di Sanchez in Spagna e più recentemente la sostanziale tenuta dei progressisti, socialisti e verdi, al Parlamento europeo con la contemporanea sconfitta dei “sovranisti”, cresciuti ma ben lontani dalla sperata maggioranza vincente, rinforza la sensazione che il vento contrario ai progressisti sta cambiando. Dopo decenni di sconfitte della sinistra in Gran Bretagna, Francia, Germania, Olanda, Svezia, Finlandia, Portogallo, Italia, dovuto a politiche neo-liberiste che hanno ignorato le sofferenze di larghi strati di popolazione e le crescenti diseguaglianze nella distribuzione della ricchezza, di recente abbiamo avuto successi della sinistra in molti paesi europei. In Danimarca dove il partito laburista si è confermato primo partito del paese, in Portogallo con il partito socialista di Costa, in Svezia, dove ad ottobre è stato riconfermato vincente il partito socialdemocratico, in Finlandia dove i socialdemocratici sono ritornati al primo posto dopo decenni di esilio, mentre in Gran Bretagna la segreteria di Corbyn ha riportato i laburisti di nuovo alla ribalta. I caratteri comuni che distinguono questi successi sono almeno di due tipi: politiche socialiste di sinistra, lontane dal neo-liberismo dei Blair e dei Renzi, slogan chiari e di sinistra come orari di lavoro ridotti, tasse progressive dove i ricchi pagano di più, aumenti salariali, e soprattutto riduzione delle diseguaglianze, fortemente cresciute anche sotto governi progressisti, in America, in Gran Bretagna, in Italia.
Se la missione della sinistra è l’eguaglianza si capisce perchè da decenni essa andava perdendo nel mondo. Le diseguaglianze sono aumentate anche sotto i governi progressisti, Clinton in America, Blair in Gran Bretagna, Pd in Italia, che hanno adottato politiche neo-liberiste e hanno reso i ricchi sempre più ricchi ed i poveri sempre più poveri. La riduzione delle diseguaglianza si fa anzitutto con due politiche: un fisco progressivo che faccia pagare di più ai ricchi, un Welfare universale che renda tutti i cittadini eguali in termini di valori fondamentali, istruzione, salute, sicurezza. Naturalmente per aver successo, in epoca dei media e dei social le politiche della sinistra devono anche basarsi su slogan precisi, comprensibili e ripetuti. In America molti leader democratici, Sanders in testa, parlano apertamente di socialismo, cosa impensabile anni fa, in Gran Bretagna Corbyn ha rilanciato il laburismo promettendo tasse più alte per i ricchi, Welfare più esteso, orari di lavoro più corti, in Portogallo la sinistra ha vinto e superato la crisi puntando sulle 35 ore, su salari più alti e su un fisco più progressivo. In Italia il nuovo segretario del Pd Zingaretti sta rilanciando il Partito con politiche più unitarie e più orientate a sinistra. Di seguito tratto alcuni temi socialmente “avanzati” presenti nelle politiche di alcuni partiti socialisti vincenti: orari di lavoro, fisco progressivo, contributo di solidarietà dei super-ricchi, accoglienza immigrati ma con un numero crescente di doveri e obbligazioni…
1. Lavorare meno per lavorare tutti
Oggi in Germania si lavorano 1400 ore/anno e la disoccupazione è al 3,8%, in Italia si lavorano 1800 ore e la disoccupazione è al 10,5%. Il processo storico di riduzione degli orari di lavoro nei paesi industriali ha consentito che l’occupazione aumentasse malgrado il forte aumento di produttività. Questo processo di dimezzamento degli orari annui, da 3000 a 1500 ore/anno in circa 100 anni, si è realizzato, grazie alle lotte dei lavoratori, attraverso vari passaggi – settimana di 48 ore, poi di 40 ore, più recentemente di 35 o 28 ore, sabato libero, periodo di maternità, compenso per malattie, ferie, etc. -, e si è rallentato negli ultimi anni del secolo scorso. E’ ripreso dal 2000 ad oggi sopratutto nei paesi del Nord Europa, Germania, Olanda, Austria, paesi scandinavi, Francia ed in alcuni paesi a governo socialista come il Portogallo, paesi che hanno assunto l’obiettivo piena occupazione come prioritario…
Nei paesi in cui da anni si fanno queste politiche, l’occupazione è alta con tassi di occupazione anche superiori al 70%, (vedi tab.1). Questo è possibile perché tutte le esperienze dimostrano che lavorare con orari troppo lunghi porta ad un calo di produttività, aumento di sprechi con riduzione della produzione anziché ad un aumento. Mentre i paesi del Sud Europa, Italia, Spagna, e Grecia, con gli orari di lavoro più lunghi, intorno alle 1800 ore annue, hanno anche tassi di occupazione più bassi, e di gran lunga più bassi, dei paesi con orari più corti.
Questi risultati occupazionali si sono realizzati anche in anni di crisi come nel triennio 2011-2014 di crisi, quando paesi come Francia, Svezia, Germania, con una crescita media del Pil inferire all’1%, hanno aumentato il tasso di occupazione. In pratica questi paesi, che hanno assunto l’obiettivo occupazionale come prioritario, hanno fatto politiche speciali di redistribuzione del lavoro, abolendo gli straordinari sostituiti con la banca delle ore, come in Germania, o con l’annualisation des oraires come le 35 ore in Francia, mentre l’Italia si comporta in modo assurdo per un paese ad alta disoccupazione: fa pagare l’ora di straordinario ad un costo inferiore all’ora ordinaria con la conseguenza che siamo il paese europeo che, dopo l’Ungheria – dove Orban ha fatto una legge che obbliga i lavoratori a fare almeno 400 ore di straordinario l’anno -, fa più ore straordinarie. Un paese moderno e democratico deve assumere gli obiettivi della piena occupazione e, di formazione continua, tutti obiettivi inversamente proporzionale a lunghi orari di lavoro.
Tab.1 Ocse. Orari annui di lavoro per lavoratori a tempo pieno e tassi di occupazione
Orari annui di lavoro
2000 2014 tassi di occupazione 2014
Germania 1452 1371 74
Francia 1535 1473 65
Olanda 1462 1425 73
Norvegia 1455 1427 75
Austria 1807 1629 71
Svezia 1642 1609 76
OCSE,media 1843 1770 65
Italia 1851 1734 56
Spagna 1753 1689 65
Turkia 1937 1832 49
Grecia 2108 2042 49
2.. Fisco progressivo, tasse più alte per i ricchi
Un errore grave che può fare un partito di sinistra è quello di invocare genericamente “meno tasse” per tutti, che è lo slogan delle destre nel mondo ed equivale a “meno tasse per i ricchi, meno Stato sociale per tutti”. Non che non sia vero che in Italia i contribuenti onesti pagano troppe tasse. Ma su questi punti bisogna essere più chiari: l’Italia, oltre ad avere una grande evasione fiscale (almeno 100 miliardi) che non combatte a sufficienza, appartiene a quel gruppo di paesi democratici che, per Costituzione e scelta politica, hanno imboccato la via del Welfare universale o Sistema sociale universale, cioè finanziano con soldi pubblici, cioè con la fiscalità, istituti fondamentali della solidarietà come istruzione, sanità, sicurezza, ricerca, etc. per renderli disponibili a costo zero all’intera cittadinanza. Questa è una scelta politica ad oggi condivisa solo da una minoranza dei 28 paesi OCSE. Il paese più ricco del mondo, gli Stati Uniti, non appartengono a questo gruppo . Ed infatti i paesi che non godono gratis di beni fondamentali come istruzione, sanità e sicurezza, hanno un pressione fiscale molto più bassa dei paesi con Welfare universale e gratuito per tutti, come può vedersi dalla tabella 2. Mentre i paesi con sistema sociale universale hanno una pressione fiscale intorno e superiore al 40% del Pil, i Paesi senza Welfare universale sono molto al di sotto, sino al 26% degli Stati Uniti ed al 20% del Messico. La tassa di successione, imposta basica per redistribuire la ricchezza, in Italia è quasi azzerata (4%) mentre, a partire da un certo capitale, è del 45% in Francia e superiore al 30% in Germania, Gran Bretagna e Spagna.
In sintesi, oggi esistono al mondo due modelli estremi di fiscalità, il modello americano ed il modello prevalente in Europa.
Modello americano. Pressione fiscale inferiore al 30% del Pil,spesa sociale e Stato sociale al minimo. Sanità pubblica (Medicaid e Medicair) solo per anziani e poveri, che la recente riforma Obama aveva migliorato assai poco, sino alla recente cancellazione dell’Obama care da parte di Trump, sanità privata dai costi crescenti con milioni di cittadini senza copertura sanitaria. Da notare che gli Stati Uniti, pur avendo la più alta spesa sanitaria complessiva, 14% del Pil, sopportano dati di mortalità infantile, morbilità, vita media, peggiori dei nostri, che spendiamo la metà del Pil (7%) in sanità. In America non c’è congedo di maternità retribuita per le lavoratrici e il numero di ferie retribuite è mediamente inferiore alle 10 giornate/anno. L’istruzione, a partire dalle scuole medie, è privata e dai costi altissimi, senza parlare delle Università che, a parte poche borse di studio, sono accessibili solo ai più abbienti. Negli States anche la sicurezza è prerogativa dei ricchi, i poliziotti privati superano di molte migliaia i poliziotti pubblici, confederali statali e di contea.
Modello centro-nord europeo. Pressione fiscale tra 40% e 46% con Danimarca, Svezia e Francia ai massimi. L’Italia è situata nella parte alta della classifica 43,3%, sia per l’elevata evasione fiscale, sia per la bassa efficienza della sua Pubblica Amministrazione. Nell’Europa del nord la Gran Bretagna, soprattutto dopo la cura Thatcher, si è parzialmente allontanata dal modello europeo di Welfare universale soprattutto nell’istruzione, ma anche nella sanità, ed oggi ha una pressione fiscale media intorno al 33% del Pil., che Corbyn promette di invertire col ritorno ad un Welfare meno ridotto. Sintomatico il documento firmato qualche anno fa in Francia da alcuni autorevoli personaggi a favore di una fiscalità equa e progressiva e a sostegno di un Welfare universale: “Noi rifiutiamo diminuzioni della fiscalità che avrebbero come contro partita l’insufficienza dei mezzi forniti alla protezione sociale, alla scuola, alla ricerca, alla sicurezza, alla salute ed all’ambiente”. Primi firmatari Jacques Delors, già presidente della Commissione europea, Maire, presidente delle assicurazioni Axa, Maillot, patron di Nouvelle Frontieres, una della compagnie di viaggi più importanti al mondo. Sintomatici anche due referendum, in Francia e Svezia, che chiedevano ai cittadini se volessero meno tasse e meno Sanità, etc.. L’esito fu favore di un Welfare universale e relativo costo fiscale.
3. Patrimoniale o contributo di solidarietà dei super ricchi
La ricchezza privata delle famiglie italiane, mobiliare ed immobiliare, era di 9700 miliardi a fine 2017, con una ricchezza media di 400mila euro a famiglia. Le famiglie italiane sono più ricche delle famiglie tedesche e secondo l’Ocse anche delle famiglie francesi, inglesi e canadesi. L’Italia è un Paese con grande ricchezza privata ma ad alta diseguaglianza: quasi la metà dei 9700 miliardi di ricchezza privata appartiene al 10% delle famiglie, ed il 90% della ricchezza appartiene al 50% delle famiglie. Noi abbiamo un debito pubblico di quasi 2300 miliardi, più del 132% del Pil, che ci costa molte decine di miliardi l’anno di interessi e da cui l’Europa ci chiede di rientrare velocemente (al 60% del Pil) in meno di 10 anni. Cura da cavallo impossibile. Quali sono le proposte sul tappeto per avviare una qualche riduzione del debito? Solo una, avanzata da “rivoluzionari” come Giuliano Amato, Carlo De Benedetti, il banchiere cattolico Pellegrino Capaldo, il presidente della Bnl Luigi Abete, oltre ai segretari dei tre Sindacati confederali, Maurizio Landini in testa, e di recente l’ex direttore generale di Bankitalia, Salvatore Rossi, che dice: “L’unico modo possibile per ridurre il debito pubblico utilizzando la ricchezza dei privati è una tassa patrimoniale; si tratta di una decisione tutta politica da illustrare in modo chiaro agli elettori”. Una patrimoniale, o contributo di solidarietà, non per tutti gli italiani ma per una minoranza di famiglie super-ricche, cioè 2,4 milioni di famiglie (il 10%) che detengono il 45,5% della ricchezza nazionale, pari a 4400 miliardi. Una piccola aliquota fiscale dello 0,5% sarebbe sostenibile e potrebbe fruttare entrate per circa 22 miliardi. La misura potrebbe essere anche più selettiva, limitata al 5% delle famiglie che detengono il 38% della ricchezza, pari a 3600 miliardi, che con un’aliquota fiscale dello 0,5%, darebbe 18 miliardi. Queste misure sarebbero simili a quelle fatte all’estero, Gran Bretagna, America, Germania, Francia, Portogallo sia pure con modalità diverse. Se si spiega bene alla gente che l’unico modo per non lasciare a figli e nipoti un debito spaventoso che condanna il paese a un declino inevitabile è una patrimoniale per una minoranza di famiglie super-ricche, la proposta sarebbe compresa dagli italiani tutti, anche dai più intelligenti fra i ricchi. In America il miliardario Warren Buffet ha proposto ad Obama di aumentare la tassa di successione a fini di redistribuzione dei redditi. Non vedo proposte alternative, mentre vedo che l’idea di una patrimoniale comincia ad essere discussa anche in ambienti “altri”, Confindustria, banchieri, commercialisti, per non parlare dei sindacati. Che aspettano i partiti del cambiamento, Pd in testa, a chiedere un contributo patrimoniale straordinario ai super-ricchi?
Tab. 2 Pressione fiscale in % del Pil, ( anni 2015-17)
Danimarca 46,6
Francia 45,5
Austria 43,5
Svezia 43,4
Italia 43,3
Olanda 37,8
Germania 36,9
Media OCSE 34,3
Giappone 28,1
Stati Uniti 26,4
Turkia 26,0
Irlanda 23
Messico 18
4. Accoglienza immigrati ma con un numero crescente di doveri ed obbligazioni
Il partito dei socialdemocratici ha vinto le ultime elezioni in Danimarca con una linea severa sull’immigrazione. Una linea favorevole all’accoglienza ma con una serie di doveri ed obbligazioni che sono stati apprezzati dalla popolazione. Si pensi al fatto che la Danimarca ha una quota di stranieri del 13%, fra le più alte d’Europa, con un Welfare molto ricco e costoso di cui gli stranieri godono al 100%. Sono state introdotte una serie di misure tendenti a ridurre la criminalità in zone abitate prevalentemente da stranieri, misure per anni invocate dalla destra, ritenute discriminatorie dalle minoranze etniche ma che sono state evidentemente apprezzate da una grande maggioranza della popolazione. Si sono introdotte misure tendenti ad aumentare i doveri degli immigrati, doveri in passato, spesso erroneamente, additati dalla sinistra come discriminatori o peggio antidemocratici e anti identitari.
Nicola Cacace