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Europa dei popoli: ripartiamo dalla Grecia
Il Polifemo accecato
di Nicolò Migheli
Non occorre aver fatto il classico. Nel nostro immaginario la Grecia porta con sé i miti fondanti di quel che siamo. In questi anni convulsi in molti hanno scritto che un’ Europa senza la Grecia non è. La stessa Europa è un mito greco, una principessa figlia del re dei Fenici rapita da Zeus travestito da toro bianco. Oggi però l’Europa della finanza apolide che governa, più che la principessa omonima ricorda il figlio Radamanto, che da re e legislatore sapiente si muta in giudice dei morti. Perché in questo l’UE è stata trasformata.
Una classe morta insensibile ad ogni richiesta che contravvenga il principio della remunerazione a breve del capitale finanziario. Chi non è d’accordo, chi ritiene che non debbano essere i ceti deboli a pagare, è sprezzantemente definito populista. Altra parola della neo lingua che ha colonizzato l’immaginario. I padri fondatori avevano pensato ad una unione tra pari, il voto tedesco identico a quello del minuscolo Lussemburgo.
L’Unione monetaria, in assenza di uno stato federale, ha trasformato quel sogno in incubo. In virtù dei differenziali economici e dei tassi di interesse bancari, si trasferisce ricchezza dai paesi poveri a quelli ricchi. Al di là delle vicende dei prestiti greci, su cui non vi è accordo neanche tra gli esperti, una cosa è sicura, la Germania è più ricca e la Grecia sempre più povera. Responsabilità anche della classe dirigente greca, i cui partiti allora maggioritari, Nea Democratia e Pasok, sono stati definiti l’unica mafia che abbia fallito. È stato chiaro fin da subito però che la troika non aveva nessun interesse a negoziare diverse condizioni con Syritza. Tsipras e Varoufakis trattati come mendicanti.
L’obbiettivo primo era abbatterli. In un sistema ben oliato, la religione dell’austerità del costi quel che costi, non poteva accettare alcuna eterodossia. Nella teologia luterana manca il purgatorio, esiste il paradiso o l’inferno. Il debito in tedesco è sinonimo di colpa che va scontata sino in fondo. Però non è possibile mettere spalle al muro l’interlocutore, ogni buona negoziazione questo predica. Invece gli arroganti padroni d’Europa sono rimasti insensibili, sicuri che alla fine la paura del default avrebbe ridotto a miti consigli chiunque.
Il referendum greco è stato il tentativo disperato di Tsipras per avere un investimento popolare che lo legittimasse di più. È andata bene. Il NO a quelle proposte, riporta la Grecia a Bruxelles come membro della UE, di pari valore agli altri. Una randellata sulla testa di quella “sinistra” come Renzi e Martin Schulz, degni dei loro predecessori che nel 1914 fecero prevalere gli interessi delle èlite guerrafondaie su quelle delle classi popolari europee. Quel NO riapre la partita della democrazia nell’UE.
Un segnale forte contro le politiche di austerità che non risolvendo, anzi peggiorando il debito pubblico, hanno avuto come effetto l’impoverimento di milioni di persone. Il Polifemo della troika è stato accecato. E come il ciclope le borse e l’establishment burocratico reagiranno dando mazzate a destra e a manca. Non si rendono conto però che se gli europei non riescono a risolvere una crisi che riguarda il 2% del Pil dell’Unione, cosa può succedere quando si dovrà affrontare una crisi più grave?
Tirando la corda greca, gli gnomi di Francoforte e Bruxelles hanno spezzato il bene più prezioso, quello della fiducia nei loro confronti e nelle istituzioni europee. Venerdì scorso è scoppiata la bolla della finanza cinese col rischio di sommovimenti mondiali. Si racconta che frau Merkel da studentessa, nelle lezioni di tuffi, si lanciasse dal trampolino dopo che era già suonata la campanella. Troppo tardi. La speranza è che la paura di oggi faccia rinsavire le classi dirigenti europee. L’Europa è stata costruita dalle generazioni che avevano vissuto la II GM, le attuali èlite non hanno memoria delle guerre civili europee.
Questa è la realtà e i rischi di guerra si fanno più probabili. Il ministro della difesa polacco a seguito di esercitazioni militari, riferendosi alla paura della Russia, ha dichiarato che il tempo della pace in Europa era durato troppo. A 180 chilometri da Cagliari, la Tunisia dichiara lo stato di guerra con l’ Isis- Daesch. Ancora una volta siamo in mano ai sonnambuli? Parrebbe di sì.
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By sardegnasoprattutto / 6 luglio 2015 / Società & Politica
non possiamo stare fermi
“Allah Akbar” (Allah è grande) – In nome di Allah si massacrano dodici persone a Parigi. Si spara in faccia a una ragazzina che chiede il diritto all’istruzione per le ragazze, si uccidono i volontari che portano aiuti e vaccini per i bambini, giornalisti che tentano di documentare quanto accade. Quale può essere la risposta al fanatismo integralista e all’ignoranza. Una guerra senza esclusione di colpi, una guerra pacifica senza l’impiego di armi e bombe. Una guerra culturale, che spieghi l’incongruenza dell’idea che chi non è mussulmano è un infedele da eliminare, che le donne possono guidare l’auto e scoprire il viso ed il corpo liberamente, svolgere compiti e mansioni di natura politica e sociale senza limitazioni, che i ragazzi e, soprattutto le ragazze hanno diritto all’istruzione. Una guerra lunga e difficile. Cominciamo con l’istruire i mussulmani presenti in occidente per far loro comprendere che la diversità (anche religiosa) è un valore positivo, che il confronto ed il dialogo non sono vietati dal Corano, che studiare e superare i pregiudizi non è una colpa. Una guerra per la quale ha un senso lottare anche sacrificando la propria vita. (v.t.)
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Il mondo musulmano non può più essere percepito come “fonte di ansia, pericolo, morte e distruzione per il resto dell’umanità”. E le guide religiose dell’islam devono “uscire da loro stesse” e favorire una “rivoluzione religiosa” per sradicare il fanatismo e rimpiazzarlo con una “visione più illuminata del mondo”. Se non lo faranno, si assumeranno “davanti a Dio” la responsabilità per aver portato la comunità musulmana su cammini di rovina. (Abdel Fattah El Sissi, presidente della repubblica egiziana, discorso tenuto tenuto all’inizio del nuovo anno davanti a studiosi e leader religiosi dell’università Al Azhar del Cairo -considerato il principale centro teologico dell’islam sunnita- riuniti insieme ai responsabili del ministero per gli affari religiosi, il 3 gennaio 2015)
(n.M.)
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Replique republicaine. Decine di migliaia di persone, di orientamenti laici e religiosi diversi, musulmani compresi, sono scesi pacificamente in piazza, ieri notte, in Francia, contro il terrorismo islamista e contro la strumentalizzazione fascista e razzista. (a.d.)
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Dopo i giorni del dolore per la strage di Parigi, ci sarà tanto da riflettere.
Come mai immigrati di seconda o terza generazione diventano terroristi all’interno di paesi dove sono nati? Perché il radicalismo violento trova lì terreno fertile? Bisogna interrogarsi a lungo sulle politiche interne di integrazione sociale di molti paesi occidentali, evitando facili semplificazioni di matrice religiosa. Bisognerà rivedere totalmente anche la politica estera ed il rapporto con i paesi islamici, dove l’Europa deve necessariamente avere una posizione univoca ed indipendente: decisa sì, dura dove necessario, evitando assolutamente il muro contro muro fra civiltá, ma lavorando sui paesi moderati, per fare terra bruciata intorno a qualsiasi forma di terrore organizzato.
Infine un’amarissima constatazione: ciò che è accaduto oggi avrà purtroppo delle conseguenze in tutto l’occidente, in termini di autocensura: parlo di satira, di giornalismo, di letteratura. Non vorrei che la 13^ vittima di oggi possa essere la libertà di espressione.
(gianf. fancello)
La specialità è l’invisibilità
Sergio Rizzo qualche sera fa ad Otto e mezzo, il programma della 7, si chiedeva del perché una regione come la Sardegna dovesse essere autonoma. Il giornalista del Corriere della Sera comprendeva le ragioni del Sud Tirolo territorio tolto all’Austria, ben diverso da Sardegna e Sicilia. Rizzo insieme a Gian Antonio Stella, da anni scrive contro gli sprechi della spesa pubblica e della politica. Prese di posizione che, grazie alla popolarità dei due giornalisti, sono diventate sentire comune e fondo ideologico per il neo centralismo.
L’assunto è: siccome gli enti locali, tutti, hanno speso troppo e male bisogna abolirli. Ancor di più le regioni autonome. Rizzo non è un giornalista qualsiasi, è organico alla classe dirigente italiana e ne condiziona l’agenda. Certo, non si può chiedere a lui una conoscenza più approfondita del perché della specialità della Sardegna; ai suoi occhi siamo una regione italiana marginale. Però se si chiedesse a molti sardi perché la nostra isola è regione autonoma, c’è da esserne sicuri che pochi troverebbero le giuste ragioni. Anzi gran parte di questi se sottoposti ad una campagna di stampa efficace, ne chiederebbero l’abolizione così come è avvenuto per le province.
Negli stessi giorni a Firenze si sono tenuti i primi Stati Generali della lingua italiana. Si è scoperto che nel mondo la platea di interesse per l’italiano è pari a 250 milioni di persone. Limes intitola una sua edizione speciale: “La lingua è potere”. La stessa rivista intervista il sottosegretario agli esteri Mario Giro, che dichiara che la lingua italiana è strumento geopolitico. Lo è in quanto softpower, lo strumento culturale con il quale si crea consenso e attrazione verso un determinato paese. E’ la lingua che favorisce scambi non solo culturali ma economici. Suscita attrazione al voler essere italiani. Una bella risposta a chi considera la lingua un fatto neutro, che non determina le identità personali e sociali.
Negli stessi giorni la Regione comunica che per la lingua sarda non ci sono più finanziamenti. Si sa, bisogna tagliare. Si comincia con il non finanziarie quello che viene considerato un orpello, una quisquilia folkloristica. Ritorna la domanda, quale è la nostra specialità nei confronti dell’Italia. Cosa siamo? Una espressione geografica, una terra redenta ad occidente, o una nazione senza stato? Non piace l’espressione? Un popolo con caratteristiche uniche va bene? D’altronde cosa ci si potrebbe aspettare da una èlite che non è mai riuscita a diventare classe dirigente, ad interpretare il proprio popolo, a dare senso ad un reale che ne ha estremo bisogno.
Un caso di trahison des clercs da letteratura. Come al solito la fuga. Ci eccitiamo per la grandezza dei Giganti di Mont’e Prama e non riconosciamo la nostra. Perché l’unica misura sono standard economici e non culturali. Siamo appesi ad una modernizzazione immaginaria. Non riusciamo a vedere le nostre potenzialità e quando le intravediamo sono solo motivo di frustrazione perché ci troviamo impotenti nelle capacità di valorizzazione. La conseguenza è la negazione di tutto ciò che ci rende unici. A cominciare dalla lingua per finire con le nostre aree agricole migliori consegnate agli speculatori del sole e del vento. Si insegue una omologazione in un mondo che esalta la differenza. Si magnificano le esportazioni quando non siamo capaci di sostituire le importazioni come nell’agro alimentare. Si vorrebbe essere sempre in un altrove. Fuori dall’isola naturalmente.
Ritornano alla memoria le parole di Frantz Fanon a proposito dell’Africa francese: l’intellettuale colonizzato vorrebbe essere più parigino dei professori della Sorbona. Come tutti i popoli colonizzati oscilliamo tra l’esaltazione e la depressione. Riduciamo le nostre tradizioni a folclore però ci esaltiamo con il mito della costante resistenziale. È vero, abbiamo resistito a molte cose però ci siamo arresi alla tv. Le nostre èlite hanno contrattato intermediazione e dipendenza, provocando in noi il senso dell’incompletezza. Siamo diventati una società del “quasi”. Quasi moderni, quasi sviluppati, quasi un continente. Rispetto a che o che cosa non si sa. Ognuno trovi la sua risposta.
Non a caso siamo una terra che consuma molti psicofarmaci. Il nostro disagio non è solo la modernità, è la non accettazione di quel che siamo. “Noi siamo passati attraverso una lunga serie di dominazioni esterne e abbiamo sofferto l’arroganza di molti tipi di potere, ma, prima di oggi, non era mai capitato che la nostra identità diventasse una cosa da cancellare e da far cadere nell’oblio” Lo scriveva il compianto Placido Cherchi. Il risultato dell’oblio è la nostra invisibilità ai nostri occhi. Vogliamo essere italiani, iperitaliani. Se siamo invisibili a noi stessi come possiamo pretendere che un Rizzo ci veda?
Eppure in questo panorama disperante ci sono segni di mutamento che inducono a pensare che è ancora possibile farcela. Sono imprese giovani, è innovazione nell’ITC e nell’agroalimentare, è fare turismo, artigianato e cultura con l’occhio rivolto alla nostra differenza. In queste realtà ci si riconosce. Nuove sensibilità che avrebbero bisogno di una politica forte, di un progetto che metta in relazione la nostra capacità di fare rete e gli restituisca il senso. Questo però è un altro discorso.
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* Anche su SardegnaSoprattutto/24 ottobre 2014/Società & Politica
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Dal Programma Regionale di Sviluppo 2014-2019
Un fenomeno sottovalutato: lo spopolamento
La Sardegna si distingue per il peggiore tasso di fecondità (fertility rate) tra le regioni italiane, e con un trend negativo si colloca negli ultimi anni fra le ultime 8 entro le 465 regioni europee di livello NUTS 2 Eurostat, mentre a sua volta l’Italia è fra gli ultimi 8 Paesi della UE sotto tale aspetto. Affinché la popolazione di un paese relativamente sviluppato resti stabile a saldo migratorio costante, il tasso di ricambio dovrebbe essere pari a 2,1, ovvero ogni donna dovrebbe generare almeno 2,1 figli nell’arco della propria vita feconda (con un valore pari a 2 per il ricambio generazionale della coppia e indicativamente 0,1 per bilanciare la mortalità infantile). Il predetto tasso di fecondità (n. medio figli per donna in età feconda fra i 15-49 anni) è pari in
Sardegna a 1,14 secondo Eurostat (2011), mentre il tasso di natalità (n. medio annuo di nascite x 1.000 residenti) è pari a 7,9 e vede la Sardegna quart’ultima regione a livello nazionale (valore Italia: 9,1).
In Europa, viceversa, il tasso medio di fecondità ha registrato un andamento crescente nel decennio dal 2002 al 2011 (da 1,46 a 1,57 secondo Eurostat), con Irlanda, Francia, Inghilterra e Svezia che detengono i valori più alti, poco sopra o poco sotto il valore 2. La futura e per ora inesorabile diminuzione della
popolazione sarda (-110.000 abitanti nei prossimi 20 anni secondo scenari di previsione in ipotesi statistica intermedia) e la scomparsa incombente di decine di comuni sardi, evidenziata da un recente studio nell’ambito del progetto IDMS, rivelano un processo che può essere definito emergenziale rispetto a quanto
accade nel resto d’Italia e d’Europa, e che rappresenta il risultato di una crisi pluri-fattoriale, non semplicemente demografica ma legata a un fenomeno di declino socio-economico dell’isola rispetto alle regioni del centro-nord italiano e dell’Europa nel complesso, che presentano tassi di ricambio demografico
molto meno negativi.
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DRITTO & ROVESCIO. Referendum scozzese: riflessioni… pensando a noi. Interventi di Nicolò Migheli e Pietro Ciarlo
Il referendum che ha terrorizzato i poteri forti
di Nicolò Migheli *
“Tutti quanti i parlamentari che vii sono in Europa si occupano delle cose nostre e dibattono fortemente, se o no dobbiamo essere. Noi di questi giorni abbiamo detto francamente: siamo. L’abbiamo detto per l’organo del Parlamento; l’abbiamo detto per virtù dei nostri soldati che riducevano in nostra mano gli ultimi baluardi in cui si ricettavano gli ostacoli alla nostra unità.” Così scriveva il giornale torinese l’Opinione. Il 17 marzo 1861 all’atto della proclamazione del Regno d’Italia.
Le reazioni europee alla fondazione del nuovo stato non furono di felicità. In molti temevano la nascita di una entità che avrebbe rivoluzionato gli assetti dell’epoca con il suo esempio. Ancor di più oggi. Fino ad ora in Europa si erano divise la Jugoslavia, l’Urss e la Cecoslovacchia. Paesi che venivano dall’esperienza comunista accusata, a torto o a ragione, di opprimere le istanze nazionali. Che un paese dell’Europa occidentale potesse essere a rischio di separazione non era concepibile. Non viviamo nel migliore dei mondi possibili?
Ancor di più la Gran Bretagna, la madre della democrazia moderna. Quando i sondaggi hanno rivelato la possibilità di vittoria degli indipendentisti scozzesi in tutta l’Europa è stato un susseguirsi di allarmi. Le banche hanno minacciato di trasferire le loro sedi da Edimburgo a Londra. La Ue dichiarava che l’adesione della Scozia indipendente non sarà facile. Impossibile per alcuni, a causa dell’opposizione della Spagna, che vedrebbe un pericoloso precedente per la Catalogna, e di tutti gli altri paesi che hanno nazioni senza stato dentro i propri confini. Per la vittoria del NO si è pronunciato l’FMI timoroso di uno sconquasso finanziario. Enrico Letta sul Corriere della Sera paragona un grande processo democratico al colpo di pistola di Serajevo del 1914. Anche lui colto da terrore si unisce ai catastrofisti.
L’Huffington post pubblica la cartina delle nazioni senza stato e la confronta con quella dell’Europa del 1360 chiedendosi se vi è un ritorno al Medioevo:“quando diversi gruppi culturali avevano un loro stato prima delle grandi unificazioni nazionali.” L’uso delle parole ha la sua importanza. Secondo quel giornale online, la Scozia, la Catalogna, la Corsica e la Sardegna, sarebbero “gruppi culturali” e non nazioni. Evidentemente quel termine, per l’autore dell’articolo, può essere solo di entità politiche vaste, quanto grandi non si sa. Ragione per cui si insiste sulla confusione voluta tra stato e nazione. I poteri forti e le altre entità statuali amano lo statu quo e il referendum scozzese ha annunciato cambiamenti che finiranno con ridefinire l’Europa.
La Gran Bretagna però è un caso a se stante; più assimilabile ad un impero che agli stati nazionali ottocenteschi. Le stesse rivendicazioni scozzesi non si basano solo sulle differenze etniche e di lingua, quanto su una diversa concezione delle società. Edimburgo auspica una socialdemocrazia contro il liberismo di Londra. La Caledonia è aperta e inclusiva, mentre la Britannia è chiusa e diffidente. La Scozia europeista e l’Inghilterra talmente scettica che potrebbe abbandonare la Ue. Per paradosso la vera madrina dell’indipendenza scozzese è stata Margaret Thatcher e la classe politica britannica che ne ha seguito gli insegnamenti.
Da qui la sorpresa. I nazionalismi sono sempre stati identificati come movimenti politici di destra tendenti all’omogeneità della Kultur, ostili ad ogni contatto con la diversità. Invece gran parte degli indipendentisti scozzesi e catalani, anche quelli sardi, si collocano a sinistra; non si limitano a rivendicare la differenza di lingua tradizioni e storia, ma progettano società aperte e solidali. Il loro modello sono le socialdemocrazie scandinave. Gran parte dei voti del SNP scozzese vengono dai laburisti.
Marco Biagi, un deputato di quel partito di origine italiana, afferma che i Laburisti sono diventati dei Red Tory, dei conservatori verniciati di rosso, “loro hanno abbandonato noi e noi abbandoniamo loro.” La sinistra, sempre diffidente verso le istanze nazionali, trova la sua rinascita raccogliendo le speranze di quei popoli che la storia ha messo ai margini condannandoli all’omologazione con i vincitori. Non solo la sinistra, anche una borghesia che ha ben presente la differenza di interesse nazionale tra Scozia e Regno Unito. Un bella lezione per i partiti come il PD.
Pedro Sánchez, il neo segretario socialista spagnolo, ha già colto l’aria che tira e propone uno stato federale. In Italia con una antistoricità miope che caratterizza il nostro ceto politico, si è deciso il ritorno al centralismo esautorando le comunità locali dalle scelte sul proprio futuro. In fin dei conti l’indipendenza altro non è che più democrazia, il diritto di auto determinarsi. Quella democrazia che gli stati nazionali ottocenteschi hanno sequestrato.
Paradossalmente è anche l’unica possibilità per una Ue che sia realmente unita e federale, che non potrà mai nascere finché gli interessi dei grandi paesi saranno l’unico punto di riferimento per Bruxelles. Un ritorno allo spirito dei padri fondatori che la gestione burocratica e neoliberista della Commissione e dei paesi membri ha volutamente espulso. Alex Salmond, benché abbia perso il referendum, ha vinto. La Scozia otterrà nuovi poteri da Westminster.
Gli scozzesi avranno tutto il tempo per rafforzare la loro coesione e coscienza nazionale, potranno influire di più anche nella politica estera del Regno Unito facendolo diventare più europeista. Meglio così, è difficile costruire un paese con solo il 50,1 % dei voti avendo l’altra metà della popolazione contro. Il prossimo referendum la Scozia lo vincerà. L’Europa degli stati nazionali ottocenteschi e dei poteri forti tira un respiro di sollievo; ora potrà dedicarsi alla guerra in Ucraina e all’Isis senza tralasciare di spremere i propri cittadini per risanare i bilanci. Così va il quotidiano che diventa storia.
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Referendun scozzese e sconfitta del risentimento: un ammaestramento per i Sardi
di Pietro Ciarlo **
Il referendum per l’ indipendenza della Scozia ha visto prevalere il NO con quasi dieci punti di scarto. Eppure gli ingredienti fondamentali per una vittoria del SI c’erano tutti. Le favorevoli condizioni economiche della Scozia (peraltro più immaginarie che reali) rispetto al resto del Paese e un diffuso risentimento contro gli inglesi.
La Scozia è stata sempre terra colta, ma povera. Poi la scoperta del petrolio ha migliorato la sua condizione portandola più o meno alla pari con l’ Inghilterra. Molti scozzesi hanno pensato che l’indipendenza avrebbe consentito uno sfruttamento della risorsa petrolifera più favorevole a loro. Può anche essere, ma la cosa non sarebbe stata facile, essendo i diritti di sfruttamento già stati ceduti a diverse privati, BP in testa (British petroleum). Comunque, molti scozzesi hanno pensato o si sono illusi di diventare più ricchi grazie alla secessione. E’ il secessionismo dei ricchi. Del Paese Basco, della Catalogna, dei Fiamminghi, della Lega-Nord e via elencando. Ma non basta.
In Scozia è stato ben vivo un altro elemento caratteristico dei movimenti indipendentisti: il risentimento. Cioè l’idea di aver subito gravi ingiustizie e di sentire ancora o nuovamente, di ri-sentire, il dolore da esse causato. Vicende accadute secoli prima, battaglie di mille anni fa. Alcuni vogliono ancora (ri)sentire garrire nel vento il Leone di San Marco in nome della gloriosa Repubblica. La storia viene offuscata, ogni periodizzazione ignorata. Nel caso italiano prima regola è svalutare la rottura con il fascismo e il centralismo rappresentata dalla Costituzione, dalla Repubblica e dalla democrazia.
La parola risentimento è carica di significati negativi. Fortunatamente in Scozia ha prevalso, e anche con una certa larghezza, il NO. Egoismo e risentimento non ce l’hanno fatta. La giustizia è un’altra cosa, dovrebbe avere molto a che vedere con l’intelligenza analitica e la ragione.
Giusto vent’ anni fa feci molta fatica a mostrare il disastro che per il Mezzogiorno e le Isole avrebbe rappresentato ogni ipotesi di separatismo fiscale, detto federalismo. Infatti, dovetti costruire una lunga apposita ricerca, pubblicata su “Le regioni” del 1995, per palesare la situazione del residuo fiscale essenziale per qualsiasi scelta consapevole di politiche territoriali. Oggi fortunatamente non è più così.
Il separatismo fiscale, di fatto impraticabile in un Paese dualistico come il nostro, non si è realizzato e basta digitare “residuo fiscale regioni” per accedere ad una voce di Wikispesa ben documentata, sintetica ed esaustiva. Il residuo fiscale della Sardegna è negativo per il 14,5 % del Pil regionale. Su queste pagine ho già scritto della catastrofe, una sorta di carestia, che si abbatterebbe su una Sardegna che fosse indipendente e lo farò ancora, anche se non c’è peggior sordo di chi non vuol sentire. Viceversa, qui voglio dire ancora qualcosa sul “risentimento” come ingrediente fondamentale del territorialismo.
Come da sempre si sa, la politica si nutre anche di incentivi psicologici, di miti. I miti che nascono dal risentimento, non lontani da quelli della vendetta, spesso utilizzati strumentalmente da professionisti della politica, fomentano l’avversione se non l’odio. Io preferisco quelli della pace e dell’inclusione, forse meno suggestivi, ma per certo non autoreferenziali.
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* Nicolò Migheli, by sardegnasoprattutto / 19 settembre 2014 / Società & Politica/
** Pietro Ciarlo, by sardegnasoprattutto / 19 settembre 2014 / Società & Politica/
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Alex Salmond
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Altri approfondimenti
- Scozia, perché ha vinto il “no” all’indipendenza. Su Globalist syndication
- Mario Carboni. SCOZIA: IL NAZIONALISMO ECONOMICISTA E TERRITORIALE SENZA LINGUA NAZIONALE HA SUCCESSO MA NON VINCE. Sul blog di Mario Carboni.
- Vito Biolchini. La lezione scozzese? La sinistra italiana è molto più conservatrice della destra inglese (e in Sardegna non vuol fare lo Statuto, altro che indipendenza). Su vitobiolchini.it .
L’ Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali si dota di uno spazio web per comunicare le sue iniziative e mettere a disposizione informazioni utili e pertinenti
La Fondazione Sardinia ha attivato all’interno del suo sito web uno spazio dedicato all’Osservatorio sulle riforme isituzionali . Il sito è così organizzato:
O.S.R.I.
- Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
- Testi legislativi
- Convegni e Seminari
- Documentazione
- Comunicazioni
- Rassegna Stampa
– segue documentazione OSRI -
14 de abril 2014 Día de la República Española
Feliz Día de la República Española a todos.
- Ce lo ricorda Nicolò Migheli
venerdì 21 febbraio, in giro con la lampada di aladin…
- Oggi, venerdì 21 febbraio alle 18.30 appuntamento all’Officina dei libri, in via Tola 2 a Cagliari. Nicolò Migheli e Vito Biolchini ci accompagneranno alla scoperta del mondo e delle avventure di Diego Henares de Astorga, il protagonista del nuovo romanzo di Migheli. Pagina fb dell’evento
- Sull’attualità politica. Le elezioni regionali e il curioso “problema” di Pigliaru: non vuole assessori indagati!, di Paolo Pubusa su Democraziaoggi
- Assessori, candidati e indagati. E’ ora di finirla con la “doppia morale” Massimo Dadea su SardiniaPost – segue -
gli occhiali di Piero vanno in giro per il mondo…
BRIGATA SASSARI
Il 29 gennaio 1918 la Brigata Sassari si copre di gloria a Col del Rosso.
Nicolò Migheli
Il 29 gennaio 1918 la Brigata Sassari vinceva la battaglia di Col di Rosso, con perdite di migliaia di uomini. Questa è una fotografia dell’arruolamento di soldati sardi, fatta forse ad Ozieri o Macomer.
Piero Marcialis
Cari amici, da oggi non sono in Sardegna, pertanto debbo declinare tutti i gentili inviti che cortesemente mi state inviando.
Per la stessa ragione la mia presenza in questa pagina sarà discontinua, almeno per il resto dell’inverno.
Non mancherò, ogni volta che mi sarà possibile, di segnalare le cose più importanti, o curiose, specie dai luoghi in cui verrò a trovarmi.
Non avendo i miei libri a disposizione, eventuali citazioni dovrò farle a mente, e poiché la mia memoria comincia a traballare, non saranno esenti da errore.
Un affettuoso saluto a tutti gli affezionati a quanto pubblico. A presto.
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INFORMAZIONE DI ALADINSERVIZIO
Lui non lo ha detto pubblicamente, ma nosusu scoviausu: il nostro amico, nonchè redattore di aladinpensiero, Piero Marcialis è partito per l’Australia. Anzi è già arrivato colà. Superata la fase di shock per via del fuso orario, attendiamo suoi reportage. Buon lavoro e buon divertimento Piero! Intanto un’affettuosa cartolina da Bomeluzo che potrai mostrare agli amici australiani!
Gli OCCHIALI di PIERO
CITAZIONE DELLA SERA
La cultura è quello che resta quando tutto è stato dimenticato.(Giovanni Macchia *)
MOBY DICK
Il 14 novembre 1851 Herman Melville pubblica Moby Dick, il più grande romanzo di mare della letteratura mondiale di tutti i tempi.
Tradotto in italiano da Cesare Pavese, che lo definì “titanico e biblico”, aggiungerei omerico: infatti sullo scaffale si potrebbe mettere vicino alla Bibbia e all’Odissea.
“… specialmente ogni volta che il malumore si fa tanto forte in me che mi occorre un robusto principio morale per impedirmi di scendere risoluto in strada e gettare metodicamente per terra il cappello alla gente, allora decido che è tempo di mettermi in mare al più presto.”
ARCHIBUGERI SARDI
Il 14 novembre 1528 Carlo V ordinò al Vicerè di consegnare alle milizie sarde gli archibugi, per farle esercitare nel maneggio delle nuove armi.
E di esercizio c’era davvero bisogno. Narra Nicolò Migheli nel suo bel romanzo La storia vera di Diego Henares de Astorga:
“… caricare il fornello di innesco con la polvere fina, chiudere lo stesso con uno sportellino, versare la carica di polvere grossa in canna e pressarla con una bacchetta a cucchiaio, inserire la palla di ferro e pressare di nuovo, accendere la miccia o soffiarci sopra per ravvivare la brace, aprire lo sportellino di innesco e, all’ordine, sparare.
Gli archibugi avevano un tiro utile che non andava spesso oltre i trenta metri, massimo cinquanta. Il tiro era impreciso ma la palla poteva staccare l’arto di un uomo.”
S.ILARIO PAPA
Il 14 novembre 461 (altri dicono il 19) un sardo viene eletto Papa.
Si chiama Ilario, mantiene il suo nome da Papa, diventerà santo.
Non si conosce la data di nascita. Fu un Papa attivo, lodato e criticato, più o meno per le stesse cose: grandi opere che abbelliscono Roma.
Mori il 29 febbraio 468 e si commemora il 28 febbraio (il 29 nei bisestili).
E’ sepolto a S.Lorenzo fuori le mura.
Nello stemma dell’Università di Cagliari appare la tiara da Pontefice con la lettera H, che significa il nome di Sant (H)ilario papa, appunto il nostro Ilario. (seguono dettagli dal sito Unica)
La LAMPADA di ALADIN
Giovedì 14 novembre allo Spazio Search (sottopiano del Palazzo Civico) alle 18, appuntamento con “La storia vera di Diego Henares de Astorga” per il festival letterario diffuso Èntula. Lo racconteranno insieme al suo autore, Nicolò Migheli, Maria Antonietta Mongiu, Bachisio Bandinu e Piero Marcialis.
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“Democrazia economica e politiche sociali in vista delle Elezioni Europee del 2014″
Lunedì 11 novembre alle ore 20.30, il Gruppo Europa del Circolo PD “Copernico” presenterà il lavoro che anticiperà l’incontro-dibattito “Democrazia economica e politiche sociali in vista delle Elezioni Europee del 2014″ previsto per giovedì 21 novembre alle ore 18.30, e che avrà come relatori Fausto Durante (Segretariato Europeo CGIL) e Valentina Usai (Movimento Federalista Europeo).
Il Gruppo Europa nasce con l’obiettivo di far conoscere il lavoro e le funzioni del Parlamento Europeo e stimolare il confronto fra le azioni governative nazionali e quelle europee, con maggiore considerazione per le politiche sociali e culturali.
Partendo da queste premesse, il lavoro sarà così articolato:
• analisi della situazione del mercato del lavoro in Europa, con particolare attenzione alla percentuale di disoccupazione giovanile ;
• illustrazione del piano europeo proposto dalla CES contro l’austerity;
• funzioni del Parlamento Europeo e importanza della partecipazione al voto.
Ci rubano la fonte della vita
di Nicolò Migheli
Ci rubano la fonte della vita e la chiamano sostenibilità. Mai parola venne così stravolta nel significato. Da quando la giunta di centro destra si è insediata vi è un attacco continuo ai terreni agricoli della Sardegna. Un susseguirsi di iniziative sull’eolico, centrali a biomasse, impianti fotovoltaici, ed infine ricerche di metano ed energia geotermica. Un assalto che interessa tutta l’isola, in particolare la pianura del Campidano, l’ex granaio di Roma che ha prodotto cibo per millenni.
Ultima di queste iniziative una mega centrale da 100 GWh, da realizzare a Vallermosa. Centotrentotto ettari di terreno fertile, 3500 specchi, una torre alta 200 metri su cui verranno convogliati i raggi solari. Una centrale a biomasse da 1 Mgw, un invaso di 31.000 metri cubi d’acqua. Un investimento di 250 milioni di Euro proposto da Sardinian Green Island di Alberto Scanu, presidente della Confindustria Sardegna e l’ASC Cobra di Florentino Pérez presidente del Real Madrid.
Impianto descritto ad “impatto zero” che sorge vicino ad un insediamento nuragico e che dovrebbe contemplare anche un grande uliveto. Ormai però si è capito che la produzione agricola è solo il velo su cui nascondersi. Le campagne sarde sono piene di serre fotovoltaiche che non producono nulla, se non certificati verdi che alimentano i bilanci delle imprese proprietarie. A tutto questo si somma la decisione di coltivare cardi in tutta l’isola per le bioplastiche.
Tutto in assenza di un qualsiasi piano che determini il bisogno energetico della Sardegna per gli anni a venire. Questo in una terra che importa circa l’ottantacinque per cento del proprio fabbisogno alimentare. Un Far West di irresponsabilità, un correre a svendere il terreno agricolo per trenta denari. La fonte della nostra sopravvivenza. Non c’è più memoria della fame diffusa. Le generazioni nate dopo la II GM, sono le prime che in Sardegna hanno avuto tre pasti al giorno garantiti. Sarà sempre così? Il cibo che ci occorre sarà per sempre disponibile nel primo supermarket sotto casa?
Il finanziere George Soros, quello che con le sue speculazioni fece uscire la lira dallo SME e provocò la crisi della sterlina britannica, negli ultimi anni ha investito i suoi ingenti capitali in terreni sudamericani; dichiara che: “Il miglior investimento al mondo sono i terreni agricoli.” Lui ha lo sguardo lungo. Nel 2050 è previsto che il mondo avrà nove miliardi di abitanti. La FAO dichiara che le produzioni agricole dovranno essere incrementate del settanta per cento. La produzione di cibo è ridiventata un bene strategico, in un mondo in cui le terre fertili diminuiscono costantemente a causa dell’eccessivo sfruttamento, la desertificazione, i mutamenti climatici e la penuria d’acqua dolce. Le prossime guerre verranno combattute anche per il pane. Come è sempre avvenuto nella storia dell’uomo.
Maurice Le Lannou, un geografo francese autore di un testo fondamentale sull’agricoltura sarda, salendo sulla collina di Monastir e guardando al Campidano, ebbe a dire. “Ora capisco fin in fondo il senso della seconda Guerra Punica.” Dal 2000 ad oggi, secondo l’ONG Oxfam (rapporto del 2012), una superficie grande come sette volte l’Italia è diventata, proprietà di gruppi finanziari, multinazionali dell’agribusiness, monarchie arabe, Corea del Sud, Cina, Giappone, India. Tutti soggetti che cercano di garantire cibo alle proprie popolazioni o redditi alti.
Una caccia ai terreni fertili che in Africa a raggiunto una ampiezza pari alla superficie del Kenia. Un furto legalizzato che ha assunto le forme di piaga sociale, con l’espulsione dei contadini locali e la riduzione alla fame di intere popolazioni. I cinesi fanno di più, perché importano persino i propri contadini. Molti di quegli espulsi ce li ritroviamo poi nei barconi della speranza. Land Grabbing, furto di terreni. In maniera non così sfacciata è quello a cui stiamo assistendo qui da noi.
Secondo Oxfam il fenomeno lo sia ha quando vi è: Violazione dei diritti umani e dell’eguaglianza delle donne; assenza di consenso libero ed informato; mancanza di valutazione sugli impatti ecologici, economici e sociali; assenza di contratti trasparenti; mancanza di pianificazione condotta in maniera democratica con supervisione imparziale. Eccetto il primo punto, gli altri, nei più dei casi, riguardano anche le iniziative del business energetico sardo. Ad esempio chi dovrà smantellare gli impianti a fine ciclo? Il proprietario del’impresa o quello del fondo? Le centrali a biomasse sono veramente sicure per l’ambiente e la salute delle popolazioni? Tutte domande che vorremmo avessero risposta certa.
Solo che quando le si pone si è accusati di non volere le iniziative che portano il progresso, di essere contro l’industria, quella verde per di più. Non esiste dibattito e quando avviene, come nel caso di Arborea, si scopre che i comitati contro hanno più argomenti dei proponenti l’iniziativa. Il nodo centrale è che il terreno agricolo, fermo restante la proprietà privata, deve essere considerato bene comune. Oggi lo è in parte grazie al PPR, però non essendoci piano energetico si ricade nella contraddizione. La terra è un bene troppo prezioso, per noi e per le generazioni future, per comprometterlo con iniziative sconsiderate.
L’approvvigionamento alimentare diverrà problematico. Pochi controlleranno il cibo del mondo; saranno loro che decideranno a chi darlo e a che prezzo e a quale condizioni. Chi ha responsabilità di governo verrà ricordato per quel che ha fatto oggi. Il centro destra di Cappellacci e la mancata opposizione in Consiglio, resteranno come l’amministrazione che più si è data da fare per svendere il futuro alimentare dei Sardi. Chi verrà eletto prossimamente al governo della Regione dovrà invertire questa tendenza. Ne va della nostra sopravivenza. Sempre che ci interessi ancora.
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Oltre che su questo sito, questo articolo viene pubblicato anche sui siti Fondazione Sardinia, Vitobiolchini, Tramas de Amistade, Madrigopolis, SardegnaSoprattutto, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sul blog EnricoLobina.
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A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! Lamentarci? No, tempo perso!
di Gianni Mascia
A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! De tempus meda no feus atru chi si chesciai e cun cali arrennèscida? A s’amagurai e a sighiri a incungiai negatividadi. Settembre, Caput anni, Cabudanni… S’annu agrìculu torrat a cumentzai e tocat a ghetai sèmini. Est su chi nosu sardus puru depeus fai in su campu casi sempri prenu de lullu de sa vida polìtica nosta. Seus casi in campagna eletorali, infatis de innoi a pagu eus a andai a votai po is regionalis e is europeas ddas ant a sighiri illuegus. S’ant agatai cun is manus in is manus e spartzinaus in milli arritzolus custa borta puru? No podit sutzedi prus chi si andit a votai a collegiu acorpau a sa Sicìlia! S’emus a torrai a agatai sentza de rapresentantis in Bruxelles, a aturai a sa ventana cun sa spera chi calchi parlamentari sicilianu si dimitat, cumenti est sutzèdiu candu sa Barràcciu est intrada in parti de Crocetta. Tocat a si donai de fai e a chistionai e fai chistionai de custa campànnia chi si fetzat arribai a tenni torra unu collègiu totu sardu, poita chi sa popolatzioni sbentiada po is milli spot chi ddi trumentant s’ànima dònnia die si donghit contu de cantu de importu mannu siat a essi innia aundi si detzidint is chistionis primàrias po su svilupu de s’ìsula nosta. Ma innoi nd’arribant is arriolus! De pagu apu fatu una spètzia de sondàgiu po cumprendi in cantus scipiant de is consultatzionis apeliosas e cun scoramentu mannu apu tentu sa cunfirma de su chi timemu: sa maioria de is pessonas no sciiant o in sa mellus de is ipotesis non sciiant chi nosu faessimus parti de su collègiu de is ìsulas, aundi is sicilianus sendi assumancu tres bortas tanti de nosu iant a essi tentu totus is sègius a dispositzioni. Ai custu puntu mi benit de pensai de cantu no si ndi potzat fai de mancu de torrai a partiri de s’educatzioni, de fai cresci tzitadinus cun sa cuscièntzia de ddu essi e cun su deretu-doveri de pigai parti a sa res publica, chi tengant sa cuscièntzia de cantu su votu, mancai sbregungiu e scoloriu, siat unu de is pagus momentus in chi podeus nai sa nosta. Seguramenti is ùrtimas atzionis de is politcus nostus, natzionalis e regionalis, ant sghiu a minai sa cunfia in is istitutzionis, e stesiau sempri de prus sa genti de sa politica, bista che fumu in is ogus po no essi stètia bona a ndi betiri atru chi disparidadi sempri prus manna, che a cursa fata feti po sighiri a preni sa buciaca insoru e sa de is amigus de is amigus ( e non ddi podeus nai chi no est beridadi) e fai de manera chi is ferrus intra de chini tenit tropu e chini nudda siant sempri prus obertus. Cun custa spètzia de guvernu natzionali “di larghe intese” eus pèrdiu nosu puru sa possibilidadi de andai contras a su dìciu “tanto sono tutti uguali” e imoi prus che mai serbint atzionis chi torrint a castiai a is arguais mannus chi pertocant a sa natzioni e prus che mai a s’ìsula e fetzant torrai in su pòpulu sa gana de participatzioni, chi arrennèsciant a fai cumprendi chi sentza de votai sciendi su chi seus faendi no podit esisti democratzia, chi no est una cosa bella su ddu fai tupendisi su nasu o bendendiddu po unu pratu de malloreddus, cumenti eus biu fintzas e tropu in is ùrtimus tempus. Sa tenta depit esssi a fai de manera chi sa genti tengat is anticorpus culturalis po si difendi de su bombardamentu mediaticu chi ddi stontonat su ciorbeddu circhendi de fai passai su messàgiu chi si no tenis su Rolex de oru, su SUV, o chi si no bestis Armani o no ses amistadau cun assumancu cincu o ses fèminas ses unu balossu, a fai cumprendi chi prus che a tenni tocat a essi, a fai cresci òminis indipendentis, chi feti aici si podit aberu arribai a s’indipendèntzia chi no depit essi amarolla separatismu, podit essi puru un’autonomia forti, fata nasci arribendi a tenni su coranta po centu cumenti sutzedit a is regionalis in Val d’Aosta, po si podi permiti de artziai sa boxi cun su guvernu natzionali e no a fai is tzeracus cumenti a s’ùrtima giunta, aundi eus dèpiu po fintas suportai s’afrentu de biri su Psd’Az arregalai sa bandera de sos bator moros a Berlusconi. In custa situatzioni pagu cussoladora is intellètualis podint tenni una parti de importu mannu ponendi a dispositzioni de sa tenta s’atividadi insoru, faendi nasci in is blog, situs, in is pàginas facebook, in is reading, in is presentadas de librus, in is performance, in is atòbius pùblicus, momentus de arrefrescia ponendi de manera lèbia ma chi intrit in costas su focus suba de cussas possibiladadis de crèscida colletiva puru atruessu de is linguàgius artìsticus chi permitint de mandai messàgius in butìllia e input de arrexonamentu puru a is prus mandronis. A bortas est difitzili a agatai su tempus po totu (de seu su primu a ndi tenni pagu…) ma si creeus in sa possibiladi de cambiamentu, depeus essi, cumenti naraiat calincunu, nosu su cambiamentu chi boleus essi, depeus essi nosu etotu a cumentzai sa “Rivolutzioni umana” (aici ddi narat su filosofu giaponesu Daisaku Ikeda ) poita chi si furrit a sa de totu s’umanidadi. Una rivolutzioni no podit cumentzai chi de una sotziedadi chi andit faci a is cosas a una sotziedadi chi andit faci a is pessonas. No tocat a tenni timoria de nai chi fàbricas de nudda no ndi cherimus prus, chi feti cun sa bonifica de is logus apestaus emus a tenni traballu po tempus meda, chi cherimus bivi de EcoAgriCulTurismu, de produtzionis sustenibilis, de is cosas spantosas chi teneus sa bona sorti manna de sciri fai.
Lamentarci? No, tempo perso! Da troppo tempo non facciamo altro che lamentarci e con quale risultato? Amareggiarci e continuare ad accumulare negatività. Settembre, Caput anni, Cabudanni… L’anno agricolo riparte con la preparazione del terreno alla semina. E’ quello che anche noi sardi dobbiamo fare nel campo spesso pieno di gramigna della nostra vita politica. Siamo quasi in campagna elettorale, infatti a breve avremo le regionali e le europee seguiranno subito dopo. Ci faremo trovare con le mani in mano e divisi in mille rivoli come al solito? Non può più capitare che si vada a votare a collegio accorpato alla Sicilia! Ancora una volta ci ritroveremo a non avere rappresentanza a Bruxelles, a stare alla finestra con la speranza che qualche parlamentare siciliano si dimetta, come accaduto con Crocetta a cui è subentrata la Barracciu. E’ necessario uscire allo scoperto e divulgare con ogni mezzo questa campagna affinchè la popolazione distratta da mille spot si renda conto di quanto sia importante essere presenti là dove si prendono decisioni fondamentali per lo sviluppo della nostra isola. Ma qui arrivano le difficoltà. Ultimamente ho fatto una sorta di sondaggio per capire in quanti siano informati dell’imminente consultazione e con grande sconforto ho avuto la conferma di quanto temevo: la maggior parte delle persone non sapevano o nella migliore delle ipotesi non erano a conoscenza del fatto che noi appartenessimo al collegio delle isole, dove i siciliani essendo almeno il triplo di noi sardi in quanto a numero di abitanti avrebbero ottenuto tutti i seggi disponibili. A questo punto mi viene da fare una riflessione sul fatto che sia indispensabile ripartire dall’educazione, dal creare cittadini con la coscienza di esserlo e con il diritto-dovere di partecipare alla vita politica, di avere la consapevolezza di quanto il voto, sia pur vituperato e scolorito, sia uno dei pochi momenti in cui abbiamo voce in capitolo. Certo le recenti performances dei nostri politici, nazionali e regionali, hanno continuato a minare la credibilità delle istituzioni e allontanato ulteriormente la gente dalla politica, vista come fumo negli occhi in quanto portatrice di efferate diseguaglianze, come corsa volta a rimpinguare le loro tasche e quelle degli amici degli amici (e come dargli torto?) e rendere sempre più aperta la forbice tra chi ha troppo e chi nulla. Col cosiddetto governo nazionale di larghe intese abbiamo perso poi anche la possibilità di controbattere al “tanto sono tutti uguali” e ora più che mai si rendono necessarie azioni che riportino l’attenzione sui problemi reali del paese e della nostra isola in particolare e facciano ritornare nel popolo la voglia di partecipazione, che riescano a far capire che senza voto consapevole non può esistere democrazia, che non bisogna andare a votare turandosi il naso o vendendolo per un piatto di malloreddus, come abbiamo visto fin troppo ultimamente. L’obiettivo dev’essere quello di fare in modo che la gente abbia gli anticorpi culturali per difendersi dal bombardamento mediatico che lobotomizza le menti cercando di far passare il messaggio che se non hai un Rolex d’oro, un Suv, o che se non vesti Armani o non hai almeno cinque amanti sei uno stupido, di far capire quanto sia più importante essere che avere, di far crescere uomini indipendenti, che solo così si potrà arrivare davvero all’indipendenza che non dev’essere obbligatoriamente separatismo, potrebbe essere anche una forte autonomia costruita arrivando ad ottenere il quaranta per cento dei voti come capita alle regionali in Val d’Aosta, per potersi permettere di fare la voce grossa con il governo nazionale e non fare i servitori come capitato all’ultima giunta regionale, dove abbiamo dovuto sopportare anche l’offesa di vedere la bandiera dei quattro mori regalata a Berlusconi dal Psd’Az. In questo quadro non certo confortante gli intellettuali possono svolgere un ruolo importante mettendo al servizio della causa la loro attività, creando cioè nei loro blog, siti, pagine facebook, nei reading, nelle presentazioni di libri, nelle performance e negli incontri pubblici, momenti di discussione incentrando in maniera leggera ma persuasiva il focus su quella possibilità di crescita collettiva anche attraverso la creatività dei linguaggi artistici che consentono di mandare messaggi in bottiglia e spunti di riflessione anche ai più pigri. A volte è difficile trovare il tempo per tutto, (io sono il primo ad averne poco…) ma se crediamo nella possibilità del cambiamento, come diceva qualcuno, dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo, dobbiamo essere noi a cominciare la nostra “Rivoluzione umana”, ( così la chiama il filosofo giapponese Daisaku Ikeda), affinchè poi diventi quella di tutta l’umanità. Una vera rivoluzione dei valori non può che iniziare da una società orientata alle cose a una società orientata sulle persone. No bisogna aver paura di dire che fabbriche di nulla non ne vogliamo più, che solo con la bonifica dei siti inquinati ci sarebbe lavoro per molti anni e che noi vogliamo vivere di EcoAgriCulTurismo, di produzioni sostenibili, delle eccellenze che abbiamo la fortuna di saper creare!
Gianni Mascia
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Così come promesso, il cerchio si è allargato e nuovi contributi arricchiscono il dibattito. Ecco allora pubbicato un intervento dello scrittore Gianni Mascia, che viene condiviso, oltre che su questo blog, anche sui siti della Fondazione Sardinia, vitobiolchini, Tramas de Amistade e Madrigopolis (new entry).
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REMEMBER
Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni
Il sesto intervento di Salvatore Cubeddu
Il settimo intervento di Fabrizio Palazzari
L’ottavo intervento è di Vito Biolchini
Il nono intervento è di Piero Marcialis
Il decimo intervento è di Nicolò Migheli
L’undicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il dodicesimo intervento è di Franco Meloni
Chi organizza il dibattito fa crescere la società. Qualche domanda sugli intellettuali e la Sardegna di oggi
Dopo la (breve) sosta estiva, riprende l’appuntamento con i post del martedì che, oltre che su questo blog, vengono anche pubblicati sui siti della della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade e su Vitobiolchini.
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Settembre, è il momento di ripartire. L’antico calendario agricolo rivive in noi, nella voglia innata che abbiamo di riprendere le nostre attività con nuovo vigore. Ma è anche il momento di scegliere cosa fare ancora e cosa non fare più. È il momento di immaginare il futuro.
Il bilancio individuale diventa progetto collettivo per chi, in un modo o in un altro, ha deciso di mettere la propria attività intellettuale al servizio della comunità.
(L’intellettuale, dunque, o vive in un sistema di relazioni o non è tale. Esiste oggi in Sardegna questo sistema di relazioni? È abbastanza ampio, ramificato, diffuso, riconosciuto? Prevalgono le aperture o le chiusure?).
A scadenze regolari gli intellettuali pensano di servire a qualcosa, e forse è proprio così. Nelle campagne elettorali, anche soltanto per riempire un programma, la politica ha bisogno di idee, di riflessioni, di ragionamenti in grado di alimentare una realtà possibile. Idee che non possono ovviamente arrivare dal nulla, ma che sono frutto di anni di studio, di confronti, di illusioni e disillusioni, di successi (pochi) e di sconfitte (la maggior parte).
(Gli intellettuali sono coloro che conoscono la strada giusta o forse coloro che più di altri sanno dove si è sbagliato e che errori bisognerebbe non commettere? Perché se così fosse sarebbe chiaro il motivo del sempre più accentuato distacco tra gli intellettuali e la politica, o meglio tra intellettualità critica e politica: perché gli intellettuali che danno ragione alla politica non rimangono mai senza lavoro).
Anche se lo ammette con sempre maggior riluttanza, la politica ha dunque bisogno degli intellettuali, cioè di chi è in grado di collocare un’idea in un tempo (questo) e in uno spazio (il nostro). Ma gli intellettuali sono pronti oggi ad affrontare in maniera dialettica il rapporto con la politica, soprattutto in questi mesi che ci porteranno a rinnovare il nostro Consiglio regionale?
Dei limiti della politica sappiamo tutto, ma quali sono invece i limiti di chi vuole con le proprie idee e le proprie riflessioni migliorare la società? In Sardegna gli intellettuali sono all’altezza dei tempi e delle sfide di oggi?
Per tre mesi a Cagliari si è tenuto un esperimento originale: un gruppo di sei persone (Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Piero Marcialis, Fabrizio Palazzari, Franco Meloni e Vito Biolchini), costituitosi in maniera né del tutto casuale né del tutto precisa, ha condiviso riflessioni sulla realtà sarda nel corso di un incontro settimanale dalla durata molto limitata (un’ora circa), tenutosi nella sede della Fondazione Sardinia. A turno ciascuno di essi proponeva la una riflessione scritta che poi veniva condivisa nei blog e nei siti degli altri partecipanti.
(Perché in effetti l’unico criterio con il quale inizialmente si è proceduto è stato questo: era necessario che ogni partecipante avesse un blog o un sito. L’attività intellettuale può essere quindi disgiunta da un’attività di divulgazione delle idee? E quali sono oggi i canali attraverso cui queste idee vengono divulgate? Sono sufficientemente ramificati? Quante persone raggiungono? E con quali ricadute?).
Settembre, è ora di immaginare il futuro, dunque di farsi domande. E se il gruppo di sei persone si allargasse? Se ogni lunedì fossimo in dieci? Ci sarebbero più idee, è vero. Ma come coniugare la maggiore ricchezza di contributi con la necessaria snellezza degli incontri, la cui durata non può certo essere estesa in proporzione ai partecipanti?
E come selezionare i nuovi arrivati? Sempre sulla base di un loro “potere mediatico”? E di quali idee dovrebbero essere portatori i nuovi innesti? Di quelle in cui si riconoscono (seppur con le inevitabili differenze) i sei “fondatori” oppure il confronto sarebbe più proficuo mettendo sul tavolo posizioni anche disomogenee?
Organizzare il dibattito significa contribuire concretamente alla crescita la società. Questo è quello che gli intellettuali possono e devono fare oggi in Sardegna. Prima ancora di lamentarsi dei limiti della politica.
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(Alla fine una decisione è stata presa: il gruppo del lunedì verrà ampliato ad altri tre-quattro blogger, mentre una volta al mese la discussione si aprirà a contributi esterni qualificati, nel corso di incontri che saranno aperti ad un gruppo più ampio di persone).
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Nel sito di Vito Biolchini gli interventi nel dibattito
Gli OCCHIALI di PIERO
GIORNATA BUONA PER L’INDIPENDENZA DELLE NAZIONI
Malesia: 31 agosto 1957.
Trinidad e Tobago: 1962.
Kirghizistan: 1991.
NOIA
Se lo condannano cade il governo. L’hanno condannato.
Via l’IMU o cade il governo. Via l’IMU si chiama Via PAGATE TUTTI.
Se mi fanno decadere cade il governo. Mi sa che decadi…
Se cade il governo tutti a casa. Ma nessuno ci vuole andare…
E allora basta con questa tiritera, per favore.
la guerre, mon amour
Gli inglesi si smarcano, i tedeschi sono contrari, gli italiani pure, gli americani tentennano e i francesi insistono. Perchè Hollande vuole a tutti i costi che gli USA (lui non ne ha le capacità) bombardino la Siria?
Nicolò Migheli
La LAMPADA di ALADIN: fior da fiore, navigando in rete
- Il candidato alle primarie del cs Andrea Murgia: “Dalla crisi si esce soltanto creando nuova occupazione e utilizzando i fondi europei”. Il suo blog.
- Da SardiniaPost: i soldi dei sardi alla società della Santanchè
- Nicolò Migheli su L’Unione Sarda: Sàmbene sardu in venas de su re
- Iniziativa di Sardegna Ricerche: la rete dei comunicatori della scienza in Sardegna
- Il candidato alle primarie del centro sinistra Simone Atzeni intervistato da Cagliari Globalist
- I Righel Quartet ad Alghero: salutande su tramonto