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Interesse nazionale

Nel mondo policentrico torna la possibilità di una Sardegna originale
di Nicolò Migheli

Diversamente di quel che capita nella realtà, stare in fondo al pozzo non ci permette di vedere le stelle. In molti affermano che lo stato di cose attuale sia identico ad altri che abbiamo conosciuti nell’ultimo secolo. Rispetto a prima la differenza c’è, eccome. Quel che ci manca oggi, è intravedere una Sardegna oltre il contingente.

L’adottare una data simbolo, ad esempio il 2023, e su quella immaginare la Sardegna che vorremmo, inserita in una Europa, in un Mediterraneo in pieno movimento. Non uno sterile esercizio proiettivo, ma una prefigurazione razionale dell’obiettivo, dei passi da compiere, delle risorse disponibili, delle compatibilità con lo scenario internazionale.

Una operazione che dovrebbe essere condivisa da tutte le forze politiche che riconoscono l’isola come fonte del proprio consenso. Il 2023 è vicino, è il tempo in cui ha termine la nuova programmazione comunitaria. E’ anche vero che un obiettivo così ambizioso può avere diverse letture. Destra e sinistra sono due punti di vista che non possono essere annullati. Due visioni della società e dei rapporti tra gli individui contrastanti, anche se, negli ultimi trent’anni sono stati omologati dentro un pensiero unico. Quand’anche non lo siano state, quelle posizioni hanno, il più delle volte ignorato i sardi, ricondotti sempre dentro la sola cornice “pensabile,” quella italiana.

Fabrizio Palazzari ha scritto di amnesia, di rimozione continua, della necessità di costruire un sé autobiografico. Diagnosi giusta, perché se si osserva il comportamento delle amministrazioni, da quelle comunali alla Regione, il loro agire normale è spesso determinato dalla negazione e non riconoscimento di quello che è stato fatto precedentemente. Un continuo stato nascente, che deve essere segnato da nuovi protagonismi. Un non riconoscersi che agendo sui fatti, finisce per cancellare gli attori, quando non ingenera la damnatio memoriae. Il risultato è una continua tela di Penelope.

L’immaginare se stessi come gli unici portatori della visione salvifica, nel migliore dei casi; lo scambio e la restituzione per l’avvenuta elezione, nei peggiori. Non è solo il frutto della contaminazione italiana, dell’assenza di un progetto che vada oltre il mandato. E’ qualcosa di più profondo, che inerisce la nostra condizione.

L’essere isola comporta una visone del mondo che spesso si alimenta delle categorie dell’incompletezza. Il continente viene vissuto come grande, l’isola come il luogo del piccolo. Poi magari ci consoliamo dicendo di essere “Quasi un continente.” Il luogo del quasi. Abbiamo anche sviluppato un’urbanistica del “quasi.” Il non finito, ad esempio, ne è la testimonianza migliore, il vorrei ma non posso. Allo stesso tempo siamo cresciuti nella percezione del ritardo.

Negli ultimi trecento anni siamo stati segnati da questa categoria. Il Rifiorimento settecentesco, le Chiudende, la legge fascista del Miliardo, il Piano di Rinascita. Tutte attese salvifiche di superamento del “ritardo,” di qualcosa di esterno che ci svegliasse, che ci mettesse “dentro la storia.”

Come se noi non avessimo storia, non fossimo capaci di trovare dentro noi stessi, nella nostra ricchezza culturale e di risorse, la possibilità di uno sviluppo che non fosse segnato dall’unica modernizzazione concepibile. Dal modello occidentale vissuto come superiore. L’applicazione di paradigmi che hanno finito col negare noi stessi, con cesure antropologiche e culturali prima che economiche. Una operazione che continua. Ora le trivellazioni selvagge e la chimica verde, come ultimo assalto.

In un mondo diventato improvvisamente policentrico, occorre trovare altre risposte. Occorre una rivoluzione copernicana. La rivolta dell’oggetto, come l’ebbe a definire Mialinu Pira. Se l’espressione sembra dura, definiamola pure il salto laterale. Quello che spiazza gli interlocutori.

Cominciamo con il definirci minoranza nella Repubblica italiana. Nazione differente. Da ciò ne consegue quale è il nostro interesse nazionale. Gli esempi su cui applicare la categoria non mancano. La lingua, i beni culturali, le entrate, l’istruzione, le servitù militari, il sistema carcerario, l’energia, l’agricoltura, il welfare. Ogni aspetto delle nostre esistenze può essere analizzato e sottoposto a quella categoria.

Ciò che conviene agli italiani conviene ai sardi? Quali sono i prezzi e quanto riceviamo nella partita del dare-avere? Basta solo la panacea, sempre più utopica, dei posti di lavoro o dobbiamo pensare più in grande?

Ad esempio che una classe dirigente degna di questo nome dovrebbe viversi come il soggetto che indica una prospettiva che vada oltre il proprio destino politico personale o di mandato. In ogni caso non potrà esimersi dal pensare come vorrebbe la Sardegna tra dieci anni.

O è meglio continuare come oggi, in dd’una morte lena? Temi che dovrebbero essere affrontati già oggi e che nelle prossime elezioni regionali potrebbero essere l’argomento di quelle forze politiche che hanno interesse alla Sardegna e ai sardi. Sempre che si voglia.

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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnaei nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.

Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :

- aladinews

- vitobiolchiniblog

- Fondazione Sardinia

- Tramas de amistade

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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Nei riquadri creazioni artistiche Bomeluzo (la prima combinata con quadro di Filippo Figari) e foto di N.Migheli

Sardegna, contro l’amnesia. Verso la costruzione di un “sè autobiografico”

di Fabrizio Palazzari

Chiunque osservi la società sarda odierna non può non coglierne un paradosso. Mentre da un lato gli indicatori macroeconomici più importanti fotografano ineluttabilmente una crisi che non è congiunturale ma strutturale e sistemica, dall’altro sono evidenti i segnali di una vitalità che, sebbene circoscritta a specifiche nicchie del mondo delle imprese, delle associazioni, dei movimenti, dell’editoria e dell’informazione, testimonia un’inaspettata capacità di questi attori di ribaltare paradigmi consolidati nei settori in cui operano al fine di concretizzare progetti e iniziative spesso altamente innovative.

Infatti, al calo costante del PIL e al tasso di disoccupazione regionale a due cifre, con quello giovanile che ha superato il 40%, fanno da contraltare iniziative imprenditoriali che vedono l’isola come laboratorio di esperienze innovative differenti tra loro ma accomunate da una medesima matrice. Si tratta naturalmente di un elenco non esaustivo, sicuramente non rappresentativo dell’intera economia isolana, ma di sicuro dalla forte valenza simbolica.

E’ in Sardegna, per esempio, che oggi esiste il più importante polo italiano della bioedilizia grazie a un’ imprenditrice di Guspini che ha saputo re-inventare l’utilizzo della lana di pecora; è sempre nell’isola che è nato, si è consolidato e si sta replicando in altre regioni italiane il più importante circuito di compensanzione multilaterale con moneta complementare, grazie all’idea di quattro giovani imprenditori di Serramanna che hanno saputo re-inventare i concetti di credito e di moneta; è sempre in Sardegna che si sperimenta e si innova in agricoltura con le fattorie didattiche e le colture sinergiche, con la reintroduzione di colture del passato, come nel caso della tabacchicoltura in provincia di Tempio, o con la reinterpretazione di un materiale tradizionale come il sughero applicato questa volta come filato ai tessuti. E’ sempre nell’isola, infine, che troviamo uno dei progetti italiani più avanzati di rete sociale di lettori, scrittori, editori, librai e biblioteche oppure alcuni degli esempi più dinamici, per crescita e reinterpretazione dei modelli di business, nei campi dell’editoria e del giornalismo online.

In realtà il paradosso è soltanto apparente e può essere spiegato sostenendo come in Sardegna sia in corso un processo di costruzione di un “sè autobiografico” che la crisi ha accellerato e che, per adesso, non è ancora diventato un fenomeno collettivo ma sta interessando solo alcune delle fasce più sensibili della società civile isolana; ovvero quelle accomunate dalla stessa forte consapevolezza di re-interpretare il passato, immaginare il futuro e re-inventare il presente.

Il “sè autobiografico”

In uno straordinario paragrafo del libro “La lezione spagnola”, il sociologo Victor Perez-Diaz, nel prospettare l’idea di come nella politica spagnola di fine XX secolo non ci fosse stata una forte inclinazione ad anticipare il futuro, nessuna identità collettiva precisa e nessun senso vigoroso del posto della Spagna nel mondo stabilisce un’analogia tra il “flusso di coscienza” di un soggetto individuale e il “flusso di storia” di un soggetto collettivo, ed esplora con grande finezza il problema di un soggetto (individuale o collettivo) che cambia in continuazione e nello stesso tempo mantiene la propria identità. Di che identità si tratta?

Riprendendo le tesi del neurofisiologo Antonio Damasio l’autore descrive come nel flusso di coscienza di un individuo il sè, avanzando nel tempo, cambi continuamente, anche se l’individuo conserva la sensazione che rimanga sempre lo stesso. A suo avviso la soluzione di questa apparente contraddizione si basa sul fatto che “il sè apparentemente mutevole e il sè apparentemente permanente non sono una sola entità ma due”. Il sè che cambia continuamente è il “sè profondo”, mentre il “sè che sembra rimanere lo stesso è il “sè autobiografico” basato su un bagaglio di ricordi di fatti fondamentali in una singola biografia che possono essere parzialmente riattivati e quindi fornire continuità e un’apparente permanenza alla nostra vita”. “Senza questi ricordi autobiografici – conclude Perez-Diaz -non avremmo il senso del passato e del futuro e non ci sarebbe continuità storica nelle nostre persone”.

Analogamente, anche nel caso di un soggetto collettivo possiamo individuare un “flusso di storia” – una narrazione, per esempio – che fa sì che questo soggetto agente cambi pur mantenendo la propria identità.

Amnesia e conseguenze

Ecco quindi che anche nel caso di un aggregato sociale è possibile immaginare forme di amnesia che, come negli individui, possano portare a forme di conservazione della “coscienza profonda” per gli avvenimenti del qui e ora accompagnate però da un’ assoluta incapacità di dare un senso, un’interpretazione a quelle situazioni perchè senza una autobiografia aggiornata il qui e ora risulta semplicemente incomprensibile.

Il paradosso richiamato all’inizio potrebbe essere pertanto ricondotto ad una forma di amnesia che continua ad affliggere la nostra regione, sebbene con un’intensità prima sconosciuta, e che si palesa in uno scarso interesse per il passato e il futuro e per un’intensa focalizzazione sui soli aspetti contingenti del qui e ora.

Una delle principali conseguenze è che tutto questo sta facilitando l’affermarsi di un genere di politica che distrae l’opinione pubblica, che le fa perdere la concentrazione distogliendola dalle sfide e dai pericoli di oggi, strumentalizzando gli aspetti emotivi del dibattito pubblico per perseguire interessi personali o di parte. Che cosa possiamo fare?

Che fare?

In assenza di una politica capace di offrire “figure politiche esemplari” occorre trovare uno o più modi per sostenere la costruzione di un solido “sè autobiografico” con il contributo dei soggetti di tutte quelle imprese, associazioni di ogni tipo e organi di stampa indipendenti che oggi, nella nostra isola, rappresentano le avanguardie più sensibili a queste tematiche per via del loro percorso personale di autoconsapevolezza. Un percorso maturato nel ricercare e ritrovare un senso nel passato e nel futuro, sino a determinare straordinari cambi di paradigma nei loro settori di interesse mediante la ri-scrittura del presente.

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Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnaei nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.

Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :

- aladinews

- vitobiolchiniblog

- Fondazione Sardinia

- Tramas de amistade

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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu

Nel riquadro creazione artistica Bomeluzo

Gli OCCHIALI di PIERO

A TUTTI GLI INTERESSATI
Mi assento fino a venerdì. Venerdì alle 18 potremmo vederci al Municipio di Oristano
per Sa Die de sa Sardigna. Sarò là con Salvatore Cubeddu. Racconterò del 28 aprile 1794. Sabato 27 dalle ore 10 a Cagliari Palazzo viceregio festeggeremo Sa Die ponendoci le 5 domande, quelle del 1794 e quelle di oggi. Per maggiori informazioni vedete nei siti della Fondazione Sardinia, di Vito Biolchini e di Aladinews (Aladinpensiero).
Siate felici intanto, io lo sarò.
Piero Marcialis

L’evento su fb: iscrivetevi!