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Fedeli a Dio e al popolo
di Roberto Sedda
Discorsi da ventenni
Molti anni fa il mio amico Giorgio Astara, che era medico e si stava specializzando in bioetica, di ritorno da un corso di formazione mi disse: «La via corretta, capisci, è un personalismo di tipo relazionale, non il superato e vetusto personalismo ontologico».
‘sticazzi, avrei detto oggi. Ma a vent’anni si possono fare questi discorsi, ed è anche bene che sia così.
Quel che Giorgio voleva dire era che il valore della persona umana, che è sempre stata una dimensione fondante del pensiero cristiano, non andava collegato a una categoria filosofica statica, astratta e immutabile (l’Uomo, la Persona, come archetipo “dato” a priori: perché l’uomo ha valore? Perché è Uomo) ma fondato su una dimensione dinamica, relazionale. Del resto, non ci si può riconoscere persone se non nel rapporto con altri: se fossimo soli al mondo non sapremmo nemmeno di essere (andava molto di moda in Azione Cattolica, all’epoca, una frase di Vjaceslav Ivanovic Ivanov: «Tu sei, dunque io sono», che rappresenta abbastanza bene quella visione). Detto in altri termini: è nella differenza che si afferma l’identità.
Il personalismo relazionale è più maneggevole della visione alternativa di stampo tomista, più adatto a una visione culturale postmoderna, più dinamico, e anche più biblico: c’è più spazio per la paternità di Dio e per la fratellanza, che sono entrambe categorie relazionali, c’è spazio a partire da questo per la comunità dei credenti e si comprende in questa luce un concetto biblico fondamentale come quello di “alleanza”. Tra l’altro è chiaro che per chi è religioso la prima relazione che fissa il valore della persona umana è quella col Creatore, ma il concetto regge anche per chi non crede. (segue)