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Fine della cristianità non della fede cristiana
Dopo la “fine della cristianità”
DUE TESI A CONFRONTO
Secondo Marcello Veneziani l’Europa non sta sostituendo la visione cristiana della vita con un’altra visione, ma con la perdita di ogni visione. Ma il discorso verte sull’essenza del cristianesimo. Continua il dibattito sull’assemblea del 2 dicembre
Alberto B. Simoni, su chiesadituttichiesadeipoveri.
Nella sua relazione il 2 dicembre a Roma, Raniero La Valle ha presentato quattro piste che porterebbero a quel cambiamento d’epoca che lui vede già in fase avanzata: interdizione della guerra, ius migrandi, nuovo nomos della terra, uscita dalla cristianità, e cioè dall’epoca costantiniana in cui la Chiesa diventa “regime” o sistema e assolve il ruolo di supplenza politica, culturale e civile, fino ad identificarsi con una sua forma istituzionale storica come civiltà e società cristiana, mentre il vangelo si propone in termini di potere.
Questa però – sostiene La Valle – “è la cristianità, non è il cristianesimo” – e “tutto questo finisce con la modernità e con Porta Pia”. Ma in realtà non finisce del tutto, e “il Concilio stesso è rimasto dentro quella idea di cristianità”, per cui “la grande dimostrazione di debolezza data dalla Chiesa dopo il Concilio e nella fase della sua ricezione, aveva la sua causa proprio nel fatto che essa non era riuscita a venire fuori da quel modello, a metabolizzarne la fine”.
In effetti, il cordone ombelicale con l’ideale di cristianità – “era costantiniana” ed “epoca tridentina” – non è stato tagliato del tutto, e la partita Chiesa-mondo ha continuato ad essere giocata dentro spazi contrassegnati da tracce di cristianità e regole già sperimentate di dialogo e di concordanze, mentre è rimasta tra parentesi la questione radicale del “credere al vangelo” e quindi della fede nella sua verità sostanziale.
Qualche interrogativo, per la verità, si presenta davanti alla sicurezza con cui Raniero afferma che “ora l’attuale papato formalizza questa fine, e dichiara esso stesso che la cristianità è finita… Il cambiamento epocale è questo… Gli atei devoti se ne sono accorti prima di noi, e sono furibondi. Finisce un’epoca di quasi due millenni, finisce l’idea di una istituzionalizzazione politica della città di Dio sulla terra. E il papa che fa?”.
“Il papa – dice ancora Raniero – prende atto che c’è una forma religiosa che è finita. E in compenso ha la forza e la capacità di dar vita a una nuova predicazione cristiana. La predicazione nasce da una teologia, da una liturgia, da una lettura della Scrittura. Così infatti si era formata la cristianità, a partire da una teologia pervasa da una certa immagine di Dio, che era il Dio della potenza, del giudizio, della condanna, che aveva bisogno del sacrificio del Figlio per essere soddisfatto dell’offesa ricevuta. È dunque a partire da un nuovo annuncio di Dio, che la cristianità si converte in cristianesimo… Quando Francesco insiste sulla misericordia non fa solo allusione a uno dei tanti nomi di Dio, a un predicato come gli altri del nome divino, ma ne fa la sostanza della sua predicazione, della sua catechesi”.
Ma, si direbbe, basta una rondine per fare primavera? Basta la nuova predicazione cristiana di un Papa a ratificare il fatto che una certa forma religiosa sia finita? Più che giusto dire che “la predicazione nasce da una teologia, da una liturgia, da una lettura della Scrittura” – “così infatti si era formata la cristianità” -: ma dov’è oggi, a parte quella di Francesco, la predicazione di un nuovo annuncio di Dio, capace di dare vita ad una nuova epoca della fede e ad un Popolo di credenti che sia il volto nuovo dell’intera Chiesa? Perché di questo si tratta, e di questo si preoccupa papa Francesco, non solo di quanto fa presa sull’opinione pubblica e va in pasto ai mass-media, ingenerando spesso l’idea che un passaggio d’epoca ci sia già stato e basti prenderne atto.
A sostenere che la fine della cristianità sia stata sancita dall’avvento di papa Francesco è anche Marcello Veneziani nel suo libro “I tramonti”, non però come nuovo inizio quanto piuttosto come morte dell’Europa cristiana e quindi della cristianità come civiltà. Infatti ci sarebbe un “decentramento” del cristianesimo verso le periferie del pianeta: abbiamo “l’elezione di un papa venuto dalla fine del mondo e il segno del suo pontificato tutto rivolto all’esterno, fuori della cristianità, aprendosi al mondo, accogliendo gli altri, a partire dagli islamici, rivolgendosi a chi è più lontano dalla fede cristiana e dai suoi luoghi… Viene dalla periferia giovane e parla un linguaggio che sembra postconciliare ma talvolta è anche premoderno, quando la cristianità permeava la vita quotidiana e non era un fenomeno minoritario” (p.127). È senz’altro una tesi da tenere presente, per un confronto serio.
“Dal punto di vista religioso, evangelico e pastorale – scrive ancora Veneziani – è arduo esprimere un giudizio, soprattutto se si crede ai disegni imperscrutabili della Provvidenza. La Chiesa muta registro, e non si tratta banalmente di svolta a sinistra, di terzomondismo, anche se a volte il papa dà l’impressione di essere un sindacalista trascendentale o un presidente di una ONG, di Emergency, di Amnesty International. È un fenomeno più grande di come appare al momento, che reagisce a un evidente processo di espulsione del cristianesimo dalla vita reale e istituzionale europea. Certo, è vano arroccarsi in una posizione di pura difesa del cattolicesimo romano e della sua tradizione. Non si può pensare che la Chiesa possa ridursi a una setta di ortodossi, decisamente minoritaria ed estranea rispetto al mondo che la circonda, verso cui lanciare anatemi che scivolano nel nulla. La purezza si addice agli gnostici, agli iniziati, mentre il cristianesimo è una religione coram populo, perché lì avverte la voce di Dio; una religione che s’incarna, entra nella vita e nella storia del suo tempo. Però la Chiesa di Francesco sembra tutta immersa nello spirito del tempo, che è permeato di ateismo pratico e di umanitarismo laico; e spesso ammicca ai temi, ai dogmi e alle fisime del politically correct… L’Europa non sta sostituendo la visione cristiana della vita con un’altra visione, ma con la perdita di ogni visione e il primato del puro vivere. .. Non una nuova civiltà ma il decomporsi della precedente. Vive la sua provenienza come un puro disfarsi, a volte con cupio dissolvi, quasi una voluttà di dissoluzione. Reputa giusto ciò che è nuovo, ciò che smentisce l’esperienza dei secoli, la fede dei millenni, l’autorità dei padri” (pp.128-129).
“Invocare dunque il cristianesimo delle origini, lo spirito di povertà delle prime comunità cristiane, è un segno di comprensione del livello di crisi religiosa, istituzionale ed ecclesiastica. L’interrogativo vero è invece un altro: Papa Francesco suscita un vero risveglio spirituale nei popoli o resta invece nella dimensione della simpatia, e dunque nello spirito di ‘personaggio dell’anno’, figura di alto gradimento che ci esorta a essere tutti genericamente più buoni e altruisti? In una società di ipocredenti, com’è quella europea, il suo magistero aiuta a compiere un passo avanti nella riscoperta della fede o induce a compiere un passo fuori da essa, nello star system dei personaggi globali? Papa Francesco non porta sulle spalle la stanchezza dell’Europa, la sua vecchiaia disperata” (pp.142-143).
Forse manca in queste analisi la spinta propulsiva della fede, ma certamente non possiamo non tenerne conto come freno ad una spinta forse troppo entusiasta, per quanto fondata. Per il momento però importa avere presenti queste due versioni di un medesimo assunto, per partecipare consapevolmente ad un processo storico di cambiamento in cui siamo coinvolti, sia come ripensamento che come esperienza di vita.
Alberto B. Simoni
Una chiosa di Giovanni Pieraccioli
Il cristianesimo minacciato non da eresia ma da indifferenza
Caro Alberto,
con riferimento alle considerazioni svolte da Marcello Veneziani sulla fine della cristianità ben opportunamente hai richiamato lo scritto di padre Balducci tratto dal suo libro “Cristianesimo e cristianità”. La vera questione, infatti, attiene a tale rapporto, per cui mentre la cristianità è riferibile ad una fase storica il cristianesimo è insito nel totale divenire della storia dell’umanità verso il compimento finale.
Ritengo possa costituire una ulteriore riflessione il richiamo a quanto scritto nel 1947 da Emmanuel Mounier nel suo intervento “Agonia del cristianesimo?” che così si esprime: “Agonia del cristianesimo: quando Unamuno gettò dalla Spagna questo grido in un mondo ancora beatamente indifferente sapeva e voleva essere provocante. Non poteva dubitare che sarebbero stati pochi coloro che ricordavano il greco a sufficienza per comprendere ch’egli denunciava una lotta e non una fine, o che conoscevano abbastanza il dogma per ricordarsi che Cristo e la sua Chiesa sono in agonia fino alla fine del mondo…” e conclude: “si può confutare, condannare, estirpare un errore o un’eresia. Non si confuta un dramma e la cristianità nella sua pace di superficie affronta oggi il più terribile dei drammi in cui essa finora si sia trovata impegnata. Il Cristianesimo non è minacciato di eresia: non appassiona più abbastanza perché ciò possa avvenire, è minacciato da una specie di silenziosa apostasia provocata dall’indifferenza che lo circonda e dalla sua propria distrazione. Questi segni non ingannano: la morte si avvicina. Non la morte del Cristianesimo, ma la morte della Cristianità occidentale, feudale e borghese. Una cristianità nuova nascerà domani o dopodomani, da nuovi strati sociali e da nuovi innesti extra-europei. Bisogna fare attenzione a non soffocarla col cadavere dell’altra”.
Parole da leggere nel loro contesto storico, ma di viva attualità nell’evidente crisi dell’occidente in cui il benessere egotico – con tutte le sue degenerazioni – posto come fine esclusivo ed esaustivo ha ormai svuotato l’essere della sua identità e dei suoi valori essenziali; così che i tre fattori denunciati nello scritto di Veneziani sono da considerarsi effetti e non cause.
Il discorso va quindi incentrato sull’essenza del Cristianesimo e sull’universalità del suo annuncio evangelico. Il Cristianesimo, infatti, non è circoscrivibile né in una struttura né in una organizzazione (Chiesa pre conciliare o espressione di un’epoca), né in una civiltà (la Cristianità) né in una delimitazione geografica (l’Europa, l’Occidente); esso non è identificabile in categorie contingenti: il suo fine è il regno per la realizzazione del quale ogni uomo è chiamato a fare la sua parte vivendo quotidianamente, a livello personale e comunitario, l’esperienza di Cristo incarnato nella storia.
Quanto poi ai maestri il Vangelo è molto chiaro in proposito: “uno solo è il vostro maestro” e solo ad Esso si richiama papa Francesco. E allora il Pastore non si è “smarrito”, ma è ben consapevole della strada da seguire e da proporre a tutta l’umanità senza esclusioni di sorta, svolgendo così con coerenza la sua missione di Pontefice, cioè di costruttore di ponti.
Giovanni Pieraccioli
(interventi ripresi da “Koinonia” di gennaio)
La lettera attesa. Rimettere il fondamento.
Scegliete oggi chi volete servire (Gs 24,15)
Notizie da
Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Newsletter n. 64 del 30 gennaio 2018
Cari Amici,
mentre in Italia si sta per votare, il costituzionalista Mario Dogliani sul sito di “Sbilanciamoci” (che è quello di studi e ricerche per un’economia alternativa) accende una luce su ciò che più di tutto sarebbe necessario ma che nessuno immagina e propone: che l’intervento pubblico (non solo dello Stato, diciamo noi, ma di tutta la sfera pubblica – la res publica – nazionale e internazionale o europea) crei lavoro, quel lavoro che non c’è più.
Il lavoro non c’è non perché costa troppo di tasse, come crede il Jobs act, ma perché il capitalismo all’ora del suo trionfo globale ha preteso azzerarlo, sia sostituendolo con le macchine, sia andandoselo a prendere dove costa di meno ed è senza diritti. E ciò con l’intento non solo di ridurre al minimo tale costo di produzione, ma di sopprimere il suo stesso storico antagonista nel conflitto, fondativo della modernità, tra capitale e lavoro. Questa è la realtà evocata nell’articolo di Dogliani. Ma se non c’è il lavoro, o è ridotto allo stato gassoso, non solo non c’è vita (non si può comprare né vendere), ma non c’è più neanche il fondamento della Repubblica, e dunque salta tutto il sistema delle libertà e dei diritti; ragione per cui diventa necessario per la Repubblica prima di tutto ricreare essa stessa il suo fondamento. E dunque il lavoro non più come affare privato, qual è nell’attuale vulgata neoliberista, ma come interesse e finalità pubblica.
Di ciò non compare il minimo accenno nella campagna elettorale, come del resto nessuno parla della pace, delle guerre e delle armi, e di che cosa l’Italia ci sta a fare al mondo.
Invece si parla di cose che non stanno né in cielo né in terra, e se in terra, illegittime e incostituzionali. Così gli uni parlano di una flat tax (un’aliquota uguale per tutti) che è esclusa in partenza perché in Costituzione (e nel buonsenso) c’è la progressività delle imposte; l’altro vuole il servizio civile obbligatorio, quando a meno che non sia una variante dell’obbligo militare (com’era in Italia ai tempi dell’obiezione di coscienza alla coscrizione obbligatoria) esso è equiparato al lavoro forzato e coatto, e come tale condannato in tutte le Convenzioni internazionali sulle libertà e i diritti; si introduce poi senza pudore il vincolo di mandato, escluso dalla Costituzione, sia mediante appositi contratti, con tanto di penale per voti in Parlamento difformi da quelli richiesti, sia mediante la “pulizia etnica” delle liste dei candidati (come l’ha chiamata il costituzionalista Massimo Villone) compilate in funzione dei futuri interessi politici del capo; e infine per chiudere le vie dei migranti, si armano confini lontani e si cede sovranità alla Libia, quando le rinunzie alla sovranità sono sì ammesse e anzi raccomandate dalla Costituzione, ma all’unico e infungibile scopo di assicurare “la pace e la giustizia fra le Nazioni”, non certo per alimentarne il genocidio.
Sicché sarà difficile questa volta scegliere nel voto, che il 4 marzo dovrà essere dato soprattutto per tenere aperti gli spazi della democrazia e della Costituzione finora grazie a Dio salvaguardata, in vista di futuri pensieri e coraggiose operazioni di novità politica, economica e sociale.
Nel nostro sito continua la riflessione sulle prospettive aperte dall’assemblea del 2 dicembre scorso di Chiesa di tutti Chiesa dei poveri. Pubblichiamo in proposito una riflessione di padre Alberto Simoni, domenicano e animatore di “Koinonia”, sui possibili esiti del processo di uscita dal “regime di cristianità”.
Con i più cordiali saluti
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Da Sbilanciamoci
Il ruolo dello Stato al tempo dell’economia digitale
Mario Dogliani
17 gennaio 2018 | Sezione: Italie, Mondo, Società
Con le attuali trasformazioni tecnologiche socializzare la ricchezza prodotta è l’unica strada per stabilire un equilibrio tra produzione e consumo ed evitare catastrofi sociali infinitamente peggiori di quelle già in atto
Ecco, una voce squillante ci ingiunge di ritornare in noi stessi, riempie di figure le oscurità in cui ci aggiravamo, i fantasmi fuggono lontano … (En clara vox redarguit …)
1.- La politica e la cultura italiana avrebbero bisogno di una voce che riempia di figure l’oscurità indistinta e scacci i fantasmi.
PERCHE’ BLINDARE IL POTERE?
C’è una domanda che il papa fa nella “Laudato sì”, ed è una delle ragioni per cui egli oggi è così duramente combattuto nel Sinodo e fuori: “Perché si vuole mantenere oggi un potere che sarà ricordato per la sua incapacità di intervenire quando era necessario ed urgente farlo?” (L.S. n. 57).
Il potere incapace, immeritevole di essere mantenuto, è quello che non cura la casa comune e che la gestisce con un’ “economia che uccide”; e la casa comune nel pensiero di papa Francesco non è solo la Terra, ma comprende anche gli uomini, le donne, i poveri, i popoli.
Che questo potere sia invece perpetuato, rafforzato e liberato dai limiti e dalle garanzie statuite dalle Costituzioni postfasciste, fu chiesto dal capitale finanziario e in particolare dalla finanziaria JP Morgan già il 28 maggio 2013. Essa si lamentava di queste Costituzioni “influenzate dalle idee socialiste”, e indicava delle caratteristiche dei sistemi che ne derivavano che dovevano essere cambiate. E le caratteristiche erano le seguenti: “esecutivi deboli nei confronti dei parlamenti, poteri centrali deboli nei confronti delle regioni, tutele costituzionali dei diritti dei lavoratori” nonché “la licenza di protestare se sono proposte modifiche sgradite dello status quo”. Era questo che turbava la banca americana e anche oggi la richiesta che sale dall’attuale sistema economico-sociale è quella di blindare i poteri esistenti perché tutto possa continuare com’è e non ci siano ideali avveniristici a turbare i sonni degli gnomi della finanza.
Questa richiesta è stata esaudita “in fretta”, come è di moda oggi in Italia, il 13 ottobre scorso con il voto del Senato sulla riforma costituzionale. Sicché si può dire che salvo sorprese nella seconda lettura parlamentare e la vittoria del NO nel successivo referendum popolare, quella Costituzione promulgata nel 1947 e sgradita alla finanza, in Italia non esiste più.
Essa è stata abrogata in tutta la sua parte concernente l’ordinamento della Repubblica e sostituita con un’altra. Attraverso questa sostituzione a parere di molti quella che era “la Costituzione più bella del mondo” è diventata (diventerebbe) anche nella forma, nel tecnicismo e nell’ermeticità del linguaggio, la più brutta. Però sarebbe efficace nel perseguire gli obiettivi voluti: avremo il Parlamento dimezzato, ridotto da due Camere a una; l’esecutivo padrone dell’agenda dei lavori parlamentari (avrà leggi approvate a data fissa); un solo partito identificato col governo e detentore di una maggioranza assoluta attribuitale dalla legge vigente “Italicum” grazie al premio di maggioranza; la fiducia, non più dovuta dal Senato, assicurata alla Camera dal solo partito del presidente del Consiglio, che non sarebbe una vera fiducia perché inquinata dal vincolo della disciplina di partito, restando irrilevante il voto di altri gruppi, a differenza di quanto avviene nelle coalizioni; i rapporti di forza governo-regioni modificati a favore del centralismo statale; i diritti dei lavoratori già sacrificati dal Jobs Act e dalla frana del sistema contrattuale non avrebbero difesa, e quanto alla “licenza di protestare” le forme di democrazia diretta sono rese più difficili, la stessa rappresentanza viene mortificata con la nomina dei deputati e la riduzione del pluralismo politico; gli organi di garanzia saranno ridimensionati, a cominciare dal presidente della Repubblica, a causa del peso decisivo del partito dominante e dell’uomo al comando nell’esprimerli; e la Costituzione sarà indebolita nella sua capacità di resistere ad altre avventate future riforme.
Anche il modo nel quale la Costituzione repubblicana viene travolta è il segno di una sofferenza e anzi di un lutto della democrazia. La Costituzione del 47 fu approvata da un’Assemblea costituente espressa e legittimata dai cittadini, usciti dal fascismo e dalla Resistenza. La nuova Costituzione è approvata da un Parlamento di nominati dai partiti, delegittimato da una sentenza della Corte Costituzionale che lo ha giudicato non rappresentativo della sovranità popolare a causa del “Porcellum” con cui è stato eletto. La Costituzione del 47 fu approvata con 458 voti contro 62 e tutti i leaders parteciparono al voto. La nuova Costituzione è stata approvata il 13 ottobre dal Senato con 178 voti su 321 senatori (143 tra assenti contrari e astenuti); Renzi non ha votato perché non appartiene ad alcuna Camera, non essendo mai stato eletto, ma avendo acquisito il potere attraverso primarie non previste in alcuna Costituzione o legge. La Costituzione del 47 aveva dietro di sé secoli di esperienze e di lotte. La nuova ha dietro di sé, come ha rilevato Massimo Cacciari, una Boschi poco più che trentenne. E l’Italia cessa di essere una democrazia parlamentare.
Come dice un appello di illustri costituzionalisti, bisogna dunque battersi contro questa modifica della Costituzione “con una battaglia referendaria come quella che fece cadere nel 2006, con il voto del popolo italiano, la riforma — parimenti stravolgente — approvata dal centrodestra”.
Ma intanto bisognerà ricominciare a pensare alla politica, a come lottare per l’eguaglianza, la pace, i diritti, nelle condizioni di eclissi della democrazia.
*Rocca, 15 ottobre 2015
RANIEROLAVALLE.BLOGSPOT. COM
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APPELLO 1
Ecco l’appello, lanciato il 13 ottobre 2015, dai costituzionalisti Gaetano Azzariti, Lorenza Carlassare, Gianni Ferrara, Alessandro Pace, Stefano Rodotà e Massimo Villone. E’ una base per la mobilitazione in vista del referendum oppositivo che si terrà l’anno prossimo. Come nel 2006 contro la revisione di Berlusconi e Bossi, occorre battere la legge sul senato Renzi-Verdini.
La proposta di legge costituzionale che il senato voterà oggi [13 ottobre - n.d.r.] dissolve l’identità della Repubblica nata dalla Resistenza. È inaccettabile per il metodo e i contenuti; lo è ancor di più in rapporto alla legge elettorale già approvata. Nel metodo: è costruita per la sopravvivenza di un governo e di una maggioranza privi di qualsiasi legittimazione sostanziale dopo la sentenza con la quale la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità del «Porcellum». Molteplici forzature di prassi e regolamenti hanno determinato in parlamento spaccature insanabili tra le forze politiche, giungendo ora al voto finale con una maggioranza raccogliticcia e occasionale, che nemmeno esisterebbe senza il premio di maggioranza dichiarato illegittimo. Nei contenuti: la cancellazione della elezione diretta dei senatori, la drastica riduzione dei componenti — lasciando immutato il numero dei deputati — la composizione fondata su persone selezionate per la titolarità di un diverso mandato (e tratta da un ceto politico di cui l’esperienza dimostra la prevalente bassa qualità) colpiscono irrimediabilmente il principio della rappresentanza politica e gli equilibri del sistema istituzionale. Non basta l’argomento del taglio dei costi, che più e meglio poteva perseguirsi con scelte diverse. Né basta l’intento dichiarato di costruire una più efficiente Repubblica delle autonomie, smentito dal complesso e farraginoso procedimento legislativo, e da un rapporto stato-Regioni che solo in piccola parte realizza obiettivi di razionalizzazione e semplificazione, determinando per contro rischi di neo-centralismo. Il vero obiettivo della riforma è lo spostamento dell’asse istituzionale a favore dell’esecutivo. Una prova si trae dalla introduzione in Costituzione di un governo dominus dell’agenda dei lavori parlamentari. Ma ne è soprattutto prova la sinergia con la legge elettorale «Italicum», che aggiunge all’azzeramento della rappresentatività del senato l’indebolimento radicale della rappresentatività della camera dei deputati. Ballottaggio, premio di maggioranza alla singola lista, soglie di accesso, voto bloccato sui capilista consegnano la camera nelle mani del leader del partito vincente — anche con pochi voti — nella competizione elettorale, secondo il modello dell’uomo solo al comando. Ne vengono effetti collaterali negativi anche per il sistema di checks and balances. Ne risente infatti l’elezione del Capo dello Stato, dei componenti della Corte costituzionale, del Csm. E ne esce indebolita la stessa rigidità della Costituzione. La funzione di revisione rimane bicamerale, ma i numeri necessari sono alla Camera artificialmente garantiti alla maggioranza di governo, mentre in senato troviamo membri privi di qualsiasi legittimazione sostanziale a partecipare alla delicatissima funzione di modificare la Carta fondamentale. L’incontro delle forze politiche antifasciste in Assemblea costituente trovò fondamento nella condivisione di essenziali obiettivi di eguaglianza e giustizia sociale, di tutela di libertà e diritti. Sul progetto politico fu costruita un’architettura istituzionale fondata sulla partecipazione democratica, sulla rappresentanza politica, sull’equilibrio tra i poteri. Il disegno di legge Renzi-Boschi stravolge radicalmente l’impianto della Costituzione del 1948, ed è volto ad affrontare un momento storico difficile e una pesante crisi economica concentrando il potere sull’esecutivo, riducendo la partecipazione democratica, mettendo il bavaglio al dissenso. Non basta certo in senso contrario l’argomento che la proposta riguarda solo i profili organizzativi. L’impatto sulla sovranità popolare, sulla rappresentanza, sulla partecipazione democratica, sul diritto di voto è indiscutibile. Più in generale, l’assetto istituzionale è decisivo per l’attuazione dei diritti e delle libertà di cui alla prima parte, come è stato reso evidente dalla sciagurata riforma dell’articolo 81 della Costituzione. Bisogna dunque battersi contro questa modifica della Costituzione. Facendo mancare il voto favorevole della maggioranza assoluta dei componenti in seconda deliberazione. E poi con una battaglia referendaria come quella che fece cadere nel 2006, con il voto del popolo italiano, la riforma — parimenti stravolgente — approvata dal centrodestra.
il manifesto, 13 ottobre 2015
*L’appello può essere sottoscritto inviando l’adesione a www.costituzione@ilmanifesto.it
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APPELLO 2
Stiamo assistendo impotenti al progetto di stravolgere la nostra Costituzione da parte di un Parlamento esplicitamente delegittimato dalla sentenza della Corte costituzionale n.1 del 2014, per creare un sistema autoritario che dà al Presidente del Consiglio poteri padronali.
Con la prospettiva di un monocameralismo e la semplificazione accentratrice dell’ordine amministrativo, l’Italia di Matteo Renzi e di Silvio Berlusconi cambia faccia mentre la stampa, i partiti e i cittadini stanno attoniti (o accondiscendenti) a guardare. La responsabilità del Pd è enorme poiché sta consentendo l’attuazione del piano che era di Berlusconi, un piano persistentemente osteggiato in passato a parole e ora in sordina accolto.
Il fatto che non sia Berlusconi ma il leader del Pd a prendere in mano il testimone della svolta autoritaria è ancora più grave perché neutralizza l’opinione di opposizione. Bisogna fermare subito questo progetto, e farlo con la stessa determinazione con la quale si riuscì a fermarlo quando Berlusconi lo ispirava. Non è l’appartenenza a un partito che vale a rendere giusto ciò che è sbagliato.
Una democrazia plebiscitaria non è scritta nella nostra Costituzione e non è cosa che nessun cittadino che ha rispetto per la sua libertà politica e civile può desiderare. Quale che sia il leader che la propone.
Primi firmatari:
Nadia Urbinati
Gustavo Zagrebelsky
Sandra Bonsanti
Stefano Rodotà
Lorenza Carlassare
Alessandro Pace
Roberta De Monticelli
Salvatore Settis
Rosetta Loy
Corrado Stajano
Giovanna Borgese
Alberto Vannucci
Elisabetta Rubini
Gaetano Azzariti
Costanza Firrao
Alessandro Bruni
Simona Peverelli
Nando dalla Chiesa
Adriano Prosperi
Fabio Evangelisti
Barbara Spinelli
Paul Ginsborg
Maurizio Landini
Marco Revelli
Beppe Grillo
Gianroberto Casaleggio
Gino Strada
Paola Patuelli
Tomaso Montanari
Antonio Caputo
Ugo Mattei
Francesco Baicchi
Riccardo Lenzi
Pancho Pardi
Ubaldo Nannucci
Maso Notarianni
Ferdinando Imposimato
Cristina Scaletti
Laura Barile
Raniero La Valle
Luciano Gallino
Ida Dominijanni
Domenico Gallo
Ermanno Vitale
Tommaso Fattori
Dario Fo
Fiorella Mannoia
Salvatore d’Albergo
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Approfondimenti