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L’Ecologia integrale dell’Enciclica di Papa Francesco Laudato si’

papa Francesc Rocca 15lug15

Preservare la prospettiva unica del Papa: l’ecologia integrale
di Leonardo Boff

Papa Francesco ha fatto un grande cambiamento nella riflessione ecologica per passare dall’ecologia ambientale all’ecologia integrale. Ciò include l’ecologia culturale sociopolitica, mentale, educativa, l’etica e la spiritualità. C’è il pericolo che questa visione integrale possa essere assimilata nel consueto discorso ambientale, senza rendersi conto che tutte le cose, la conoscenza e le istanze sono interconnesse. Cioè, il riscaldamento globale ha a che fare con la industrializzazione selvaggia, la povertà di gran parte dell’umanità è legata al modello di produzione, distribuzione e consumo, la violenza contro la terra e gli ecosistemi è una deriva dal paradigma di dominio che è alla base della nostra civilizzazione dominante già da quattro secoli, che l’antropocentrismo è una conseguenza della comprensione illusoria secondo la quale che possediamo le cose e che queste hanno l’unico senso solo in quanto servono per il nostro piacere.

Ora è proprio questa cosmologia (insieme di idee, valori, progetti, sogni e le istituzioni) che fa dire al Papa: “Non abbiamo mai offeso e maltrattato la nostra casa comune come negli ultimi due secoli” (n. 53).

Un cambio di direzione
Come superare questa strada pericolosa? Il Papa risponde: “Con un cambio di direzione” e ancora di più con la volontà di “delineare grandi percorsi di dialogo per aiutarci ad uscire dalla spirale di autodistruzione in cui stiamo affondando (n. 163). Se non facciamo nulla, andremo incontro al peggio. Ma il Papa si fida della capacità creativa degli esseri umani che, insieme, possono rendere possibile il grande ideale, “un solo mondo e un progetto comune” (n. 164).

Ben diversa è la visione imperante e imperiale prevalente nelle menti di chi controlla la finanza e la direzione politica mondiale: “un solo mondo e un solo impero”.

Per affrontare i molti aspetti critici della nostra situazione, il Papa propone l’ecologia integrale. E ne indica le giuste basi: “Dal momento che tutto è strettamente relazionato e che i problemi attuali richiedono uno sguardo che tenga conto di tutti i fattori di crisi globale, propongo che ci fermiamo ora a riflettere pensare sui diversi aspetti di una ecologia integrale che comprenda chiaramente le dimensioni umane e sociali” (n. 137).

Il presupposto teorico è derivato dalla nuova cosmologia, dalla fisica quantistica, dalla nuova biologia, in breve si tratta del nuovo paradigma contemporaneo che coinvolge la teoria della complessità e del caos (distruttivo e generativo). In questa visione lo ribadiva uno dei fondatori della fisica quantistica, Werner Heisenberg:

Tutto è relazione
“Tutto ha a che fare con tutto in tutti i punti e in ogni momento; tutto è relazione e nulla esiste al di fuori della relazione”.

Questa lettura del Papa ripetuta innumerevoli volte, costituisce il vero cantus firmus delle sue spiegazioni. Sicuramente la più bella e poetica delle formulazioni la troviamo al n. 92, dove sottolinea: “Tutto è in relazione, e tutti noi esseri umani siamo insieme come fratelli e sorelle in un meraviglioso pellegrinaggio, legati dall’amore che Dio ha per ogni sua creatura e ci lega anche tra noi, con tenero affetto, al Fratello Sole, alla Sorella Luna, al Fratello fiume e alla Madre Terra”.

Questa visione esiste da quasi un secolo, ma non è mai riuscita a vincere in politica e nell’orientamento dei problemi sociali e umani. Tutti rimangono ancora ostaggi del vecchio paradigma che isola i problemi e prevede di trovare una soluzione specifica per ogni esigenza, ignarando che questa soluzione può essere dannosa per un altro problema. Ad esempio, il problema della sterilità del terreno viene affrontato con nutrienti chimici, che, a loro volta, penetrano nel terreno e raggiungono la falda delle acque acquifere avvelenandole.

L’enciclica ci servirà come strumento educativo per appropriarsi di questa visione inclusiva e integrale. Ad esempio, come l’enciclica dice: “Quando si parla di ‘ambiente’, facciamo riferimento anche a una particolare relazione, quella tra la natura e la società che lo abita. Questo ci impedisce di considerare la natura come qualcosa di separato da noi o come una semplice parte della nostra vita. Noi siamo inclusi in essa, siamo parte di essa” (n. 139).

E continua a darci esempi convincenti: “Oggi l’analisi dei problemi ambientali è inseparabile dall’analisi dei contesti umani, familiari, il lavorativi, urbani, e dalla relazione di ogni persona con se stessa, che genera un certo modo di relazionarsi con gli altri e con l’ambiente “[n. 141].

Se tutto è relazione, allora la salute umana dipende dalla salute della Terra e degli ecosistemi. Tutte le istanze si intrecciano, nel bene e nel male. Questa è la trama della realtà, non opaca e superficiale ma complessa e altamente correlata a tutto.

Se pensassimo ai nostri problemi interni in questo gioco di inter-retro-relazioni non avremmo tante contraddizioni tra i ministeri e le azioni del governo. Il Papa suggerisce le strade in modo preciso e ci mette in grado di affrontare il nostro futuro comune.

Teilhard de Chardin aveva ragione quando negli anni ’30 del secolo scorso ha scritto: “L’era delle nazioni è passata. Il compito che ci attende, se non periamo, è quello di costruire la Terra”. Prendendoci cura della Terra con tenero affetto fraterno e nello spirito di San Francesco d’Assisi e di Francesco di Roma, possiamo proseguire “camminando e cantando”, come conclude l’enciclica, pieni di speranza. Abbiamo ancora un futuro e a noi spetta il compito di rischiararlo.
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- L’illustrazione di Papa Francesco è tratta dal periodico Rocca 15 luglio 2015.
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Preservar la perspectiva singular del Papa: la ecología integral
14/07/2015
Leonardo Boff ft microdi Leonardo Boff
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El Papa Francisco ha realizado un enorme cambio en el discurso ecológico al pasar de la ecología ambiental a la ecología integral. Esta incluye la ecología político-social, la mental, la cultural, la educacional, la ética y la espiritualidad. Existe el peligro de que esta visión integral sea asimilada dentro del discurso ambiental habitual, no dándose cuenta de que todas las cosas, saberes e instancias están interligadas. Es decir, el calentamiento global tiene que ver con la furia industrialista, la pobreza de buena parte de la humanidad está relacionada con el modo de producción, distribución y consumo, la violencia contra la Tierra y los ecosistemas deriva del paradigma de dominación que está en la base de nuestra civilización dominante desde hace ya cuatro siglos, que el antropocentrismo es consecuencia de la comprensión ilusoria de que somos dueños de la cosas y que ellas solo tienen sentido en la medida en que sirven para nuestro disfrute.

Esa cosmología (conjunto de ideas, valores, proyectos, sueños e instituciones) lleva al Papa a decir: “nunca hemos ofendido y maltratado a nuestra casa común como en los dos últimos siglos” (nº 53).

¿Cómo superar esa ruta peligrosa? El Papa responde; “con un cambio de rumbo” y todavía más con la disposición de “delinear grandes caminos de diálogo que nos ayuden a salir de la espiral de autodestrucción en la que nos estamos sumergiendo (163). Si no hacemos nada, podremos ir al encuentro de lo peor. Pero el Papa confía en la capacidad creativa de los seres humanos que juntos podrán formular el gran ideal: “un solo mundo en un proyecto común” (164).

Bien distinta es la visión imperante e imperial presente en la mente de quienes controlan las finanzas y los rumbos de las políticas mundiales: “un solo mundo y un solo imperio”.

Para enfrentar los múltiples aspectos críticos de nuestra situación el papa propone la ecología integral. Y le da el fundamento correcto: “Dado que todo está íntimamente relacionado, y que los problemas actuales requieren una mirada que tenga en cuenta todos los factores de la crisis mundial, propongo que nos detengamos ahora a pensar en los distintos aspectos de una ecología integral, que incorpore claramente las dimensiones humanas y sociales” (137).

El presupuesto teórico se deriva de la nueva cosmología, de la física cuántica, de la nueva biología, en una palabra, del nuevo paradigma contemporáneo que implica la teoría de la complejidad y del caos (destructivo y generativo). En esa visión, lo repetía uno de los fundadores de la física cuántica, Werner Heisenberg; “todo tiene que ver con todo en todos los puntos y en todos los momentos; todo es relación y nada existe fuera de la relación”.

Esta lectura la repite el Papa innumerables veces, formando el tonus firmus de sus exposiciones. Seguramente la más bella y poética de las formulaciones la encontramos en el nº 92: “Todo está relacionado, y todos los seres humanos estamos juntos como hermanos y hermanas en una maravillosa peregrinación, entrelazados por el amor que Dios tiene a cada una de sus criaturas y que nos une también, con tierno cariño, al hermano sol, a la hermana luna, al hermano río y a la madre Tierra”.

Esa visión existe desde hace ya casi un siglo, pero nunca consiguió imponerse en la política y en la orientación de los problemas sociales y humanos. Todos seguimos siendo rehenes del viejo paradigma que aísla los problemas y busca una solución específica para cada uno sin darse cuenta de que esa solución puede ser dañina para otro de los problemas. Por ejemplo, el problema de la infertilidad de los suelos se resuelve con nutrientes químicos que, a su vez, penetran en la tierra y alcanzan el nivel freático de las aguas de los acuíferos envenenándolos.

La encíclica podrá servirnos de instrumento educativo para apropiarnos de esta visión inclusiva e integral. Por ejemplo, como afirma la encíclica: “Cuando se habla de «medio ambiente», se indica particularmente una relación, la que existe entre la naturaleza y la sociedad que la habita. Esto nos impide entender la naturaleza como algo separado de nosotros o como un mero marco de nuestra vida. Estamos incluidos en ella, somos parte de ella” (139).

Y continúa dándonos ejemplos convincentes: “Hoy el análisis de los problemas ambientales es inseparable del análisis de los contextos humanos, familiares, laborales, urbanos, y de la relación de cada persona consigo misma, que genera un determinado modo de relacionarse con los demás y con el ambiente” [115].

Si todo es relación, entonces la propia salud humana depende de la salud de la Tierra y de los ecosistemas. Todas las instancias se entrelazan para bien o para mal. Esa es la textura de la realidad, no opaca y rasa sino compleja y altamente relacionada con todo.

Si pensásemos nuestros problemas nacionales en ese juego de inter-retro-relaciones no tendríamos tantas contradicciones entre los ministerios y las acciones gubernamentales. El papa nos sugiere caminos, que son certeros y nos pueden sacar de la ansiedad en la que nos encontramos frente a nuestro futuro común.

Teilhard de Chardin tenía razón cuando en los años 30 del siglo pasado escribía: “la era de la naciones ya pasó. La tarea que tenemos por delante, si no perecemos, es construir la Tierra”, Cuidando la Tierra con tierno y fraterno afecto en el espíritu de san Francisco de Asís y de Francisco de Roma, podremos seguir “caminando y cantando”, como concluye la encíclica, llenos de esperanza. Todavía tenemos futuro y vamos a irradiar.

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L’utopia di Papa Francesco
13 Luglio 2015

democraziaoggidi Francesco Cocco, su Democraziaoggi

Ideologia ed utopia sono parole ormai inusuali. Eppure non riesco a trovare termini più appropriati per definire l’enciclica “Laudato sì” di Papa Francesco. Uso il termine “Ideologia” nell’ accezione corrente per definire un sistema organico di pensiero ed “utopia” come indicazione di un orizzonte raggiungibile anche se molto distante dall’attuale modo di essere della società. Credo sia una definizione accettabile sia per i non credenti che per i credenti. Aggiungo che trattasi di un’ ideologia scientifica, naturalmente in un significato molto diverso dalla cosiddetta “scientificità” dell’ ideologia marxiana, dove la scientificità era in contrapposizione alle visioni del socialismo utopistico che erano andate affermandosi a cavallo tra il diciottesimo e diciannovesimo secolo. Nell’enciclica “Laudato sì” tale carattere nasce dal puntuale riferimento alle elaborazioni che le varie discipline sono andate enucleando sulle condizioni del Pianeta in relazione all’indiscriminato sfruttamento delle sue risorse da parte dell’ uomo.
I mass-media si sono occupati ampiamente di questo documento papale. Era difficile tacere per l’allarme in esso contenuto sui destini del Pianeta e per esso dell’Umanità. Così il pensiero di Papa Bergoglio pare svilupparsi in un‘orizzonte puramente francescano secondo l’adagio sul fraticello d’Assisi che “ parlava agli uccelli, ammansiva i lupi e gli alberi erano suoi fratelli”. Adagio che non tiene conto di quella che è stata la vera natura di San Francesco.
Il ” primo uomo dell’età moderna” lo definiva Padre Balducci nella bella biografia di qualche decennio fa. Questo richiamo forse ci consente di affermare che come San Francesco è il primo uomo dell’ età moderna così Papa Bergoglio è forse il primo uomo del XXI secolo. Il Santo d’Assisi usciva da una “corporalità chiusa”, proiettava il suo io nella natura, creava le condizioni per la nascita delle scienze naturali. Papa Bergoglio supera la visione falsa e angusta dell’uomo che di fatto si autolimita in un falso dominio della natura. Visione angusta che non sa guardare alla complessità della natura e non sa proiettarsi verso la salvaguardia degli interessi delle generazioni future.
Ideologia, quella di Papa Francesco, che è anche un grido d’allarme per le condizioni in cui l’uomo sta riducendo l’ambiente. E qui si ferma l’interersse dei mass-media. I miei molti anni mi consentono di testimoniare ben altro interesse suscitato nelle forze sociali e segnatamente nei partiti da encicliche come la “Pacem in terris” . Ricordo l’ ampia discussione nel PCI e nei sindacati per quel manifesto di pace di Giovanni XXIII. Ora silenzio. Eppure “Laudato Sì” è un ampio programma di azione sociale al quale un movimento politico che si vorrebbe richiamare all’ interesse generale della società e particolarmente a quello dei lavoratori potrebbe e dovrebbe attingere a piene mani.
Forse è proprio dalle potenzialità e dalla lungimiranza di questa enciclica che nasce il silenzio. Papa Francesco non si limita, infatti, a denunciare il baratro verso il quale stiamo facendo precipitare il Pianeta e con esso l’ umanità. Fa molto di più, indica i rimedi: “ l’umanità è chiamata a prender coscienza della necessità di cambiamenti di stili di vita, di produzione e di consumo.” Non è un generico richiamo ad uno stile di vita sobrio, antitetico a certo esibizionismo consumistico. Fa molto di più , fa specifico riferimento ai modelli di produzione. Certo non usa la locuzione “modello di produzione”, sarebbe stato uno slittamento di linguaggio verso certa elaborazione dei classici del movimento operaio. E’ chiaro però che “stili di produzione” ,anche alla luce della complessiva elaborazione dell’ Enciclica, non può che essere riferito al modello di produzione capitalistico. Per altro verso è esplicito il riferimento persino alla necessità di forme di “decrescita” per una più equa redistribuzione dei beni di cui l’umanità può disporre.
Vi pare che oggi vi sia una qualche forza politica o sindacale che possa far propri i valori dell’ Enciclica?. Gli slogan gridati nelle piazze sono di segno molto diverso e talvolta persino opposto. Forse proprio in questa contrarietà ad una visione populista sta la natura profetica dell’ Enciclica. In questo guardare alle esigenze profonde dell’ umanità va individuata la grande utopia di Papa Francesco. L’ utopia non è sempre visione dell’ impossibile , è anche capacità d’intravedere il futuro. E questa capacità di guardare al futuro è la cifra dell’ Enciclica che Papa Francesco offre all’ umanità.

Un COMMENTO
di Andrea Pubusa

Anche a me sembra che i media snobbino Francesco per le sue posizioni, che così profondamente Francesco Cocco individua e illustra. Questo Papa, come del resto già il Cristo, sta dalla parte degli umili contro i potenti e ne paga le conseguenze. D’altra parte, lui il capitale finanziario lo ha visto all’opera con tutta la sua forza devastante in Argentina, un paese ricchissimo, ridotto nella più nera miseria qualche tempo fa dai grandi potentati economici interni e stranieri.
Ha ragione Francesco Cocco quando mette in evidenza che la scarsa discussione sull’Enciclica di Bergoglio nasce dall’indeguatezza dei sindacati e dall’assenza di una sinistra seria. Il Papa sconta la stessa solitudine di Tsipras. Ci vorrebbe un movimento di opinione e di lotta a sostegno di entrambi.

Rocca luglio 2015

Laudato sì

imageLa “conversione ecologica” dovrà coniugarsi con un’industria dell’accoglienza
di Paolo Matta

Il rischio strisciante è quello di un approccio inquinato dal pregiudizio. L’enciclica Laudato sì di Papa Francesco, a una prima lettura, potrebbe essere confuso con l’ennesimo grido di appello lanciato a difesa della natura, scambiato persino col rituale manifesto ecologista, se non provenisse dall’alta cattedra petrina.

Bene si è espresso, a commento del documento papale, l’attuale Patriarca di Venezia. «Non si tratta, in alcun modo, di un’Enciclica scontata, tutt’altro! Il Papa, infatti, non si limita a indicare i dissesti ecologici e ambientali che sono sotto gli occhi di tutti, ma ricerca la radice dei problemi che li hanno prodottiConsiglio di leggere senza pregiudizi il testo – prosegue – soffermandosi in particolare sul terzo e quarto capitolo: “La radice umana della crisi ecologica” e “Un’ecologia integrale”. I titoli dicono già la volontà d’andar oltre la generica e scontata denuncia, impegnandosi in una reale fondazione del discorso a livello antropologico ed etico. Sottotraccia, emergono i grandi temi della dottrina sociale cristiana e tra essi il bene comune, la destinazione universale dei beni – e, soltanto dopo, il diritto alla proprietà – e poi i principi di solidarietà e sussidiarietà».

Enciclica che entra di diritto nella dottrina sociale della Chiesa al fianco di altre lettere dedicate a temi squisitamente morali (controllo delle nascite, aborto) o di taglio economico-sociale (rapporto capitalismo-povertà, giustizia sociale, equità salariale). Preoccupazione di Francesco, in tutta la sua elaborazione, è stata quella di delineare una ecologia “cristiana”, profondamente radicata nel nuovo umanesimo che questo Pontefice non si stanca di proporre in ogni occasione, pubblica o privata.

«L’Enciclica non parla di ecologia ambientale slegandola da quella umana. Francesco esprime un pensiero ecologico che mai cede alla deriva ideologica, rimanendo sempre in dialogo con tutta la realtà», sono ancora parole del Patriarca di Venezia.

Questa, in sintesi, la conversione ecologica invocata da Papa Francesco nell’Enciclica. Un testo ampio, lungamente riflettuto, non «da un Papa in solitudine, ma con la collaborazione di molte persone», ha detto il direttore della sala stampa vaticana, padre Federico Lombardi, nella conferenza di presentazione.

E al di là delle mille definizioni che verranno correlate a questa iniziativa del Papa, quella di condivisa appare la più pertinente. Perché un’Enciclica è sempre stata una sorta di motu propriodel Successore di Pietro, seppure sottoposta al vaglio dei vari dicasteri. Bergoglio, già con la Lumen fidei scritta a quattro mani con Benedetto XVI, rompe anche questa impostazione monocratica, condividendo la Laudato si’ con una rete di co-estensori dell’enciclica, per la prima volta citando in una nota dell’enciclica il maestro spirituale islamico sufi Ali Al-Khawwas.

«Un documento di rilevanza ecclesiale, preparato in modo nuovo. Da circa un mese, approfittando dei moderni mezzi di comunicazione il Papa ha operato per una promulgazione dell’Enciclica insieme ai vescovi di tutto il mondo, grazie all’invio, via mail di diversi passi del documento in varie fasi», ha riferito ancora padre Federico Lombardi.

Ancora troppo fresco l’inchiostro di questa Lettera per esplorazioni in profondità e argomentazioni a commento. Fra i tanti, ci sono pagine che sembrano scritte per la Sardegna o, più semplicemente, applicabili alla nostra realtà locale. Quando si parla di salvaguardia del territorio e dell’ambiente, ma soprattutto del rapporto turismo-cultura-grandi eventi e residenzialità quotidiana.

Quella invocata conversione ecologica dovrà allora coniugarsi con un’industria dell’accoglienza che – oggi più che ieri – conosce prospettive e domande differenti: la riscoperta e valorizzazione, a mo’ di esempio, del “turismo lento“, fatto di cammini, itinerari, percorsi naturalistici e insieme spirituali, può essere una prima, immediata risposta e applicazione concreta di questa intuizione di Francesco. Ancora, in gran parte, tutta da scoprire.

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Una lettura critica dell’Enciclica

di Paolo Cacciari

Eddyburg.it 23 Giugno 2015. I molti meriti di un documento di eccezionale rilievo che non arriva però «a condividere l’“ecologia profonda” teorizzata dagli ecofilosofi – per primo da Arne Naess – portatori di una critica radicale all’utilitarismo antropocentrico, oltre che al “pragmatismo utilitaristico”». Dopo mezzo secolo dalla Primavera silenziosa della Carson (1964), dai Limiti della crescita del Club di Roma (1968), dalle teorie sulla dinamica dei sistemi complessi di Bateson, di Capra e di Commoner, per non ricordare gli scafali ricolmi di studi delle agenzie scientifiche internazionali sul collasso dei principali cicli bio-geo-chimici del pianeta, le scienze ecologiche varcano i sacri sogli della Chiesa romana. L’enciclica di Bergoglio è innanzitutto un omaggio – esplicito in molti passaggi – alle scienze naturali e ai movimenti sociali che le hanno sorrette.

La parte centrale è un meticoloso compendio di tutte le battaglie ecologiste in corso: “Il movimento ecologico mondiale ha già percorso un lungo e ricco cammino e ha dato vita a numerose aggregazioni di cittadini che hanno favorito una presa di coscienza” (§ 13, § 166). Il popolo ambientalista, quindi, non può che rallegrarsi ed entusiasmarsi nel constatare che un papa si preoccupa dei “corridoi ecologici”, del traffico automobilistico privato nelle città, della rotazione delle colture… solo per ricordare alcuni degli esempi tra i tanti trattati nell’enciclica Laudato sì. Irrisi come catastrofisti retrogradi, romantiche anime belle e via dicendo, è venuto il momento della rivincita per tutte quelle persone, quei comitati, quelle associazioni che hanno fatto della difesa della qualità dell’ambiente naturale e della salute la ragione principale del loro impegno civile.

Il “saccheggio della natura” (§ 192) ha inghiottito l’umanità in una “spirale di autodistruzione” (§ 163). “Le previsioni catastrofiche ormai non si possono più guardare con disprezzo e ironia” (§ 161). “L’umanità del periodo post-industriale sarà forse ricordata come una delle più irresponsabili della storia” (§ 165). “Mai abbiamo maltrattato e offeso la nostra casa comune come negli ultimi due secoli” (§ 53). E potremmo continuare citando giudizi che non ammettono scuse sui “crimini contro la natura” (§ 8) commessi dagli umani contemporanei.

Ma c’è di più. Bergoglio va molto oltre il tradizionale ambientalismo in auge nei paesi ricchi e lo stesso movimento politico “verde” troppo spesso portatori di una visione della questione ecologica separata da quella sociale. Crisi ambientale e sofferenza degli esclusi, dei poveri, degli “scarti umani” sono visti dalla enciclica in “intima relazione” (§ 16). Ambiente umano e ambiente naturale si degradano o si salvano assieme.

Bergoglio sente la necessità di accostare sempre al sostantivo “ecologia” l’aggettivo “integrale”, nel doppio senso di ecologia integrata alle dimensioni umane e sociali e di ecologia opposta a quella “superficiale” (§ 59) di facciata, evasiva, che non incide sulle cause del degrado ambientale e che non tiene conto delle connessioni funzionali tra tutte le forme di vita del pianeta: “Il nostro stesso corpo è costituito dagli elementi del pianeta” (§ 2). Biologia e Libro della Genesi sono in sintonia: “Noi stessi siamo terra”. Da qui la constatazione che: “L’interdipendenza ci obbliga a pensare a un solo mondo, ad un progetto comune” (§ 164).

Niente di meno che una “conversione ecologica globale”(§ 5) e una “conversione comunitaria” (§ 219) capaci di “eliminare le cause strutturali” del degrado ambientale che si trovano nelle relazioni sociali, nei comportamenti individuali, nel sistema normativo, nelle “forme del potere derivate dal paradigma tecno-economico” (§ 53) dominate e performante la cultura delle persone. Insomma, Bergoglio pensa che: “Ciò che sta accadendo ci pone di fronte all’urgenza di procedere in una coraggiosa rivoluzione culturale” (§ 114) che investe tutti i campi dell’agire umano e – prima ancora – della capacità del genere umano di pensarsi su questa terra, di dare un senso alla vita di ogni essere umano. “Semplicemente si tratta di ridefinire il progresso” (§194).

Non sono richiesti piccoli aggiustamenti. Con buona pace dei sostenitori della green economy, delle smart cities e degli altri business verdi, Bergoglio sferra una spallata definitiva all’ambigua parola d’ordine della “crescita sostenibilità” che tiene banco nelle agenzie dello sviluppo economico da decenni: “La crescita sostenibile diventa spesso un diversivo e un mezzo di giustificazione che assorbe valori del discorso ecologista all’interno della logica della finanza e della tecnocrazia, e la responsabilità sociale e ambientale delle imprese si riduce per lo più a una serie di azioni di marketing e di immagine” (§ 194). “Quando si parla di ‘uso sostenibile’ bisogna sempre introdurre una considerazione sulla capacità di rigenerazione di ogni ecosistema nei suoi diversi settori e aspetti” (§ 140).

La valutazione degli impatti ambientali va svolta seriamente. Il principio di precauzione va applicato rigorosamente. “Non basta conciliare, in una via di mezzo, la cura per la natura con la rendita finanziaria, o la conservazione dell’ambiente con il progresso. Su questo tema le vie di mezzo sono solo un piccolo ritardo nel disastro” (§ 194). Non ci può essere compromesso tra i valori intrinseci degli esseri viventi (tutti: piante e animali non umani compresi) e loro valorizzazione economica, monetaria. Il dilemma tra salute e denaro a cui quotidianamente il sistema industriale costringe ognuno di noi come produttore o come consumatore o come abitante è respinto al mittente e risolto senza tentennamenti a favore della preservazione della vita.

Le forti e inedite parole del Papa sicuramente serviranno a scuotere molte centinaia di migliaia di persone in tutto il mondo, non solo tra i credenti cristiani, portandole a rafforzare le fila di quanti si battono per la giustizia ambientale e sociale, a partire dalle mobilitazioni in vista della Conferenza delle parti prevista a Parigi in dicembre per riscrivere il protocollo di Kioto. Ma – mi chiedo – riusciranno a far breccia anche nelle menti e nei cuori dei potenti della terra?

I repubblicani di Washington hanno già fatto sapere che lo stile di vita degli statunitensi non cambierà certo per le suggestioni che provocano le Laudi a Dio di un santo vissuto qualche secolo fa da questa parte dell’Atlantico ad Assisi. E temo che non si faranno commuovere nemmeno le plutocrazie finanziarie che tengono i fili dei governi nazionali attraverso il debito, il ricatto occupazionale, i media e quant’altro è in loro possesso. Non solo per la loro insensibilità etica e morale, ma perché penso che le tesi della enciclica, nonostante la loro novità e forza, siano ancora al di sotto del bisogno.

I punti di attacco che papa Bergoglio indica per avviare la necessaria “rivoluzione culturale” sono due: il superamento del “paradigma tecno-economico”, più e più volte nominato (§ 53), e la fuoriuscita dal “paradigma utilitaristico” (§ 215) dalla “ragione strumentale (individualismo, progresso indefinito, concorrenza, consumismo, mercato senza regole)” (§ 210). Il primo riguarda l’organizzazione politico-economica della società mondializzata, il secondo l’antropologia sociale. In tutti e due i casi il capo della Chiesa sembra non volere arrivare al nocciolo della questione e giungere a nominare la bestia che scatena l’apocalisse: la logica economica del capitalismo e il suo presupposto antropologico: l’individualismo possessivo dell’homo oeconomicus.

Ho l’impressione che in alcuni discorsi precedenti e nella esortazione Evangelii Gaudium dello scorso anno (vedi Tornielli e Galeazzi, Papa Francesco. Questa economia uccide, Piemme, 2015), papa Bergoglio fosse andato più in là. Nella nuova enciclica vengono evidenziate le aporie fondamentali del mercato e delle tecno-scienze, ma non mi pare che se ne colga la loro origine nel sistema di relazioni sociali e umane che il capitalismo (mai nominato nell’enciclica, in nessuna delle sue forme più o meno liberiste) determina. E’ certo importantissimo affermare che: “L’ambiente è uno di quei beni che i meccanismi di mercato non sono in grado di difendere o di promuovere adeguatamente”. E che: “occorre evitare una concezione magica del mercato, che tende a pensare che i problemi si risolvano solo con la crescita dei profitti delle imprese o degli individui.” (§ 190).

Ma la debolezza del ragionamento di Bergoglio sta nel non chiedere esplicitamente il superamento dei meccanismi di dominio che la concentrazione del potere economico determina sul genere umano. Bergoglio sembra molto più preoccupato dell’attività di una generica e impersonale “tecnocrazia” che non della plutocrazia che domina il mondo ai vertici di poche centinaia di multinazionali che controllano l’80% della produzione di ricchezza del pianeta.

Non sono solo la “rendita finanziaria che soffoca l’economia reale” (§ 109), nemmeno il “profitto economico rapido” (§ 54) e il “consumismo compulsivo” (§ 203) che impediscono di transitare verso una società responsabile, più equa e armoniosa, ma i principi e le logiche stesse che reggono l’economia di mercato capitalistico: la mercificazione delle risorse naturali e l’alienazione del lavoro umano, l’accumulazione monetaria e la privatizzazione dei profitti, la concentrazione dei poteri. Senza queste precisazioni, senza nominare quali sono i gruppi ai vertici delle istituzioni economiche e finanziarie, private e pubbliche, che formano “la minoranza che detiene il potere” (§ 203), il sacrosanto bisogno di costruire “un’altra modalità di progresso e di sviluppo” (§ 191) rischia di rimanere una perorazione astratta.

Così come, sul versante più culturale, Bergoglio sembra volersi collocare a metà strada: oltre l’ambientalismo main stream, ma senza arrivare a condividere l’“ecologia profonda” teorizzata dagli ecofilosofi – per primo da Arne Naess – portatori di una critica radicale all’utilitarismo antropocentrico, oltre che al “pragmatismo utilitaristico” (§ 215). Bergoglio afferma che siamo in presenza di un “antropocentrismo deviato” (§ 119) e “dispotico” (§ 68), derivante da una cattiva interpretazione del Libro della Genesi. “Una interpretazione inadeguata dell’antropologia cristiana ha finito per promuovere una concezione errata della relazione dell’essere umano con il mondo. Molte volte è stato trasmesso un sogno prometeico di dominio sul mondo (…). Invece l’interpretazione corretta del concetto dell’essere umano come signore dell’universo è quella di intenderlo come amministratore responsabile” (§116).

Una espressione molto vicina a quella che Gandhi usava per definire l’economia fiduciaria: trustee ship. “Oggi la Chiesa non dice in maniera semplicistica che le altre creature sono completamente subordinate al bene dell’essere umano, come se non avessero un valore in sé stesse e noi potessimo disporne a piacimento” (§ 68). Ma, aggiunge Bergoglio: “Questo non significa equiparare tutti gli esseri viventi e togliere all’essere umano quel valore peculiare che implica allo stesso tempo una tremenda responsabilità”. Più avanti nella Laudato sì si chiarisce il concetto ancora più esplicitamente: “il pensiero cristiano rivendica per l’essere umano un peculiare valore al di sopra della altre creature” (§ 119).

La preoccupazione della Chiesa romana continua ad essere quella di non “cedere il passo a un biocentrismo” (§ 118) e ad una “divinizzazione della terra” (§ 90), come fu già con Ratzinger che, nella Caritas in vertate, si scagliava contro gli “atteggiamenti neo pagani” di chi pensa che la natura sia un tabù intoccabile. Non si tratta, ovviamente, di adorare “lo frate sole”, “sora luna e le stelle”, “sor’aqua” e “frate focu”, ma di riconoscere – come fa la bioeconomia – che il sistema economico e sociale umano è un sottosistema dipendente da quello naturale. Trattare la biosfera con una certa sacralità non nuocerebbe affatto alla causa della sua conservazione.

La critica che Bergoglio muove all’antropocentrismo non arriva al superamento della visione gerarchica specista del creato. Quell’edificio a piramide ben descritto da Max Horkheimer (Crepuscolo, 1933) “la cui cantina è un mattatoio e il cui tetto è una cattedrale”. Nel Compendio della dottrina sociale della Chiesa, del Pontificio Consiglio della giustizia e della pace, c’è ancora scritto: “Credenti e non credenti sono generalmente d’accordo nel ritenere che tutto quanto esiste sulla terra deve essere riferito all’uomo, come suo centro e a suo vertice”.

Nonostante notevolissimi passi avanti anche lessicali (il modo tradizionale di scrivere “uomo” in rappresentanza di tutta l’umanità è stato abolito a favore della locuzione “essere umano”, più rispettosa delle donne) e nonostante gli influssi di Francesco d’Assisi, l’“etica ecologica” e la “spiritualità ecologica” (§ 216) di Bergoglio, non si avvicinano ancora all’“etica della terra” auspicata da Aldo Leopol (Almanacco di un mondo semplice) e nemmeno al bio-umanesimo dei movimenti latinoamericani che hanno ispirato la costituzione dell’Ecuador e dotato Pacha Mama di diritti inviolabili.

La transizione dall’attuale economia predatoria alla auspicata “cultura della cura” (§ 231) dei beni comuni del creato e il superamento dei paradigmi tecno-economici oggi prevalenti (la crescita per la crescita, il consumismo come compensazione alla perdita di senso del lavoro) potranno avvenire solo se si abbatteranno le relazioni di potere asimmetriche che si determinano nei rapporti tra le persone: tra le ricche e le povere, tra quelle incluse ed quelle escluse, tra quelle libere e quelle subordinate. Democrazia è un’altra parola che non compare nell’enciclica. Eppure è difficile pensare ad un percorso di liberazione umana che non abbia la centro le istanze dell’autogoverno e dell’autodeterminazione, secondo l’incontenibile desiderio di libertà che vi è in ognuno essere umano. Un conflitto permanente è in corso. Va riconosciuto e aiutato, perché, ha ragione Bergoglio: “mentre l’ordine mondiale esistente si mostra impotente ad assumere responsabilità, l’istanza locale può fare la differenza” (§179).

Le buone pratiche di sostenibilità individuali e familiari sono prese in grande considerazione dalla enciclica. Per due motivi: primo, “La felice sobrietà (…) vissuta con libertà e consapevolezza, è liberante” (§ 223, § 224), aiuta a diminuire le ansie competitive e a trovare il tempo per realizzare i propri autentici bisogni; secondo, creano “reti comunitarie” (§ 219) che aiutano a formare le trame di relazioni della nuova società. In questo contesto Bergoglio giunge anche a sperare che sia “arrivata l’ora di accettare una certa decrescita in alcune parti del mondo procurando risorse perché si possa crescere in modo sano in altre parti del mondo” (§ 193). Una decrescita vista solo in termini meramente redistributivi, anche se viene auspicato che possano sorgere “nuovi modelli di progresso (…) la qual cosa implica riflettere responsabilmente sul senso dell’economia e sulla sua finalità” (§ 194).

In definitiva, l’irruzione della questione ambientale nella Chiesa mette a nudo le contraddizioni di un sistema economico naturalmente insostenibile e umanamente insopportabile, per il carico di sofferenze e ingiustizie che comporta. Chiama cattolici e non ad attivarsi per superare le cause strutturali e culturali che determinano questo pericoloso stato di cose. Lascia aperte le porte per sperimentare le vie di uscita possibili. E non si potrebbe chiedere di più.
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Da SardegnaSoprattutto