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MIGRAZIONI INTERNAZIONALI

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CONTRO IL CAOS
di Pietro Greco, su Rocca*

Cinque milioni di italiani sono emigrati all’estero. Cinque milioni di stranieri sono emigrati in Italia. In fatto di migrazioni, l’Italia è un paese di mezzo. Sarebbe, dunque, particolarmente interessato a quel Global Compact sulle migrazioni firmato da 164 paesi, in sede di Nazioni Unite, a Marrakech, in Marocco tra il 10 e l’11 dicembre scorso. Eppure, tra quei 164 paesi firmatari, l’Italia non c’è.
Il governo ha voluto prendere tempo. Ma intanto il Parlamento ha deciso. Lo scorso 27 febbraio è passata a maggioranza una mozione proposta dai Fratelli d’Italia che lo impegna, il governo, sia a «non sottoscrivere il Global Compact» sia «a non contribuire in alcun modo al finanziamento del relativo trust fund». La mozione ha avuto una storia non usuale: è stata approvata con soli 112 voti favorevoli dei gruppi appartenenti a due partiti di opposizione (Forza Italia, oltre che i Fratelli d’Italia), ha ottenuto 102 voti contrari (dei deputati degli altri partiti di opposizione, Pd e Leu), mentre ha visto astenersi ben 262 parlamentari (i membri dei gruppi appartenenti ai partiti di maggioranza, M5S e Lega). Il governo, che pure dovrebbe firmare il Global Compact, non si è pronunciato.

un testo quadro
Ora non entriamo nella vicenda politica. Non è compito nostro. Diciamo solo che il Global Compact di cui stiamo parlando è un testo quadro non vincolante che tende a mettere ordine nel caos delle migrazioni internazionali. A regolarle. A vantaggio sia dei paesi di partenza sia dei paesi di arrivo, oltre che – s’intende – dei migranti stessi.
Non firmare il testo di Marrakech è quanto meno strano. Soprattutto se si è partecipato alla sua elaborazione. Ma tant’è. E sulle scelte politiche non vogliamo entrare.
Dobbiamo, tuttavia, misurarci con il fenomeno delle migrazioni. Che è un fenomeno strutturale, anche ai nostri giorni. Ma non solo ai nostri giorni. D’altra parte Homo sapiens è nato in Africa, oltre 200.000 anni fa è si è diffuso per il pianeta con una serie di migrazioni. Ma non parliamo dei tempi antichi. E non parliamo solo degli africani (alcuni dei quali sono lontani bisavoli delle popolazioni, ora bianche, d’Europa). Prendiamo il caso del nostro paese, dell’Italia. Nel suo primo secolo di unità – tra il 1861 e il 1961 – ha visto migrare all’estero 25 milioni di persone: 700 al giorno, in media, per 36.500 giorni consecutivi. Oggi la situazione non è molto cambiata. Ogni anno – negli ultimi anni – hanno lasciato l’Italia 200.000, soprattutto giovani spesso laureati: 550 al giorno, in media. Non c’è dubbio da oltre 150 anni siamo un popolo di migranti. E stabilire regole internazionali che proteggano questi giovani italiani sarebbe cosa buona e giusta. Naturalmente non si fa una legge interna- zionale per tutelare solo i migranti italia- ni. Se ne fa una per tutelare tutti i migranti, attraverso procedure ordinate che tengano conto tanto dei paesi di partenza quanto di quelli di arrivo.

tre fattori incrociati
Stiamo parlando di migranti in generale, senza distinguere tra migranti per cause di guerre e persecuzioni (chiamati refugees nella giurisprudenza internazionale), per cause ambientali (il deserto e la siccità spinge a migrare più dei conflitti armati) o per cause economiche. I tre fattori, d’altra parte, sono quasi sempre intrecciati. Non a caso la gran parte degli africani che oggi lasciano il continente e tentano di raggiungere l’Europa vengono dalla fascia del Sahel, dove le condizioni ambientali sono in rapido deterioramento a causa dei cambiamenti del clima (il lago Ciad si è quasi essiccato) e nel mare di povertà imperversano gruppi terroristici.
Già, l’Africa. Nel 1950 il continente nero era abitato da 180 milioni di persone. Oggi siamo a 1,2 miliardi e fra trent’anni saranno 2,5 miliardi. È inevitabile che con i cambiamenti del clima e in mancanza di una robusta crescita economica, una parte sterminata di africani sarà costretta a lasciare la casa dove è nato. La quasi totalità cercherà dimora e lavoro all’interno dell’Africa stessa. Ma una parte di quei migranti per necessità cercherà di raggiungere l’Europa.
È inutile cercare di elevare mura. Non solo perché, come dice papa Francesco, a restare intrappolati in quelle mura saremo noi europei. Ma perché la storia ha dimostrato che le mura e le muraglie servono a poco quando la pressione è davvero alta. Né i Romani né i Cinesi, con le loro mura e muraglia, sono riusciti a contenere l’arrivo di quei migranti dall’esterno che entrambi chiamavano «barbari».

il problema demografico
È inutile cercare di elevare mura. Ma neppure conviene. Come rilevano Stefano Allievi e Gianpiero Dalla Zuanna nel loro libro dal titolo Tutto quello che non vi hanno mai detto sull’immigrazione dal 1975 in poi in Italia si registra un calo delle nascite. E il fenomeno demografico ora è diventato anche un problema economico: gli italiani nati nell’ultima tratto del secolo scorso sono giunti in età da lavoro. E poiché sono sempre meno, c’è un buco nella popolazione in età da lavoro (20-64 anni: nei prossimi venti anni i potenziali lavoratori passeranno da 36 a 29 milioni. Un calo netto, difficile da sostenere per l’economia (e anche per la società). Ora, dicono Allievi e Dalla Zuanna, per tentare di mantenere costante questa popolazione nella fascia di età da lavoro nel prossimo ventennio dovrebbero entrare in Italia 325.000 stranieri in età da lavoro.
Riassumendo. L’Africa sta andando incontro a un formidabile aumento demografico che in cento anni (dal 1950 al 2050) la porterà da 180 milioni a 2.500 milioni di abitanti. Già oggi gli africani sono più di 1.200 milioni. I cambiamenti climatici stanno rendendo e renderanno vieppiù molte aree nel continente nero inabitabili. La spinta a migrare sarà irresistibile.
Di converso, l’Italia (ma potremmo parlare di buona parte dell’Europa) è in una fase di decrescita demografica accompagnata da un aumento della popolazione anziana. Per mantenere costante la popolazione attiva avremmo bisogno di 7 milioni di lavoratori stranieri nei prossimi venti anni.

un African Compact
A questo punto logica vorrebbe che se l’Africa offre lavoratori e l’Italia domanda lavoratori, l’offerta e la domanda si incontrassero. In maniera ordinata, nel pieno rispetto delle leggi e della dignità. Occorrerebbe, appunto, un African Compact per la migrazione.
Si dice: «non possiamo accoglierli tutti». E, infatti, nessuno pensa di trasferire in Europa 2,5 miliardi di africani. Ma sarebbe auspicabile (anche perché sarà pressoché impossibile da evitarlo) che una piccola quota parte di migranti africani trovi un’ordinata accoglienza. Dice: «meglio aiutarli a casa loro». Giusto. Ma quel è il modo migliore di aiutarli a casa loro, oltre a intensificare gli sforzi di prevenzione dei cambiamenti climatici?
Le modalità sono due. E non sono alternative. Il primo è che l’Unione Europea dia seguito a molte intenzioni dichiarate e mai realizzate per proporre un grande «Piano Marshall per l’Africa»: un massiccio piano di investimenti in grado di creare lavoro nel continente nero. Lo sta facendo, per certi versi, la Cina. Anche se il piano europeo dovrebbe essere non solo più generoso, ma anche più rispettoso delle tradizioni e delle libertà dei popoli che abitano il continente nero.
Ma un altro modo, ripetiamo complementare e non alternativo, per «aiutarli a casa loro» è ammettere in Italia (e in Europa) una quantità non elevata, ma nep- pure infinitesima, di lavoratori africani. Sono le rimesse dei migranti che aiuterebbero – che stanno già aiutando – gli africani a casa loro. Sono circa 70 miliardi l’anno le rimesse dei migranti che raggiungono l’Africa. Molto più degli aiuti internazionali, Cina inclusa. E sono soldi, come nota ancora il sociologo Stefano Allievi, nel suo nuovo libro (Immigrazione. Cambiare tutto) che non sono intercettati da politici e burocrati corrotti, ma arrivano direttamente nelle tasche delle famiglie africane. Sono soldi che stanno contribuendo a quella crescita economica che, tra mille contraddizioni e differenze tra gli oltre 50 paesi del continente, sta interessando finalmente l’Africa.
Certo, il Global Compact sulle migrazioni firmato lo scorso mese di dicembre a Marrakech da 164 paesi non è sufficiente a «cambiare tutto». Tuttavia quell’accordo è necessario. È la premessa indispensabile per trasformare le migrazioni da minaccia e occasioni di conflitto in opportunità per tutti.

Pietro Greco
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ROCCA 15 APRILE 2019
Rocca – Cittadella 06081 Assisi
e-mail rocca.abb@cittadella.org
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Migrazioni. Tragicamente. In nessun luogo al mondo muoiono nell’atto di migrare tante persone come nel Mediterraneo

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MIGRAZIONI
numeri motivi e problemi

di Pietro Greco su Rocca.

A fine giugno 2018 erano già oltre mille i migranti morti nel Mediteraneo, secondo i dati forniti dll’Unhcr, Agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di rifugiati. Dal 2014 ad oggi hanno perso la vita in quello che i romani chiamavano il Mare Nostrum, il nostro mare, all’incirca 15.500 migranti. Una media di oltre 4.000 persone l’anno. Una ecatombe.
Se un alieno proveniente da un altro pianeta avesse letto i giornali, non solo italiani, nelle ultime settimane e avesse dato credito alla quantità di spazio dedicata all’attraversamento del Mediterraneo da parte di migranti, si sarebbe fatta l’idea che quei mille morti nei primi sei mesi del 2018 sono lo scotto necessario di un assalto scomposto alla fortezza Europa e, in particolare, all’Italia.
[segue]