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Intervento di Fernando Codonesu
Governo, Europa, elezioni regionali e comunali
di Fernando Codonesu
Governo e dintorni
Da tempo su questo ed altri blog compaiono interventi interessanti sul che fare nei confronti del governo Salvini-Di Maio, formalmente noto come governo Conte, se sia necessario ricostruire un fronte contro il “fascismo strisciante” o comunque contro quella patente di destra tout court, attribuita con troppa fretta a tutta la breve esperienza di questo governo con tutti gli atti che ne sono seguiti fino a questo momento, ovvero armarci per un’opposizione quale che sia ma senza quartiere, oppure se sia il caso di analizzare i diversi atti compiuti fino a questo momento, distinguerne alcuni in quanto portatori di contenuti, aspirazioni e metodologie di sinistra (per esempio il reddito di cittadinanza, ancorché sarebbe più corretto chiamarlo REI allargato o qualcosa di simile, perché il reddito di cittadinanza ha altri presupposti teorici oltre alla necessità di risorse economiche ben più rilevanti di quelle messe in campo dal governo 5S-Lega e di una cornice geografico-politica almeno a carattere europeo), e combatterne altri, palesemente di destra, come la questione dei migranti e delle migrazioni in genere volutamente ridotta a esclusivo problema di sicurezza da parte di Salvini che, comunque, ha solo amplificato un percorso ben delineato e tracciato dal precedente ministro Minniti del PD.
Nessuna opposizione preconcetta, ma per dirla con Tonino Dessì che sul tema è intervenuto più volte in maniera puntuale, credo che sia opportuno entrare nel merito di ogni provvedimento, senza sconti nei confronti di chicchessia, ma anche senza pregiudizi di alcun tipo.
Così quando si analizza il tema del “reddito di cittadinanza” mi pare opportuno segnalarne l’aspetto di sinistra, il venire incontro al problema della povertà che si è allargato oltre misura nei 10 anni della crisi che, affrontata con un indirizzo esclusivamente dettato dall’austerità di stampo europeo e da politiche economiche liberiste pienamente fatte proprie dai governi precedenti, da Berlusconi, passando per Prodi, per arrivare agli ultimi quattro, Monti, Letta, Renzi e Gentiloni, hanno peggiorato sempre di più la situazione.
Tensioni nel governo
Sono più che evidenti e nascono principalmente dal fatto che i contraenti del contratto hanno ben poche cose in comune. Dal mio punto di vista sono due forze diverse in tutto e rappresentano interessi e blocchi sociali non conciliabili, ma sappiamo come si è arrivati al contratto di governo e ce ne dobbiamo fare una ragione, sapendo che il conflitto oggi controllato e governato è destinato ad esplodere nel breve periodo, se non altro per interesse di stampo elettorale.
Da un lato le popolazioni del Nord e le imprese, prima tra tutte la Confindustria di Boccia per la sua stessa recente dichiarazione, che hanno nella Lega il proprio riferimento politico e nella flat tax la principale richiesta, dall’altro il Sud e le Isole, con la disoccupazione e la povertà dilagante che hanno premiato il M5S alle elezioni e fanno affidamento sul reddito di cittadinanza.
Purtroppo non si tratta di dissapori e fraintendimenti, ma come già detto si tratta di politiche e di blocchi sociali diversi. Per tali motivi il contrasto già molto marcato sulle grandi opere, sulla riforma della prescrizione, sul rallentamento se non il boicottaggio del reddito di cittadinanza sono destinati ad inasprirsi fino a portare all’inevitabile crisi di governo, crisi che avverrà probabilmente in due fasi temporali. La prima nelle settimane immediatamente successive alla tornata delle elezioni regionali quando probabilmente avremo un rafforzamento della Lega e un indebolimento dei 5S. La seconda fase della crisi all’esito delle elezioni europee, quando la Lega forte del suo risultato avrà le carte in mano per staccare la spina al Governo e andare a nuove elezioni con tutto il centrodestra al suo fianco: gli resterà da decidere solo il momento più favorevole.
Per questo, tra i due contendenti Di Maio e Salvini, il più debole, quello che ha solo da perdere è Di Maio se non riesce a portare a casa risultati tangibili già prima delle elezioni regionali.
L’assurdo di questo scenario è che non esiste l’opposizione. Sono le due stesse forze di governo, che a giorni alterni, in funzione dei provvedimenti messi sul tavolo si fanno opposizione vicendevolmete.
Regionali e non solo
Noi abbiamo di fronte le elezioni regionali, ma non solo, ci sono quelle europee che a mio avviso sono più importanti che mai, ma non bisogna dimenticare le recenti elezioni in Trentino Alto Adige, con la schiacciante vittoria del centrodestra unito e l’esploit della Lega, le prossime elezioni nelle altre tre regioni Italiane Piemonte, Basilicata e Abruzzo, e per quanto ci riguarda le probabili elezioni nel comune di Cagliari, a seconda delle scelte del sindaco Zedda, nonché le probabili nuove elezioni a Roma, a seconda dell’esito del processo alla sindaca Virginia Raggi.
Ecco, credo che sia opportuno dire qualcosa anche su questi temi per comprendere pienamente l’importanza delle nostre elezioni regionali.
La lezione del Trentino
La lezione che si trae dal Trentino è fin troppo elementare: dopo venti anni di governo del centrosinistra la destra unita ha vinto senza sforzo. La destra nelle scadenze elettorali è sempre in grado di unirsi. Si dirà che varie componenti della destra sono unite dalla sete di potere da interessi di parte. Ora, anche questo può essere, ma non dimentichiamoci che la parte in commedia di tutti i partiti e movimenti è sempre quella di rappresentare una parte, mai il tutto: non accade così anche quando si parla delle grandi religioni? Anche loro, anche quelle che si rifanno all’unico Dio, rappresentano una parte anche se parlano di universalità e spesso hanno soggiogato altri popoli (e continuano a farlo) nel nome dell’unico Dio rappresentato da una delle parti.
La sinistra no, non sa mai unirsi e continua ad imparare poco o niente non solo dalla storia che è cosa alquanto difficile perché impone di studiare e lo studio costa tempo, molto, troppo per alcuni, ma neanche dalla cronaca recente e questo dovrebbe essere più facile, eppure non si impara mai a sufficienza. La maledizione della sinistra è che si arriva alle scadenze elettorali con partiti, forze e movimenti che sono sempre più caratterizzate da una voglia infinita di divisioni, distinguo spesso incomprensibili anche agli addetti ai lavori, per cui si perde e mi pare che stando così le cose sia giusto così: peccato che ci rimettano sempre i soliti noti, i lavoratori, i pensionati, le donne e gli strati sociali più deboli. Se non si riesce ad essere credibili unendo le forze su alcuni punti programmatici chiari, che possono essere condivisi da larghi strati della popolazione e dell’elettorato, è chiaro che si è condannati alla mera testimonianza, ma è la sinistra che si autocondanna all’estinzione, non si tratta di meriti della destra. Questa è a mio avviso la lezione che ci viene dal Trentino Alto Adige.
Al riguardo, ricordo che manca ancora il Piemonte, credo che verrà conquistato con la prossima consultazione elettorale, e la destra governerà in tutto il Nord Italia, cioè nella zona del paese che sta meglio di tutta l’Europa, Germania compresa. Europa a due velocità?
Certo che c’è un’Europa a due velocità, così come c’è un’Italia a due velocità e la Sardegna, ahinoi, è nella seconda.
Europa, euro, Draghi, Merkel e possibili scenari
Nel 2019 Draghi lascerà la BCE e nel 2021 Angela Merkel uscirà dallo scenario politico europeo.
Si tratta di due brutte notizie perché queste figure, con ruoli e responsabilità diverse, hanno lavorato per l’Europa, specialmente Draghi, giacché la Merkel pur guardando il giardino europeo si è preoccupata soprattutto di curare il suo orto tedesco, a seguito del processo di unificazione delle due Germanie realizzata con i denari di tutta l’Europa e di rilancio dell’economia tedesca nel mondo intero, ma principalmente grazie al mercato regionale europeo come luogo privilegiato della sua esportazione.
Parafrasando qualcuno del tempo che fu si potrebbe dire che oggi “uno spettro” si aggira in Europa, ma altro che spettro, bisogna prendere atto che davanti ai nostri occhi c’è una destra reale, per molti versi di carattere eversivo, che avanza nelle urne, e quindi pienamente legittimata dal sistema democratico, ma prima ancora, è ciò è per me ancora più preoccupante, si tratta dell’affermazione e del consolidamento di comportamenti di destra diffusi nelle opinioni pubbliche di diversi paesi europei e non solo, del comportamento quotidiano di milioni e milioni di persone in diversi paesi del mondo, le cui conseguenze si riverberano nei cambiamenti politici nefasti a cui assistiamo quasi con rassegnazione. Uno dei catalizzatori principali di tali comportamenti di destra, xenofobi, razzisti e generalmente discriminatori è costituito dai migranti. Basti pensare agli USA di Trump, alla Turchia di Erdogan, al fronte di Visegrad che è cresciuto grazie ai soldi dell’Europa e senza che vi sia mai stata palesata una reale politica di contrasto da parte dell’Europa, questa sì ridotta a semplice fantasma coreografico, senza parlare delle diverse dittature tutt’ora presenti in Africa, così come in altre parti del mondo o della Cina del partito unico e del rinascente “culto della personalità” nei confronti dell’attuale capo del partito.
Migranti e migrazioni che, lo si voglia o no, proprio a causa della assoluta mancanza di politiche mirate e governate di accoglienza e integrazione diventeranno ingovernabili perché i numeri in gioco sono troppo grandi per essere fermate da muri, filo spinato e pallottole. I 250 milioni di migranti previsti entro il 2050 sono destinati a causa di guerre, carestie, fame e soprattutto a causa del cambiamento climatico a raggiungere il miliardo di persone entro la fine del secolo. Si crede davvero che basteranno muri e reticolati per fermare i prossimi esodi di tale portata?
Dall’altro lato vi è assuefazione e rassegnata impotenza nei confronti delle multinazionali che oggi culminano nell’economia e nella finanza governate dalle piattaforme tecnologiche informatiche. Di fronte a tutto questo la sinistra non solo italiana, che si è dissolta da troppo tempo in una nube senza contorni identificabili, ma anche quella europea, almeno se la si considera come un unico sistema, è assente e totalmente afona: non sembra esserci visione, né alcun progetto di opposizione. Eppure qualcosa di diverso si muove anche in quei paesi che hanno maggiormente incarnato il liberismo, USA e GB, grazie a personaggi come Bernie Sanders con la sua proposta contro le multinazionali e tutte le aziende con almeno 500 dipendenti per la reintegrazione sotto forma di una tassazione per tutti i sussidi dei dipendenti che, privi di un salario dignitoso, sono costretti a ricorrere alle politiche dei singoli Stati americani per avere le integrazioni per arrivare al minimo (da qui Jeff Bezos, patron di Amazon, ha aumentato fino a 15 dollari la paga oraria ai dipendenti degli USA), e Jeremy Corbyn che ha dato nuova linfa e prospettive politiche al Partito Laburista dopo il decennio nefasto di Tony Blair come primo ministro, imitato malamente in Italia da Renzi, ancorché con 10 anni di ritardo!
Torniamo all’Europa
Nel 2011 Bruno Amoroso, a lungo stretto collaboratore di Federico Caffè, uno dei più grandi economisti del ‘900, ha pubblicato un libro dedicato all’Europa dal titolo emblematico “Euro in bilico”. A differenza di numerosi altri libri dedicati a questo specifico argomento, Amoroso argomentava le aspettative risposte nella moneta unica alla sua nascita, aspettative non realizzate a 10 anni di distanza nel 2011, anno di pubblicazione del libro, perché i paesi che avevano adottato l’euro mostravano un ritardo nella crescita economica maggiore rispetto a quelli che avevano mantenuto la loro sovranità monetaria. Individuava, quindi, i responsabili della crisi che iniziata negli USA era stata scaricata sul resto del mondo, ancorché non avesse ancora mostrato tutta la sua capacità distruttiva di intere economie nazionali. Una crisi, peraltro, vista come l’ultima di una serie iniziata a metà degli anni ’80, con la deregulation cominciata da Reagan e proseguita da Clinton, Bush e arrivata fino a Obama. Una deregolamentazione ripresa subito dalla Thatcher in Gran Bretagna, fatta propria da diversi stati nazionali con l’avvio dei grandi processi di privatizzazione delle aziende e risorse pubbliche, al riguardo prima o poi si dovrà anche analizzare compiutamente il processo di privatizzazione italiano avviato in quegli anni, e culminato della politica europea dell’austerity per combattere la crisi che ha di fatto “suicidato” il popolo greco e spinto i paesi latini, ancorché tra i fondatori del processo di costruzione europea, a costituire di fatto la seconda Europa.
Il testo di Amoroso, a differenza di altri, non cavalcava comunque l’ondata di euroscetticismo che non era ancora arrivato alla virulenza attuale, ma metteva in guardia dagli inganni della finanza globale e tracciava soluzioni percorribili sotto il profilo economico e politico da parte dei Governi nel contesto europeo.
Per quanto riguarda l’Italia, per esempio, con il debito pubblico che abbiamo e con l’impossibilità di pagarne gli interessi al punto che di fatto noi siamo già falliti da tempo, è chiaro che la nostra salvezza è solo in Europa e dobbiamo essere grati soprattutto a Draghi che, nell’ambito del mandato della BCE, ha fatto il massimo possibile non solo per la stabilità della moneta unica, ma per la stabilità delle economie di tanti paesi europei, Italia in primis.
Le mancate riforme sulla condivisione europea dei debiti sovrani, l’eurobond e l’unione bancaria hanno creato nei fatti un’Europa a due velocità. Durante l’introduzione dell’euro in Italia non vi è stato nessun controllo e, indipendentemente dal cambio formale stabilito a 1936,27 lire per un euro, di fatto abbiamo avuto l’equivalenza di mille lire con un euro, dimezzando in un solo giorno il potere di acquisto di tutti gli italiani che non potevano scaricare su altri tale costo, lavoratori dipendenti e pensionati in genere. E’ stato facile a partire da quel momento dare la colpa all’euro, ma la verità è che c’è stata tanta speculazione italiana nei confronti di altri italiani per mancati controlli e connivenza da parte delle istituzioni, a partire dal governo per finire con le varie autorità pseudo indipendenti e controllori regionali e locali. La più grande razzia del risparmio italiano non è colpa dell’euro, ma è avvenuta per colpa delle autorità italiane, non di quelle europee o dei soliti grandi speculatori internazionali!
Ora, nonostante il fatto che l’Italia abbia versato circa 50 miliardi di euro per banche e Stati stranieri e varato manovre nel corso del tempo per almeno 200 miliardi, nel nostro paese in dieci anni i poveri sono raddoppiati, il debito pubblico dal 2008 è aumentato del 30% (al governo nei 10 anni trascorsi erano tutti esperti, non i dilettanti di ora!) e il PIL è ancora circa il 7% indietro rispetto al 2007.
Se si considera che i paesi dell’ex cortina di ferro oggi quanto a crescita stanno meglio di noi, è facile alimentare il sospetto che abbia fatto meglio chi è rimasto fuori dalla moneta unica o chi, come la Germania e la Francia, abbiano avuto poco rispetto per le regole europee ancorché concordate.
Insomma, Fiscal compact (per noi inserito addirittura in Costituzione) e altre norme contabili, ma nessuna condivisione del debito pubblico degli Stati, hanno contribuito a far crescere i paesi europei in modo disomogeneo ed oggi fanno presa i vari populismi, con i discorsi di principio sull’identità, il sovranismo, la difesa dei confini, la cittadinanza garantita dai singoli Stati e la volontà espressa di dissolvere l’Unione europea.
C’è da augurarsi che le elezioni europee permettano ancora di invertire questa tendenza dissolutrice perché un paese come il nostro, senza il paracadute europeo è destinato ad andare alla deriva. Ma per evitarne la dissoluzione, considerato che a suo tempo il progetto della Costituzione europea è stato boicottato direttamente dagli Stati nazionali, nell’attuale contesto politico bisogna almeno completare le riforme relativamente alla condivisione dei debiti sovrani e al ruolo della BCE, che deve sempre più essere equiparata alla FED, con analoghe competenze dirette sul fronte dell’obiettivo della piena occupazione e quale prestatore di denaro di ultima istanza.
Gli europarlamentari sardi
Ci siamo sempre lamentati che la circoscrizione elettorale europea che vede unite le due isole maggiori, Sicilia e Sardegna, ha sempre penalizzato la nostra regione per l’impossibilità, dato l’impari rapporto demografico, di eleggere direttamente nostri rappresentanti. Per tale motivo, specialmente all’interno dei vari movimenti indipendentisti, si è fatto il confronto con Malta che in qualità di Stato indipendente pur con appena 460 mila abitanti poteva eleggere ben sei rappresentanti nell’Unione.
Ora, dopo 25 anni, nel 2014 abbiamo eletto direttamente tre europarlamentari sardi, uno espresso dal PD, Renato Soru, uno da FI, Salvatore Cicu, e una del M5S, Giulia Moi, eppure, forse per un destino cinico e baro, si fa fatica a capire cosa sono andati a fare a Bruxelles. In questi cinque anni, pur con cotanti europarlamentari, due navigati politici e una new entry, nulla è noto sulle grandi proposte portate avanti dai nostri rappresentanti, interventi di merito, alleanze politiche sul fronte economico e sociale nel contesto europeo, salvo piccole incursioni nei partiti di riferimento locali e qualche incauta sortita contro qualche azienda sarda.
Insomma, per la Sardegna avere tre europarlamentari o nessuno pare proprio che non faccia alcuna differenza.
Che fosse meglio prima, almeno per poter continuare a lamentarsi della prevalenza degli europarlamentari siciliani?
Che fare per le elezioni regionali sarde
L’intervista a Roberto Mirasola e il commento di Franco Meloni, che riprende alcuni degli interventi già fatti da Andrea Pubusa su questo Blog, mi permettono di aggiungere la mia opinione al riguardo. Ora, è noto a tutti che ci muoviamo sul terreno ultrascivoloso di una legge elettorale pessima di cui abbiamo in più occasioni chiesto una revisione sostanziale che non è mai arrivata. Il problema è noto: essendo nata fondamentalmente per escludere il M5S, il meccanismo di esclusione delle minoranza, talvolta anche corpose come ci ricordano i risultati del 2014 di Michela Murgia e di Mauro Pili, per citare i casi più eclatanti, con le soglie di sbarramento previste, è tale che questa legge costituisce un vulnus democratico. Una scelta questa, giova ricordarlo, voluta dal PD e i suoi alleati e da Forza Italia.
Ora le forze in campo sembrano essere un rinnovato, si fa per dire, centrosinistra guidato dal sindaco di Cagliari Zedda, sempre che sciolga la riserva. Tale raggruppamento con un classico camuffamento camaleontico e contando sulla presunta memoria corta dell’elettorato vorrebbe presentarsi come una o più liste civiche, sostenute da alcuni sindaci, convinti che il “civismo” possa ridare linfa ad un centrosinistra regionale totalmente screditato sulla scia delle scelte a suo tempo condivise con il PD renziano di governo. Scelte, ancora una volta le ricordiamo, che consistono in una cancellazione di quelli che erano i temi inderogabili della sinistra: rispetto della costituzione, lavoro, giustizia, ambiente, scuola, ecc. Si capisce che vogliano presentarsi senza simboli di partito, ma sono convinto che l’elettorato non si farà imbrogliare come già dimostrato nelle recenti elezioni politiche e nel precedente referendum sulla riforma costituzionale.
E’ mio parere che il tentativo di questo centrosinistra guidato da Zedda verrà smascherato e finirà semplicemente con l’elezione di qualche consigliere regionale e, forse, del candidato presidente.
Vi è poi un secondo fronte rappresentato dal PDS di Sedda e Maninchedda che, con la proposta delle primarie con la discriminante del riconoscimento della “nazione” sarda, aspirano a poter ereditare la gran parte di quegli 80.000 voti che nel 2014 andarono a Michela Murgia.
Sullo stesso versante agisce, poi, Autodeterminatzione, rappresentata da Andrea Murgia che personalmente ritengo sia un buon candidato. Qui interviene il ragionamento di Roberto Mirasola che, letto tra le righe, fa pensare ad un appoggio convinto a questo raggruppamento da parte di quella componente di sinistra che non può andare con Zedda.
Auspico che su questa possibile scelta vi sia anche la convergenza di altre forze e raggruppamenti politici che presentandosi da soli rischiano solo di fare opera di “testimonianza” e contemporaneamente, purtroppo, di sprecare i voti degli elettori.
Il ragionamento da fare riguarda sempre la soglia minima, del 10% in caso di coalizione e del 5% in caso di singola lista. Il PDS e Autodeterminazione sono sicuri di raggiungere e superare la soglia minima o vale la pena cercare di andare nella stessa direzione, magari con una coalizione capace di superare il 10% che avrebbe una forte rappresentanza in Consiglio, nonché una capacità di attrazione di elettori e strati sociali in tutta la Sardegna per intraprendere con maggiori possibilità un percorso di autodeterminazione?
E se teniamo conto che sia il PDS che Autodeterminatzione agiscono su temi comuni e sembrano avere lo stesso orizzonte politico, personalmente suggerirei di presentarsi congiuntamente anche alle Primarias, proprio perché entrambi riconoscono ai sardi il carattere di nazione, indipendentemente dai pareri di ex senatori per caso, che, forti sulla richiesta di occupare poltrone, sul tema specifico sembrano alquanto confusi al punto da voler fare un’ammucchiata anche con Forza Italia pur di evitare che quei “barbari” del M5S conquistino la Regione.
A questo punto, in sintonia con quanto già affermato da Franco Meloni, vedo con molto favore un contratto preliminare di governo con il M5S. Anche qui, mi pare che le considerazioni siano alquanto semplici: il centrodestra a trazione leghista ha forti possibilità di vittoria anche in Sardegna e il M5S deve scordarsi del risultato del 4 marzo. Un contratto, peraltro, che vedrebbe da un lato il M5S e dall’altro PDS, Autodeterminatzione e il resto dei raggruppamenti di sinistra uniti. Per uno scenario di questo tipo occorre che il secondo contraente, il M5S, la smetta di vedersi quale unico soggetto giusto, corretto e puro nella scena politica che non fa accordi con nessuno. La politica, a tutti i livelli, richiede di confrontarsi anche tra forze diverse e questa lezione viene direttamente dall’accordo di governo Lega-5S. Allora basta menarla con la “purezza”: se un accordo si fa sul piano nazionale perché non parlarne, o comunque, incominciare a lavorarci sul piano regionale?
Peraltro, suggerisco un sano realismo al M5S che non deve credere di replicare il risultato delle elezioni politiche. Il 42% delle politiche proiettato su scala regionale può equivalere al 20-25% delle solo grazie all’effetto traino del governo, purché in questi mesi ci siano risultati evidenti rispetto alle promesse fatte in campagna elettorale: ogni punto in più è, come suol dirsi, grasso che cola, ma guai a pensare alla replica del 4 marzo. Il tutto, sempre, che i risparmi degli italiano non continuino a calare come è accaduto dal 4 marzo ad oggi. Quando si viene toccati nel portafoglio l’elettorato diventa molto volubile!
Oltre tutto, tornando all’ipotesi di un contratto preliminare di governo, al di là dell’auspicabile vittoria nella prossima competizione elettorale, permetterebbe di gettare le basi anche per una prospettiva di efficace opposizione e questo sarebbe già un buon viatico per l’allargamento della rappresentanza democratica in Consiglio e le prospettive di sviluppo della nostra regione.