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DIBATTITO. Riforma del welfare per contrastare la crisi e la povertà diffusa

lucchettoPubblichiamo il testo integrale dell’intervista che l’economista Chiara Saraceno ha concesso al giornale “Il manifesto”. Si parla di reddito minimo garantito per tutti, di riforma del sistema degli ammortizzatori sociali. Per diversi motivi tali argomenti sono quasi dei tabù sia per la destra che per la sinistra. In realtà per molti sono una delle poche azioni utili da realizzare per contrastare la crisi e la crescente povertà diffusa. Non mi pare se ne sia parlato abbastanza nella campagna elettorale sarda. Se ne parla poco e niente nei piani strategici di Letta e Renzi ma soprattutto, come denuncia la Saraceno, sembra prevalere la logica della “pezza” per sostenere questa o quell’altra emergenza sociale (esodati, cassaintegrati, elettrolux ecc) piuttosto che quella di una organica riforma del welfare intesa anche come strumento per contrastare la crisi e la povertà diffusa. Aladin vorrebbe avviare un dibattito sull’argomento (v.to.).sedia di van gogh
CHIARA SARACENO (PRESIDENTE COMMISSIONE D'INDAGINE SULL'ESCLUSIONE SOCIALE)
La sociologa Chiara Saraceno
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“La soluzione è il reddito minimo”
— Antonio Sciotto, il manifesto, 11.2.2014
Chiara Saraceno. La sociologa: basta con ammortizzatori frammentati, serve una grande riforma. «La commissione messa su dal ministro Giovannini ha fallito. Troppi veti e tanti pasticci: affossato il sussidio, hanno finanziato l’Imu»

Carte alla mano – alcune frutto dell’ultima com­mis­sione gover­na­tiva, pra­ti­ca­mente fal­lita, di cui ha fatto parte chia­mata dal mini­stro Gio­van­nini – Chiara Sara­ceno non ha dubbi: l’unica solu­zione per la povertà ita­liana sarebbe una grande riforma che intro­duca il red­dito minimo e ridi­se­gni in modo serio, alla scan­di­nava o alla tede­sca, il sistema degli ammor­tiz­za­tori sociali, cassa inte­gra­zione inclusa. «Fuori dalle stesse resi­stenze dei sin­da­cati, che pure oggi al red­dito minimo si stanno aprendo, e fuori dalle pro­te­ste che ogni pic­colo grup­petto, quando acqui­si­sce un pez­zet­tino di wel­fare, anche se è imper­fetto, lo difende con le unghie e con i denti a danno dell’intera col­let­ti­vità». Paure auto­con­ser­va­tive sicu­ra­mente indotte dalla crisi, ma che non ci fanno progredire.
Lei parla di un sistema bloc­cato, e la com­mis­sione sul Sia – il soste­gno di inclu­sione attiva – messa su da Gio­van­nini, che pro­met­teva almeno un avvio del red­dito minimo, è naufragata.
Il Sia non è pas­sato, io ritengo pur­troppo quell’esperienza fal­lita, anche se al mini­stero la vedono diver­sa­mente. La nuova carta acqui­sti si spe­ri­menta solo in alcuni comuni, men­tre ci è stato impos­si­bile assor­bire quella vec­chia nella attuale, per il veto posto da chi ne bene­fi­cia. Siamo il paese delle con­trad­di­zioni: ci si dice che non ci sono soldi per il red­dito minimo, che nella sua forma ini­ziale sarebbe costato 1,5 miliardi, e poi si tro­vano risorse più alte per il pastic­cio dell’Imu. E per­ché le ere­dità sotto i 300 mila euro non sono tassate?
Il red­dito minimo potrebbe aiu­tare le cate­go­rie oggi escluse dai sus­sidi come gli ammor­tiz­za­tori sociali?
Sarebbe l’unica solu­zione, anche per­ché con il pro­lun­garsi della crisi abbiamo notato che gli stru­menti clas­sici non fun­zio­nano più. Fino al 2010 nono­stante la disoc­cu­pa­zione aumen­tasse, gli indi­ca­tori di povertà erano piut­to­sto sta­bili: e que­sto gra­zie agli stru­menti di soste­gno al red­dito come la cassa, e alla soli­da­rietà fami­liare, molti hanno dato fondo ai risparmi. Poi, dal 2011, c’è stato un improv­viso impen­narsi dei dati rela­tivi al biso­gno e all’indigenza: e que­sto mostra che in una società come la nostra, gli stru­menti attuali, iper-frammentati, non bastano più.
Ser­vi­rebbe una riforma a suo parere?
Ci vor­rebbe una riforma di largo respiro, con due pila­stri fon­da­men­tali ben distinti. Ok alla cassa inte­gra­zione, come all’indennità di disoc­cu­pa­zione. No alla cassa in deroga e discu­tiamo dell’opportunità della straor­di­na­ria: ma devono essere stru­menti soste­nuti da imprese e lavoro, ed estesi a chiun­que lavori. Il secondo pila­stro invece, soste­nuto dalla fisca­lità gene­rale, dovrebbe essere il red­dito minimo.
Nel caso di Elec­tro­lux si chiede alla fisca­lità gene­rale di soste­nere la decon­tri­bu­zione dei con­tratti di soli­da­rietà. Un com­pro­messo per non tagliare i salari.
È impor­tante non tagliare i salari, ma io sono in gene­rale con­tra­ria, lo ripeto, a que­sto sistema fram­men­tato di ammor­tiz­za­tori, che poi prende i soldi pub­blici per tap­pare i buchi, a seconda delle emer­genze. Oggi può essere la cassa in deroga, domani gli eso­dati, dopo­do­mani appunto i lavo­ra­tori di Elec­tro­lux: tutte per­sone da tute­lare cer­ta­mente, ma poi io posso pro­te­stare per­ché quelli sono stati sal­vati e io invece no. E allora, fac­ciamo una grande riforma che strut­tu­ral­mente tenga den­tro tutti.
Quanto dovrebbe essere, ideal­mente, un red­dito minimo dignitoso?
Non è facile rispon­dere, noi stessi abbiamo discusso a lungo. Dipende ad esem­pio se vivi al nord o al sud, se in una pic­cola o grande città. In Ger­ma­nia ad esem­pio è sui 350–400 euro, ma poi hai sus­sidi sugli affitti o una casa popo­lare. Da noi, attual­mente, l’inabilità per gli inva­lidi civili è di 275 euro al mese; l’assegno sociale per gli over 65 è di 631 euro, e la nuova social card va dai 231 ai 404 euro, a seconda dei com­po­nenti fami­liari. Certo non sono cifre su cui puoi scia­lare: ma tanto cam­bie­rebbe se si assi­cu­rasse l’alloggio, e soprat­tutto la qua­lità dei ser­vizi e del welfare.
Il rap­porto Istat evi­den­zia che siamo ormai arri­vati alla pres­sione fiscale sve­dese, ma con ser­vizi imparagonabili.
Ma infatti l’assurdo è che negli ultimi anni la pres­sione fiscale è aumen­tata, men­tre i ser­vizi sono peg­gio­rati, soprat­tutto a causa dei tagli e dei vin­coli posti dal patto di sta­bi­lità. Quello che pesa soprat­tutto nel nostro sistema fiscale sono due fat­tori: il primo è l’alto livello dell’evasione, che costringe gli one­sti a pagare per tutti; il secondo è il debito pub­blico. Senza con­tare ovvia­mente la cor­ru­zione: ma almeno in pas­sato, veni­vano assi­cu­rati anche i ser­vizi. Oggi mi pare che i fatti di cro­naca testi­mo­nino che le maz­zette girano ancora, ma a pagare i vin­coli di spesa sono solo i cit­ta­dini, che si vedono tagliare i servizi.
La ripresa, la «luce in fondo al tun­nel» di cui parla il governo, lei la vede?
Ma magari una pic­cola ripresa è pure comin­ciata, e forse l’economia len­ta­mente si ripren­derà, anche se al momento non sem­bra ai livelli degli altri paesi. Il pro­blema vero è che, come prima della crisi vive­vamo in una situa­zione di cre­scita dell’occupazione senza cre­scita eco­no­mica, nel pros­simo futuro, allo stesso modo, potremo assi­stere alla cre­scita dell’economia senza nuova occu­pa­zione. E a farne le spese saranno tutti coloro che hanno perso il lavoro in que­sti anni, soprat­tutto i gio­vani di bassa qua­li­fica o gli over 45 espulsi dal mer­cato, privi di nuove com­pe­tenze: per loro il lavoro che è andato via, non tor­nerà più.
Quale solu­zione vede? Emigrare?
Credo che dovremmo creare un futuro per tutte que­ste per­sone, che non può stare solo nei sus­sidi. Inve­stiamo ora per creare lavoro, dopo che sarà pas­sata la bufera.