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California dreamin’
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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- Università della California
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- La California
- California dreamin, The Mamas And The Papas, 1966
- Sognando la California, I dik dik, 1966
Settimana di ordinaria servitù
di Salvatore Cubeddu *
Cagliari, sabato 18 ottobre 2014
Si fa in fretta a fare il collegamento: mentre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna va completando la sua definitiva presa di possesso delle banche sarde (Banco di Sardegna e Banca di Sassari), ora una cooperativa emiliana andrà a scavare il monumento più vissuto della storia dei Sardi, i giganti di Mont’e Prama: la scoperta archeologica dell’area mediterranea più importante negli ultimi cinquant’anni, nel cuore della civiltà occidentale. Aggiungiamoci il cedimento della giunta Pigliaru agli italo-cinesi di Narbolia nel fotovoltaico, il consenso del tribunale italiano in Sardegna alle esigenze dei militari (italiani) in barba a Pigliaru: avremo così una normale settimana di servitù della Sardegna agli organismi dello stato italiano. (Una parentesi: non è però da considerare un torto fatto ai Sardi la scelta di Matera rispetto a Cagliari. Dei limiti dell’amministrazione di questa nostra città nel campo culturale sarà bene iniziare a porci le domande che urgono da tempo, a costo di affermare delle verità non proprio piacevoli).
Siamo da mesi (anni?) in costante mobilitazione anti/servitù: militare (Capo Frasca, e via elencando); industriale (Matrica e gli emuli di Macchiareddu, P. Vesme, Chilivani e per la chimica verde), energetica (i precedenti, più le incursioni fotovoltaiche promosse e protette dai ministeri romani), territoriale (l’acquisto in corso dei terreni agricoli delle pianure con l’appoggio della Coldiretti), bancaria e culturale (i giganti ‘romagnoli’, non a caso promossi dalla sinistra in entrambi i casi).
C’è la generazione dei post-sessantenni, ormai quasi tutta pensionata, che continua nei modelli comportamentali della sua militanza giovanile e si sposta di qua e di là per l’Isola, accompagnata da non molti giovani volenterosi, senza che la difesa dei diritti dell’oggi diventi una sicura conquista per il domani.
Ma: come ci si muove allorchè un provvisorio armistizio sui poligoni concesso al presidente Pigliaru diventa decisione a favore dei militari da parte del tribunale della stessa Repubblica? E’ possibile andare avanti senza che le nostre conquiste vengano difese da nostre leggi, ad iniziare da quella fondamentale dello Statuto-costituzione della Sardegna?
Dobbiamo approvare una legge dove si dica che sui beni archeologici della Sardegna decidono i sardi, che le terre sarde non si vendono perché sono un bene identitario destinato a restare disponibili per noi, che all’Eni non si concede alcuna fiducia finchè non risana le terre che già ha rovinato, che le banche devono ritornare a essere gestite da e per la Sardegna, che l’energia la produciamo noi e per i nostri interessi. Con tutto il resto che si scrive nelle costituzioni dei popoli.
Il Consiglio regionale, nella sessione estiva dedicata alle riforme istituzionali, ha invece deciso di rimandare tutto. In realtà non ha deciso niente in maniera chiara. Quello che è successo va interpretato. Alla sarda. Perché da noi si parla ancora soprattutto con il silenzio o in suspu, direbbero i barbaricini.
Il Partito Democratico ‘in Sardegna’ (non esistono i ‘democratici sardi’) attenderà le decisioni di Renzi dopo l’approvazione in parlamento delle riforme istituzionali. Allora dovremo adeguarci alle decisioni assunte a Roma. Perché qui la dirigenza del Partito Democratico tende a rappresentare (ed a rappresentarsi in) Roma e non mostra di avere una propria idea del futuro dell’Isola. Se l’avesse, si metterebbe all’opera per formalizzare un proprio progetto sul nostro futuro in un testo a valore costituzionale che, ad iniziare dallo Stato italiano, tutti dovrebbero rispettare.
Questa settimana di ordinaria servitù è stata preceduta da tante altre, e ad essa ne seguiranno sempre di nuove, finchè … Finchè non ci lasceremo guidare come servi?
P.S. Cosa c’entra tutto questo con la nuova Carta di sovranità argomentata recentemente da Franciscu Sedda, segretario del partito dei sardi? C’entra. Ha a che vedere con la questione di fondo: se esistano per i sovranisti/indipendentisti dei punti programmatici irrinunciabili e se il nuovo statuto sia tra di essi. Dovremo tornare su questo punto.
* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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A cura di Aladin
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Hanno ragione quanti, pur dispiaciuti per la mancata nomina di Cagliari a “Capitale europea della cultura per il 2019″, apprezzano il lavoro che ha condotto l’amministrazione comunale, sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa, insieme con molti altri, a ottenere comunque un ottimo risultato (essere tra le sei finaliste) e ritengono che occorra ripartire da qui, intanto per cercare di fare quanto ci si era proposti in caso di vittoria, certo con minori mezzi a disposizione; poi si tratta di migliorare il programma da attuare, correggendo gli errori, modificando impostazioni sbagliate o ricercando altre iniziative. A questo punto occorre avviare (anzi riprendere con più vigore) un grande dibattito che, a nostro parere, non può che muoversi per rispondere a questo interrogativo: “Quale è il ruolo di Cagliari rispetto alla Sardegna e, insieme ad essa, all’Europa?” Questo dibattito non può che svilupparsi nella logica del cambiamento. Cioè: “Come deve cambiare Cagliari per giocare un ruolo in e per una Sardegna che deve cambiare per rispondere agli interessi dei sardi. Noi diciamo che questa Sardegna nuova e possibile non possa che realizzarsi come regione d’Europa, di un’Europa che noi vogliamo evidentemente diversa e che pertanto ci impegniamo a cambiare.
Ecco allora una serie di (pochi) appunti per continuare a riflettere e, speriamo, che le idee, le buone idee, si trasformino almeno in buona parte in opere.
Appunti
Il ruolo di Cagliari per una possibile nuova Europa*
Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
* Tratto da un editoriale di Aladinews del 12 marzo 2012
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Tonino Dessì su fb
Diciamoci la verità. Era, quella di Cagliari, un’impresa improvvisata, nella quale pochi cagliaritani sono stati coinvolti e della quale alla più parte dei sardi poco importava. Ora non cominciamo col vittimismo. In un largo immaginario mediatico (e non solo) certi riconoscimenti si conquistano se si è, per storia passata o almeno per vicende recenti, assunti come un simbolo, come qualcosa di emblematico. Piaccia o meno, Matera e i suoi Sassi sono uno degli emblemi del passato dolente del Sud Italia intero e ogni suo progresso un simbolo di un possibile futuro per l’Italia suo insieme. Non possiamo coltivare differenza e alterità senza sapere che si paga un prezzo.
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Nicolò Migheli su fb
Matera ha vinto perché è da anni che lavora per questo risultato. Ha avuto come sponsor Radio 3 con una trasmissione dedicata come Materadio. Ha vinto perché evidentemente aveva il miglior progetto. Cerchiamo di essere un po’ sportivi, non guasta.
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Ferdinando Secchi su fb
A mente fredda, abbiamo partecipato ad una competizione di straordinaria importanza e siamo arrivati ad un passo dalla vittoria. Abbiamo iniziato per ultimi questo percorso mentre Matera ha programmato la sfida nel 2007. Nella prima fase la nostra idea ha battuto cittá di cultura come Aosta, Bergamo, Caserta, Valle di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. “La cosa più importante della sfida vinta da Matera è la straordinaria capacità progettuale d’insieme che hanno messo in campo le 6 città della short list. Il presidente della Commissione Green ieri ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo”. Il ministro dei beni e delle attività culturale e del turismo, Dario Franceschini. Ha dichiarato “Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura e sará una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stessi meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto ora tra le sei città finaliste”. Mi dispiace per le cugurre e i detrattori ad ogni costo, ma Cagliari ha fatto un lavoro stupendo e otterrà lo stesso grandi risultati e poi come dice Francesco Frisco Abate siamo sempre, ogni anno, la Capitale del Piricocco!
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Francesca Ghirra su fb
È stata una sfida bella ed emozionante che ci ha restituito la fiducia e la possibilità di sognare. Sappiamo che uniti siamo capaci di grandi cose. Continuiamo a costruire insieme un futuro migliore per noi e la nostra città. Ce lo meritiamo! #cicreu #Cagliari2019
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- Rimane da vincere la sfida di sempre. Leader vera della Sardegna.. Gianni Filippini su L’Unione Sarda.
Peccato, peccato davvero! Sarebbe stata una gran bella occasione per tirar su la testa e mostrare quell’orgoglio di appartenenza che troppo spesso affoga nel grigiore della quotidianità. Avere il titolo di “Capitale europea della cultura”, poterlo vantare davanti al mondo, sarebbe stata infatti una carta con buone probabilità di essere vincente. E anche un irresistibile e vantaggioso richiamo per milioni di turisti. Di certo avrebbe funzionato da frustino per confermati impegni, rinnovate energie e coinvolgimenti convinti. E più nitida e stimolante sarebbe stata l’apertura di prospettive esaltanti per una crescita socioeconomica promossa e trainata dalla cultura, il potente motore così spesso maltrattato, in generale, da guidatori miopi e da meccanici impreparati. Anche senza il riconoscimento ufficiale, Cagliari può però proporsi – a buon diritto – come città dalle molte, singolari bellezze. Tutte caratteristiche, fra l’altro, che un clima di invidiata mitezza sa esaltare e tradurre in forte attrazione.
I progetti ci sono, bisogna comunque attuarli. Per tentare di vincere la difficile sfida, le cose, bisogna dire, erano state fatte con appassionata determinazione. Le carte presentate dal Comune restano di ottimo livello. Pur con qualche colpevole esclusione, una pattuglia politica e amministrativa ( sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa) – con il contributo di qualificati esperti – aveva sottoposto all’esame della giuria un robusto e articolato dossier di idee creative, di buoni programmi, persino di qualche sogno. Insomma, poco o nulla era stato tralasciato per ottenere il prestigioso titolo. Quindi, il verdetto che nega a Cagliari la particolarissima chance non è il frutto di un impegno inadeguato. Perciò, un condivisibile filo di delusione non può prevalere sulla consapevolezza di aver fatto – persino con risorse limitate – il possibile.
Grave e imperdonabile errore sarebbe adesso il progressivo affievolirsi dell’apprezzato entusiasmo. Senza prospettive Cagliari ripiomberebbe nella fastidiosa routine di città che volta le spalle alla propria straordinaria ricchezza per vivere la soffocante normalità di tante piccole e grandi emergenze. La tensione deve invece restare alta, ogni energia va trasferita sulla sfida di sempre: saper essere veramente la capitale della Sardegna.
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Chiasteddu Onlài
17/10/14
La Chiapitale della Cultura è Mattera: ma noi tanto ci riproviamo l’anno prossimo
Alla fine no ce l’abbiamo fatta, nonostante ghe no c’è più Ciellino ma Giuliano alla fine il Chiagliari non è la capitale Europea della cultura. Stitzia si coddidi.
Alla fine su youtub hanno deciso ched’è Mattera, sempre ched’esiste e molti già urlano al gomblotto.
Cosa c’è a Mattera alla fine? I sassi, ma là ghe forse non hanno capito che di perdigoni ce n’abbiamo talmente tanti anche noi ghe Calamosca e Calafighera Massi li aveva chiusi a marolla appunto ghe erano fisso arrumbullonando perdigoni sopra la gente.
Dispiaciutissimo Massi ghe però assicura ghe anche se il Cagliari non è diventato Capitale Europea della Cultura gli aperitivini tattici promessi già si faranno l’ostesso, tanto l’ordinanza anticasini della Marina è finita e quindi Mattera ghe la marina manco cel’ha può tranquillamente cagarsi in mano e prendersi a schchiaffi.
Alla fine l’occhialino tattico di Massi non è bastato ad arrettare i livelli di cultura a Chiagliari, ghe comunque rimane sempre la Chiapittale del Mediterranio e quindi tutte le altre possono tranquille tirare in casino.
Ma poi, la verità? La-verità-la-verità? A sfreggio noi ci ritentiamo l’anno prossimo!
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- Per correlazione. Intervento di Franco Meloni su Cagliari e nuove strategie di sviluppo
Elezioni e oltre
Cappellacci/Berlusconi hanno perso. La Sardegna ancora non ha vinto
di Salvatore Cubeddu *
Abbiamo un presidente votato da un sardo ogni cinque. E’ preoccupante. Ma se ne parlerà per qualche giorno, poi “chi ha vinto, ha vinto; chi ha perso, ha perso”.
Se qualcuno tra coloro che non è andato a votare ha creduto di fare un dispetto al ceto politico dominante ha sbagliato i conti. Pura reazione emotiva, infantilismo. O frustrazione. O rabbia. L’astensione preoccupa prima del voto. A voto mancato, chi ha scelto decide su tutto.
Cappellacci ha perso, a ulteriore conferma del tramonto del berlusconismo. L’uomo della Certosa ha – presso le istituzioni della Sardegna – un referente locale in meno. Gli emiri dovranno adattarsi a nuovi interlocutori. Mauro Pili dovrà guardarsi le spalle ogni volta che esce per strada. Speriamo di vedere Ugo rispondere almeno del disastro di Furtei.
Pigliaru ha vinto, la sua serietà ha prevalso. Ma su gran parte di quello che lo aspetta è, per tanti, un mistero. La sua breve campagna elettorale gli ha consentito di porsi alcune domande urgenti, con risposte esaurienti, almeno per la maggioranza dei votanti. Non conosciamo, però, un dato fondamentale: qual’è la sua idea di Sardegna?
Dell’Isola che c’è e, soprattutto, di “quella che non c’è”? Ne capiremo di più, ad iniziare da domani.
C’è chi è andato a votare, ma non deciderà niente. La legge elettorale sarda non reggerebbe probabilmente ad una seria disanima da parte della Consulta. Ma il danno è fatto. Coloro che hanno scelto un bipolarismo escludente si proponevano la riconferma di chi già stazionava in Consiglio. I consiglieri uscenti niente hanno fatto che non mettesse al primo posto la convenienza, propria o del proprio gruppo. Puniti dal popolo dei dieci referendum avevano nascosto nella notte la ricostituzione dei propri stipendi. Le vergogne dei consigli regionali d’Italia – da Torino fino a Scilla e Cariddi
avevano trovato il primo inciampo rivelatore in un’apparente caso di stalking all’interno di un piccolo gruppo politico del nostro consiglio. Questa legge elettorale è stata la seconda grande porcata.
Michela Murgia avrebbe potuto gridare oggi “vittoria!” se le sue attese avessero meglio tenuto conto della ferocia di quelle regole e della difficile raccolta dei consensi. Ma, col suo abbondante 10% ed il 7% delle liste, ha raggiunto in sette mesi quasi quanto il partito sardo ottenne dopo decenni di faticosa presenza nella società e nelle istituzioni.
La ripresa del terzo sardismo veniva enunciata nel 1979 quando il PSd’Az ebbe solo il 3,3% dei consensi. Il top del successo sardista arrivò nel 1984 e superò appena il 14% e, con esso, mandò Mario Melis alla presidenza della Regione. Il Progetto-Sardegna di un Soru vincente non andò oltre il 7%.
Se al voto della Murgia aggiungiamo l’1% di Devias e lo 0,8% di Gavino Sale, lo 0,7% di Gigi Sanna, il 4,7 del PSd’Az, il 2,6 % dei Rossomori e il 2,7 del Partito dei sardi si supera di molto il punto più alto di quanto raggiunto trent’anni fa. E poi: Mauro Pili (5,7%%) ha fatto una campagna elettorale che “più sardista non si può”. E lo “Stato
patrigno” di Ugo Cappellacci? Un’overdose di protesta e di analisi critiche dei rapporti della Sardegna con l’Italia da cui l’unico escluso sembra il PD. E con lui… anche la gran parte della maggioranza del prossimo consiglio regionale.
Cosa resterà, d’ora in poi, di un sardismo/sovranismo/indipendentismo se non riuscisse a condizionare il grave ritardo di elaborazione istituzionale della sinistra? Cosa risponderà – e si tratta solo della prima urgenza – la maggioranza di Pigliaru ai pericoli “renziani” del senato delle autonomie dove la Sardegna continuerebbe a non contare?
“Sardegna possibile”, con metà dei voti identitari, rappresenta un patrimonio di “possibilità”. Ma l’attività politica, anche per gli appassionati e per gli idealisti, domanda delle risorse. Di tempo e di forze, le più varie. Dopo qualche settimana di riposo si porranno per i loro candidati e militanti dei nuovi problemi. Intanto, in molti devono loro un grazie!
Sardegna 2014, fuga dal voto
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto
Domenica notte chi è andato alle urne ha scoperto che il proprio voto ne valeva due. Metà dei sardi che ne avevano diritto ha preferito andare al mare in campagna o semplicemente restarsene a casa. Un assenteismo così alto non si era mai visto. Non hanno funzionato neanche i 1500 candidati, che non sono riusciti a rompere il disinteresse e il risentimento. Eppure questa volta l’offerta politica era talmente vasta che chiunque avrebbe potuto riconoscersi. Fermo restando che chi non vota poi ha poco diritto di lamentarsi, è evidente che si è rotto quel rapporto di reciproca fiducia tra cittadino ed eletto, tra istituzione e diritto-dovere della scelta.
Le cause possono essere molte, ipotizziamone alcune. La legge elettorale ad esempio. Sì dirà che le regole sono regole. Hic rodus hic salta. Però solo la legge turca, proporzionale peraltro, ha uno sbarramento del dieci per cento. La giustificazione è la governabilità, è bloccare i Lupi Grigi, i partiti islamico radicali, i comunisti; negare loro l’accesso in parlamento. Nel nostro caso, invece, del tentativo riuscito, di impedire a terze forze di accedere alla massima istituzione sarda. Non regge la scusa della governabilità. Il nostro è un sistema maggioritario dove il presidente può agire in perfetta autonomia ed ha sempre dalla sua l’arma delle dimissioni con la quale può condizionare la maggioranza.
Quanto questa legge abbia funzionato come dissuasore al voto? Ovvero quanti elettori si sono sentiti demotivati nel dover scegliere la formazione politica che più aderiva alle proprie convinzioni e non l’hanno fatto perché sarebbe stato inutile ed hanno preferito non recarsi alle urne? Forse non lo sapremmo mai. È indubbio che il proceddu sardo è incostituzionale quanto il porcellum italiano. Non garantisce le minoranze, agisce da strumento di conservazione delle forze maggiori. Se fosse una disposizione commerciale potrebbe essere facilmente impugnata con successo presso qualsiasi Autorità della Concorrenza. Una barriera all’ingresso, né più né meno come certi ordini professionali usano l’esame di stato.
Benché importante la legge non spiega tutto. In Friuli nelle regionali del 2013 votò il 50,48% degli aventi diritto, in Basilicata nello stesso anno, addirittura circa sotto il 50. Entrambe regioni con leggi differenti. In Portogallo e Grecia, nelle ultime elezioni ci sono stati risultati simili. È indubbio che ogni realtà segue fenomeni propri, ma si può ipotizzare che è in atto una profonda crisi della democrazia rappresentativa. Nel caso degli stati citati, il dover sottostare alle regole della troika hanno fatto percepire l’inutilità delle elezioni. Chiunque andasse al potere doveva obbedire alle indicazioni di Bruxelles ed FMI.
Nel caso nostro, invece, è il fallimento dell’istituto regionale, percepito dai cittadini come lontano, causa di sprechi. Gli scandali dei fondi dei gruppi hanno accentuato il senso di distanza. La politica neo centralista propugnata da giornali come il Corriere della Sera, la riforma del Senato che viene definita delle Autonomie invece che delle Regioni, fa credere che il prossimo governo Renzi intenda abolirle di fatto. Le regioni come luogo della spesa incontrollata. Regioni come Sardegna e Friuli, ad esempio, che spendono milioni per difendere le lingue locali. Spesa motivo di scandalo per giornali come il Corriere e Repubblica, al contrario motivo di orgoglio per chi come me crede profondamente nelle lingue materne.
Notizie come queste, ripetute ogni giorno in tv e sui media costruiscono opinione e pubblico pregiudizio. L’allontanamento dal voto è una conseguenza di tale pensiero unico. La stessa non presenza dell’M5S nelle elezioni sarde, tra i tanti motivi, potrebbe rispondere a quelle sollecitazioni, visto che Grillo vorrebbe sopprimerle.
John Kenneth Galbraith economista e consigliere del presidente Kennedy, sosteneva che vanno a votare coloro che vogliono conservare il sistema. Considerazione giusta per gli Usa, un po’ meno per noi in Europa. Di sicuro c’è che chi va a votare esprime una grande motivazione, spesso indotta da rapporti non cristallini tra elettori ed eletti. Le elezioni di domenica, sembrerebbero dimostrare che le reti clientelari siano ancora in piedi ed efficienti. Forse, però, non come una volta. Quanto, ad esempio, le promesse tradite per impossibilità di essere soddisfatte a causa della crisi, hanno agito da disincentivante? Macchine elettorali di Forza Italia, con ampie reti sono rimaste a terra, non solo perché Cappellacci ha perso, ma perché evidentemente funzionano meno di un tempo. Non mantengono più la promessa.
Tutto questo in una Sardegna che vive una delle crisi più squassanti dal dopoguerra ad oggi, con una disoccupazione che è a tassi greci, il proprio territorio oggetto di speculazione, una popolazione impoverita e disperata. Ecco il panorama desolante che eredita Francesco Pigliaru diventato Presidente dei Sardi. A lui i miei migliori auguri affinché possa agire in maniera efficace.
La Sardegna ha bisogno di un governo che sappia toglierla dal baratro in cui è caduta. Il primo grande impegno della nuova giunta sarà quello di agire con atti concreti affinché chi non è andato a votare si riavvicini alla politica e alle istituzioni. Altri cinque anni come i precedenti sarebbero la fine.
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
Est arribande…
Scrivo mentre nel Largo innalzano le torri televisive per riprendere papa Francesco. Novelli Zaccheo saliamo sul sicomòro per vedere passare il Maestro, ascoltarlo, fotografarlo, possibilmente toccarlo. Ma il papa non è, come si dice, il rappresentante di Cristo in terra. Gesù – oggi e, soprattutto, nel giorno del ‘giudizio’ – è rappresentato dai poveri, dai carcerati, dai perseguitati e dagli stranieri (vangelo di Matteo 25,40) e, ancora misteriosamente, nel pane consacrato. Francesco è il primo di un’organizzazione che vive e annuncia tutto questo… e, scusate se è poco!
Viene in Sardegna forse non solo per il nostro curioso legame con la sua patria e la Chiesa di origine. Viene dopo Lampedusa e Rio, nella regione più abbandonata della/dall’Italia. Ma non porterà risorse per la nostra povertà. Non potrà salvare operai dal licenziamento o commercianti dal fallimento. Non risanerà le storture della nostra organizzazione sociale o istituzionale. Ci annuncerà solo la fede, la speranza e la carità predicata dal falegname della Galilea, bruciatosi in soli due anni e finito impiccato su una croce. Trasposizione metaforica ed interpretazione teologica dicono che pure noi siamo all’origine di quella morte. E la sua risurrezione alimenta la nostra speranza di salvarci essendo ‘folli’ (1 Cor. 1,23) come Lui.
I sardi accorreranno in tanti a salutare ed applaudire papa Francesco, come già Giovanni Paolo e Benedetto. Ma Francesco arriva in tempi non normali per la Chiesa. Per quello che lui è e per ciò che fa. Per quello che noi siamo, santi e peccatori, anche nella Chiesa sarda. Il Papa ha avviato la rivoluzione di un’organizzazione che, solo sei mesi fa, ha visto le dimissioni del suo predecessore perché impossibilitato a raddrizzarne le storture. Francesco le ha nominate per nome: carrierismo, clericalismo, amore per il potere e le ricchezze, superbia della vita … Da combattere con il ritorno allo spirito e alla lettera del vangelo.
Raramente le rivoluzioni dall’alto hanno avuto successo, se non si sono congiunte ad una convinta spinta da parte del popolo. Attenti osservatori già scrivono che ‘non ci sarà un Francesco II’, intendendo il probabile trasformismo delle strutture clericali, anticipo del fallimento di ogni riforma. Potrebbe non essere così anche per la Chiesa sarda se esamina dentro se stessa quanto di solamente clericale, di esteriore mondanità, di mediocrità essa pure contiene. Se lavora con lena e decisione ad una soluzione di continuità con il suo passato, più o meno recente, ad iniziare da Cagliari.
E’ bene che andiamo a concedere i nostri applausi e gli ‘evviva’ a Francesco. Servono anche a lui per vincere una difficile battaglia. Che è pure incitamento alle nostre. Nella fede in noi stessi, nell’appoggio reciproco, nella speranza operosa. I doni che, credenti e non credenti, occorrono ai sardi.
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Questo articolo è stato pubblicato anche su L’Unione Sarda di oggi (21 settembre), con alcuni cambiamenti per ragione di spazio e integralmente sul sito della Fondazione Sardinia.
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Il programma della visita papale, Cagliari domenica 22 settembre 2013
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Oggi 21 settembre San Matteo. Auguri a tutti i Matteo e alle Mattee
con Bomeluzo
Per capire quello che è successo, succede e, presumibilmente, potrà succedere alla Chiesa che ha eletto papa Francesco
CONFESSION D’UN CARDINAL, intervista di Olivier Le Gendre
Salvatore Cubeddu sul sito web della Fondazione Sardinia presenta il libro “Confession d’un cardinal”, che definisce “utile per capire quello che è successo, succede e, presumibilmente, potrà succedere alla Chiesa che ha eletto papa Francesco”.
“Confession d’un cardinal” è il titolo originale del libro – intervista a un Cardinale di Santa Romana Chiesa. Registrato nella seconda parte del 2005, il testo è uscito in Francia nel 2007 con quel titolo ed è stato presentato in edizione italiana nel 2009, con quest’altro: Anonimo con Olivier Le Gendre, ORGOGLIO E PREGIUDIZIO IN VATICANO, Edizioni Piemme, pagg. 412. Il titolo italiano può risultare fuorviante se non si tiene conto che la lucidità critica del Cardinale si accompagna ad una grande passione per la Chiesa e ad una continua attenzione alla proposta positiva.
Presentiamo un libro estremamente interessante, che è utile per capire quello che è successo, succede e, presumibilmente, potrà succedere alla Chiesa che ha eletto papa Francesco.
QUESTO DOSSIER. Il servizio comprende (1) la nota redazionale che contestualizza la scelta di questa (forse) originale recensione; riporta (2) la presentazione del libro disponibile nel sito della casa editrice, nella quale riteniamo degni di rilievo i correlati commenti dei lettori; propone quindi (3) la recensione presentata da un giornale diffidente nei confronti delle tesi del libro (Il foglio) ed in un sito (4) invece molto favorevole ad esse, nonostante l’autrice si dichiari non cristiana; infine (5) si ricopia la recensione/citazione di un’importante casa editrice concorrente, la Rizzoli. Ma: chi è questo cardinale. Secondo noi è …. (6). E poi: un brano della parte finale del libro, pag. 363 ss. (7).
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