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Architettura Ad Alghero. Hanno ragione gli studenti, ma anche Pigliaru, al quale spetta dare impulso alla costruzione dell’Università della Sardegna
di Franco Meloni
La recente vicenda del Dipartimento di “Architettura ad Alghero” (notate la denominazione, su cui tornerò) merita una riflessione che vada oltre la richiesta del contributo regionale aggiuntivo (aggiuntivo rispetto a quanto l’Università di Sassari, a cui afferisce il Dipartimento, trasferisce alle proprie strutture interne). Sgombriamo subito il campo dalla questione contingente, dicendo che il Consiglio regionale ha fatto bene a deliberare eccezionalmente tale elargizione al fine di non danneggiare gli studenti e che bene ha fatto il presidente Pigliaru a pretendere che venisse inserita nella delibera la motivazione del contributo, con preciso riferimento alla “posizione di eccellenza raggiunta dal dipartimento”. Come ha riferito SardiniaPost, Pigliaru si è letteralmente impuntato: “Tutti sappiamo – ha detto – che Alghero sia un’eccellenza, prima in classifica in molti ranking nazionali, come il Censis, di indubbia autorevolezza. Ma quando si danno soldi pubblici, bisogna fissare una regola generale. Se quindi la ragione per la quale si finanzia Architettura è la premialità, allora lo si scriva espressamente. Questo vuol dire tutelare anche tutti quei dipartimenti e facoltà che aspirano a diventare eccellenza. A tutti vanno date pari opportunità”. Chiusa questa vicenda si apre ora quella di grande importanza che comporta un riordino del sistema universitario pubblico della Sardegna. Questione che rientra nella competenza primaria dello Stato, ma che non può vedere la Regione estranea, anche per la sua specificità, minacciata quanto sappiamo, ma tuttavia formalmente esistente di “Regione Autonoma”. Come abbiamo già detto chiaramente, il Governo italiano al riguardo ha espresso la propria determinazione: le due Università sarde devono unificarsi o associarsi in una vera federazione, con un solo consiglio di amministrazione e comuni strutture tecnico amministrative. Di questo ne sono pienamente consapevoli le dirigenze accademiche che dovrebbero concertare una linea comune con la Regione per costruire l’Università della Sardegna, con una struttura rispondente da una parte alle impostazioni del sistema universitario italiano, dall’altra alle esigenze della Sardegna. Occasione quantunque obbligata che può essere affrontata con spirito positivo e innovativo e nella ricerca di un coinvolgimento quanto mai diffuso e attivo dei territori. Cosa molto diversa da quanto si sta facendo, laddove il dibattito è sequestrato nelle segrete stanze dei Palazzi. Si crea allora una situazione che ha del paradossale: da una parte si chiede che tutto resti com’è e che si salvaguardino gli antichi privilegi, più o meno legittimi, dall’altra si tenta di costruire un discorso nuovo, che affronti la nuova situazione, ma lo si fa in modo paludato, senza parlare chiaro, se non per quanto si è costretti a giustificare per dare conto dei compromessi. Così Bibo Cecchini, che pur è un innovatore, ma che in questo caso si limita a chiedere di salvare il salvabile, sbotta annunciando le dimissioni da direttore: “tutti sanno che nel giro di pochi anni ci sarà una sostanziale unificazione dei due atenei sardi. È un lucido, insensato disegno che alcuni ambienti politico-culturali perseguono da tempo: Sassari conserverà verosimilmente soltanto Medicina, Agraria e Veterinaria, il resto sarà concentrato nel capoluogo regionale. Peccato che in questa logica di spartizione che va bene a tante persone ci sia una realtà come la nostra considerata inaffidabile perché fuori da tutti i giochi, da tutte le famiglie, da tutte le appartenenze” . Ma perché le cose devono andare come prevede Cecchini che rimarca solo le derive negative sorvolando sugli aspetti positivamente innovativi che dovrebbero poter consentire la costruzione di un buon sistema universitario della Sardegna, che ci piace riassumere nell’Università della Sardegna? Eppure lo stesso Cecchini per la vicenda di Architettura auspica una “Grande Scuola di Architettura della Sardegna nel Mediterraneo, aperta la mondo”. Tale prospettiva, che già nel presente si traduce in concrete collaborazioni tra i Dipartimenti di Architettura di Alghero e di Cagliari, risulta ben delineata nell’ottimo servizio sulla vicenda di Alghero, fatto dalla rivista on line Sardarch, che, tra l’altro, riporta due interviste a Alessandra Casu, ricercatrice del Dipartimento, la quale specifica con chiarezza il progetto di attuazione di detta Scuola e fa presente le difficoltà che insorgono rispetto all’effettiva integrazione tra le strutture dei due Atenei sardi, prevalentemente legate all’inefficiente sistema dei trasporti nella nostra Isola.
E, allora? Concludendo (per ora). Francesco Pigliaru, il presidente non il professore universitario, prenda in mano la situazione e alla luce del soìe, non appena sia stato eletto in nuovo rettore dell’università di Cagliari, avvii il processo di ristrutturazione del sistema universitario pubblico della Sardegna, che stante le interlocuzioni in corso, dovrebbe caratterizzarsi come vera federazione tra i due Atenei storici, che preveda la diffusione in tutto il territorio sardo delle sedi universitarie, pertanto, oltre che a Cagliari e a Sassari, anche nelle sedi di Alghero, Oristano, Nuoro, Olbia, Iglesias, (ne manca qualcuna?), senza duplicazioni non giustificate dalle esigenze degli studenti e dal perseguimento dell’efficienza ed efficacia dei servizi della didattica, della ricerca scientifica e dell’amministrazione. In questo quadro è probabile che la sede di Architettura permanga proprio ad Alghero. Ma sotto l’egida dell’Università della Sardegna. D’altronde, per tornare all’incipit del presente articolo, i fondatori della Facoltà (ex Facoltà, oggi solo Dipartimento, per effetto della cosiddetta riforma Gelmini) di Architettura di Alghero (che esordì come progetto di Facoltà di Architettura del Mediterraneo) hanno situato il loro progetto all’interno dell’Università di Sassari solo perché non era possibile fare cosa diversa, ma hanno cercato in tutti i modi di segnare una distinzione, quando non anche una separazione netta da quell’Ateneo, presentandosi come “AAA Architettura Ad Alghero“, evidenziando tale impostazione nel logo che la rappresenta. Non è un caso che la trattativa per il riconoscimento del contributo aggiuntivo sia stata portata avanti in prima persona dal direttore Arnaldo Bibo Cecchini e non, come sarebbe stato naturale, dal rettore dell’Università di Sassari, che forse per tali ragioni ha ben volentieri delegato!
In finale una proposta apparentemente riduttiva: la Regione e i due Atenei scelgano subito un logo che rappresenti il sistema universitario pubblico sardo, l’Università della Sardegna, magari affidandone la realizzazione alle due Architetture di Alghero e di Cagliari, anticipatamente unite nella Scuola di Architettura dell’Università della Sardegna. E si vada ovviamente avanti, con determinazione, con quanto c’è da fare verso l’Università della Sardegna! Seguiamo con attenzione e partecipazione.
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- Le foto sono tratte dal servizio giornalistico della rivista on line Sardarch