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Sa die de sa Sardigna

Ingresso in SS di GM Angioydi Tonino Dessì
Oggi 28 aprile 2016, si celebra “Sa Die de sa Sardigna”.
La ricorrenza fu scelta nel settembre del 1993 dal Consiglio regionale della Sardegna (finale dell’XI legislatura, Presidente della Regione on. Antonello Cabras, coalizione di governissimo, un centrosinistrone PDS-PSI-PSDI-PRI-DC -nato a seguito di un compromesso dopo uno scontro campale sulla legislazione urbanistica e sulla pianificazione paesaggistica- Presidente del Consiglio regionale on. Mario Floris, iniziativa legislativa unitaria, ma su impulso PSd’Az, all’opposizione), per istituire una giornata celebrativa della memoria identitaria del Popolo Sardo.
Una decisione che mise un punto fermo su un’annosa discussione, scartando altre ipotesi alternative, la principale delle quali era stata quella della Festa dello Statuto Speciale (legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 3).
Sembrava che, retrocedendo la celebrazione identitaria a un momento storico abbastanza remoto del periodo contemporaneo e a un fatto simbolicamente insurrezionale contro una dominazione esterna, si potesse trovare un compromesso adeguato rispetto al ricordo di altri momenti considerati più divisivi.
Già ascoltando la discussione in Aula, intrisa di retorica patriottica, ma poco approfondita nel merito della vicenda, avvertivo un certo paradosso, che fu evidenziato forse dal solo on. Francesco Cocco, comunista del Gruppo consiliare PDS, l’unico che mi parve davvero consapevole.
La Sarda Rivoluzione infatti conteneva in nuce il principale dei nodi irrisolti della debole soggettività politica sarda. L’aspirazione a un’identità moderna e radicale, infatti, si infranse nel 1794 contro lo scoglio del conservatorismo politico e più ancora sociale e culminò nel tradimento e nella sconfitta epocale.
Non essersi resi conto delle implicazioni profonde di quella vicenda e non avervi mai fatto i conti consapevolmente, ha fatto sì che Sa Die, alla fin fine, sia rimasta una celebrazione senza autore e senza soggetto, assolutamente non sentita da parte della stragrande maggioranza dei sardi.
Anche quest’anno essa si svolge all’insegna delle buone intenzioni (il tema dell’emigrazione-immigrazione, il rapporto con l’Isola di Corsica), ma senza alcuna reale volontà di misurarsi, in particolare, con un contesto impegnativo qual è l’evoluzione-involuzione del sistema costituzionale in corso, dal quale dipenderà la sorte della soggettività istituzionale e politica dei Sardi.
Questo solo ho oggi da aggiungere a completamento di una riflessione che ho scritto due anni fa e che ripropongo qui di seguito.
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SA DIE DE SA SARDIGNA
Sobria sintesi e sintetiche considerazioni.
Il 28 aprile 1794 la popolazione cagliaritana si rivolta contro i Piemontesi. Il Vicerè Balbiano, tutti i funzionari reali continentali e le loro famiglie vengono costretti a rimpatriare in terraferma. La Sarda Rivoluzione si estenderà all’intera Isola e vedrà svilupparsi un complesso tentativo di ampliare i poteri di autogoverno delle istituzioni e delle classi dirigenti locali. Nel contempo, tuttavia, si manifesterà un profondo conflitto interno, tra rinnovatori e conservatori. Questi ultimi alla fine prevarranno, riconsegnando ai Piemontesi il pieno controllo della Sardegna. L’esponente più prestigioso dei rinnovatori, Giovanni Maria Angioy, per sfuggire all’arresto e alla prigione, riparerà in Francia, dove resterà fino alla morte, avvenuta a Parigi nel 1808.
La sintetica riflessione che mi viene da fare è questa.
La vicenda ha un prologo: nell’anno precedente, le milizie sarde, reclutate dalle città e dai possidenti locali anche in considerazione della scarsa consistenza dell’Armata reale stanziata nell’Isola, sventarono il tentativo della Francia rivoluzionaria di invadere la Sardegna. I Savoia non se ne mostrarono affatto riconoscenti, scatenando il giustificato malcontento popolare. Alla fine i sardi si erano opposti all’invasione francese per difendere degli altri invasori, per di più reazionari. E’ opinione prevalente, tra gli storici, che dovunque, anche sanguinosamente, come accadde in particolare nel periodo napoleonico, in Europa, le armate francesi siano passate, esse, insieme a tanta violenza, abbiano diffuso anche i segni indelebili di un grande avanzamento nelle idee, nei costumi, nel diritto, che la Restaurazione non riuscì a cancellare. La Sardegna, per rincontrare quelle idee e vederle incarnarsi in processi istituzionali democratici, ha dovuto attendere il 1948, anno di approvazione della Costituzione repubblicana e dello Statuto speciale.
Io sono favorevole a una evoluzione istituzionale che veda affermarsi pienamente la soggettività del popolo sardo, della sua inestinta specificità linguistica, culturale, storica. Considero da tempo l’autonomismo una fase superata. Non disdegnerei di essere indipendentista, ma preferisco ancora considerarmi un federalista. Tuttavia non saprei vedere, oggi, in Sardegna, chi potrebbe scrivere con altrettanta maestria e generosità dei costituenti repubblicani i principi fondamentali della Costituzione nata dall’antifascismo. E ancora vorrei una classe dirigente sarda che quei principi li sapesse interpretare con l’esempio. Allora, forse, mi fiderei.
(A. D. 27 aprile 2014.)
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* da fb
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Sa-dì-de-sacciappa-Piero-Marcialis-SDL
Il significato storico e simbolico di Sa Die de sa Sardigna
di Francesco Casula

Firmaimaisì! E arrazza de brigungia! Arrazza ‘e onori! Sardus, genti de onori! E it’ant a nai de nosus, de totus ! Chi nc’eus bogau s’istrangiu po amori ‘e libertadi ? Nossi, po amori de s’arroba! Lassai stai totu! Non toccheis nudda! Non ddi faeus nudda de sa merda de is istrangius! Chi ddi sa pappint a Torinu cun saludi! A nosus interessat a essi meris in domu nostra! Libertadi, traballu, autonomia!”. Nella divertente e brillante finzione letteraria e teatrale, in “Sa dì de s’acciappa” (Dramma storico in due tempi e sette quadri, edito da Condaghes), Piero Marcialis fa dire così a Francesco Leccis, – beccaio, protagonista della rivolta cagliaritana contro i Piemontesi – rivolgendosi ai popolani che, infuriati volevano assaltare i carri, zeppi di ogni ben di dio, per sottrarre ai dominatori in fuga “s’arroba” che volevano portarsi a Torino. Ed è questo – a mio parere – il significato profondo, storico e simbolico, della cacciata dei Piemontesi da Cagliari il 28 Aprile 1794: i Sardi, dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a curvare la schiena, di acquiescenza e di obbedienza, hanno un moto di orgoglio e con un colpo di reni reagiscono e si ribellano in nome dell’autonomia, per “essi meris in domu nostra”. Per ricordare quell’evento storico la Regione sarda con la legge n.44 del 14 Settembre 1993 ha istituito Sa Die de sa Sardigna, la “Giornata del popolo sardo”, ma io preferisco chiamarla “Festa nazionale dei Sardi”. Ebbene Sa Die, quest’anno, è stata sostanzialmente dimenticata dalle Istituzioni. A ricordarla ci hanno invece pensato l’insieme di associazioni (sindacali, ecclesiali, del Volontariato) aderenti alla Carta di Zuri, organizzando per il 28 Aprile una Manifestazione a Cagliari con un corteo che partendo da Viale Sant’Ignazio – davanti alla mensa dei poveri – si recherà al Consiglio regionale. Nel presentare l’iniziativa, opportunamente il leader della CISL Mario Medde, ha sostenuto che “è inutile ricordare il fatto storico come sa Die se non lo proiettiamo sui problemi del presente”. Che sono guarda caso quelli stessi evocati da Marcialis in “Sa dì de s’acciappa”: il lavoro, l’autonomia, la libertà. Cui occorre aggiungere, il problema della povertà, oggi in aumento e vieppiù drammatico. Per contrastare la quale i Sindacati chiederanno alla Regione risposte concrete e più efficaci di quelle messe in campo fin’ora. (Francesco Casula, storico)
Per la Sardegna nostra patria
pablo e amiche
di Nicolò Migheli (1 maggio 2015, rete dei blog)

Le feste nazionali vorrebbero essere un momento di unità del popolo ma quasi mai lo sono. Il 14 Luglio è rifiutato ancora oggi da una minoranza consistente di francesi che si rifanno alla Vandea e alla controrivoluzione. La commissione incaricata di scegliere una data simbolo da far diventare sa Die de sa Sardigna discusse molto. C’era chi proponeva il 30 giugno in ricordo della battaglia di Sanluri del 1409, data in cui la Sardegna perse la propria indipendenza.

Altri il 14 aprile quando ad Uras nel 1470 i sardi sconfissero per l’ultima volta gli aragonesi. Alla fine venne scelto il 28 aprile pur consapevoli che quel giorno portava con sé molte ambiguità. La Sarda Rivoluzione non ha mai avuto una buona pubblicistica. La cacciata del viceré Balbiano e della sua corte, venne letta da sempre come un fatto episodico; una ribellione dei nobili e dei borghesi per poter accedere alle cariche alte dell’amministrazione regia. Fin dagli inizi lo storico savoiardo Manno pose l’accento su chi aveva chiesto il perdono al re.

Ancora oggi, per alcuni, il tema è il tradimento di cui fu oggetto Giovanni Maria Angioy. Quell’episodio diventa il racconto della subalternità accettata. Un destino voluto che dovrebbe precludere qualsiasi autodeterminazione. Non viene ricordato che fu quella rivoluzione a determinare l’ingresso della Sardegna nella modernità; che fu l’unica rivoluzione europea, benché ispirata dall’illuminismo, a non essere stata promossa dai francesi al contrario del ‘99 napoletano. L’ostilità a quella data è ancor più forte in certa sinistra sarda che dovrebbe rivendicarla come sua. La rifiuta perché quel giorno è della Sardegna, ed ogni riferimento alla nazione dei sardi viene visto come pericoloso. Nazione come sciovinismo, come leghismo.

Si cita Antonio Gramsci ma si è segnati dal leninismo centralista riletto da Togliatti. Salvo poi impegnarsi per le cause di patrie altrui purché siano terzomondiste e antimperialiste. Un’ostilità che rasenta il pretestuoso. Un retroterra culturale che in maniera non esplicita anima la riforma della Costituzione voluta da Renzi. Il 25 aprile su Rai 1 Fabio Fazio ha ricordato la Liberazione. In quella trasmissione nessun cenno alle 4 Giornate di Napoli liberata dai suoi abitanti e non dagli alleati. Nessun riferimento alle repubbliche partigiane del nord d’Italia.

Un’attenzione a nascondere ogni possibilità di autogoverno realizzato che contrasti con le spinte all’abolizione delle autonomie. Un racconto che diventa fondante per il Partito della Nazione, quella italiana però. Quest’anno sa Die de sa Sardigna correva il rischio di vedere la Regione latitante. Solo l’insistenza dell’assessorato competente con un finanziamento esiguo e all’ultimo momento, ha evitato alla massima istituzione dei sardi la vergogna dell’assenza. Sa Die la giunta l’ha voluta dedicare al cibo, il Consiglio Regionale nella seduta solenne ha trattato di scorie nucleari.

Temi importanti per carità, ma che avrebbero trovato giusta collocazione in tante altre occasioni. Uno spostamento che nasconde il timore di affrontare le vere domande che pone il 28 aprile: siamo nazione? Chi è la nostra patria, l’Italia o la Sardegna? Visto che fino al 1847 abbiamo avuto storie differenti, quando gli interessi tra Italia e Sardegna divergono, quali debbono prevalere? La sera del 29 ottobre 1922 chiuso il congresso di Nuoro del Psd’A, si tenne una riunione drammatica. Quella sera un gruppo ristretto di dirigenti del partito si trovò a decidere se si dovesse resistere con le armi alla Marcia su Roma dei fascisti.

Era in ballo se si dovesse “fare come in Irlanda” e battersi per la Sardegna, o cominciare una lotta antifascista per liberare l’Italia. Vinse la seconda posizione, quella sostenuta dai dirigenti in gran parte ex ufficiali dell’esercito educati nella scuola italiana, rispetto al sentimento prevalente nel partito più vicino all’indipendentismo. La notizia dell’incarico di formare il governo dato dal re a Mussolini, fece cadere l’opzione militare. Questo dopo un congresso che aveva visto la più grande manifestazione antifascista dell’epoca in Sardegna.

Allora come oggi, quale è la patria dei sardi? I festeggiamenti di quest’anno hanno visto una messa solenne celebrata nella cattedrale di Cagliari davanti a una moltitudine di cittadini presenti. L’arcivescovo Arrigo Miglio nella compieta ha letto una preghiera dove si diceva “Preghiamo […] per la Sardegna nostra patria”. Era dal 1847 che in quella chiesa non veniva pronunciata quella parola rivolta alla Sardegna. Un segno forte che rimarrà negli anni a venire. La Chiesa, come spesso accade, fa affermazioni che la politica pavida teme. Quelle brevi parole tentano di inserire l’episcopato sardo sulle orme di quello irlandese, basco e catalano. Non è poco. Questo 28 aprile è stato riempito di segni di speranza.

La notizia del disimpegno della Regione ha mosso i cittadini e le associazioni. Molte iniziative, convegni, incontri nelle scuole ed infine le Barchette e sa Die in Tundu. Migliaia di sardi si sono trovati nell’isola e nel mondo a fare cerchi e a ballare. Migliaia di sardi hanno fatto barchette di carta da donarsi reciprocamente. In quelle barchette metaforicamente ci si metteva tutto quello che non va: furto di terre, scandali, inquinamenti, disoccupazione, abbandoni ed imposizioni varie. Sono stati atti in cui l’appartenenza ha superato l’identità. Sardi di nascita e sardi per scelta che condividono una presa di coscienza sul destino di un popolo e della sua terra.

Una dimostrazione che sa Die è entrata nel cuore. La politica dei partiti italiani come sempre non ha capito o non ha voluto capire, una parte della società sì. Non è un problema. Parafrasando Mitterand, la politique suivra.
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Sa die: approfondimenti su Aladinews.
Sardegna universitaria F Figari
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28 aprile giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro
STRESS SICUREZZA LAVORO 28 4 16Valeria Casula fto microLa giornata mondiale per la sicurezza sul lavoro
di Valeria Casula**

Il 28 aprile ricorre la giornata mondiale per la sicurezza e la salute sul lavoro, istituita dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro per promuovere la prevenzione degli infortuni sul lavoro e delle malattie professionali a livello globale.
Spesso le dimensioni del fenomeno infortunistico in Italia sono note solo agli addetti ai lavori, vale a dire a chi come me si occupa nelle organizzazioni di Ambiente, Salute e Sicurezza, eppure il fenomeno è assolutamente rilevante e investe tutte le aziende.
Dal 1951 al 2015 le vittime sul lavoro in Italia sono state superiori alle vittime civili italiane della seconda guerra mondiale (oltre 160.000 a fronte di 153.147 vittime civili del secondo conflitto mondiale) e gli infortuni oltre 70 milioni.
Ora, è pur vero che la seconda guerra mondiale è durata 6 anni a non 64, tuttavia il rapporto di 1 a 10 risulta comunque abnorme.
L’andamento infortunistico mostra una forte contrazione passando da oltre 4000 incidenti mortali l’anno negli anni ’60 a circa 1000 attuali (compresi quelli in itinere), grazie non solo all’evoluzione delle misure tecniche (macchinari e attrezzature intrinsecamente più sicuri), ma anche alle misure gestionali (modalità operative e processi, formazione, informazione e addestramento su corretto utilizzo di materiali e attrezzature e processi, sorveglianza sanitaria, …).
Occorre tuttavia uno sforzo continuo e maggiore per abbattere lo zoccolo duro degli infortuni, perché non è accettabile che si continui a morire, ammalarsi o farsi male di lavoro.
Tralascio il lavoro nero, ignominia di un paese civile, la cui incidenza infortuni e malattie professionali, benché sfugga in parte alle statistiche, è estremamente elevata, non solo perché coinvolge i settori a più elevato rischio “intrinseco” (es. edilizia, agricoltura) ma soprattutto perché tale rischio non è mitigato attraverso le misure tecniche e gestionali sopra citate.
Mi riferisco ad aziende degne di questo nome, aziende che utilizzano attrezzature a norma, che formano, informano, addestrano e sottopongono a sorveglianza sanitaria i propri lavoratori, insomma aziende che ottemperano alla normativa vigente in materia antinfortunistica; ebbene, anche tali aziende hanno difficoltà a contrarre ulteriormente il fenomeno infortunistico.
Tali difficoltà sono dovute ad un orientamento culturale sia manageriale che diffuso a vari livelli delle organizzazioni che vede la sicurezza confliggere con gli obiettivi economici e operativi d’impresa e individuali, unita ad un certo “fatalismo” secondo cui l’infortunio è inevitabile.
Da un lato infatti ci sono le aziende (per fortuna non tutte!) che considerano la sicurezza come un mero costo, che non hanno ancora capito nel 21esimo secolo che non è solo un dovere etico e morale salvaguardare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ma è anche un dovere economico verso l’azienda stessa e verso la collettività, visto che l’INAIL stima che il costo complessivo di infortuni e malattie professionali nel nostro paese ammonta a quasi 50 miliardi di euro (oltre il 2% del PIL, a carico sia delle aziende che della collettività) e che le spese in sicurezza hanno un ritorno economico per le aziende pari al doppio del capitale investito.
Dall’altro c’è la cultura diffusa che “se tanto ti deve capitare ti capita e non puoi farci niente”, che “si sa che nel nostro lavoro ogni tanto ci si fa male”, che “sì, lo so che dovrei agganciare l’imbragatura ma sono di fretta, tanto scendo subito e sto attento”, che “noi dobbiamo pensare a far andare avanti il business, e non abbiamo tempo da perdere con queste cose”, che “lascia stare, non stare a segnalare che quel dispositivo fa uno strano rumore, tanto non sarà niente di ché”.
Inutile dire che davanti a comportamenti e affermazioni di questo tipo tutti noi, a prescindere dal ruolo che ricopriamo in un’organizzazione, abbiamo non solo il diritto, ma anche e soprattutto il dovere di intervenire e/o segnalare.
Questa cultura è il principale nemico da sconfiggere per abbattere gli infortuni, non solo sul lavoro ma in tutti gli ambiti della nostra esistenza. Basti pensare a tutti i comportamenti insicuri frutto di questa cultura che spesso o talvolta adottiamo in auto, quando per fretta o per “assuefazione” al pericolo superiamo i limiti di velocità, usiamo il telefonino alla guida o pur di non sentire le lamentele del pargolo diciamo “e va bene puoi slacciarti la cintura, tanto siamo quasi arrivati!”, ma anche quando non indossiamo il casco sulle piste di sci, in bicicletta o addirittura in moto.
Qualsiasi infortunio produce effetti non solo sulla persona che lo subisce ma su tantissime persone che lo circondano, la compagna/il compagno, i figli, i genitori, gli amici, i colleghi. Se poi si tratta di un infortunio grave l’effetto è devastante e compromette l’esistenza stessa oltreché dell’infortunato anche dei propri cari che dovranno prestare assistenza e comunque modificare abitudini e consuetudini.
In questa giornata vorrei ribadire con rinnovata determinazione che LA SFORTUNA NON ESISTE, che tutte le aziende che si sono impegnate seriamente su questo fronte hanno drasticamente ridotto il fenomeno infortunistico finanche a dimezzarlo in pochi anni, a dimostrazione che attraverso una cultura della sicurezza che sui traduce in comportamenti e ambienti sicuri GLI INCIDENTI SUL LAVORO POSSONO ESSERE EVITATI!
**Ingegnere ambientale
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in prosecuzione de sa die de sa Sardigna

fto ogu due
29 de Abrile 2015
Cineteca Sarda, arburada de Trieste 118/126 a oras de sas 10:00

capo_e_croce_2Capo e Croce. Le ragioni dei pastori
proietzione de su film de Marco Antonio Pani e Paolo Carboni

introduet Antonello Zanda; ddoe ant a èssere is autores

in collaboratzione cun sa Società Umanitaria – Centro Servizi Culturali de Casteddu, sa Fondazione Sardegna Film Commission

Immigrazione: guardare in faccia la realtà

fiori naufragio-migrantidi Vanni Tola
Ciascuno di noi ha una parte di responsabilità in tutto ciò che accade. E’ inutile e ipocrita chiamarsene fuori con argomentazioni pretestuose. Il colonialismo e la politica di rapina delle risorse dei paesi sottosviluppati e del continente africano, i nostri egoismi individuali e collettivi, le scelte di strategia economica dei paesi occidentali, hanno determinato e alimentano crisi, miseria, guerre. Oggi questi problemi presentano “il conto”. Viviamo e siamo partecipi di un esodo biblico di disperati che cercano condizioni di vita umane nei nostri paesi dopo che, nei loro, si è scatenato l’inferno. Un mare, il Mediterraneo, un tempo “culla di civiltà”, luogo di scambi culturali e commerciali tra culture e popoli diversi, trasformato in sterminato cimitero di esseri umani. L’occidente, i paesi che amano definirsi civili, evoluti, progrediti, devono compiere scelte adeguate alla gravità della situazione, adottare scelte politiche e strategie operative per porre fine agli squilibri che dovranno essere nuove e realmente efficaci. Occorre rimettere in discussione, con serietà e onestà, la ripartizione delle ricchezze mondiali per garantire a tutti condizioni di vita migliori pur sapendo che ciò potrebbe limitare il nostro attuale sistema di vita caratterizzato da ipersfruttamento delle risorse e da sprechi. Occorre infine togliere l’ossigeno alle guerre, a tutte le guerre, a partire degli scontri tribali per arrivare agli scontri tra gli Stati africani, ai diversi focolai di tensione del pianeta, agli scontri interreligiosi. Un passo fondamentale da compiere con la massima urgenza dovrà essere rappresentato dalla drastica limitazione della produzione e del commercio di armi e munizioni mettendo al bando i commercianti di morte e i fomentatori delle guerre. Non si può piangere i morti, applaudire gli appelli del Papa al mattino e nel pomeriggio continuare a vivere favorendo, sia pure indirettamente, la condizione di miseria e sottosviluppo di gran parte del mondo con politiche di rapina e vendita di armi. E soprattutto non si può girare il volto e la mente dall’altra parte e fare finta di non vedere o di non sapere. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti” (F. De André.)
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Emergency logo piccFIACCOLATA DI OGGI. COMUNICATO DEGLI ORGANIZZATORI
Grazie in anticipo per le adesioni: sono andate oltre le nostre più rosee previsioni. Proprio per questa ragione ci preme ricordare che la fiaccolata nasce come momento di solidarietà e si pone, simbolicamente, come risposta chiara all’indifferenza verso i migranti che muoiono periodicamente nel Mar Mediterraneo. CHIEDIAMO SOBRIETA’. NO SLOGAN PARTITICI E RELIGIOSI, NO COMUNICATI DI TIPO PROPAGANDISTICO.
Vi ringraziamo per la collaborazione.
Gruppo Emergency Cagliari
- La pagina fb dell’evento.

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SA DIE DE SA SARDIGNA, una festa da rilanciare
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di Francesco Casula

A pochi giorni dalla ricorrenza del 28 aprile, in extremis si cerca di “recuperare” Sa Die de sa Sardigna, prevedendo diverse iniziative nei quattro capoluoghi storici con un nutrito programma di eventi culturali. In realtà Pigliaru e la sua Giunta certificano l’interramento della Giornata del popolo sardo. Non solo e non tanto per l’esiguità dei finanziamenti previsti, o per l’improvvisazione e i ritardi, quanto perché si è smarrito il senso originario e autentico di Sa Die.
Istituita dal Consiglio regionale il 14 settembre 1993, come vera e propria Festa nazionale del popolo sardo, per ricordare la cacciata dei Piemontesi da Cagliari, nei primi anni di vita è stata caratterizzata da centinaia di iniziative, partecipate diffuse e ubiquitarie, in tutta l’Isola. Soprattutto nelle scuole. Con decine e decine di docenti, storici, giornalisti, esperti organizzati nel “Comitato pro sa Die” presieduto dal professor Giovanni Lilliu e nato dall’incontro di numerose Associazioni culturali, con la Fondazione Sardinia in prima fila.
Per anni, questa legione di studiosi è stata impegnata a “visitare” le scuole sarde, di ogni ordine e grado, per parlare e discutere con gli studenti di cultura, storia e lingua sarda: rigorosamente escluse dalla Scuola ufficiale. Probabilmente quest’opera iniziale di studio, ricerca, confronto, sensibilizzazione “ha spaventato soprattutto la politica”, come opportunamente ha scritto Vito Biolchini. Così la “Festa” da occasione di studio e di risveglio identitario si riduce nel tempo a rito formale e liturgia vuota. Con l’Amministrazione Soru viene annacquata e svuotata dei significati storici e simbolici più “eversivi”. La Giunta di Cappellacci la stravolge del tutto: viene addirittura dedicata alla Brigata Sassari! E oggi Pigliaru, la seppellisce definitivamente, sic et simpliciter.
E’ stato anche sostenuto che l’esaurimento della forza propulsiva di Sa Die sia da ricondurre alla “debolezza” dell’Evento del 28 aprile. Non sono d’accordo. Non si è trattato di “robetta”: magari di una semplice congiura ordita da un manipolo di borghesi giacobini, illuminati e illuministi, per cacciare qualche centinaio di piemontesi: come pure è stato scritto. A questa tesi, del resto ha risposto, con dovizia di dati, documenti e argomentazioni Girolamo Sotgiu. Non sospettabile di simpatie “nazionalitarie” il prestigioso storico sardo, gran conoscitore e studioso della Sardegna sabauda, polemizza garbatamente ma decisamente proprio con l’interpretazione data da storici filo sabaudi, come il Manno o l’Angius al 28 aprile, considerato alla stregua, appunto, di una congiura. “Simile interpretazione offusca – scrive Sotgiu – le componenti politiche e sociali e, bisogna aggiungere senza temere di usare questa parola «nazionali».
“Insistere sulla congiura – cito sempre lo storico sardo – potrebbe alimentare l’opinione sbagliata che l’insurrezione sia stato il risultato di un intrigo ordito da un gruppo di ambiziosi, i quali stimolati dagli errori del governo e dalle sollecitazioni che venivano dalla Francia, cercò di trascinare il popolo su un terreno che non era suo naturale”,
A parere di Sotgiu questo modo di concepire una vicenda complessa e ricca di suggestioni, non consente di cogliere il reale sviluppo dello scontro sociale e politico né di comprendere la carica rivoluzionaria che animava larghi strati della popolazione di Cagliari e dell’Isola nel momento in cui insorge contro coloro che avevano dominato da oltre 70 anni. Non fu quindi congiura o improvviso ribellismo: ad annotarlo è anche Tommaso Napoli, padre scolopio, vivace e popolaresco scrittore ma anche attento e attendibile testimone, che visse quelli avvenimenti in prima persona. Secondo il Napoli “l’avversione della «Nazione Sarda» – la chiama proprio così – contro i Piemontesi, cominciò da più di mezzo secolo, allorché cominciarono a riservare a sé tutti gli impieghi lucrosi, a violare i privilegi antichissimi concessi ai Sardi dai re d’Aragona, a promuovere alle migliori mitre soggetti di loro nazione lasciando ai nazionali solo i vescovadi di Ales, Bosa e Castelsardo, ossia Ampurias. L’arroganza e lo sprezzo – continua – con cui i Piemontesi trattavano i Sardi chiamandoli pezzenti, lordi, vigliacchi e altri simili irritanti epiteti e soprattutto l’usuale intercalare di Sardi molenti, vale a dire asinacci, inaspriva giornalmente gli animi e a poco a poco li alienava da questa nazione”.
Questo a livello storico: c’è poi il significato simbolico dell’evento: i Sardi dopo secoli di rassegnazione, di abitudine a curvare la schiena, di acquiescenza, di obbedienza, di asservimento e di inerzia, per troppo tempo usi a piegare il capo, subendo ogni genere di soprusi, umiliazioni, sfruttamento e sberleffi, con un moto di orgoglio nazionale e un colpo di reni, di dignità e di fierezza, si ribellano e alzano il capo, raddrizzano la schiena e dicono: basta! In nome dell’autonomia e dunque, per “essi meris in domu nostra”. E cacciano Piemontesi (con Nizzardi e Savoiardi), non per motivi etnici, ma perché rappresentano l’arroganza, la prepotenza e il potere. Sono infatti militari, funzionari, impiegati. Cagliari all’alba dell’800 contava 20.000 abitanti, la burocrazia e il potere piemontese 514 esponenti: più di uno per ogni 40 cagliaritani!
Al di là comunque di tutto questo e dello specifico avvenimento, quello che è importante oggi nella Festa di Sa Die de sa Sardigna è proprio il suo il valore simbolico di autocoscienza storica e di forza unificante. Sia ben chiaro: nessun ripiegamento nostalgico o risentito verso il passato: ma il passato sepolto, nascosto, rimosso, si tratta prima di tutto di dissotterrarlo e conoscerlo, perché diventi fatto nuovo che interroga l’esperienza del tempo attuale, per affrontare il presente nella sua drammatica attualità, per definire un orizzonte di senso, per situarci e per abitare, aperti al suo respiro il mondo, lottando contro il tempo della dimenticanza; quel mondo grande e terribile di cui parlava Gramsci.
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Giovanni Lilliu, intervista rilasciata a Francesco Casula per Cittàquartiere, nel maggio del 1987.

Dall’intervista a Giovanni Lilliu di Francesco Casula su Cittàquartiere del maggio 1987 (Nuova serie anno II n. 3-4 marzo-maggio 1987).

Professore, contro un luogo comune diffuso qui da noi ma anche fuori, di una Sardegna storicamente “chiusa” nel suo guscio, lei ha sostenuto anche recentemente proprio in occasione dell’inaugurazione dell’Anno accademico [si trattava dell'Anno accademico 86-87 dell'Università di Cagliari], la tesi del popolo sardo “navigatore”.
Esattamente. Ho parlato della Sardegna aperta alle comunicazioni esterne, a relazioni e al commercio, anche contro la tesi dello storico Lucien Febvre che contrappone la nostra Isola “conservatoire” alla Sicilia, crocicchio di incontri e commerci. Fonti storiche, letterarie, reperti archeologici alla fine del secondo millennio a.C. ci documentano che la Sardegna riceve ceramiche dal mondo Miceneo e nello stesso tempo esporta manufatti, ceramiche e prodotti minerari nell’Italia centrale e nella Sicilia.
(…) Ancora oggi inoltre possediamo centinaia di navicelle di bronzo delle botteghe sarde, conservate nei musei della Sardegna – a Cagliari in particolare – e all’estero. Moltissime ne sono state trovate nelle necropoli etrusche. Lo storico e geografo Strabone parla dei Sardi che pirateggiavano le coste di Pisa.

Professore, ma quand’è allora che i Sardi si “chiudono” e iniziano a porre in atto quella che lei chiama “costante resistenziale”? Fin dai Fenici?.
No, dopo. I Fenici praticarono un colonialismo di mercato non di piantagione. Non tolsero la libertà all’isola: la loro egemonia fu mercantile non politico-militare. Questa iniziò con i Cartaginesi e i Romani. I Sardi la “resistenza” iniziarono a dimostrarla nelle guerre combattute contro Cartagine e poi via via – ecco la “costante” contro i Romani, nelle grandi guerre sardo-catalane, durante quasi un secolo, nella cacciata dei Piemontesi, nei Moti Angioini, nelle sommosse di “Su Connotu”. E poi vi è la resistenza “passiva”, contro la gente che viene da fuori, dal mare. In sintesi direi che la resistenza inizia quando l’isola perde la libertà e sovranità ed è assoggetata alle potenze straniere, quando intorno al 510 i Cartaginesi sconfiggono gli indigeni e respingono i Sardi verso le riserve (le zone interne) privati del mare. Di qui la battaglia strategica, oggi quanto mai attuale, di “riconquistare” il mare per riconquistare la libertà.


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Sa die in tundu
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Sa die RAS
Notizie dall’Istituzione
L’assessore Firino apre una pagina fb dedicata a Sa die. Nonostante i ritardi e tutto il resto di cui a ragione ci lamentiamo: va bene!
Ecco lo slogan della Ras per festeggiare Sa die: Sardigna terra saliosa, contivigiala cun sentidu. Sardegna, terra fertile, curala con amore.
- La pagina fb.

Prigionieri delle ceneri

urlo di Munchdi Nicolò Migheli *

Tentando di dare altro significato alle parole di papa Francesco, alla fine la Saras ha detto una grande verità. È vero, siamo “adoratori di ceneri”, prigionieri di un modello di sviluppo ormai morto, senza aver il coraggio e la forza di intraprendere nuove strade. Una contraddizione che la società industriale si porta almeno dal 1970, quando il Club di Roma di Aurelio Peccei pubblicò “I limiti dello sviluppo”.

Un rapporto contestato anche dalla sinistra, perché in esso vedeva due pericoli. Il primo, quello di negare alle classi popolari l’accesso al benessere e ai diritti civili che il ridimensionamento dello sviluppo avrebbe portato con sé. Il secondo tutto di carattere ideologico. L’ecologismo era stato fino ad allora figlio delle culture di destra, della kultur legata alle tradizioni, al volk e al suo rapporto con la terra luogo della identità. In esso la sinistra del tempo leggeva il permanere di forme cripto naziste ed elitarie.

Letture che già allora venivano contestate da gruppi minoritari dei movimenti ecologisti che facevano riferimento al progressismo, così come da alcuni sindacati operai preoccupati delle condizioni di lavoro in fabbrica al grido di: “La salute non si monetizza” stante l’abitudine delle imprese del tempo di concedere indennizzi per i rischi degli ambienti di fabbrica. Non solo i luoghi di lavoro, ma il territorio e la salute delle popolazioni divennero la preoccupazione dell’ecologismo di sinistra. Per la Saras il tempo non passa, la sua polemica con su “connotu” dei sardi riprende le argomentazioni classiche delle dicotomie reazione- progresso, sviluppo scientifico- oscurantismo.

Non conta che l’Agenzia Europea dell’Ambiente collochi l’industria petrolifera di Sarroch tra le cento più inquinanti d’Europa, che la ricerca pubblicata da Mutagenesis, rivista dell’università di Oxford, riveli che i bambini di Sarroch “presentano incrementi significativi di danni e di alterazioni del Dna rispetto al campione di confronto estratto dalle aree di campagna”. Che tutto ciò abbia poco valore agli occhi della Saras è nell’ordine delle cose.

Quella impresa ha come obiettivo la massimizzazione del profitto, lo ha ancor di più ora che – si dice- la maggioranza delle azioni sta per passare dal gruppo Moratti alla Rosneft, gruppo russo la cui attenzione all’ambiente è tutta da dimostrare. Le polemiche seguite alla delibera con cui la giunta regionale autorizza la valutazione di impatto ambientale per il nuovo inceneritore di Macomer, dimostrano ancora una volta la contraddizione in cui viviamo. Da una parte si propugna un nuovo modello di sviluppo che abbia nel rispetto dell’ambiente il suo punto centrale, dall’altro si insiste con pratiche in totale contraddizione.

Acrobazie linguistiche per nobilitarle. Si sa, le parole sono tutto: sono definitorie e costruiscono il reale. I nuovi impianti di smaltimento vengono denominati termovalorizzatori- nella parola composta, “valore” restituisce positività- peccato che quel termine non esista. La legge parla chiaro, quegli impianti erano e restano inceneritori. Aziende insalubre di classe I, secondo il Decreto Ministeriale del 05/09/1994, di cui all’art. 216 del testo unico delle leggi sanitarie, emanato dal Ministro della Sanità e pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale Suppl. Ordin. n° 220 del 20/09/1994.

Ora anche l’inquinamento della centrale di E.On di Fiume Santo. Altra impresa inserita dall’Agenzia Europea dell’Ambiente tra le più pericolose d’Europa. Tutto questo mentre le pagine pubblicitarie della Regione vendono l’Isola vantandone la qualità della vita. Ad Expo lo slogan della Sardegna avrà il punto di forza nei centenari. Tutto vero, ma la qualità della vita nei siti industriali non è delle migliori. I casi di cancro aumentano ma non esiste un registro tumori che possa offrire basi oggettive all’incidenza delle neoplasie in rapporto all’avvelenamento di terra, aria ed acqua. Così come appare evidente che i centenari sono diventati tali perché hanno vissuto in ambienti puliti. Quanti tra i trentenni e i quarantenni di oggi lo diventeranno?

Tutto ciò è frutto di scelte che la politica ha voluto che fossero “tecniche” dando loro oggettività, quasi che non fosse possibile alcuna alternativa. Abbiamo vissuto una modernizzazione imposta, si è alimentata la sfiducia verso soluzioni che partissero da noi. Si è negata la via sarda alla modernità ed oggi ne paghiamo il prezzo. Peggio ancora c’è chi insiste, chi crede che quelle scelte siano state le migliori e che lo siano anche per il futuro. Sulle reti sociali è pure capitato di leggere che è meglio morire di cancro che non avere un lavoro. Come se il “lavoro” sia solo essere dipendenti delle industrie inquinanti e che la salute propria e dei figli sia ben pagata da uno stipendio.

Si può capire la paura di perdere l’impiego, ma cosa sarebbero certe èlite sarde senza la Saras, l’Eni, gli inceneritori? Cosa sarebbe la Confindustria, visto che l’impresa petrolifera di Sarroch è la maggior contribuente? O i sindacati? È evidente che i blocchi non sono solo economici. Siamo culturalmente dipendenti dalle ceneri in cui è stata ridotta la Sardegna. Non vediamo o facciamo finta di non vedere i grandi rischi che corriamo. Siamo disposti però a qualsiasi lotta pur di avere i maialetti precotti nell’Expo.

Anno di grazia 2015, centro sinistra regnante.
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By sardegnasoprattutto/ 17 aprile 2015/ Culture
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Se la politica vuol avere un senso, per favore batta un colpo, magari due
Franco Mannoni fbdi Franco Mannoni, su fb
La questione della qualità della vita e dello sviluppo ormai si ripropone da noi in termini resi drammatici dall’esplodere di inchieste giudiziarie (E.On) e dalla pubblicazione di dati epidemiologici riguardanti patologie gravi diffuse nelle aree di maggior inquinamento di origine industriale.
Gli allarmi ,quali che siano e quando siano corroborati da qualche fondamento, esigono interventi seri di chi porta la responsabilità delle scelte, delle autorizzazioni, delle deroghe e delle proroghe.
Assistiamo a tremebondi balbettii preoccupati , più che del bene comune, di non scontentare attese. Non va bene! Chi non ha il coraggio della responsabilità lasci il passo.
Fra i diritti di cittadinanza vi è quello alla informazione.
A valle c’è tutto il tema dei provvedimenti da adottare e del ruolo di governo, regionale e nazionale.
Come ha avuto modo di affermare con forza Pietrino Soddu, uno della prima repubblica e della prima regione, il tema è quello di capire dove si vuole andare in prospettiva, di capire sé stessi e la strada che si intende percorrere.
In soldoni: qualsiasi cosa si pensi di fare, nel tempo oggi esplorabile in avanti, i ritmi di crescita conosciuti nel passato e gli output occupativi collegati non saranno riproducibili. Il modello hard é insabbiato e i suoi cascami, per difendere margini di profitto premono sul lavoro e sull’ambiente .
Allora? O ci apprestiamo a una fase di cambiamento in cui la programmazione ha al centro più che il Pil la qualità della vita e dell’ambiente e il lavoro condiviso,
oppure continuiamo con la programmazione finanziaria e procedurale e attendiamo una, dieci etc E.On, Sarroch e via.
Ho semplificato troppo, non ho parlato di bottom up né di criticità , ma qui bisogna esprimerci in sintesi.
Se la politica vuol avere un senso, per favore batta un colpo, magari due.
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Sa die de sa Sardigna 2015
Dipinto di Filippo Figari, Sardegna Industre, 1925, olio su tela, aula magna dell’Università di Cagliari (Università della Sardegna).
Sardegna Industre simboleggia “il benessere che reca lo studio delle scienze in pro dell’agricoltura e dell’industria della Sardegna. In primo piano, a sinistra un gruppo di donne in costume che significano la prosperità della terra e proteggono la nuova generazione; a destra, lavoratori della terra, del mare, delle officine; al centro la Sardegna Universitaria che regge la bandiera sarda dei quattro mori, ed ha a sinistra l’abbondanza e a destra l’Industria che frena i cavalli” (R. Carta Raspi, 1929).
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Nuovi quattro mori stemma
Sardegna-bomeluzo22
* L’articolo di Nicolò Migheli viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto, nonchè su L’Unione Sarda del 19 aprile 2015.

Finalmente! La Giunta regionale finanzia sa die. Meglio tardi che mai

logo-sa-die-F-Figari-300x173(Fonte SardiniaPost) Sa Die, festeggiamenti dal 24 al 28 aprile. Pronti 160mila euro
La Giunta regionale ha approvato la proposta di finanziamento di Sa Die de sa Sardigna presentata dall’assessore della Cultura, Claudia Firino (Delibera n. 14/21 del 2015
Programma attività 2015 “Sa Die de sa Sardinia” e attività collaterali). Con uno stanziamento complessivo di 160mila euro, dal 24 al 28 aprile saranno sostenute diverse iniziative nei quattro capoluoghi storici, con un nutrito programma di eventi culturali e la distribuzione di materiale promozionale in lingua sarda per bambini e adulti, realizzato dallo Sportello linguistico regionale. – segue –

Iniziative dal basso per Sa die de sa Sardigna

logo-sa-die-F-Figari-300x173Messaggio dalla pagina fb
Il 28 aprile 2015 si celebra Sa Die de Sa Sardigna.
Tanti di noi vogliono ricordarla. Non ha senso farlo da soli. Dobbiamo essere tanti, e fare in modo che questa data rimanga viva nel presente. È una festa di popolo, di chiunque si senta sardo.

Nella “riunione zero del 2 aprile” raccogliamo le adesioni di tutte le associazioni interessate all’evento. Ragioniamo su quante e quali attivita organizzare, come reperire le risorse indispensabili per la loro realizzazione. Stabiliamo dei compiti, strutturiamo una rete di contatti per sveltire i passaggi organizzativi e agevolare la comunicazione.
sa die giovaniL’appuntamento è in PIAZZA SAN SEPOLCRO nel quartiere Marina a CAGLIARI, ore 20. Se il tempo non ci aiuta, o non siamo un numero troppo grande, ci trasferiamo nella sede della CSS (Confederazione Sindacale Sarda) in via Roma n72.
Lo ribadiamo una volta di più: è invitato a dare il proprio contributo chiunque sappia dire CIXIRI :)
A giobia!
#cixiri #naracixiri #SaDie2015

Sa die si farà

Sardegnaindustre filippo figariGLI-OCCHIALI-DI-PIERO1-150x1501413SA DIE si farà. “Un disdicevole disguido tecnico”.
Si sa, in Regione c’è chi guida e chi disguida.

Piero e Sa die de sa Sardigna – Alcuni appuntamenti de sa die

sadiedesasardignaSa die 2009 Piero Marcialis28 APRILE 1794
Sono 28 anni che parlo di questa storica giornata.
Oggi, se permettete, starò zitto. Parlate voi.
Piero
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- Vi spiego Sa die, di Francesco Casula
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- Procurade ‘e moderare
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Altri appuntamenti
(Dalla sala stampa del Consiglio Regionale) Alle 11 il Consiglio regionale si riunirà in seduta solenne per celebrare “Sa Die de sa Sardigna”. La seduta sarà preceduta da un concerto della Banda della Brigata Sassari e dei tenores di Neoneli. La seduta solenne si aprirà con l’intervento del Presidente del Consiglio regionale Gianfranco Ganau. Seguiranno gli interventi di maggioranza e opposizione. Chiuderà i lavori il Presidente della Regione Francesco Pigliaru. Dopo la seduta si esibiranno il suonatore di launeddas Andrea Pisu e i tenores di Neoneli. I lavori del Consiglio regionale riprenderanno alle ore 16. (R.R.)
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Cagliari Cilloco- Alle ore 17.30, presso il lounge bar “7 vizi”, all’interno della Mediateca Comunale di Via Mameli 164/F Francesco Casula parlerà di “Francesco Cilocco, un eroe dimenticato”.
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- Sa Die de sa Sardinia: da chi scommiatarci oggi? Andrea Pubusa su Democraziaoggi