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Israele-Palestina. Proposta di un unico Stato democratico binazionale, con pari diritti per i due popoli: soluzione possibile?
Uno Stato binazionale?
PALESTINA, UNA SCIAGURA
La decisione di Trump che concede tutto a Netanyahu liquida l’opzione sostenuta per decenni dei due Stati in Palestina. Di fatto essa era già stata resa impossibile dalla colonizzazione israeliana e dalla passività internazionale. Perciò il pacifista israeliano Jeff Halper aveva fatto un’altra proposta illustrata in questa intervista
Da un’intervista di Barbara Bertoncin, ripresa dal sito chiesadituttichiesadeipoveri.
Il 6 febbraio scorso la Knesset approvava una legge che “regolarizzava” gli insediamenti ebraici nei Territori Occupati della Cisgiordania e circa 4000 case costruite su terreni privati palestinesi, che venivano in tal modo espropriati: si trattava pertanto di una sanatoria per il passato e di una licenza a perseverare nel futuro. Per i palestinesi era “una legge furto”, contraria alla risoluzione n. 2334 del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, per il segretario generale delle Nazioni Unite, Antonio Guterres, violava il diritto internazionale e avrebbe avuto “importanti conseguenze giuridiche per Israele”, per la Turchia distruggeva “le basi per la soluzione dei due Stati in Palestina”, per l’Unione Europea la Mogherini invitava Israele, che aveva fatto la legge, a non applicarla. All’indomani di questa svolta, a marzo, la rivista forlivese “Una città” realizzava un’intervista con Jeff Halper, un autorevole pacifista israeliano che aveva sempre difeso la causa palestinese: antropologo, ex direttore del Comitato Israeliano contro la demolizione delle case arabe (Icahd), cofondatore di The People Yes Network (Tpyn). A Barbara Bertoncin che lo interrogava, Halper rispondeva dando ormai per perduta la causa dei due Stati in Palestina, e proponendo la soluzione di un unico Stato democratico binazionale, con pari diritti per i due popoli. Potrebbe sembrare una soluzione ancora più impossibile della prima, soprattutto dopo gli ultimi avvenimenti, ma almeno è una proposta creativa, come dovrebbero esserlo altre in questo momento, per non accettare come un fatto compiuto la cancellazione del popolo palestinese e la riduzione di Gerusalemme a un simbolo d’ingiustizia. La comunità internazionale ha l’obbligo di una tale creatività, che vuol dire tirar fuori la volontà politica di dare infine una giusta soluzione alla questione palestinese.
Pubblichiamo qui un ampio stralcio dell’intervista a Jeff Halper.
Tu da tempo denunci come in Israele-Palestina non ci siano più le condizioni per una soluzione a due Stati.
Abbiamo trascorso anni e anni lavorando sulla questione palestinese. Ovunque nel mondo è uno dei temi principali di cui la gente parla. Ecco, io dico che la soluzione a due Stati è andata. È morta. Ed è così da anni. Il problema è che la sinistra non ha ancora definito un nuovo obiettivo da raggiungere.
Qual è il nostro progetto? Io ho scritto molto su quella che ritengo debba essere la via da percorrere una volta venuta meno l’opzione dei due Stati. Dobbiamo puntare a uno Stato democratico binazionale.
Questa è la mia idea, ce ne sono altre in giro. Purtroppo la sinistra non si esprime, inclusi i palestinesi, e noi siamo bloccati, perché io non posso rivendicare nulla in nome dei palestinesi, posso spingermi solo fino a un certo punto, ma non posso rappresentarli.
Continuo a partecipare a grandi convegni, gli incontri si susseguono, c’è la campagna BDS (boicottaggio, disinvestimenti e sanzioni), ci sono i dossiers, i rapporti dell’ONU, di Human Rights Watch, di Amnesty e milioni di altri gruppi differenti,; c’è la protesta… Ecco, il punto è che ci sono solo proteste e documenti! Non c’è un movimento politico attivo. Non si fa nulla di politico.
Israele non ha più l’appoggio incondizionato da parte della comunità internazionale. Trump si proclama suo amico, ma non sono certo lo sia davvero.
Io continuo ad andare all’estero a parlare, e la gente mi dice: va bene, ti ascoltiamo da vent’anni, sappiamo tutto, abbiamo capito, l’occupazione è una brutta cosa, vìola i diritti umani… Ma dicci cosa vuoi, dicci cosa vogliono i palestinesi e gli israeliani di sinistra. Dicci cosa fare e lo faremo.
Boicottare Sodastream non libererà la Palestina. Ripeto, serve un obiettivo politico. Il problema è che noi di sinistra non ci vediamo davvero come attori politici: commentiamo, analizziamo, scriviamo, ma non ci buttiamo, non ci impegniamo in un processo politico. Così lasciamo il terreno libero a Netanyahu e alla destra.
Penso che sia ora di fermarsi e formulare un’idea: dove stiamo andando? Cosa vogliamo? Io non voglio passare l’intera vita a ricostruire l’ennesima casa o a scrivere l’ennesimo articolo.
Tanto più che sono convinto che ci sarebbero le condizioni per rilanciare. Il fatto di esserci liberati della soluzione a due Stati è positivo, chiarisce la situazione. Però bisogna agire, altrimenti avrà vinto la destra.
Nelle scorse settimane il parlamento israeliano ha approvato una legge per “regolarizzare” gli insediamenti ebraici e le case edificate su terreni privati. I palestinesi hanno parlato di “furto legalizzato”.
Io penso che Israele si annetterà l’Area C, la zona della Cisgiordania sotto il pieno controllo israeliano, magari non tutta, ma la maggior parte degli insediamenti. Comincerà in piccolo, con Ma’ale Adumim e l’area circostante, che è strategica, e alla fine farà lo stesso con tutti gli insediamenti.
La destra ha sempre voluto prendersi l’Area C. Circa il 95% dei palestinesi sono stati confinati alle aree A e B, e sono pochissimi quelli rimasti nella C. Dunque vogliono annetterla. C’è sempre stata un’opposizione a questo, persino da parte di Obama. Questa legge apre questa strada. Dice che gli ebrei israeliani possono prendersi qualsiasi terreno palestinese vogliano, offrendo in cambio una compensazione economica. In realtà credo che la Corte suprema israeliana non la lascerà passare perché è davvero troppo. Cosa succederà allora? Che il governo dirà: “Va bene, se non possiamo fare così, dovremo annettere l’area C politicamente”. Sarà una decisione politica, che non ha nulla a che vedere con le Corti; insomma, temo che questa legge, in qualche modo, dia alla destra una scusa per procedere con le annessioni. Diranno: “Noi volevamo solo la terra, ma visto che non possiamo, siamo costretti ad annettere”. Ecco, credo che succederà questo, che Israele si annetterà la maggior parte dell’Area C, così da espandersi dal 78% della Palestina storica a circa l’85%, inclusi tutti i confini, Gerusalemme, le acque e le risorse, tutto.
Dopodiché è possibile che Israele firmi una pace separata a Gaza. In fondo, gli egiziani non la vogliono, Israele non la vuole, nemmeno l’Autorità Palestinese vuole Gaza. Solo Hamas è interessata ad averla. Bene, sarà quello lo Stato palestinese.
Ora Israele è in piena “love story” con l’Arabia Saudita e con gli Stati del Golfo, sono loro a sostenere Hamas, anche finanziariamente. Diranno ad Hamas: fate un accordo con Israele e niente più razzi, niente più violenze. Avigdor Lieberman, il ministro degli esteri israeliano, la scorsa settimana ha parlato di un impegno israeliano a ricostruire il porto marittimo e l’aeroporto di Gaza, e a dare a quelli di Gaza permessi di lavoro in Israele. Sono tutti segnali. A dire il vero, nessuno ha ancora detto nulla ufficialmente, anche se è risaputo che sono in corso dei contatti tra israeliani e Hamas. Anche l’Egitto starebbe incoraggiando in questo senso, che Gaza diventi lo Stato palestinese.
Questo ci lascia con le aree A e B. Israele dice che non sono un loro problema. Insomma, l’occupazione è conclusa. Israele potrebbe anche concedere la cittadinanza israeliana ai palestinesi rimasti nell’area C (tra i 40.000 e i 120.000). Non è un numero che possa minacciare la demografia israeliana, e così non si potrà dire che hanno fatto l’apartheid; diranno: sì abbiamo preso l’area C, ma guardate, gli abbiamo dato la cittadinanza!
Dopodiché Israele dirà che le aree A e B, dove si trova il 95% dei palestinesi della West Bank, sono un problema della comunità internazionale. L’Europa, gli Stati Uniti, attraverso le Nazioni Unite, imporranno quindi un protettorato sulle aree A e B, più o meno come il protettorato britannico. Siccome i palestinesi non sono pronti per autogovernarsi, non hanno un’economia solida, e non possono avere uno Stato, l’Onu diventerà il loro padrone di casa… Un po’ come succede già oggi, con le agenzie ONU e le varie ONG che danno loro soldi e aiuti. Ecco come la vedo.
Una prospettiva di questo tipo combacia con l’idea di Netanyahu di “dare autonomia” ai palestinesi.
Quello che resta incerto è la tempistica. Credo che Abu Mazen, persino lui, non acconsentirebbe a una cosa del genere. Ma Abu Mazen sta per uscire di scena, ha 85 anni, non durerà a lungo.
Israele potrebbe aspettare ancora un po’, dopodiché annetterà l’area C. Con Gaza fuori dai giochi, l’Autorità palestinese non avrà più ragione di esistere. Diventeranno dei semplici collaborazionisti. Non vedo poi chi potrà sostituire Abu Mazen; certo in una situazione del genere Barghuti non prenderebbe il comando e comunque Israele non lo permetterebbe.
Potrebbe esserci un’Autorità palestinese nelle aree A e B, sotto l’egida ONU, un po’ sul modello dei bantustan sudafricani in cui c’erano comunque dei leader, delle autorità locali. A questo punto, di fatto, Israele avrà vinto. Se nessuno ci si opporrà, andrà così. Per questo dico che dobbiamo intervenire, ed è urgente, perché quello che ho descritto non accadrà fra cinque anni: sta già accadendo ora.
Tu dici che l’alternativa è accettare la soluzione dello Stato unico, purché binazionale, cioè democratico?
Quello che io sostengo è che c’è già un unico Stato. La soluzione a due Stati è andata, ma uno Stato c’è; non si può andare da nessuna parte in Palestina senza attraversare un checkpoint israeliano; c’è una sola valuta, lo shekel, in tutto il Paese, che tu ti trovi a Gaza, in Israele o in Cisgiordania. C’è un’unica rete idrica, un’unica rete elettrica, una rete autostradale, un esercito, un governo effettivo, voglio dire: c’è già un unico Stato qui.
Ciò che dobbiamo fare a sinistra è essere intelligenti, cioè dire: “Va bene, Israele, hai vinto. Hai eliminato la soluzione dei due Stati. Non puoi biasimare gli arabi per questo, perché sei tu che hai creato un solo Stato. Lo accettiamo: non accettiamo però che sia uno Stato di apartheid. E dunque c’è una sola via d’uscita equa, cioè concedere pari diritti a tutti i cittadini del Paese. Una democrazia”.
I palestinesi non hanno problemi con la soluzione a uno Stato. La questione è se sarà uno Stato binazionale o semplicemente uno Stato dove tutti votano. Io dico che dovrà essere uno Stato binazionale, ed è qui che si incontrano le resistenze dei palestinesi.
Binazionale per due ragioni: la prima è che è già binazionale. Voglio dire, è da un secolo che i palestinesi combattono per i loro diritti nazionali, e così gli ebrei; non si può far finta che entrambi siano solo elettori. L’altro problema riguarda la popolazione israeliana, perché in questo Stato ci sarà una maggioranza palestinese! Gli ebrei israeliani hanno un timore legittimo: “Cosa succederà se quell’unico Stato diventa una democrazia, una persona, un voto, e i palestinesi faranno a noi ciò che noi abbiamo fatto a loro?”. “Cosa succederà se in parlamento passeranno delle leggi per discriminarci, per portarci via la terra?”. Hanno ragione. Voglio dire, è una preoccupazione legittima, a cui si risponde con il principio dello Stato binazionale.
In democrazia, un parlamento è limitato: c’è una Costituzione, una corte suprema; insomma, un parlamento non può far approvare qualsiasi legge voglia. Qui il parlamento sarebbe limitato nel senso che non potrebbe emanare leggi che violino l’integrità di un qualsiasi gruppo nazionale: palestinesi, arabi, ebrei israeliani. Non potrebbe farlo. Ciascun popolo avrebbe il diritto all’auto-determinazione, alla propria lingua, alle proprie istituzioni, e così via. Se questo principio fosse garantito, credo che gli ebrei israeliani comincerebbero a pensarci. Perché agli ebrei israeliani, in realtà, non è mai importato del territorio. Non hanno mai sostenuto gli insediamenti. Se ci pensi, ci sono seicentomila coloni, meno del 10% della popolazione israeliana. Dopo sessant’anni, miliardi di dollari spesi e tutto il resto, solo il 10% si è convinto ad andare a vivere là. E la maggior parte vive nei sobborghi di Tel Aviv o Gerusalemme. Oltretutto le più grosse colonie della Cisgiordania sono abitate da ultra-ortodossi: a loro non importa niente se stanno lì o qui, vogliono soltanto che il governo gli permetta di costituire una comunità coesa. Se invece prendi i veri coloni, non gli ultra-ortodossi, ma quelli di Hebron, che odiano gli arabi; ecco sono meno dell’1% della popolazione israeliana, forse sessantamila persone.
Per gli ebrei israeliani, ciò che conta è la sicurezza. La loro sicurezza personale, prima di tutto: poter salire su un autobus, entrare in un locale pubblico, ecc., e poi la sicurezza collettiva.
Se verranno rassicurati rispetto al fatto di poter continuare a vivere in questo Paese come ebrei israeliani, di poter parlare ebraico, di avere un’università ebraica, i loro giornali… Se potranno avere tutto questo, cioè diritti nazionali in uno Stato democratico, credo che lo Stato unico sia ipotesi interessante per gli israeliani. Perché risolve il problema di ciò che può accadere se c’è una maggioranza palestinese.
In uno Stato democratico binazionale, non importa chi è la maggioranza, i tuoi diritti collettivi saranno comunque protetti, anche se fai parte del 10% della popolazione.
Ho cercato di sintetizzare tutto questo in uno slogan, non so se funziona bene in italiano. Il problema della campagna di boicottaggio è che non è connessa a un risultato finale. Allora per me lo slogan è “Bds for Bds”, cioè “Boicottaggio, Disinvestimenti e Sanzioni, per uno Stato Democratico Binazionale”.
Questa potrebbe essere la direzione, il focus del nostro lavoro.
Il problema qual è? Che non posso essere io a dare garanzie in questo senso. Perché la gente mi risponde: “E tu come lo sai che gli arabi ci lasceranno in pace?”. Certo, posso dire loro: “Guarda, conosco gli arabi, andrà tutto bene”, ma so già con quali epiteti reagiranno.
Abbiamo bisogno di qualcuno che, da parte palestinese, dica quello che a suo tempo disse l’ANC: “La nostra visione del nuovo Sudafrica è un Paese inclusivo di tutti…”.
Ora sto lavorando a un gruppo per una Freedom Charter; ecco, se i palestinesi sapranno dire che la loro visione di Israele-Palestina è un Paese inclusivo di tutti, credo che potremmo convincere gli israeliani ad accettare. Diversamente diranno di no. Se il nuovo Stato è solo una democrazia, una persona un voto, senza il binazionalismo, gli israeliani non accetteranno mai.
Per quanto riguarda la demolizione delle case, come sta andando?
La demolizione procede. Siamo arrivati quasi a cinquantamila case demolite. Succede sempre più spesso. Il processo va avanti. In ebraico si parla di “giudaizzazione”; l’intero progetto del sionismo dell’ultimo secolo è stato trasformare la Palestina nella terra di Israele. Credo che ormai siamo agli ultimi stadi. I palestinesi ottengono molto sostegno internazionale, ma poi? Certo, boicottiamo Sodastream, Hewlett Packard (HP), G4s, ecc. Ma qual è lo scopo di tutta questa roba? Quando abbiamo boicottato il Sudafrica il tema era “Una persona, un voto”. Avevamo un obiettivo. Ma oggi?
Qualcuno paventa un apartheid anche all’interno della Linea verde…
Giusto. … Quello che ci aspetta è un compito tutt’altro che facile.
La mia paura è che non ci sia alcun movimento forte attorno alla questione palestinese. Come ho già detto, se non troviamo un focus, un obiettivo politico, la gente si stancherà. Le persone non restano in un movimento per sempre, se non succede niente; ci sono tante cose da fare… Continuo a ripeterlo anche ai palestinesi: se non facciamo qualcosa alla svelta, se non ci organizziamo, perderemo! Semplicemente spariremo. È una possibilità.
(Intervista a cura di Barbara Bertoncin, traduzione di Stefano Ignone, da “La Città” n. 237 del marzo 2017)
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