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Università della Sardegna. Il dibattito è aperto. I pro e i contro. Le decisioni urgono
Il confronto
Una eventuale fusione degli atenei di Sassari e Cagliari andrebbe evidentemente a tutto svantaggio di quello turritano Se ne occupi la politica
di Antonietta Mazzette
Da alcune settimane si è ricominciato a dibattere sulla cosiddetta Università della Sardegna, discettando su dove collocare il Consiglio di amministrazione: Oristano, Nuoro, chissà! Non è ben chiaro se il cuore della proposta sia quello di una fusione dei due atenei sardi o se, più limitatamente, sia quello di una federazione governata da un unico organo collegiale. Comunque, un unico consiglio di amministrazione significa che, giacché l’università di Sassari è più piccola di quella di Cagliari, si ritroverebbe ad essere, per così dire, “un azionista di minoranza”, con meno peso economico e meno rappresentanza politico-culturale. Considerato che le previsioni sul futuro delle università non inducono ad essere ottimisti, scarsi finanziamenti e costante riduzione dei docenti si potrebbero tradurre in scelte quali, ad esempio, accorpamento dei corsi nel caso in cui ci siano duplicati. Ossia quasi tutti, esclusi quelli di Agraria e Veterinaria e forse Medicina. Le raccomandazioni di andare verso federazioni o fusioni erano contenute nella Legge Gelmini, ma non è un caso che il sistema universitario italiano le abbia largamente ignorate. Non mi risulta che in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna etc. qualcuno si sia appassionato a questo tema, per cui il nostro è un dibattito tutto locale. Ma non sottovaluto le argomentazioni che stanno alla base degli interventi di alcuni studiosi cagliaritani ed entro nel merito. I due atenei sardi si collocano stabilmente nelle graduatorie in una condizione mediana; quello di Sassari si ritrova spesso ai vertici delle graduatorie delle università medie. Con tutta la diffidenza che si deve avere verso dette graduatorie, ciò dimostra che il sistema universitario sardo è sano e forma laureati di media e buona qualità, con alcune eccellenze. Si pensi ai diversi casi di successo di cui scrive Giacomo Mameli. Naturalmente, i problemi delle due università sono destinati a crescere, tanto per il costante assottigliamento dei fondi e l’assenza di turn over, quanto per la debolezza strutturale del sistema economico sardo. Debolezza che incide negativamente su alcuni indicatori e dunque sulla dotazione dei finanziamenti ministeriali, quali tasse non elevate, scarsa occupazione dei laureati, poca attrattività di studenti provenienti dal di là del mare. Se questa sommaria descrizione dello stato delle cose ha un fondamento, la proposta di Università della Sardegna esige almeno due domande: quali vantaggi e quali costi comporta? Tra i primi certamente vanno asseverati risparmio (compreso quello riguardante il capitale umano), efficienza e maggiore razionalizzazione dell’offerta formativa. Per ciò che riguarda i costi, invece, è necessario chiedersi se questa “nuova” università avrà o no un incremento di iscritti, se potrà essere di maggiore qualità, di quale natura saranno gli effetti sul territorio, a partire da Sassari, giacché, probabilmente l’ateneo di Sassari subirebbe i maggiori sacrifici. Ho molti dubbi che ci sarebbero incrementi di iscritti. Com’è noto, i giovani del Nord Sardegna se scelgono di non studiare a Sassari non vanno a Cagliari, bensì fuori dall’Isola (Pisa, Perugia, Pavia, Torino). Mentre i giovani che rischiano di non poter studiare a Sassari andrebbero a infoltire le fila di coloro che non studiano e non lavorano. Sulla qualità non saprei se un’unica struttura universitaria possa essere un migliore laboratorio di idee oppure no. Mentre gli effetti sulla città di Sassari sarebbero devastanti. La sua storica università, dopo l’Azienda sanitaria, è la più grande azienda del Nord Sardegna e una sua riduzione costituirebbe un evidente danno economico per il territorio. A tutto ciò aggiungo che la proposta di Università della Sardegna è un elemento di un puzzle più grande che va in una sola direzione: concentrare peso politico, risorse materiali e culturali verso l’area metropolitana di Cagliari. Si pensi alle politiche più recenti riguardanti gli assetti istituzionali, la mobilità, i porti. Ciò che però stupisce è il fatto che le classi dirigenti della vasta area territoriale del Nord-Sardegna sia silente, come se ciò di cui si sta discutendo fuori dai loro confini siano di scarso interesse.
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Universidade de Sardigna Università della Sardegna University of Sardinia
di Franco Meloni
Il treno veloce Cagliari-Sassari e viceversa (auspicabilmente esteso ad altre tratte, Olbia in primis) trainerà anche la realizzazione dell’Università della Sardegna. Unica Università o federazione tra i due Atenei storici? Questo è da decidere. Allo stato risulta si propenda per la loro federazione, “al fine di salvaguardarne maggiormente la storia e la tradizione”, ma pur sempre sotto l’egida comune di Università della Sardegna. Però la federazione deve essere vera, come avverte il competente Ministero, che nel documento di programmazione 2013-2015 del sistema universitario italiano delinea le caratteristiche dei “modelli federativi di università su base regionale o macroregionale… ferme restando l’autonomia scientifica e gestionale dei federati nel quadro delle risorse attribuite”. Precisamente devono prevedersi: “a) unico Consiglio di amministrazione con unico Presidente; b) unificazione e condivisione di servizi amministrativi, informatici, bibliotecari e tecnici di supporto alla didattica e alla ricerca”. Siamo allora ben lontani dal debole patto federativo firmato dai due Atenei alcuni anni fa. Nella pratica non si va ancora in tale direzione; assistiamo invece a un atteggiamento prudente e defatigatorio. E non ne sono prove contrarie l’intensificarsi tra gli Atenei degli accordi di programmazione formativa e di collaborazione per la ricerca scientifica (peraltro sempre esistiti). Tutte cose positive, ma, al contrario, perdura l’incapacità di gestione unitaria di importanti attività, come, ad esempio, i progetti di formazione professionale di grandi dimensioni (lo fu Itaca per il paesaggio), o il consorzio per l’Università telematica della Sardegna o i Centri di competenza tecnologica: iniziative fortemente incentivate dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, sempre più ridotte a operazioni di piccolo cabotaggio. Così non si potrà continuare perché l’unificazione (o la vera federazione) è ormai un fatto ineludibile, che la spending review governativa impone, anche attraverso progressive penalizzazioni nel trasferimento di risorse statali se non si procederà nella direzione indicata, ma come peraltro imporrebbero criteri di razionalità nella gestione complessiva delle risorse – e non solo – nell’interesse della Sardegna. Almeno così pensiamo in molti, in prevalenza fuori dall’accademia, nella quale invece prevalgono la conservazione di antichi privilegi e posizioni di potere, quando anche giustificati da nobili motivazioni. Lo riconosciamo: il discorso è complesso e il percorso per arrivare all’obbiettivo dell’unica Università della Sardegna, in una delle possibili forme, non è facile, ma, appunto per questo, occorre agire da subito vincendo la paralizzante prudenza. Qualche segnale della volontà in tal senso arriva dall’esordiente Rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ha parlato di “un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna, che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione”, per questo appellandosi particolarmente alla Regione Sardegna “che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione”. E’ già qualcosa, ma occorre andare rapidamente oltre le parole e passare ai fatti, prima che qualcun altro, anche in questa circostanza, decida per la Sardegna. La Regione, chiamata giustamente in causa, deve intervenire per favorire questo processo di unificazione/federazione, smettendo di fare solo la parte di bancomat che trasferisce risorse alle Università sarde. E poi, occorre che il dibattito si allarghi, cogliendo anche l’occasione dell’ormai imminente elezione del Rettore dell’Università di Cagliari, perché, come ripetiamo spesso: l’Università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli professori, come la guerra in quelle dei generali.
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Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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* Il dibattito su L’Università della Sardegna è ripreso anche da altri siti: FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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- Università della California
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- Nell’illustrazione: particolare del dipinto di Filippo Figari “Sardegna universitaria”, aula magna Rettorato Università di Cagliari.
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Logo del Progetto formativo Itaca, ideato e gestito dalle due Università riunite in ATS (Associazione di Scopo), anni 2005-2008
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- INFORMAZIONI sul Progetto Itaca nella fase di attuazione (a cura di Uniss)
California dreamin’
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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- Università della California
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- La California
- California dreamin, The Mamas And The Papas, 1966
- Sognando la California, I dik dik, 1966
Settimana di ordinaria servitù
di Salvatore Cubeddu *
Cagliari, sabato 18 ottobre 2014
Si fa in fretta a fare il collegamento: mentre la Banca Popolare dell’Emilia Romagna va completando la sua definitiva presa di possesso delle banche sarde (Banco di Sardegna e Banca di Sassari), ora una cooperativa emiliana andrà a scavare il monumento più vissuto della storia dei Sardi, i giganti di Mont’e Prama: la scoperta archeologica dell’area mediterranea più importante negli ultimi cinquant’anni, nel cuore della civiltà occidentale. Aggiungiamoci il cedimento della giunta Pigliaru agli italo-cinesi di Narbolia nel fotovoltaico, il consenso del tribunale italiano in Sardegna alle esigenze dei militari (italiani) in barba a Pigliaru: avremo così una normale settimana di servitù della Sardegna agli organismi dello stato italiano. (Una parentesi: non è però da considerare un torto fatto ai Sardi la scelta di Matera rispetto a Cagliari. Dei limiti dell’amministrazione di questa nostra città nel campo culturale sarà bene iniziare a porci le domande che urgono da tempo, a costo di affermare delle verità non proprio piacevoli).
Siamo da mesi (anni?) in costante mobilitazione anti/servitù: militare (Capo Frasca, e via elencando); industriale (Matrica e gli emuli di Macchiareddu, P. Vesme, Chilivani e per la chimica verde), energetica (i precedenti, più le incursioni fotovoltaiche promosse e protette dai ministeri romani), territoriale (l’acquisto in corso dei terreni agricoli delle pianure con l’appoggio della Coldiretti), bancaria e culturale (i giganti ‘romagnoli’, non a caso promossi dalla sinistra in entrambi i casi).
C’è la generazione dei post-sessantenni, ormai quasi tutta pensionata, che continua nei modelli comportamentali della sua militanza giovanile e si sposta di qua e di là per l’Isola, accompagnata da non molti giovani volenterosi, senza che la difesa dei diritti dell’oggi diventi una sicura conquista per il domani.
Ma: come ci si muove allorchè un provvisorio armistizio sui poligoni concesso al presidente Pigliaru diventa decisione a favore dei militari da parte del tribunale della stessa Repubblica? E’ possibile andare avanti senza che le nostre conquiste vengano difese da nostre leggi, ad iniziare da quella fondamentale dello Statuto-costituzione della Sardegna?
Dobbiamo approvare una legge dove si dica che sui beni archeologici della Sardegna decidono i sardi, che le terre sarde non si vendono perché sono un bene identitario destinato a restare disponibili per noi, che all’Eni non si concede alcuna fiducia finchè non risana le terre che già ha rovinato, che le banche devono ritornare a essere gestite da e per la Sardegna, che l’energia la produciamo noi e per i nostri interessi. Con tutto il resto che si scrive nelle costituzioni dei popoli.
Il Consiglio regionale, nella sessione estiva dedicata alle riforme istituzionali, ha invece deciso di rimandare tutto. In realtà non ha deciso niente in maniera chiara. Quello che è successo va interpretato. Alla sarda. Perché da noi si parla ancora soprattutto con il silenzio o in suspu, direbbero i barbaricini.
Il Partito Democratico ‘in Sardegna’ (non esistono i ‘democratici sardi’) attenderà le decisioni di Renzi dopo l’approvazione in parlamento delle riforme istituzionali. Allora dovremo adeguarci alle decisioni assunte a Roma. Perché qui la dirigenza del Partito Democratico tende a rappresentare (ed a rappresentarsi in) Roma e non mostra di avere una propria idea del futuro dell’Isola. Se l’avesse, si metterebbe all’opera per formalizzare un proprio progetto sul nostro futuro in un testo a valore costituzionale che, ad iniziare dallo Stato italiano, tutti dovrebbero rispettare.
Questa settimana di ordinaria servitù è stata preceduta da tante altre, e ad essa ne seguiranno sempre di nuove, finchè … Finchè non ci lasceremo guidare come servi?
P.S. Cosa c’entra tutto questo con la nuova Carta di sovranità argomentata recentemente da Franciscu Sedda, segretario del partito dei sardi? C’entra. Ha a che vedere con la questione di fondo: se esistano per i sovranisti/indipendentisti dei punti programmatici irrinunciabili e se il nuovo statuto sia tra di essi. Dovremo tornare su questo punto.
* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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A cura di Aladin
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Hanno ragione quanti, pur dispiaciuti per la mancata nomina di Cagliari a “Capitale europea della cultura per il 2019″, apprezzano il lavoro che ha condotto l’amministrazione comunale, sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa, insieme con molti altri, a ottenere comunque un ottimo risultato (essere tra le sei finaliste) e ritengono che occorra ripartire da qui, intanto per cercare di fare quanto ci si era proposti in caso di vittoria, certo con minori mezzi a disposizione; poi si tratta di migliorare il programma da attuare, correggendo gli errori, modificando impostazioni sbagliate o ricercando altre iniziative. A questo punto occorre avviare (anzi riprendere con più vigore) un grande dibattito che, a nostro parere, non può che muoversi per rispondere a questo interrogativo: “Quale è il ruolo di Cagliari rispetto alla Sardegna e, insieme ad essa, all’Europa?” Questo dibattito non può che svilupparsi nella logica del cambiamento. Cioè: “Come deve cambiare Cagliari per giocare un ruolo in e per una Sardegna che deve cambiare per rispondere agli interessi dei sardi. Noi diciamo che questa Sardegna nuova e possibile non possa che realizzarsi come regione d’Europa, di un’Europa che noi vogliamo evidentemente diversa e che pertanto ci impegniamo a cambiare.
Ecco allora una serie di (pochi) appunti per continuare a riflettere e, speriamo, che le idee, le buone idee, si trasformino almeno in buona parte in opere.
Appunti
Il ruolo di Cagliari per una possibile nuova Europa*
Cagliari ha in Sardegna un ruolo decisivo, una funzione fondamentale di guida dell’intera regione, di peso paragonabile a quello dell’Istituzione Regione. Come capita a tutte le capitali di questo mondo, per esercitare questa funzione dispone di risorse specifiche, che al di là delle critiche universalmente rivolte a tutte le capitali del mondo, deve congruamente restituire in benefici non solo ai suoi abitanti ma a tutti i cittadini che gliele hanno affidate. Nel caso di Cagliari a tutti i sardi. La Sardegna e i sardi abbiamo bisogno di praticare nuove politiche di sviluppo attraverso la realizzazione di nuovi modelli sociali ed economici. Siamo proprio in questa fase. Al riguardo è richiesto sopratutto a Cagliari – ovviamente insieme alla Regione e agli altri Enti locali, in modo speciale insieme alle altre città della Sardegna e, pertanto, in primo luogo ai Sindaci di queste città – di cimentarsi in una sfida epocale. Ci sono tanti modi per farlo concretamente. Io credo che la stella polare della ricerca di nuove strade sia l’Europa. Certo non si tratta di accontentarsi dell’attuale Europa, peraltro in crisi perchè troppo chiusa nella cura dei mercati e degli interessi dei mercanti, quanto invece di una nuova Europa che dobbiamo costruire: l’Europa dei popoli. In questo ritornando al passato, alle origini, quando, all’indomani della seconda guerra mondiale, i padri fondatori dell’Europa comunitaria misero le basi della cooperazione economica pensando e preconfigurando come un sogno l’integrazione politica europea. Purtroppo tuttora, dopo tanti decenni, l’integrazione dell’Europa attraverso una vera e propria Confederazione di Stati è solo un sogno, e l’integrazione politica è attuata solo in piccola parte, carenza che costituisce la principale causa dei guai attuali dell’Unione Europea.
Allora Cagliari deve essere città sarda e insieme europea, in grado di tracciare nuove strade per se stessa, per la Sardegna e per l’Europa. Un’impostazione di questo tipo, appena qui tratteggiata, ha moltissimi risvolti pratici, concretizzandosi pertanto anche nelle scelte del quotidiano amministrare. In questo quadro, appena delineato, la stesse “opzione indipendentista” (comunque la vogliamo nominare) per la Sardegna può essere praticata con condivisione maggioritaria, non quindi come concezione separatista minoritaria o scelta estremista, proprio in quanto si può sviluppare con piena cittadinanza e dignità nell’ambito europeo, nella costruzione della possibile nuova Europa che abbiamo prospettato.
* Tratto da un editoriale di Aladinews del 12 marzo 2012
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Tonino Dessì su fb
Diciamoci la verità. Era, quella di Cagliari, un’impresa improvvisata, nella quale pochi cagliaritani sono stati coinvolti e della quale alla più parte dei sardi poco importava. Ora non cominciamo col vittimismo. In un largo immaginario mediatico (e non solo) certi riconoscimenti si conquistano se si è, per storia passata o almeno per vicende recenti, assunti come un simbolo, come qualcosa di emblematico. Piaccia o meno, Matera e i suoi Sassi sono uno degli emblemi del passato dolente del Sud Italia intero e ogni suo progresso un simbolo di un possibile futuro per l’Italia suo insieme. Non possiamo coltivare differenza e alterità senza sapere che si paga un prezzo.
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Nicolò Migheli su fb
Matera ha vinto perché è da anni che lavora per questo risultato. Ha avuto come sponsor Radio 3 con una trasmissione dedicata come Materadio. Ha vinto perché evidentemente aveva il miglior progetto. Cerchiamo di essere un po’ sportivi, non guasta.
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Ferdinando Secchi su fb
A mente fredda, abbiamo partecipato ad una competizione di straordinaria importanza e siamo arrivati ad un passo dalla vittoria. Abbiamo iniziato per ultimi questo percorso mentre Matera ha programmato la sfida nel 2007. Nella prima fase la nostra idea ha battuto cittá di cultura come Aosta, Bergamo, Caserta, Valle di Diano e Cilento con la Campania e il Mezzogiorno, Erice, Grosseto-Maremma, L’Aquila, Mantova, Palermo, Pisa, Reggio Calabria, Siracusa, Taranto-Sudest, Urbino e Venezia-Nordest. “La cosa più importante della sfida vinta da Matera è la straordinaria capacità progettuale d’insieme che hanno messo in campo le 6 città della short list. Il presidente della Commissione Green ieri ha affermato che nessun’altra competizione è mai stata di questo livello qualitativo”. Il ministro dei beni e delle attività culturale e del turismo, Dario Franceschini. Ha dichiarato “Per questo sono importantissime le due norme approvate dal parlamento con decreto Art Bonus. La prima è il programma Europa 2019 che prevede di sostenere la realizzazione del lavoro progettuale anche delle città che non hanno vinto. La seconda è l’introduzione dal 2015 della Capitale Italiana della cultura e sará una opportunità di competizione virtuosa a tutte le città italiane grandi e piccole, in grado di far scattare gli stessi meccanismi positivi e straordinari in termine di progettazione unitaria e creatività che abbiamo visto ora tra le sei città finaliste”. Mi dispiace per le cugurre e i detrattori ad ogni costo, ma Cagliari ha fatto un lavoro stupendo e otterrà lo stesso grandi risultati e poi come dice Francesco Frisco Abate siamo sempre, ogni anno, la Capitale del Piricocco!
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Francesca Ghirra su fb
È stata una sfida bella ed emozionante che ci ha restituito la fiducia e la possibilità di sognare. Sappiamo che uniti siamo capaci di grandi cose. Continuiamo a costruire insieme un futuro migliore per noi e la nostra città. Ce lo meritiamo! #cicreu #Cagliari2019
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- Rimane da vincere la sfida di sempre. Leader vera della Sardegna.. Gianni Filippini su L’Unione Sarda.
Peccato, peccato davvero! Sarebbe stata una gran bella occasione per tirar su la testa e mostrare quell’orgoglio di appartenenza che troppo spesso affoga nel grigiore della quotidianità. Avere il titolo di “Capitale europea della cultura”, poterlo vantare davanti al mondo, sarebbe stata infatti una carta con buone probabilità di essere vincente. E anche un irresistibile e vantaggioso richiamo per milioni di turisti. Di certo avrebbe funzionato da frustino per confermati impegni, rinnovate energie e coinvolgimenti convinti. E più nitida e stimolante sarebbe stata l’apertura di prospettive esaltanti per una crescita socioeconomica promossa e trainata dalla cultura, il potente motore così spesso maltrattato, in generale, da guidatori miopi e da meccanici impreparati. Anche senza il riconoscimento ufficiale, Cagliari può però proporsi – a buon diritto – come città dalle molte, singolari bellezze. Tutte caratteristiche, fra l’altro, che un clima di invidiata mitezza sa esaltare e tradurre in forte attrazione.
I progetti ci sono, bisogna comunque attuarli. Per tentare di vincere la difficile sfida, le cose, bisogna dire, erano state fatte con appassionata determinazione. Le carte presentate dal Comune restano di ottimo livello. Pur con qualche colpevole esclusione, una pattuglia politica e amministrativa ( sindaco Zedda e assessore Puggioni in testa) – con il contributo di qualificati esperti – aveva sottoposto all’esame della giuria un robusto e articolato dossier di idee creative, di buoni programmi, persino di qualche sogno. Insomma, poco o nulla era stato tralasciato per ottenere il prestigioso titolo. Quindi, il verdetto che nega a Cagliari la particolarissima chance non è il frutto di un impegno inadeguato. Perciò, un condivisibile filo di delusione non può prevalere sulla consapevolezza di aver fatto – persino con risorse limitate – il possibile.
Grave e imperdonabile errore sarebbe adesso il progressivo affievolirsi dell’apprezzato entusiasmo. Senza prospettive Cagliari ripiomberebbe nella fastidiosa routine di città che volta le spalle alla propria straordinaria ricchezza per vivere la soffocante normalità di tante piccole e grandi emergenze. La tensione deve invece restare alta, ogni energia va trasferita sulla sfida di sempre: saper essere veramente la capitale della Sardegna.
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Chiasteddu Onlài
17/10/14
La Chiapitale della Cultura è Mattera: ma noi tanto ci riproviamo l’anno prossimo
Alla fine no ce l’abbiamo fatta, nonostante ghe no c’è più Ciellino ma Giuliano alla fine il Chiagliari non è la capitale Europea della cultura. Stitzia si coddidi.
Alla fine su youtub hanno deciso ched’è Mattera, sempre ched’esiste e molti già urlano al gomblotto.
Cosa c’è a Mattera alla fine? I sassi, ma là ghe forse non hanno capito che di perdigoni ce n’abbiamo talmente tanti anche noi ghe Calamosca e Calafighera Massi li aveva chiusi a marolla appunto ghe erano fisso arrumbullonando perdigoni sopra la gente.
Dispiaciutissimo Massi ghe però assicura ghe anche se il Cagliari non è diventato Capitale Europea della Cultura gli aperitivini tattici promessi già si faranno l’ostesso, tanto l’ordinanza anticasini della Marina è finita e quindi Mattera ghe la marina manco cel’ha può tranquillamente cagarsi in mano e prendersi a schchiaffi.
Alla fine l’occhialino tattico di Massi non è bastato ad arrettare i livelli di cultura a Chiagliari, ghe comunque rimane sempre la Chiapittale del Mediterranio e quindi tutte le altre possono tranquille tirare in casino.
Ma poi, la verità? La-verità-la-verità? A sfreggio noi ci ritentiamo l’anno prossimo!
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- Per correlazione. Intervento di Franco Meloni su Cagliari e nuove strategie di sviluppo
la lampada di aladin sul referendum scozzese pensando alla Sardegna
Autodeterminazione dei Popoli, referendum della Scozia, decisioni dei Sardi. Convegno nel Salone di Palazzo Viceregio, Cagliari 15 settembre 2014
- Indipendenza, l’esempio scozzese
Delegazione dall’Isola a Edimburgo per il referendum di giovedì – «Una lezione per la Sardegna». Sul Wall Street Journal un paragone tra le due realtà . Su L’Unione Sarda
- Sedda: un risultato raggiunto grazie ad anni di buon governo. Il segretario del Partito dei sardi: «Forse da noi i tempi per una consultazione non sono maturi» . Su L’Unione Sarda.
- Referendum Scozia, dalla moneta al petrolio al whisky ecco la posta in gioco. Su Il fatto quotidiano.
L’ Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali si dota di uno spazio web per comunicare le sue iniziative e mettere a disposizione informazioni utili e pertinenti
La Fondazione Sardinia ha attivato all’interno del suo sito web uno spazio dedicato all’Osservatorio sulle riforme isituzionali . Il sito è così organizzato:
O.S.R.I.
- Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
- Testi legislativi
- Convegni e Seminari
- Documentazione
- Comunicazioni
- Rassegna Stampa
– segue documentazione OSRI -
Costituito l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
COMUNICATO STAMPA
Cagliari, 15 luglio 2014
Per difendere la specialità della Sardegna e la sua autonomia, è nato a Cagliari l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
È nato a Cagliari l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali. L’obiettivo è quello di monitorare costantemente quanto accade nel Parlamento italiano, nel Consiglio regionale della Sardegna ed all’interno della società sarda, al fine sia di contrastare il pericolo della perdita della specialità sarda e dello svuotamento del nostro statuto autonomistico e sia di promuovere tutti quegli elementi che costruiscano una Sardegna del futuro più libera, giusta e solidale. - segue -
Dio è morto … è per tre giorni: poi risorge!
“Dio è morto… è per tre giorni: poi risorge!”. Per tutta l’estate del 1965 la canzone di Guccini impazzava nelle radio e nei jukebox di tutte le spiagge. Chi avrebbe previsto che dei cattolici ancora adolescenti, qualche anno più tardi, avrebbero abbandonato il secolare moderatismo del loro ambiente per infiammare le università e le scuole, prima, e le fabbriche, subito dopo? Quei giovani sono ora quasi tutti in età di pensione.
A loro, soprattutto, è arrivato il regalo di un ‘papa’ Francesco. A quelli, pochi, che hanno resistito in una Chiesa ritornata, passo dopo passo, non più il conciliare ‘popolo di Dio’ ma l’esclusiva proprietà dei preti. Ai border-line del cattolicesimo, a coloro che avevano capito che la riforma della Chiesa cattolica l’aveva iniziata Martin Lutero e che, bene o male, con le sue domande bisognava ancora fare i conti. Questo Papa parla di nuovo a quegli studenti e operai che tentarono di costruire ‘la giustizia in questa terra’, delusi dalla pratica politica dei cattolici (la DC), per cercarla nella sinistra, quasi sempre estrema (giudicata più coerente) e, persino, nella lotta armata (in pochi, ma maggioritari in essa).
Papa Francesco è un regalo … (ma, speriamo non lo facciano santo … si sta esagerando con le santificazioni, specie se di papi recenti: sembra quasi trattarsi di interesse personale in atti d’ ufficio! … ). Questo Papa è stato chiamato dall’ex Terzo Mondo di quella gioventù cattolica che proprio nella riflessione sul neo-colonialismo motivò la sua “scelta di classe”, lo studio del marxismo e la militanza a sinistra. E’ un dono, per quello che fa, per quello che dice e per quello che pensa (e, sospetto, … che in parte non può dire, e che forse non può ancora fare).
“Dio è morto … è per tre giorni: poi è risorto!”. Il refrain della canzone è lo stesso delle innumerevoli ‘via crucis’ delle cinque settimane di quaresima e di quella di avant’ieri al Colosseo. E’ difficile che i refrain non annoino. I dolori delle vie crucis, poi. Stavo per spegnere quelle bellissime inquadrature romane. Ma, seguendo meglio le letture… stazione dopo stazione … erano le constatazioni sulla società e le migliori prese di posizione della nostra giovinezza. I contenuti giuridici dell’estremo giudizio del Dio cristiano: “io ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero forestiero e mi avete ospitato, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, carcerato e siete venuti a trovarmi (Mt. 25,31-46)”.
Stazione dopo stazione, l’energica e veloce lettura di Virna Lisi ci parlava in eurovisione dei guai dell’oggi, degli affamati, dei prigionieri, degli immigrati, dei senza casa, senza lavoro, senza dignità, senza speranza, dei senza …
Avrei potuto/dovuto dire a me stesso che, in fondo, è il discorso dei vangeli, che conosciamo da duemila anni. Sì, tutto vero. Ma, allora, perché, se detto da Francesco, ci sembra tutto nuovo? Anche padre Cantalamessa, che da anni sa dire belle verità, appare innovativo quando afferma: “… Giuda cominciò con sottrarre qualche denaro dalla cassa comune. Dice niente questo a certi amministratori del denaro pubblico?”. Il frate parlava in San Pietro ai presenti, compreso i cardinali con il Papa, i vescovi ed il popolo cristiano del venerdì santo. Lo leggeranno oggi sui giornali anche le curie e quegli ordini religiosi che non pagano le tasse. E poi proseguiva: “E’ scandaloso che alcuni percepiscano stipendi e pensioni cento volte superiori a quelli di chi lavora alle loro dipendenze… l’attaccamento al denaro, dice la Scrittura, è la radice di tutti i mali”.
Siamo al dunque. Quelle parole sono state pronunciate avant’ieri nella basilica più ricca del mondo. Ben lontana e diversa dalla bottega del falegname di Nazareth, quello issato sulla croce. Il viaggio di Francesco è lungo … ma quella è la direzione e la meta per i credenti nel “Morto in croce che Dio ha resuscitato dai morti”. E che, per chi crede, risulterà la sopresa dell’aldilà. Dove, forse, con Francesco, ritornerà ‘la meglio gioventù’.
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PASQUAOGGI 20 Aprile 2014. Riprendiamo, condividiamo e rilanciamo dal sito Democraziaoggi
Signore, insegnaci a lottare per il lavoro
Francesco
Oggi Pasca manna, nell’augurare a tutti un futuro sereno, ci piace ricordare il discorso e la preghiera di papa Francesco nell’incontro coi lavoratori a Cagliari nel settembre scorso. E’ un invito alla lotta per il lavoro e per la dignità dell’uomo, che può trovare spazio solo in un rilancio democratico del Paese e dell’Isola. Il contrario, per intenderci, di quanto si propongono R&B.
Riprendiamo la sintesi del discorso di Francesco da Rainews24.
Il Papa a Cagliari il 2 settembre scorso ha incontrato i lavoratori: “Senza lavoro non c’è dignità”.”La mancanza di lavoro porta alla mancanza di dignità”. Papa Francesco parlando a braccio alle migliaia di lavoratori che lo ascoltavano a Cagliari, li ha esortati ad avere coraggio, a non lasciarsi rubare la speranza
“Mio papà da giovane è andato in Argentina pieno di illusioni, convinto di trovarvi l’America e ha sofferto la crisi del Trenta, hanno perso tutto, non c’era lavoro”. Comincia così l’appassionato discorso a braccio pronunciato dal Papa davanti al mondo del lavoro a Cagliari, in Largo Carlo Felice.
“Ho sentito nella mia infanzia parlare di questo tempo a casa, non l’ho visto, perché non ero ancora nato, ma ho sentito dentro casa questa sofferenza, parlare di questa sofferenza”.
“Conosco bene questo, - ha aggiunto – ma devo dirvi coraggio, ma anche sono cosciente che devo fare tutto del mio perché questa parola ‘coraggio’ non sia una bella parola di passaggio, non sia soltanto un sorriso di impiegato cordiale, un impiegato della chiesa che viene e vi dice ‘coraggio’, no questo non lo voglio, vorrei che questo coraggio venga da dentro e vi spinga a fare di tutto, devo farlo come pastore, come uomo: dobbiamo affrontare con solidarietà tra voi, anche tra noi, tutti con solidarietà e intelligenza questa sfida storica”.
“Questa – ha osservato papa Francesco – è la seconda città che visito dell’Italia, la prima Lampedusa, tutte e due sono isole, nella prima ho visto la sofferenza di tanta gente che cerca, rischiando la vita, dignità, pane, salute, il mondo dei rifugiati, ho visto la risposta di quella città che essendo isola non ha voluto isolarsi, e riceve con quello che ha. Fa suo chi riceve, ci dà un esempio di accoglienza, lì – ha osservato – c’è sofferenza e una risposta positiva, qui in questa seconda isola che visito, anche qui trovo sofferenza, una sofferenza che uno di voi ha detto che indebolisce e finisce con rubarti la speranza. Una sofferenza da mancanza di lavoro che ti porta, scusatemi se sono un po’ forte ma dico la verità, che ti porta a sentirti senza dignità, dove non c’è lavoro manca la dignità”.
“E questo – ha sottolineato il Papa – non è un problema della Sardegna, soltanto, o solo dell’Italia o di altri paesi d’Europa, è la conseguenza di una scelta mondiale, di un sistema economico che porta a questa tragedia, un sistema economico che ha al centro un idolo che si chiama denaro, Dio ha voluto che al centro del mondo non sia un idolo, ma siano l’uomo l’uomo e la donna, che portino avanti il mondo con il loro lavoro. Ma adesso in questo sistema senza etica al centro c’è un idolo e il mondo è diventato idolatra di questo dio denaro, comandano i soldi, il denaro, tutte queste cose che servono a lui, a questo idolo, e succede che per difendere questo idolo si ammucchiano tutti al centro e cadono gli estremi, cadono gli anziani perché in questo mondo non c’è posto per loro, alcuni parlano di questa abitudine di eutanasia nascosta, di non curare gli anziani, di non considerarli”.
“E cadono anche i giovani – ha proseguito il Pontefice – che non trovano lavoro”. “Ma in un mondo in cui due generazioni di giovani non hanno lavoro, questo mondo non ha futuro, perché loro non hanno dignità e questa è la vostra sofferenza, questa è la preghiera, ‘lavoro, lavoro, lavoro’, è una preghiera necessaria, vuol dire dignità, portare pane a a casa, amare, per difendere questo sistema economico idolatrico che istaura la cultura dello scarto, si scartano i nonni e si scartano i giovani, e noi dobbiamo dire ‘no’ a questa cultura dello scarto, dobbiamo dire ‘vogliamo un sistema giusto che ci faccia andare avanti tutti’, dobbiamo dire ‘non vogliamo questo sistema economico globalizzato che ci fa tanto male, al centro deve esserci l’uomo e la donna, come Dio vuole, non il denaro”.
“Avevo scritto alcune cose per voi, – ha poi spiegato papa Francesco – ma guardandovi mi sono venute queste parole consegnerò, al vescovo queste parole scritte come se fossero state dette, ma volevo dirvi con il cuore guardandovi in questo momento, è facile dire ‘non perdere la speranza’, ma a a tutti voi quelli che avete lavoro e quelli che non avete, vi dico ‘non lasciatevi rubare la speranza, forse la speranza è come la brace sotto la cenere, aiutiamoci con la solidarietà soffiando sulla cenere, la speranza ci porta avanti, quello non è ottimismo, è un’altra cosa, la speranza dobbiamo sostenerla tutti, è nostra, vostra, è cosa di tutti, per questo vi dico non lasciatevi rubare la speranza, ma siamo furbi, perché il Signore ci dice che gli idoli sono più furbi di noi, ci invita ad avere la furbizia del serpente con la bontà della colomba, abbiamo questa furbizia e diciamo le cose con il suo nome, in questo momento nel nostro sistema economico proposto di vita al centro c’è un idolo e questo non si può fare, lottiamo tutti insieme perché al centro ci siano la famiglia, e le persone, e si possa andare avanti e non lasciatevi rubare la speranza”. E a questo punto ha invitato a pregare insieme. ”Signore, insegnaci a lottare per il lavoro”-
Nell’ultimo riquadro: dipinto di Giorgio De Chirico “Gesù divin lavoratore” Galleria della Pro Civitate Christiana di Assisi
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Nell’agenda del Presidente…
Nuovi orizzonti per le istituzioni della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Mentre il nuovo governo sardo festeggiava con il Consiglio regionale l’entrata nei ruoli che cambierà in tanti sensi la vita dei loro componenti, le istituzioni italiane si sono fatte vive negando ancora una volta ai Sardi la presenza in Europa (i siciliani continueranno a gestirsi i nostri voti) e rifiutando una qualche convenienza alla presenza della Saras a Sarroch (le accise). Su entrambi i punti Pigliaru tace, mentre Paci concorda con Roma. Tra qualche giorno la relazione programmatica del Presidente comunicherà al Consiglio le proprie intenzioni per i prossimi cinque anni e, forse, ne sapremo di più.
Altre notizie da Terramanna (il Continente): al referendum per l’indipendenza del Veneto hanno votato più di un milione di elettori – evidentemente concordandovi – mentre Matteo Renzi annuncia per questo venerdì l’inizio del dibattito sulla trasformazione del senato della repubblica. Se tutto andasse bene, nelle sue intenzioni, tra due/tre mesi le riforme istituzionali sarebbero cosa (quasi) fatta. Va da sé che anche i Lumbard partiranno con il loro referendum, probabilmente seguiti da ulteriori imitatori.
Ovviamente… dai nostri . Il PSd’Az promuove anche per i Sardi il referendum per la loro indipendenza, proprio in contemporanea con un convegno del PD, a Cagliari, che spiega le riforme istituzionali… italiane.
Che ne sarà di tutte le proposte venute in campo a partire dall’inizio (1978) della lunga crisi delle istituzioni della prima autonomia?
Le risposte risultano evidentemente urgenti e toccherà a Pigliaru dirci se a questi tema intenda offrire un indirizzo di governo o, invece, voglia lasciare l’argomento del tutto in mano al Consiglio. La Sardegna riparte da zero, i problemi si accumulano. Cito Vito Biolchini, che esprimeva qualche giorno fa i seguenti interrogativi: “il Pps di Cappellacci verrà ritenuto nullo? E il piano per l’energia? Il progetto della chimica verde avrà il via libera? Quando verrà convocata l’assemblea costituente (a riguardo i sardi si sono espressi con un referendum)? Che rapporto avrà la Regione con il Qatar e il suo progetto? E le servitù militari? E il bilinguismo? E la difesa della specialità dall’attacco del governo Renzi?”.
Appunto: la risposta all’autonomia speciale della Sardegna si aggiunge, per Renzi, ad altrettante urgenze portate, con ben altra forza e decisione, in altre parti d’Italia.
Negli anni ’80, trent’anni fa, erano i sardisti ed i leghisti a porre quegli interrogativi cui la sinistra rispose rinnovando il titolo V della Costituzione, quello che l’accordo Renzi/Berlusconi vorrebbe mutare (presumibilmente) in chiave centralista. Al contrario, il senato delle regioni, a composizione paritetica come negli USA, veniva individuata allora come l’istituzione in grado di offrire un nuovo senso ad uno stato italiano coerentemente federale. Riuscirà, la fretta di Renzi, a bruciare questo possibile sbocco al ritorno delle ‘indipendenze regionali italiane’?
In Sardegna la situazione dovrebbe essere diversa, altrimenti motivata, più matura. Anche se l’esperienza e le prime timidezze starebbero lì a dirci che al governo della Regione è andata la classe dirigente più tiepida rispetto a questi temi e più disponibile a farsi carico delle compatibilità centralistiche romane. Pigliaru ha indicato in una nuova e immediata vertenza/entrate il terreno di confronto con il governo ‘amico’. Non gli sarà facile ottenere risultati. Ma, congiuntamente alla messa in discussione del patto di stabilità, tutti dobbiamo considerare nostra questa battaglia di cui il Presidente è il legittimo capo e stratega.
Il Consiglio regionale deve mettersi a lavorare con lena sul tema delle nuove istituzioni della Sardegna. Attraverso i propri organismi, coinvolgendo il Consiglio delle autonomie, investendo direttamente il Popolo sardo. Non c’è più tempo da perdere, occorre muoversi nella direzione del referendum per l’indipendenza della Sardegna e per l’elezione dell’Assemblea costituente del Popolo sardo.
Sa die de sa Sardigna del 2014 deve rappresentare l’occasione di riconoscimento e di mobilitazione del nostro Popolo.
Cagliari, 23 marzo 2014
Salvatore Cubeddu
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Buon lavoro Presidente
di Vanni Tola
Il presidente Pigliaru prepara le dichiarazioni programmatiche della nuova Giunta. Grande attesa e curiosità perché le linee programmatiche certamente sveleranno gli orientamenti e gli indirizzi operativi della compagine di governo finora racchiusi nella sintesi dei programmi elettorali. Naturalmente la tentazione di domandare, proporre o suggerire questa o quella priorità al Presidente è molto forte, la eviteremo. Preferiamo attendere programmi e dichiarazioni prima di esprimere giudizi. Ci limitiamo soltanto a indicare una diffusa attesa di chiarezza riguardante un tema particolarmente importante, richiamato recentemente all’attenzione dell’opinione pubblica anche da un articolo del direttore del quotidiano l’Unione Sarda. La chimica verde. In estrema sintesi la questione si pone in questi termini. Una parte consistente del mondo politico regionale e i maggiori sindacati sostengono la necessità, l’opportunità e l’urgenza di avviare, realizzare o completare il progetto Matrìca per la realizzazione a Portotorres del più grande impianto europeo per la produzione della materia prima necessaria per avviare una diversificata serie di produzioni di materiali plastici e prodotti chimici ricavati da sostanze biologiche anziché da fossile (leggi petrolio e derivati). Naturalmente insieme al risanamento e alla bonifica delle aree industriali inquinate e prefigurando considerevoli ricadute occupazionali e lo sviluppo di un modo nuovo e moderno di “fare chimica”. Di tutt’altra opinione i numerosi Comitati di base che, insieme con un nutrito gruppo di intellettuali, di opinionisti e di esperti con rilevanti competenze tecnico-scientifiche si oppongono al progetto Matrìca per una infinita serie di motivi. La principale considerazione contraria può essere riassunta con l’inopportunità di realizzare una centrale a biomassa in un’area già fortemente e drammaticamente inquinata dall’attività dell’industria petrolchimica e in considerazione del fatto che non vi è alcuna certezza che le produzioni “ verdi” siano necessariamente anche pulite, cioè accettabilmente compatibili con una corretta gestione dell’ambiente e la tutela della salute delle popolazioni. Sembrerebbe il contrario. Esistono, infatti, una infinita serie di studi e ricerche che dimostrerebbero perfino una maggiore pericolosità per la salute e l’ambiente delle centrali a biomasse che produrrebbero una serie di sostanze particolarmente nocive per gli individui e l’ambiente e difficilmente controllabili da sistemi di filtraggio, in grado di superare le barriere naturali dell’individuo e di produrre gravissime patologie. Per necessità di sintesi non entreremo nel merito degli aspetti particolari della vicenda, ci riserviamo di farlo interpellando i protagonisti e gli esperti. Ci limitiamo a esprimere una considerazione conclusiva. E’ necessario comprendere prioritariamente e urgentemente se il progetto chimica verde di Matrìca – lungi dal rappresentare un ulteriore grave minaccia per la salute della popolazione e per l’ambiente – può e deve essere completato per avviare un capitolo nuovo della politica industriale dell’isola o se, come molti affermano, la nuova attività industriale in avanzata fase di realizzazione nell’area petrolchimica di Portotorres, non rappresenti una sorta di nuova “bomba” ecologica, per un’area territoriale con tassi di inquinamento ambientali elevatissimi. Siamo certi che il Presidente, con le dichiarazioni programmatiche, saprà fornire ai sardi ulteriori elementi di conoscenza e valutazione nel merito.
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Chimica verde su Aladinews
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Elezioni e oltre
Cappellacci/Berlusconi hanno perso. La Sardegna ancora non ha vinto
di Salvatore Cubeddu *
Abbiamo un presidente votato da un sardo ogni cinque. E’ preoccupante. Ma se ne parlerà per qualche giorno, poi “chi ha vinto, ha vinto; chi ha perso, ha perso”.
Se qualcuno tra coloro che non è andato a votare ha creduto di fare un dispetto al ceto politico dominante ha sbagliato i conti. Pura reazione emotiva, infantilismo. O frustrazione. O rabbia. L’astensione preoccupa prima del voto. A voto mancato, chi ha scelto decide su tutto.
Cappellacci ha perso, a ulteriore conferma del tramonto del berlusconismo. L’uomo della Certosa ha – presso le istituzioni della Sardegna – un referente locale in meno. Gli emiri dovranno adattarsi a nuovi interlocutori. Mauro Pili dovrà guardarsi le spalle ogni volta che esce per strada. Speriamo di vedere Ugo rispondere almeno del disastro di Furtei.
Pigliaru ha vinto, la sua serietà ha prevalso. Ma su gran parte di quello che lo aspetta è, per tanti, un mistero. La sua breve campagna elettorale gli ha consentito di porsi alcune domande urgenti, con risposte esaurienti, almeno per la maggioranza dei votanti. Non conosciamo, però, un dato fondamentale: qual’è la sua idea di Sardegna?
Dell’Isola che c’è e, soprattutto, di “quella che non c’è”? Ne capiremo di più, ad iniziare da domani.
C’è chi è andato a votare, ma non deciderà niente. La legge elettorale sarda non reggerebbe probabilmente ad una seria disanima da parte della Consulta. Ma il danno è fatto. Coloro che hanno scelto un bipolarismo escludente si proponevano la riconferma di chi già stazionava in Consiglio. I consiglieri uscenti niente hanno fatto che non mettesse al primo posto la convenienza, propria o del proprio gruppo. Puniti dal popolo dei dieci referendum avevano nascosto nella notte la ricostituzione dei propri stipendi. Le vergogne dei consigli regionali d’Italia – da Torino fino a Scilla e Cariddi
avevano trovato il primo inciampo rivelatore in un’apparente caso di stalking all’interno di un piccolo gruppo politico del nostro consiglio. Questa legge elettorale è stata la seconda grande porcata.
Michela Murgia avrebbe potuto gridare oggi “vittoria!” se le sue attese avessero meglio tenuto conto della ferocia di quelle regole e della difficile raccolta dei consensi. Ma, col suo abbondante 10% ed il 7% delle liste, ha raggiunto in sette mesi quasi quanto il partito sardo ottenne dopo decenni di faticosa presenza nella società e nelle istituzioni.
La ripresa del terzo sardismo veniva enunciata nel 1979 quando il PSd’Az ebbe solo il 3,3% dei consensi. Il top del successo sardista arrivò nel 1984 e superò appena il 14% e, con esso, mandò Mario Melis alla presidenza della Regione. Il Progetto-Sardegna di un Soru vincente non andò oltre il 7%.
Se al voto della Murgia aggiungiamo l’1% di Devias e lo 0,8% di Gavino Sale, lo 0,7% di Gigi Sanna, il 4,7 del PSd’Az, il 2,6 % dei Rossomori e il 2,7 del Partito dei sardi si supera di molto il punto più alto di quanto raggiunto trent’anni fa. E poi: Mauro Pili (5,7%%) ha fatto una campagna elettorale che “più sardista non si può”. E lo “Stato
patrigno” di Ugo Cappellacci? Un’overdose di protesta e di analisi critiche dei rapporti della Sardegna con l’Italia da cui l’unico escluso sembra il PD. E con lui… anche la gran parte della maggioranza del prossimo consiglio regionale.
Cosa resterà, d’ora in poi, di un sardismo/sovranismo/indipendentismo se non riuscisse a condizionare il grave ritardo di elaborazione istituzionale della sinistra? Cosa risponderà – e si tratta solo della prima urgenza – la maggioranza di Pigliaru ai pericoli “renziani” del senato delle autonomie dove la Sardegna continuerebbe a non contare?
“Sardegna possibile”, con metà dei voti identitari, rappresenta un patrimonio di “possibilità”. Ma l’attività politica, anche per gli appassionati e per gli idealisti, domanda delle risorse. Di tempo e di forze, le più varie. Dopo qualche settimana di riposo si porranno per i loro candidati e militanti dei nuovi problemi. Intanto, in molti devono loro un grazie!
Sardegna 2014, fuga dal voto
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto
Domenica notte chi è andato alle urne ha scoperto che il proprio voto ne valeva due. Metà dei sardi che ne avevano diritto ha preferito andare al mare in campagna o semplicemente restarsene a casa. Un assenteismo così alto non si era mai visto. Non hanno funzionato neanche i 1500 candidati, che non sono riusciti a rompere il disinteresse e il risentimento. Eppure questa volta l’offerta politica era talmente vasta che chiunque avrebbe potuto riconoscersi. Fermo restando che chi non vota poi ha poco diritto di lamentarsi, è evidente che si è rotto quel rapporto di reciproca fiducia tra cittadino ed eletto, tra istituzione e diritto-dovere della scelta.
Le cause possono essere molte, ipotizziamone alcune. La legge elettorale ad esempio. Sì dirà che le regole sono regole. Hic rodus hic salta. Però solo la legge turca, proporzionale peraltro, ha uno sbarramento del dieci per cento. La giustificazione è la governabilità, è bloccare i Lupi Grigi, i partiti islamico radicali, i comunisti; negare loro l’accesso in parlamento. Nel nostro caso, invece, del tentativo riuscito, di impedire a terze forze di accedere alla massima istituzione sarda. Non regge la scusa della governabilità. Il nostro è un sistema maggioritario dove il presidente può agire in perfetta autonomia ed ha sempre dalla sua l’arma delle dimissioni con la quale può condizionare la maggioranza.
Quanto questa legge abbia funzionato come dissuasore al voto? Ovvero quanti elettori si sono sentiti demotivati nel dover scegliere la formazione politica che più aderiva alle proprie convinzioni e non l’hanno fatto perché sarebbe stato inutile ed hanno preferito non recarsi alle urne? Forse non lo sapremmo mai. È indubbio che il proceddu sardo è incostituzionale quanto il porcellum italiano. Non garantisce le minoranze, agisce da strumento di conservazione delle forze maggiori. Se fosse una disposizione commerciale potrebbe essere facilmente impugnata con successo presso qualsiasi Autorità della Concorrenza. Una barriera all’ingresso, né più né meno come certi ordini professionali usano l’esame di stato.
Benché importante la legge non spiega tutto. In Friuli nelle regionali del 2013 votò il 50,48% degli aventi diritto, in Basilicata nello stesso anno, addirittura circa sotto il 50. Entrambe regioni con leggi differenti. In Portogallo e Grecia, nelle ultime elezioni ci sono stati risultati simili. È indubbio che ogni realtà segue fenomeni propri, ma si può ipotizzare che è in atto una profonda crisi della democrazia rappresentativa. Nel caso degli stati citati, il dover sottostare alle regole della troika hanno fatto percepire l’inutilità delle elezioni. Chiunque andasse al potere doveva obbedire alle indicazioni di Bruxelles ed FMI.
Nel caso nostro, invece, è il fallimento dell’istituto regionale, percepito dai cittadini come lontano, causa di sprechi. Gli scandali dei fondi dei gruppi hanno accentuato il senso di distanza. La politica neo centralista propugnata da giornali come il Corriere della Sera, la riforma del Senato che viene definita delle Autonomie invece che delle Regioni, fa credere che il prossimo governo Renzi intenda abolirle di fatto. Le regioni come luogo della spesa incontrollata. Regioni come Sardegna e Friuli, ad esempio, che spendono milioni per difendere le lingue locali. Spesa motivo di scandalo per giornali come il Corriere e Repubblica, al contrario motivo di orgoglio per chi come me crede profondamente nelle lingue materne.
Notizie come queste, ripetute ogni giorno in tv e sui media costruiscono opinione e pubblico pregiudizio. L’allontanamento dal voto è una conseguenza di tale pensiero unico. La stessa non presenza dell’M5S nelle elezioni sarde, tra i tanti motivi, potrebbe rispondere a quelle sollecitazioni, visto che Grillo vorrebbe sopprimerle.
John Kenneth Galbraith economista e consigliere del presidente Kennedy, sosteneva che vanno a votare coloro che vogliono conservare il sistema. Considerazione giusta per gli Usa, un po’ meno per noi in Europa. Di sicuro c’è che chi va a votare esprime una grande motivazione, spesso indotta da rapporti non cristallini tra elettori ed eletti. Le elezioni di domenica, sembrerebbero dimostrare che le reti clientelari siano ancora in piedi ed efficienti. Forse, però, non come una volta. Quanto, ad esempio, le promesse tradite per impossibilità di essere soddisfatte a causa della crisi, hanno agito da disincentivante? Macchine elettorali di Forza Italia, con ampie reti sono rimaste a terra, non solo perché Cappellacci ha perso, ma perché evidentemente funzionano meno di un tempo. Non mantengono più la promessa.
Tutto questo in una Sardegna che vive una delle crisi più squassanti dal dopoguerra ad oggi, con una disoccupazione che è a tassi greci, il proprio territorio oggetto di speculazione, una popolazione impoverita e disperata. Ecco il panorama desolante che eredita Francesco Pigliaru diventato Presidente dei Sardi. A lui i miei migliori auguri affinché possa agire in maniera efficace.
La Sardegna ha bisogno di un governo che sappia toglierla dal baratro in cui è caduta. Il primo grande impegno della nuova giunta sarà quello di agire con atti concreti affinché chi non è andato a votare si riavvicini alla politica e alle istituzioni. Altri cinque anni come i precedenti sarebbero la fine.
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
Le elezioni che vengono, tra fantasmi ed attese
Abbiamo chiuso una settimana migliore delle precedenti, se concordiamo su una politica che abbia quale orizzonte di giudizio la fuoruscita dal governare presente e la prospettiva di insediamento nelle istituzioni di progetti di libertà per/con il nostro popolo.
Progetti: come aggettivarli? Sardisti, sovranisti, autonomisti, indipendentisti, separatisti… I concetti, che questi aggettivi sottendono, lasciano ciascuno una particolare e differente zona d’ombra o un cattivo ricordo, per come sono stati applicati o per le difficoltà a stenderli serenamente su un futuro percepibile. Rassicurano, però, due fatti: primo, la destra non è più sicura di vincere; secondo, l’ala ‘sardista’ (quella per la quale la Sardegna diviene il referente principale del pensare e dell’agire politico) forse non sarà espulsa del tutto dall’istituzione regionale.
Rassicurano, però, fino a un certo punto. Il cambio di guida del centro sinistra non risolve, di per sé, il dato di un PD reso retroguardia di un qualsiasi anche debole pernsiero autonomistico sia dall’incalzare della coscienza sovranista/indipendentista e sia dalla baraonda rivendicativa di un centrodestra che si è impossessato, quasi sempre stravolgendola, di parte significativa della strumentazione libertaria sarda disponibile (zona franca, flotta sarda, riduzione delle accise, limba …) . Visto che, nell’ultimo secolo, tutto quanto riguarda la libertà dei sardi come popolo è nato all’interno o intorno al partito sardo, con il suo precipitare nell’ultimo ventennio sono rimasti disponibili tutti i gioielli di famiglia, divenuti ingredienti che ogni cuoco politico cucina a seconda della dieta che ha scelto conveniente imporsi. - segue –
Tre temi, uno italiano e due sardi, un ‘no’ e due ‘sì’, tutti impegnativi
La Sardegna del futuro è già programmata. E a nosusu ita si lassanta?
di Salvatore Cubeddu
Alle elezioni sarde non mancano neanche tre mesi. Saranno importanti, anche perché sembrano in arrivo riforme sulle quali da tempo riflettiamo. Il governo Letta vorrà decidere sul futuro istituzionale dell’Italia. Che ne sarà dei nostri discorsi sul futuro dell’autonomia? Non se ne parla, come se ci restasse chi sa quanto tempo per una nostra scelta. E’ impressionante questo silenzio. Regna la frammentazione, in tutti gli schieramenti, sia in quelli a dipendenza italiana e sia nel pulviscolo delle liste autonomo/sovrano/indipendentiste. I ‘dipendenti’ attendono che si chiudano le vicende centrali: chi smetterà e chi inizierà a comandare nella politica italiana? Perché i nostri stanno indietro, compatti per Berlusconi nella destra, divisi alle primarie nella sinistra. Anche per i grillini vale l’ovvia domanda per gli altri schieramenti ‘dipendenti’: quanto conta la Sardegna in questo loro separarsi? Gli ‘indipendenti’ si suddividono a loro volta con una certa maggiore intensità (e nostro danno), inseguendo altre categorie, ma con l’assillo della sopravvivenza elettorale. Latita il dibattito sui programmi, quelli espliciti. (segue)
Est arribande…
Scrivo mentre nel Largo innalzano le torri televisive per riprendere papa Francesco. Novelli Zaccheo saliamo sul sicomòro per vedere passare il Maestro, ascoltarlo, fotografarlo, possibilmente toccarlo. Ma il papa non è, come si dice, il rappresentante di Cristo in terra. Gesù – oggi e, soprattutto, nel giorno del ‘giudizio’ – è rappresentato dai poveri, dai carcerati, dai perseguitati e dagli stranieri (vangelo di Matteo 25,40) e, ancora misteriosamente, nel pane consacrato. Francesco è il primo di un’organizzazione che vive e annuncia tutto questo… e, scusate se è poco!
Viene in Sardegna forse non solo per il nostro curioso legame con la sua patria e la Chiesa di origine. Viene dopo Lampedusa e Rio, nella regione più abbandonata della/dall’Italia. Ma non porterà risorse per la nostra povertà. Non potrà salvare operai dal licenziamento o commercianti dal fallimento. Non risanerà le storture della nostra organizzazione sociale o istituzionale. Ci annuncerà solo la fede, la speranza e la carità predicata dal falegname della Galilea, bruciatosi in soli due anni e finito impiccato su una croce. Trasposizione metaforica ed interpretazione teologica dicono che pure noi siamo all’origine di quella morte. E la sua risurrezione alimenta la nostra speranza di salvarci essendo ‘folli’ (1 Cor. 1,23) come Lui.
I sardi accorreranno in tanti a salutare ed applaudire papa Francesco, come già Giovanni Paolo e Benedetto. Ma Francesco arriva in tempi non normali per la Chiesa. Per quello che lui è e per ciò che fa. Per quello che noi siamo, santi e peccatori, anche nella Chiesa sarda. Il Papa ha avviato la rivoluzione di un’organizzazione che, solo sei mesi fa, ha visto le dimissioni del suo predecessore perché impossibilitato a raddrizzarne le storture. Francesco le ha nominate per nome: carrierismo, clericalismo, amore per il potere e le ricchezze, superbia della vita … Da combattere con il ritorno allo spirito e alla lettera del vangelo.
Raramente le rivoluzioni dall’alto hanno avuto successo, se non si sono congiunte ad una convinta spinta da parte del popolo. Attenti osservatori già scrivono che ‘non ci sarà un Francesco II’, intendendo il probabile trasformismo delle strutture clericali, anticipo del fallimento di ogni riforma. Potrebbe non essere così anche per la Chiesa sarda se esamina dentro se stessa quanto di solamente clericale, di esteriore mondanità, di mediocrità essa pure contiene. Se lavora con lena e decisione ad una soluzione di continuità con il suo passato, più o meno recente, ad iniziare da Cagliari.
E’ bene che andiamo a concedere i nostri applausi e gli ‘evviva’ a Francesco. Servono anche a lui per vincere una difficile battaglia. Che è pure incitamento alle nostre. Nella fede in noi stessi, nell’appoggio reciproco, nella speranza operosa. I doni che, credenti e non credenti, occorrono ai sardi.
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Questo articolo è stato pubblicato anche su L’Unione Sarda di oggi (21 settembre), con alcuni cambiamenti per ragione di spazio e integralmente sul sito della Fondazione Sardinia.
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Il programma della visita papale, Cagliari domenica 22 settembre 2013
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Oggi 21 settembre San Matteo. Auguri a tutti i Matteo e alle Mattee
con Bomeluzo
A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! Lamentarci? No, tempo perso!
di Gianni Mascia
A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! De tempus meda no feus atru chi si chesciai e cun cali arrennèscida? A s’amagurai e a sighiri a incungiai negatividadi. Settembre, Caput anni, Cabudanni… S’annu agrìculu torrat a cumentzai e tocat a ghetai sèmini. Est su chi nosu sardus puru depeus fai in su campu casi sempri prenu de lullu de sa vida polìtica nosta. Seus casi in campagna eletorali, infatis de innoi a pagu eus a andai a votai po is regionalis e is europeas ddas ant a sighiri illuegus. S’ant agatai cun is manus in is manus e spartzinaus in milli arritzolus custa borta puru? No podit sutzedi prus chi si andit a votai a collegiu acorpau a sa Sicìlia! S’emus a torrai a agatai sentza de rapresentantis in Bruxelles, a aturai a sa ventana cun sa spera chi calchi parlamentari sicilianu si dimitat, cumenti est sutzèdiu candu sa Barràcciu est intrada in parti de Crocetta. Tocat a si donai de fai e a chistionai e fai chistionai de custa campànnia chi si fetzat arribai a tenni torra unu collègiu totu sardu, poita chi sa popolatzioni sbentiada po is milli spot chi ddi trumentant s’ànima dònnia die si donghit contu de cantu de importu mannu siat a essi innia aundi si detzidint is chistionis primàrias po su svilupu de s’ìsula nosta. Ma innoi nd’arribant is arriolus! De pagu apu fatu una spètzia de sondàgiu po cumprendi in cantus scipiant de is consultatzionis apeliosas e cun scoramentu mannu apu tentu sa cunfirma de su chi timemu: sa maioria de is pessonas no sciiant o in sa mellus de is ipotesis non sciiant chi nosu faessimus parti de su collègiu de is ìsulas, aundi is sicilianus sendi assumancu tres bortas tanti de nosu iant a essi tentu totus is sègius a dispositzioni. Ai custu puntu mi benit de pensai de cantu no si ndi potzat fai de mancu de torrai a partiri de s’educatzioni, de fai cresci tzitadinus cun sa cuscièntzia de ddu essi e cun su deretu-doveri de pigai parti a sa res publica, chi tengant sa cuscièntzia de cantu su votu, mancai sbregungiu e scoloriu, siat unu de is pagus momentus in chi podeus nai sa nosta. Seguramenti is ùrtimas atzionis de is politcus nostus, natzionalis e regionalis, ant sghiu a minai sa cunfia in is istitutzionis, e stesiau sempri de prus sa genti de sa politica, bista che fumu in is ogus po no essi stètia bona a ndi betiri atru chi disparidadi sempri prus manna, che a cursa fata feti po sighiri a preni sa buciaca insoru e sa de is amigus de is amigus ( e non ddi podeus nai chi no est beridadi) e fai de manera chi is ferrus intra de chini tenit tropu e chini nudda siant sempri prus obertus. Cun custa spètzia de guvernu natzionali “di larghe intese” eus pèrdiu nosu puru sa possibilidadi de andai contras a su dìciu “tanto sono tutti uguali” e imoi prus che mai serbint atzionis chi torrint a castiai a is arguais mannus chi pertocant a sa natzioni e prus che mai a s’ìsula e fetzant torrai in su pòpulu sa gana de participatzioni, chi arrennèsciant a fai cumprendi chi sentza de votai sciendi su chi seus faendi no podit esisti democratzia, chi no est una cosa bella su ddu fai tupendisi su nasu o bendendiddu po unu pratu de malloreddus, cumenti eus biu fintzas e tropu in is ùrtimus tempus. Sa tenta depit esssi a fai de manera chi sa genti tengat is anticorpus culturalis po si difendi de su bombardamentu mediaticu chi ddi stontonat su ciorbeddu circhendi de fai passai su messàgiu chi si no tenis su Rolex de oru, su SUV, o chi si no bestis Armani o no ses amistadau cun assumancu cincu o ses fèminas ses unu balossu, a fai cumprendi chi prus che a tenni tocat a essi, a fai cresci òminis indipendentis, chi feti aici si podit aberu arribai a s’indipendèntzia chi no depit essi amarolla separatismu, podit essi puru un’autonomia forti, fata nasci arribendi a tenni su coranta po centu cumenti sutzedit a is regionalis in Val d’Aosta, po si podi permiti de artziai sa boxi cun su guvernu natzionali e no a fai is tzeracus cumenti a s’ùrtima giunta, aundi eus dèpiu po fintas suportai s’afrentu de biri su Psd’Az arregalai sa bandera de sos bator moros a Berlusconi. In custa situatzioni pagu cussoladora is intellètualis podint tenni una parti de importu mannu ponendi a dispositzioni de sa tenta s’atividadi insoru, faendi nasci in is blog, situs, in is pàginas facebook, in is reading, in is presentadas de librus, in is performance, in is atòbius pùblicus, momentus de arrefrescia ponendi de manera lèbia ma chi intrit in costas su focus suba de cussas possibiladadis de crèscida colletiva puru atruessu de is linguàgius artìsticus chi permitint de mandai messàgius in butìllia e input de arrexonamentu puru a is prus mandronis. A bortas est difitzili a agatai su tempus po totu (de seu su primu a ndi tenni pagu…) ma si creeus in sa possibiladi de cambiamentu, depeus essi, cumenti naraiat calincunu, nosu su cambiamentu chi boleus essi, depeus essi nosu etotu a cumentzai sa “Rivolutzioni umana” (aici ddi narat su filosofu giaponesu Daisaku Ikeda ) poita chi si furrit a sa de totu s’umanidadi. Una rivolutzioni no podit cumentzai chi de una sotziedadi chi andit faci a is cosas a una sotziedadi chi andit faci a is pessonas. No tocat a tenni timoria de nai chi fàbricas de nudda no ndi cherimus prus, chi feti cun sa bonifica de is logus apestaus emus a tenni traballu po tempus meda, chi cherimus bivi de EcoAgriCulTurismu, de produtzionis sustenibilis, de is cosas spantosas chi teneus sa bona sorti manna de sciri fai.
Lamentarci? No, tempo perso! Da troppo tempo non facciamo altro che lamentarci e con quale risultato? Amareggiarci e continuare ad accumulare negatività. Settembre, Caput anni, Cabudanni… L’anno agricolo riparte con la preparazione del terreno alla semina. E’ quello che anche noi sardi dobbiamo fare nel campo spesso pieno di gramigna della nostra vita politica. Siamo quasi in campagna elettorale, infatti a breve avremo le regionali e le europee seguiranno subito dopo. Ci faremo trovare con le mani in mano e divisi in mille rivoli come al solito? Non può più capitare che si vada a votare a collegio accorpato alla Sicilia! Ancora una volta ci ritroveremo a non avere rappresentanza a Bruxelles, a stare alla finestra con la speranza che qualche parlamentare siciliano si dimetta, come accaduto con Crocetta a cui è subentrata la Barracciu. E’ necessario uscire allo scoperto e divulgare con ogni mezzo questa campagna affinchè la popolazione distratta da mille spot si renda conto di quanto sia importante essere presenti là dove si prendono decisioni fondamentali per lo sviluppo della nostra isola. Ma qui arrivano le difficoltà. Ultimamente ho fatto una sorta di sondaggio per capire in quanti siano informati dell’imminente consultazione e con grande sconforto ho avuto la conferma di quanto temevo: la maggior parte delle persone non sapevano o nella migliore delle ipotesi non erano a conoscenza del fatto che noi appartenessimo al collegio delle isole, dove i siciliani essendo almeno il triplo di noi sardi in quanto a numero di abitanti avrebbero ottenuto tutti i seggi disponibili. A questo punto mi viene da fare una riflessione sul fatto che sia indispensabile ripartire dall’educazione, dal creare cittadini con la coscienza di esserlo e con il diritto-dovere di partecipare alla vita politica, di avere la consapevolezza di quanto il voto, sia pur vituperato e scolorito, sia uno dei pochi momenti in cui abbiamo voce in capitolo. Certo le recenti performances dei nostri politici, nazionali e regionali, hanno continuato a minare la credibilità delle istituzioni e allontanato ulteriormente la gente dalla politica, vista come fumo negli occhi in quanto portatrice di efferate diseguaglianze, come corsa volta a rimpinguare le loro tasche e quelle degli amici degli amici (e come dargli torto?) e rendere sempre più aperta la forbice tra chi ha troppo e chi nulla. Col cosiddetto governo nazionale di larghe intese abbiamo perso poi anche la possibilità di controbattere al “tanto sono tutti uguali” e ora più che mai si rendono necessarie azioni che riportino l’attenzione sui problemi reali del paese e della nostra isola in particolare e facciano ritornare nel popolo la voglia di partecipazione, che riescano a far capire che senza voto consapevole non può esistere democrazia, che non bisogna andare a votare turandosi il naso o vendendolo per un piatto di malloreddus, come abbiamo visto fin troppo ultimamente. L’obiettivo dev’essere quello di fare in modo che la gente abbia gli anticorpi culturali per difendersi dal bombardamento mediatico che lobotomizza le menti cercando di far passare il messaggio che se non hai un Rolex d’oro, un Suv, o che se non vesti Armani o non hai almeno cinque amanti sei uno stupido, di far capire quanto sia più importante essere che avere, di far crescere uomini indipendenti, che solo così si potrà arrivare davvero all’indipendenza che non dev’essere obbligatoriamente separatismo, potrebbe essere anche una forte autonomia costruita arrivando ad ottenere il quaranta per cento dei voti come capita alle regionali in Val d’Aosta, per potersi permettere di fare la voce grossa con il governo nazionale e non fare i servitori come capitato all’ultima giunta regionale, dove abbiamo dovuto sopportare anche l’offesa di vedere la bandiera dei quattro mori regalata a Berlusconi dal Psd’Az. In questo quadro non certo confortante gli intellettuali possono svolgere un ruolo importante mettendo al servizio della causa la loro attività, creando cioè nei loro blog, siti, pagine facebook, nei reading, nelle presentazioni di libri, nelle performance e negli incontri pubblici, momenti di discussione incentrando in maniera leggera ma persuasiva il focus su quella possibilità di crescita collettiva anche attraverso la creatività dei linguaggi artistici che consentono di mandare messaggi in bottiglia e spunti di riflessione anche ai più pigri. A volte è difficile trovare il tempo per tutto, (io sono il primo ad averne poco…) ma se crediamo nella possibilità del cambiamento, come diceva qualcuno, dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo, dobbiamo essere noi a cominciare la nostra “Rivoluzione umana”, ( così la chiama il filosofo giapponese Daisaku Ikeda), affinchè poi diventi quella di tutta l’umanità. Una vera rivoluzione dei valori non può che iniziare da una società orientata alle cose a una società orientata sulle persone. No bisogna aver paura di dire che fabbriche di nulla non ne vogliamo più, che solo con la bonifica dei siti inquinati ci sarebbe lavoro per molti anni e che noi vogliamo vivere di EcoAgriCulTurismo, di produzioni sostenibili, delle eccellenze che abbiamo la fortuna di saper creare!
Gianni Mascia
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Così come promesso, il cerchio si è allargato e nuovi contributi arricchiscono il dibattito. Ecco allora pubbicato un intervento dello scrittore Gianni Mascia, che viene condiviso, oltre che su questo blog, anche sui siti della Fondazione Sardinia, vitobiolchini, Tramas de Amistade e Madrigopolis (new entry).
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REMEMBER
Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni
Il sesto intervento di Salvatore Cubeddu
Il settimo intervento di Fabrizio Palazzari
L’ottavo intervento è di Vito Biolchini
Il nono intervento è di Piero Marcialis
Il decimo intervento è di Nicolò Migheli
L’undicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il dodicesimo intervento è di Franco Meloni
Chi organizza il dibattito fa crescere la società. Qualche domanda sugli intellettuali e la Sardegna di oggi
Dopo la (breve) sosta estiva, riprende l’appuntamento con i post del martedì che, oltre che su questo blog, vengono anche pubblicati sui siti della della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade e su Vitobiolchini.
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Settembre, è il momento di ripartire. L’antico calendario agricolo rivive in noi, nella voglia innata che abbiamo di riprendere le nostre attività con nuovo vigore. Ma è anche il momento di scegliere cosa fare ancora e cosa non fare più. È il momento di immaginare il futuro.
Il bilancio individuale diventa progetto collettivo per chi, in un modo o in un altro, ha deciso di mettere la propria attività intellettuale al servizio della comunità.
(L’intellettuale, dunque, o vive in un sistema di relazioni o non è tale. Esiste oggi in Sardegna questo sistema di relazioni? È abbastanza ampio, ramificato, diffuso, riconosciuto? Prevalgono le aperture o le chiusure?).
A scadenze regolari gli intellettuali pensano di servire a qualcosa, e forse è proprio così. Nelle campagne elettorali, anche soltanto per riempire un programma, la politica ha bisogno di idee, di riflessioni, di ragionamenti in grado di alimentare una realtà possibile. Idee che non possono ovviamente arrivare dal nulla, ma che sono frutto di anni di studio, di confronti, di illusioni e disillusioni, di successi (pochi) e di sconfitte (la maggior parte).
(Gli intellettuali sono coloro che conoscono la strada giusta o forse coloro che più di altri sanno dove si è sbagliato e che errori bisognerebbe non commettere? Perché se così fosse sarebbe chiaro il motivo del sempre più accentuato distacco tra gli intellettuali e la politica, o meglio tra intellettualità critica e politica: perché gli intellettuali che danno ragione alla politica non rimangono mai senza lavoro).
Anche se lo ammette con sempre maggior riluttanza, la politica ha dunque bisogno degli intellettuali, cioè di chi è in grado di collocare un’idea in un tempo (questo) e in uno spazio (il nostro). Ma gli intellettuali sono pronti oggi ad affrontare in maniera dialettica il rapporto con la politica, soprattutto in questi mesi che ci porteranno a rinnovare il nostro Consiglio regionale?
Dei limiti della politica sappiamo tutto, ma quali sono invece i limiti di chi vuole con le proprie idee e le proprie riflessioni migliorare la società? In Sardegna gli intellettuali sono all’altezza dei tempi e delle sfide di oggi?
Per tre mesi a Cagliari si è tenuto un esperimento originale: un gruppo di sei persone (Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Piero Marcialis, Fabrizio Palazzari, Franco Meloni e Vito Biolchini), costituitosi in maniera né del tutto casuale né del tutto precisa, ha condiviso riflessioni sulla realtà sarda nel corso di un incontro settimanale dalla durata molto limitata (un’ora circa), tenutosi nella sede della Fondazione Sardinia. A turno ciascuno di essi proponeva la una riflessione scritta che poi veniva condivisa nei blog e nei siti degli altri partecipanti.
(Perché in effetti l’unico criterio con il quale inizialmente si è proceduto è stato questo: era necessario che ogni partecipante avesse un blog o un sito. L’attività intellettuale può essere quindi disgiunta da un’attività di divulgazione delle idee? E quali sono oggi i canali attraverso cui queste idee vengono divulgate? Sono sufficientemente ramificati? Quante persone raggiungono? E con quali ricadute?).
Settembre, è ora di immaginare il futuro, dunque di farsi domande. E se il gruppo di sei persone si allargasse? Se ogni lunedì fossimo in dieci? Ci sarebbero più idee, è vero. Ma come coniugare la maggiore ricchezza di contributi con la necessaria snellezza degli incontri, la cui durata non può certo essere estesa in proporzione ai partecipanti?
E come selezionare i nuovi arrivati? Sempre sulla base di un loro “potere mediatico”? E di quali idee dovrebbero essere portatori i nuovi innesti? Di quelle in cui si riconoscono (seppur con le inevitabili differenze) i sei “fondatori” oppure il confronto sarebbe più proficuo mettendo sul tavolo posizioni anche disomogenee?
Organizzare il dibattito significa contribuire concretamente alla crescita la società. Questo è quello che gli intellettuali possono e devono fare oggi in Sardegna. Prima ancora di lamentarsi dei limiti della politica.
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(Alla fine una decisione è stata presa: il gruppo del lunedì verrà ampliato ad altri tre-quattro blogger, mentre una volta al mese la discussione si aprirà a contributi esterni qualificati, nel corso di incontri che saranno aperti ad un gruppo più ampio di persone).
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Nel sito di Vito Biolchini gli interventi nel dibattito
Sa die de sa Sardigna 2013: pubblicati i video dell’evento “Le cinque domande del 2013, a noi stessi”
Pubblicati i video del convegno “Le cinque domande del 2013, a noi stessi”
Tramas de amistade ha pubblicato i video degli interventi del convegno “Le cinque domande del 2013, a noi stessi” che si è tenuto sabato 27 aprile 2013 nel Palazzo Viceregio di Cagliari. Il cercare di sapere dove deve andare la Sardegna di domani, rispondendo a cinque domande, è stato il tema dell’iniziativa con la quale la Fondazione Sardinia, le associazioni Tramas de Amistade e ‘Riprendiamoci la Sardegna’, il blog del giornalista Vito Biolchini a Aladinews hanno voluto celebrare Sa die de sa Sardigna.
Gli approfondimenti in Aladinews
Riflessione correlata: La Brigata Sassari di Emilio Lussu. Possiamo ripercorre quell’esperienza attualizzandola nei tempi di Erasmus e Master and Back?