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Editoriali
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DIBATTITO Energie rinnovabili: Bachisio Bandinu propone un incontro di tutti i protagonisti della Vertenza Sardegna
Riceviamo e volentieri pubblichiamo e diffondiamo. Auspichiamo che all’appello di Bachisio Bandinu rispondano tutti i protagonisti di quella che è diventata una Vertenza del popolo sardo nei confronti del governo nazionale. Parliamo della presidente Alessandra Todde, della sua giunta, di tutto il Consiglio regionale, dei comitati contro l’assalto sconsiderato all’ambiente e al paesaggio sardo, con il loro coordinamento, dei parlamentari sardi, dei parlamentari europei rappresentanti della cicoscrizione Sicilia-Sardegna, delle parti sociali sarde (Sindacati dei lavoratori in primis), dell’associazionismo e di tutte le organizzazioni democratiche che sono schierate per la salvaguardia della Sardegna in questa vicenda così decisiva per il futuro della nostra Isola. Anticipiamo in questa sede l’adesione all’iniziativa di Bandinu del MEIC (Movimento Ecclesiale di Impegno Culturale), segnalataci dal presidente Mario Girau.Proposta di un incontro-dibattito
di Bachisio BandinuForse per la prima volta, nella storia della Sardegna, si sta
formando una presa di coscienza a forte diffusione popolare
contro quella che può essere definita la più grave servitù che la
nostra Terra si appresta a subire. Da qualche anno a questa parte
si assiste infatti a una crescente mobilitazione popolare contro la
speculazione sulle fonti rinnovabili, che minaccia l’identità
ambientale e l’auspicabile prospettiva di un autonomo modello di
sviluppo economico e sociale che generi salute e benessere diffusi.
In questo quadro positivo di coscienza, intenti e proposte (tutte
utili e valide) si stanno insinuando e si stanno diffondendo motivi
di conflittualità e di lacerazione tra gruppi, tra comitati, tra
associazioni. È un fenomeno estremamente pericoloso, e
purtroppo è anche un retaggio storico, che divide, crea sospetti,
lancia accuse, inventa complotti. Produce le tifoserie. L’energia
positiva si scarica a massa, si disperde e si consuma in
contrapposizioni laceranti.
Occorre sanare il conflitto. In questa prospettiva può essere utile
un incontro di tutte le componenti, per fortuna numerose e
appassionate, per svelenire le polemiche, ma soprattutto
ricomporre l’unità di intenti verso l’obiettivo comune.
Si tratta di consolidare, rinforzare e arricchire attraverso un
momento di dibattito che valuti tutte le risposte, le proposte, gli
interventi, gli obiettivi, che ci permettano di contrapporre allo
Stato le ragioni, i diritti e le necessità vitali del Popolo sardo.
Ciascun gruppo, ciascuna associazione, ciascun comitato, ciascuna
singola persona, mette sul tavolo tutte le carte da giocare, per
impostare un piano di difesa e di attacco delle ragioni più valide a
profitto del Popolo sardo. Così si definisce il quadro di saperi
giuridici, politici, sociali, culturali che si rifanno ad articoli della Costituzione italiana e dello Statuto sardo, alla legge urbanistica, all’estensione del Piano paesaggistico, e altro.
Fondamentale il ruolo dell’Anci che rappresenta più ampiamente
le comunità locali. Del tutto necessaria la presenza della Giunta
regionale, per chiarire le decisioni prese e da prendere, ma
soprattutto per intendere, in senso più decisamente politico, la
volontà del Popolo sardo.
Nessuna primogenitura e nessun atteggiamento da verità in tasca:
questa è una battaglia che si può vincere soltanto uniti, con un
complesso di strumenti e un inedito esercizio dell’intelligenza
collettiva. Pertanto l’incontro-dibattito che si propone, proprio
perché è in gioco il futuro della Sardegna, acquista il valore e il
significato di una embrionale Assemblea Costituente: un incontro
di conoscenze e di passione per fare comunità e scrivere il nostro
futuro, come poche volte nella Storia abbiamo fatto.
La battaglia giuridica e politica con Roma non è affatto facile, anzi
incontrerà difficoltà enormi, perché nel contenzioso tra Stato e
Regione, la Consulta dà quasi sempre ragione allo Stato.
Un motivo in più per essere uniti.
Se c’è un consenso diffuso, l’incontro-dibattito si può mettere in atto, se si ritiene superfluo e inutile, valga almeno il proposito di
conciliazione: disarmati tra di noi, armati contro il comune nemico.
Grazie
Bachisio Bandinu————————————————————————————-
Biografia di Bachisio BandinuNel 1967 consegue la laurea in Lettere e Filosofia presso l’Università di Cagliari con una tesi dal titolo “Antonio Fogazzaro e il modernismo”. Nel 1971 si diploma in Giornalismo con un elaborato dal titolo “Montale giornalista” presso la Scuola Superiore delle Comunicazioni Sociali dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano. Nello stesso istituto, nel 1973 si diploma in Radio e Televisione. Nel 1972 si iscrive all’Ordine dei giornalisti della Lombardia, nel 1987 all’Ordine dei giornalisti della Sardegna.
Esponente non accademico della Scuola antropologica di Cagliari,[1] allievo di Ernesto de Martino e di Alberto Mario Cirese al pari dei suoi coetanei Giulio Angioni e Placido Cherchi, è studioso di cultura tradizionale della Sardegna interna in trasformazione repentina negli ultimi decenni, e si occupa in particolare di questioni d’identità culturale e politica. Fra il 1965 e il 1987 insegna Lettere presso l’istituto tecnico industriale di Varese[2]. Poi, fino al 1997, è docente dell’istituto tecnico “Pertini” di Cagliari. Dal 1973 al 1985 collabora con il Corriere della Sera[3].
Nel 1976 ha scritto, con Gaspare Barbiellini Amidei il saggio Il re è un feticcio, nel quale analizza il rapporto tra il mondo tradizionale della pastorizia e la civiltà dei consumi in Sardegna. Nel 1980 ha pubblicato Costa Smeralda, contributo all’analisi del rapporto tradizione/innovazione. Nel 1993 ha vinto il Premio Funtana Elighes e nel 1999 è stato nominato direttore de L’Unione Sarda[4], ruolo ricoperto fino al 2001.
È presidente della “Fondazione Sardinia” e da anni risiede a Olbia.
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Bene la mobilitazione, ma occorre percorrere la via giustadi Andrea Pubusa su Democrazioggi
C’è un grande fermento in Sardegna contro l’invasione energetica. Sono da appoggiare tutte le iniziative volte a salvare ambiente e paesaggio. C’è diffusa consapevolezza che è in atto un assalto che ricorda vecchi e più recenti attacchi alla nostra isola. Bene dunque il vasto movimento che si sviluppa un pò dappertutto. Bisogna però non solo manifestare l’istintiva rabbia contro l’ennesimo tentativo di colonizzazione della Sardegna a fini di profitto. Occorre capire la fase attuale della vicenda e individuare correttamente che fare. Sotto questo profilo alcune posizioni, pur decise, appaiono controproducenti. Ora siamo nel tempo in cui la Regione deve indicare formalmente al governo quali sono le aree idonee e quelle non idonee alle installazioni. La Regione ha coinvolto i Comuni, che meglio di ogni altro conoscono i territori. Anche questi si devono pronunciare con atti formali. E qui c’è il primo problema. Non si può dire che tutte le aree sono inidonee. I provvedimenti vanno motivati sulla base di una istruttoria completa. Non farlo significa rendere la manifestazione di volontà inutile, anzi dannosa, perché il governo può esercitare i propri poteri sostitutivi e fare come meglio crede. Quindi i sindaci devono mettersi subito all’opera, lasciando da parte gli slogan estremisti del tipo: “non ci sono aree idonee, son tutte inidonee”. C’è un’occasione per partecipare ad una decisione importante. Bisogna coglierla con responsabilità.
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C’è chi fa propaganda e cerca lo scontro interno. La giunta deve tenere la barra dritta
Ieri si è svolta la preannunciata manifestazione davanti al Consiglio regionale. Duemila partecipanti venuti da ogni parte dell’isola e molti slogan contro la presidente Alessandra Todde, alcuni per la proposta di legge popolare c.d. Pratobello 24. L’Unione, accanto alla cronaca della manifestazione, dà risalto all’adesione di FI, che chiede l’immediato passaggio in aula della proposta di legge popolare, saltando la commissione. Una posizione chiaramente propagandistica per molte ragioni. Anzitutto, perché si tratta di un testo che, non essendo nato in Consiglio, a maggior ragione richiede un esame tecnico e politico nell’organismo consiliare competente composto da tutte le forze rappresentate. In secondo luogo, si sa che l’Assemblea sarà impegnata ad esaminare il testo in cui verrano individuate le aree idonee e non idonee, un percorso imposto dalla legge con tempi strettissimi, diverso da quello d’iniziativa popolare e quindi non sovrapponibile. Fra l’altro l’iter per la definizione del testo della giunta vede il coinvolgimento dei sindaci e delle associazioni degli enti locali e dunque è molto laborioso e complesso, le decisioni non possono essere generiche, ma devono fondarsi su una istruttoria completa e su una adeguata motivazione. Non c’è spazio dunque per slogan o affermazioni generiche. Si capisce che qualcuno vuole andare allo scontro con finalità esulanti dalla questione energetica. La giunta deve sentire tutti, raccogliere il grido diffuso dei sardi, ma deve tenere la barra dritta.
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PERCHÈ LA STORIA CONTINUI
PERCHÈ LA STORIA CONTINUI
APPELLO-PROPOSTA PER UNA COSTITUZIONE DELLA TERRA
Istituzione di una Scuola della Terra per suscitare il pensiero politico dell’unità del popolo della Terra, disimparare l’arte della guerra e promuovere un costituzionalismo mondiale. Lo reclama la scena del mondo che soffre, lo rende possibile l’annuncio di un Dio non più geloso
Nel pieno della crisi globale, nel 72° anniversario della promulgazione della Costituzione italiana, Raniero La Valle, Luigi Ferrajoli, Valerio Onida, Adolfo Perez Esquivel, il vescovo Nogaro, Mariarosa Guglielmi, Paolo Maddalena, Riccardo Petrella, Anna Falcone, Domenico Gallo, Grazia Tuzi, Giacomo Pollastri, Norma Lupi e molti altri hanno lanciato il progetto politico di una Costituzione per la Terra e promosso una Scuola, «Costituente Terra», che ne elabori il pensiero e prefiguri una nuova soggettività politica del popolo della Terra, «perché la storia continui». La proposta è espressa in questo documento.
L’Amazzonia brucia e anche l’Africa, e non solo di fuoco, la democrazia è a pezzi, le armi crescono, il diritto è rotto in tutto il mondo. “Terra! Terra!” è il grido dei naufraghi all’avvistare la sponda, ma spesso la terra li respinge, dice loro: “i porti sono chiusi, avete voluto prendere il mare, fatene la vostra tomba, oppure tornate ai vostri inferni”. Ma “Terra” è anche la parola oggi più amata e perduta dai popoli che ne sono scacciati in forza di un possesso non condiviso; dai profughi in fuga per la temperatura che aumenta e il deserto che avanza; dalle città e dalle isole destinate ad essere sommerse al rompersi del chiavistello delle acque, quando la Groenlandia si scioglie, i mari son previsti salire di sette metri sull’asciutto, e a Venezia già lo fanno di un metro e ottantasette. “Che si salvi la Terra” dicono le donne e gli uomini tutti che assistono spaventati e impotenti alla morte annunciata dell’ambiente che da millenni ne ospita la vita.
Ci sono per fortuna pensieri e azioni alternative, si diffonde una coscienza ambientale, il venerdì si manifesta per il futuro, donne coraggiose da Greta Thunberg a Carola Rackete fanno risuonare milioni di voci, anche le sardine prendono la parola, ma questo non basta. Se nei prossimi anni non ci sarà un’iniziativa politica di massa per cambiare il corso delle cose, se le si lascerà in balia del mercato della tecnologia o del destino, se in Italia, in Europa e nelle Case Bianche di tutti i continenti il fascismo occulto che vi serpeggia verrà alla luce e al potere, perderemo il controllo del clima e della società e si affacceranno scenari da fine del mondo, non quella raccontata nelle Apocalissi, ma quella prevista e monitorata dagli scienziati.
Il cambiamento è possibile
L’inversione del corso delle cose è possibile. Essa ha un nome: Costituzione della terra. Il costituzionalismo statuale che ha dato una regola al potere, ha garantito i diritti, affermato l’eguaglianza e assicurato la vita degli Stati non basta più, occorre passare a un costituzionalismo mondiale della stessa autorità ed estensione dei poteri e del denaro che dominano la Terra.
La Costituzione del mondo non è il governo del mondo, ma la regola d’ingaggio e la bussola di ogni governo per il buongoverno del mondo. Nasce dalla storia, ma deve essere prodotta dalla politica, ad opera di un soggetto politico che si faccia potere costituente. Il soggetto costituente di una Costituzione della Terra è il popolo della Terra, non un nuovo Leviatano, ma l’unità umana che giunga ad esistenza politica, stabilisca le forme e i limiti della sua sovranità e la eserciti ai fini di far continuare la storia e salvare la Terra.
Salvare la Terra non vuol dire solo mantenere in vita “questa bella d’erbe famiglia e d’animali”, cantata dai nostri poeti, ma anche rimuovere gli ostacoli che “di fatto” impediscono il pieno sviluppo di tutte le persone umane.
Il diritto internazionale è già dotato di una Costituzione embrionale del mondo, prodotta in quella straordinaria stagione costituente che fece seguito alla notte della seconda guerra mondiale e alla liberazione dal fascismo e dal nazismo: la Carta dell’Onu del 1945, la Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, i due Patti internazionali del 1966 e le tante Carte regionali dei diritti, che promettono pace, sicurezza, garanzia delle libertà fondamentali e dei diritti sociali per tutti gli esseri umani. Ma non sono mai state introdotte le norme di attuazione di queste Carte, cioè le garanzie internazionali dei diritti proclamati. Non è stato affatto costituito il nuovo ordine mondiale da esse disegnato. È come se un ordinamento statale fosse dotato della sola Costituzione e non anche di leggi attuative, cioè di codici penali, di tribunali, di scuole e di ospedali che “di fatto” la realizzino. È chiaro che in queste condizioni i diritti proclamati sono rimasti sulla carta, come promesse non mantenute. Riprendere oggi il processo politico per una Costituzione della Terra vuol dire tornare a prendere sul serio il progetto costituzionale formulato settant’anni fa e i diritti in esso stabiliti. E poiché quei diritti appartengono al diritto internazionale vigente, la loro tutela e attuazione non è soltanto un’urgente opzione politica, ma anche un obbligo giuridico in capo alla comunità internazionale e a tutti noi che ne facciamo parte.
Qui c’è un’obiezione formulata a partire dalla tesi di vecchi giuristi secondo la quale una Costituzione è l’espressione dell’«unità politica di un popolo»; niente popolo, niente Costituzione. E giustamente si dice che un popolo della Terra non c’è; infatti non c’era ieri e fino ad ora non c’è. La novità è che adesso può esserci, può essere istituito; lo reclama la scena del mondo, dove lo stato di natura delle sovranità in lotta tra loro non solo toglie la «buona vita», ma non permette più neanche la nuda vita; lo reclama l’oceano di sofferenza in cui tutti siamo immersi; lo rende possibile oggi la vetta ermeneutica raggiunta da papa Francesco e da altre religioni con lui, grazie alla quale non può esserci più un dio a pretesto della divisione tra i popoli: “Dio non ha bisogno di essere difeso da nessuno” – hanno detto ad Abu Dhabi – non vuole essere causa di terrore per nessuno, mentre lo stesso “pluralismo e le diversità di religione sono una sapiente volontà divina con cui Dio ha creato gli esseri umani”; non c’è più un Dio geloso e la Terra stessa non è una sfera, ma un poliedro di differenze armoniose.
Per molti motivi perciò è realistico oggi porsi l’obiettivo di mettere in campo una Costituente della Terra, prima ideale e poi anche reale, di cui tutte le persone del pianeta siano i Padri e le Madri costituenti.
Una politica dalla parte della Terra
Di per sé l’istanza di una Costituzione della Terra dovrebbe essere perseguita da quello strumento privilegiato dell’azione politica che, almeno nelle democrazie, è il partito – nazionale o transnazionale che sia – ossia un artefice collettivo che, pur sotto nomi diversi, agisca nella forma partito. Oggi questo nome è in agonia perché evoca non sempre felici ricordi, ma soprattutto perché i grandi poteri che si arrogano il dominio del mondo non vogliono essere intralciati dal controllo e dalla critica dei popoli, e quindi cercano di disarmarli spingendoli a estirpare le radici della politica e dei partiti fin nel loro cuore. È infatti per la disaffezione nei confronti della politica a cui l’intera società è stata persuasa che si scende in piazza senza colori; ma la politica non si sospende, e ciò a cui comunque oggi siamo chiamati è a prendere partito, a prendere partito non per una Nazione, non per una classe, non “prima per noi”, ma a prendere partito per la Terra, dalla parte della Terra.
Ma ancor più che la riluttanza all’uso di strumenti già noti, ciò che impedisce l’avvio di questo processo costituente, è la mancanza di un pensiero politico comune che ne faccia emergere l’esigenza e ne ispiri modalità e contenuti.
Non manca certamente l’elaborazione teorica di un costituzionalismo globale che vada oltre il modello dello Stato nazionale, il solo nel quale finora è stata concepita e attuata la democrazia, né mancano grandi maestri che lo propugnino; ma non è diventato patrimonio comune, non è entrato nelle vene del popolo un pensiero che pensi e promuova una Costituzione della Terra, una unità politica dell’intera comunità umana, il passaggio a una nuova e rassicurante fase della storia degli esseri umani sulla Terra.
Eppure le cose vanno così: il pensiero dà forma alla realtà, ma è la sfida della realtà che causa il pensiero. Una “politica interna del mondo” non può nascere senza una scuola di pensiero che la elabori, e un pensiero non può attivare una politica per il mondo senza darsi prima la politica e poi la scuola, né prima la scuola e poi la politica. Devono nascere insieme, perciò quello che proponiamo è di dar vita a una Scuola che produca un nuovo pensiero della Terra e fermenti causando nuove soggettività politiche per un costituzionalismo della Terra. Perciò questa Scuola si chiamerà “Costituente Terra”.
“Costituente Terra”: una Scuola per un nuovo pensiero
Certamente questa Scuola non può essere pensata al modo delle Accademie o dei consueti Istituti scolastici, ma come una Scuola disseminata e diffusa, telematica e stanziale, una rete di scuole con aule reali e virtuali. Se il suo scopo è di indurre a una mentalità nuova e a un nuovo senso comune, ogni casa dovrebbe diventare una scuola e ognuno in essa sarebbe docente e discente. Il suo fine potrebbe perfino spingersi oltre il traguardo indicato dai profeti che volevano cambiare le lance in falci e le spade in aratri e si aspettavano che i popoli non avrebbero più imparato l’arte della guerra. Ciò voleva dire che la guerra non era in natura: per farla, bisognava prima impararla. Senonché noi l’abbiamo imparata così bene che per prima cosa dovremmo disimpararla, e a questo la scuola dovrebbe addestrarci, a disimparare l’arte della guerra, per imparare invece l’arte di custodire il mondo e fare la pace.
Molte sarebbero in tale scuola le aree tematiche da perlustrare: 1) le nuove frontiere del diritto, il nuovo costituzionalismo e la rifondazione del potere; 2) il neo-liberismo e la crescente minaccia dell’anomia; 3) la critica delle culture ricevute e i nuovi nomi da dare a eventi e fasi della storia passata; 4) il lavoro e il Sabato, un lavoro non ridotto a merce, non oggetto di dominio e alienato dal tempo della vita; 5) la “Laudato sì” e l’ecologia integrale; 6) il principio femminile, come categoria rigeneratrice del diritto, dal mito di Antigone alla coesistenza dei volti di Levinas, al legame tra donna e natura fino alla metafora della madre-terra; 7) l’Intelligenza artificiale (il Führer artificiale?) e l’ultimo uomo; 8) come passare dalle culture di dominio e di guerra alle culture della liberazione e della pace; 9) come uscire dalla dialettica degli opposti, dalla contraddizione servo-signore e amico-nemico per assumere invece la logica dell’ et-et, della condivisione, dell’armonia delle differenze, dell’“essere per l’altro”, dell’ “essere l’altro”; 10) il congedo del cristianesimo dal regime costantiniano, nel suo arco “da Costantino ad Hitler”, e la riapertura nella modernità della questione di Dio; 11) il “caso Bergoglio”, preannuncio di una nuova fase della storia religiosa e secolare del mondo.
Naturalmente molti altri temi potranno essere affrontati, nell’ottica di una cultura per la Terra alla quale nulla è estraneo d’umano. Tutto ciò però come ricerca non impassibile e fuori del tempo, ma situata tra due “kairòs”, tra New Delhi ed Abu Dhabi, due opportunità, una non trattenuta e non colta, la proposta di Gorbaciov e Rajiv Gandhi del novembre 1986 per un mondo libero dalle armi nucleari e non violento, e l’altra che ora si presenta di una nuova fraternità umana per la convivenza comune e la salvezza della Terra, preconizzata nel documento islamo-cristiano del 4 febbraio 2019 e nel successivo Comitato di attuazione integrato anche dagli Ebrei, entrato ora in rapporto con l’ONU per organizzare un Summit mondiale della Fratellanza umana e fare del 4 febbraio la “Giornata mondiale” che la celebri.
Partecipare al processo costituente iscriversi al Comitato promotore
Pertanto i firmatari di questo appello propongono di istituire una Scuola denominata “Costituente Terra” che prenda partito per la Terra, e a questo scopo hanno costituito un’associazione denominata “Comitato promotore partito della Terra”. Si chiama così perché in via di principio non era stata esclusa all’inizio l’idea di un partito, e in futuro chissà. Il compito è oggi di dare inizio a una Scuola, “dalla parte della Terra”, alle sue attività e ai suoi siti web, e insieme con la Scuola ad ogni azione utile al fine che “la storia continui”; e ciò senza dimenticare gli obiettivi più urgenti, il risanamento del territorio, la rifondazione del lavoro, l’abolizione del reato di immigrazione clandestina, la firma anche da parte dell’Italia del Trattato dell’ONU per l’interdizione delle armi nucleari e così via.
I firmatari propongono che persone di buona volontà e di non perdute speranze, che esponenti di associazioni, aggregazioni o istituzioni già impegnate per l’ecologia e i diritti, si uniscano a questa impresa e, se ne condividono in linea generale l’ispirazione, si iscrivano al Comitato promotore di tale iniziativa all’indirizzo ‘progettopartitodellaterra@gmail.com’ versando la relativa quota sul conto BNL intestato a “Comitato promotore del partito della Terra”, IBAN IT94X0100503206000000002788 (dall’estero BIC BNLIITRR),
La quota annua di iscrizione, al Comitato e alla Scuola stessa, è libera, e sarà comunque gradita. Per i meno poveri, per quanti convengano di essere tra i promotori che contribuiscono a finanziare la Scuola, eventuali borse di studio e il processo costituente, la quota è stata fissata dal Comitato stesso nella misura significativa di 100 euro, con l’intenzione di sottolineare che la politica, sia a pensarla che a farla, è cosa tanto degna da meritare da chi vi si impegna che ne sostenga i costi, contro ogni tornaconto e corruzione, ciò che per molti del resto è giunto fino all’offerta della vita. Naturalmente però si è inteso che ognuno, a cominciare dai giovani, sia libero di pagare la quota che crede, minore o maggiore che sia, con modalità diverse, secondo le possibilità e le decisioni di ciascuno.
Nel caso che l’iniziativa non riuscisse, le risorse finanziarie mancassero e il processo avviato non andasse a buon fine, l’associazione sarà sciolta e i fondi eventualmente residui saranno devoluti alle ONG che si occupano dei salvataggi dei fuggiaschi e dei naufraghi nel Mediterraneo.
Un’assemblea degli iscritti al Comitato sarà convocata non appena sarà raggiunto un congruo numero di soci, per l’approvazione dello Statuto dell’associazione, la formazione ed elezione degli organi statutari e l’impostazione dei programmi e dell’attività della Scuola.
PROPONENTI E PRIMI ISCRITTI. [segue]