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Scuola: se la salviamo ci salva. Una priorità anche per la Sardegna
La scuola si salva con la passione educativa. La parola chiave sia “cura”, non successo, non competitività, non occupabilità
di Franco Meloni*
Ogni anno all’apertura dell’anno scolastico i media ci ricordano che la scuola italiana non gode di buona salute: molti edifici vetusti e non “a norma”, ritardi burocratici nelle nomine dei docenti, nonché precariato diffuso e instabilità delle sedi per gli stessi, e così via. La situazione della scuola sarda è ancor più preoccupante in relazione ai dati allarmanti della dispersione scolastica. Il Rapporto Crenos 2016 afferma che il tasso di abbandono scolastico è, infatti, tra i più elevanti in Italia, e la percentuale di giovani inattivi, in costante crescita. Nel 2014, il 29,6% dei ragazzi e il 17% delle ragazze in età 18-24 anni ha abbandonato gli studi e oltre il 27% dei giovani tra i 15 e i 24 anni (30,6 per i ragazzi e 24,7% per le ragazze) non studia e non lavora (i c.d. NEET – Not in Education, Employment nor Training ).
A fronte di questa situazione la Regione ha messo in campo nel passato diversi programmi, sostenuti da ingenti finanziamenti (comunitari, governativi, regionali), tutti dimostratisi inefficaci. Speriamo ora nell’ultimo progetto, denominato “Iscol@”, recentemente avviato. Prevede investimenti nell’edilizia scolastica, l’ampliamento dell’offerta formativa e professionale. Avrà durata triennale e i fondi a disposizione ammontano a 358,2 milioni. Il progetto è stato aperto al confronto sul web e in presenza – coinvolgendo cittadini, docenti e famiglie, Agenzie formative, Comuni e altri enti locali – che in qualche modo lo ha migliorato. Allo stato non è possibile un’attendibile valutazione per capire se si è riusciti a escogitare qualcosa di efficace o se si registrerà l’ennesimo fallimento.
Per evitarlo, non ci aiutano certo le politiche di “dimensionamento” degli interventi in materia di utilizzo delle sedi scolastiche stabilite dalla Giunta regionale, laddove per ragioni di risparmio si chiudono le scuole dei piccoli paesi, concentrando le classi in quelli più grossi. Con queste politiche si contribuisce allo spopolamento dei paesi della Sardegna. Più degli amministratori lo hanno capito le mamme dei bambini che si oppongono alla chiusura delle scuole. In tema, l’economista Paolo Savona ha espresso tempo fa un concetto che sembra proprio dar loro ragione, sostenendo che “una buona scuola oggi vale perfino più di una buona azienda per la disseminazione degli effetti positivi che essa crea”.
Ma al di là delle pur importanti rivendicazioni di strutture adeguate e di maggiori risorse per la scuola, con Fiorella Farinelli, giornalista di Rocca, concordiamo che le domande di fondo che tutti dovremmo porci sono altre. “Perché, nelle condizioni date, i ragazzi di oggi dovrebbero apprezzare la scuola e l’apprendimento che gli viene imposto? Perché dovrebbero farlo se quella stessa scuola e quegli stessi apprendimenti sono con tutta evidenza poco apprezzati dai loro stessi insegnanti? Perché dovrebbero appassionarsi a contenuti culturali proposti spesso in modi ripetitivi, freddi, senza inventiva e fantasia didattica, senza un rapporto con la loro esperienza, le loro domande, le loro inquietudini? Perché dovrebbero credere in una scuola che promette un ascensore sociale che la società e il mondo del lavoro non sono più in grado di assicurare? E poi, come utilizzare l’esperienza scolastica per crescere in autonomia e responsabilità quando la scuola attuale non permette scelte o percorsi individualizzati e non assicura nessuna flessibilità di funzionamento?”. Allora è necessaria una critica di fondo delle politiche scolastiche di questi anni, nel ricupero dei valori che devono informare la scuola. In questa prospettiva “ è «cura» la parola chiave, non successo, non competitività, non occupabilità. Ed è il come si può fare, e dove e con chi. Nelle scuole e nei territori, con gli insegnanti e con il privato sociale, con il mondo produttivo e con l’associazionismo. Con la musica, il teatro, le università, la ricerca scientifica, le botteghe artigiane, il lavoro, il volontariato, la cooperazione, la solidarietà. Ci vuole intelligenza, certo. E anche professionalità. Ma la risorsa più importante, forse, è la passione educativa, la convinzione che è su questo terreno più che su altri che si giocano le partite decisive”. E in Sardegna c’è spazio e voglia di lavorare in questa direzione? Il progetto Iscol@ può servire allo scopo? Cerchiamo insieme le risposte e teniamo vivo il dibattito.
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* Articolo pubblicato sulla rivista Nuovo Cammino della Diocesi di Ales-Terralba (n. 18 del 9 ottobre 2016).