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L’Europa che vogliamo!
In Catalogna nasce una nuova Europa, per la sinistra è sempre il 1946
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto/ 22 settembre 2017/ Culture/
Lo ricordava Andrea Bonanni sul La Repubblica del 21 settembre. In Catalogna si scorgono i vagiti di una nuova Europa, quella federale che sognavano i padri fondatori della Comunità. L’Europa dei popoli, diversa da quella che è sotto i nostri occhi. L’unica possibilità di federalismo, o di confederalismo per alcuni, sarà possibile solo con la disgregazione degli stati nazionali tradizionali. Finché ci saranno loro, non ci sarà Europa compiuta. L’esperienza cinquantennale lo dimostra fino in fondo.
Tendenza che si è accentuata sotto le due presidenze Barroso quando la Commissione è diventata lo strumento esecutivo dei voleri degli stati; soprattutto di quelli più forti. In Catalogna con un movimento di popolo che ha del sorprendente ci si batte per una indipendenza che tale potrà essere solo dentro la Ue. Questo dice la loro classe dirigente, questo dicono la maggior parte dei movimenti indipendentisti. Perché le nazioni senza stato potranno avere riconosciuti i loro diritti e potranno esercitare i loro doveri solo in uno spazio in cui tutti i territori siano sul piano di parità. Un fenomeno che è già in nuce, le Euroregioni a questo puntano. Un ricomposizione di territori omogenei che va al di là dei confini statuali che oggi esistono.
Tutto ciò non è compreso dalla sinistra italiana che in ogni movimento di autodeterminazione – a meno che non sia terzomondista- vede separazione, costruzione di muri, isolazionismo. Una sinistra che non solo si dimentica delle pagine scritte da Marx sulle nazioni, ma che associa ogni movimento nazionale al revanscismo, che definisce le lingue minoritarie dialetti, dando al termine un’accezione dispregiativa. Una politica preda di un nuovo centralismo, vede le autonomie locali come luoghi dello spreco e le regioni autonome come antistoriche. Sinistra che non ha superato il trauma del 1945/6, quando il movimento separatista siciliano si mostrò violentemente antioperaio e anticomunista perché infiltrato da servizi segreti, mafia e finanziato dagli agrari.
Movimento che più che all’indipendenza della Sicilia aspirava a trasformare l’isola in uno stato degli USA. Negli stessi anni, prima del trattato di Parigi del 1947, si temeva che l’Italia con la pace potesse perdere anche il Sud Tirolo, oltre alla Dalmazia e l’Istria. Se non ci fossero stati il separatismo siciliano e il Sud Tirolo, la Costituzione Italiana avrebbe avuto un articolo che in modo preciso recita che la Repubblica e una e indivisibile? Lo Statuto Albertino, ad esempio, non aveva né articolo né disposizione simile. Se non altro perché era inconcepibile la cessione di una parte del regno se non dopo una guerra persa.
Però se l’Italia fosse ancora monarchia con quello statuto, la richiesta di un referendum di autodeterminazione sarebbe stata possibile senza essere anticostituzionale? Domanda che resterà senza risposta. La reazione al procés catalano, dei singoli iscritti e militanti della sinistra allargata- quella che va dal PD fino alle frange comuniste- è stata da riflesso condizionato. La causa catalana associata irrimediabilmente alla Padania di Bossi. Ignorando le vicende storiche, il contesto spagnolo, restando abbacinati davanti alla realtà economica.
Il fatto che la Catalogna sia una delle regioni più ricche della Spagna, il loro desiderio di indipendenza viene interpretato come esclusivamente frutto di egoismo, di non voler più contribuire al resto del Paese. Posto che fosse anche vero, cosa cambia? Una nazione, un popolo come quello catalano, non hanno il diritto di poter scegliere la propria strada o debbono rimanere legati ad uno stato che li sta penalizzando, che dal 1714 li considera preda di guerra? La stessa sinistra, ma anche la destra sarda, si oppongono alla eventuale autodeterminazione della Sardegna con argomenti opposti. Ovvero come farebbe l’isola a sostenersi senza l’Italia? Di conseguenza se un territorio è ricco non può andarsene perché ricco, se è povero deve rimanere perché povero.
Trova un altro argomento di conversazione, si cantava anni fa. In realtà il dato impressionante è che la sinistra non riesce più a capire il proprio tempo e finisce per essere più nazionalista della destra, di essere oggettivamente alleata all’Europa degli Stati propugnata del gruppo di Visegrad. Sinistra che trema all’idea di dover perdere l’unità italiana, che non ha la forza né l’immaginazione per pensare ad assetti futuri. Eppure molti di loro si dichiarano federalisti europei.
E così la sinistra o quel che ne resta – come sosteneva qualcuno di cui non ricordo il nome-, finisce per fare politiche da suonatore di violino. Strumento che si impugna con la mano sinistra ma si suona con la destra. Come per altri temi, d’altronde.
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