Tag Archives: Giovanna la pazza
Sardegna: una identità nuova e aperta al mondo. Perché nessun uomo è un’isola, nemmeno i sardi.
di Francesca Madrigali
L’identità, questa sconosciuta. Nella Sardegna del 2013 è ancora grande la confusione sotto il cielo quando ci si accosta a questo affascinante concetto, insieme personale e collettivo, che racchiude infinite potenzialità –culturali, politiche, perfino economiche- e che altrettanto infinitamente è spesso comunicato in maniera caricaturale o obsoleta.
Caricaturale, laddove la percezione di se stessi e degli altri come facenti parte di uno specifico insieme (territoriale, culturale, linguistico) si accontenta di esprimersi attraverso i soliti stereotipi della bandiera dei Quattro Mori, del bronzetto nuragico, del mare bellissimo, della “Sardegna è il paradiso”, insomma. Se l’indagine, il tentativo di afferrare e rendere concreto e perfino “utilizzabile” questo misterioso sentimento, si ferma qui, allora pecca anche di obsolescenza. E la Sardegna non se lo può permettere, non più.
Il documentario “Hope/le nuove migrazioni” di Gianluca Vassallo-Alex Kroke, girato a New York, indaga proprio la possibilità che la sardità sia una specificità vincente anche in termini concreti, di realizzazione professionale e personale. Non sfugge però il fatto che i protagonisti la dispieghino, questa identità sarda, fuori dalla Sardegna. Pare evidente, quindi, che la caratteristica di “sardità” risalti – e funzioni- soprattutto fuori dall’isola. I perché sono molteplici, e sospetto che ognuno potrebbe dare risposte differenti: perché siamo pocos, locos y mal unidos, o perché invidiosi, o chiusi, o afflitti da senso di inferiorità e via banalizzando. Chiunque abbia una minima esperienza della società sarda di oggi- se non altro perché la abita- saprà invece che questa caratteristiche da romanzo fanno parte, appunto, di una precisa mitologia della sardità al pari della leggendaria ospitalità o della cosiddetta balentìa.
I problemi sono altri, concreti e molto simili (uguali?) a quelli del resto d’Italia: un sistema clientelare in tutti i settori che stronca anche la resistenza dei più tenaci, una scarsa attenzione all’istruzione e alla cultura che produce l’effetto valanga della dispersione scolastica e delle occupazioni sempre meno qualificate, una preoccupante tendenza alla ricerca dell’uomo o della donna della Provvidenza, quello che troverà la soluzione per uscire dalla drammatica crisi occupazionale ed economica che stiamo vivendo, con un tasso di occupazione che è sceso infatti al 48,3% contro una media nazionale – tra le più basse in Europa – del 55,7%. E un tasso di disoccupazione che è salito invece al 18,6%, per complessive 552.000 persone occupate e 127.000 persone in cerca di lavoro (Dati Istat sull’occupazione e la disoccupazione del II trimestre 2013).
In questo contesto, la nostra “sardità” rischia di sembrare un semplice esercizio intellettuale, un sentimento indistinto difficile da spiegare: e perché dovremmo provare a farlo, specialmente in tempi difficili come questi in cui la ricerca del “pane” ha sempre la prevalenza sulle “rose”?
Questo allo stato attuale, all’inizio di una stentata campagna elettorale per il rinnovo del Consiglio regionale della Sardegna e del Presidente. Un elemento spesso richiamato da tutti i competitors è appunto il tema dell’identità sarda, che in queste occasioni può diventare uno strumento eccezionale di propaganda e contribuire significativamente ad attirare voti.
L’esempio più clamoroso, in tempi recenti, della fascinazione esercitata dal concetto di identità è ovviamente quello di Renato Soru e del suo movimento politico. Mai prima di allora l’essere “sardo”, abitante della Sardegna, aveva avuto quell’appeal , quel significato di specificità positiva che assumeva molte sfumature in cui le persone più diverse potevano riconoscersi. L’occasione è andata sprecata ed è da considerarsi irripetibile, per quell’insieme di fattori che rendono efficace un leader: carisma, successo personale, fioritura di leggende intorno al personaggio, popolarità e, naturalmente, le idee e il modo di comunicarle. Non è secondario il fatto che il Soru di velluto vestito fosse e sia tuttora anche un imprenditore la cui azienda è per definizione proiettata all’esterno, pioniera dei collegamenti con il resto del mondo. Che fosse questa la cifra vincente del concetto di “identità sarda”, perché moderna, “liquida”, flessibile, favorevole alle contaminazioni esterne?
Oggi quel patrimonio di valori, immagini, suggestioni sembra perduto, e i tentativi di sollecitare negli abitanti della Sardegna il senso di appartenenza alla propria terra- e quindi a desiderare per lei e per se stessi il meglio- non sembrano sufficienti, incanalati come sono in uno schema binario di presunta eccellenza (rispetto agli altri)/altrettanto presunta sfortuna atavica e auto assolutoria.
Sono narrazioni, o forme di “storytelling”: siamo noi che parliamo di noi stessi, e nel migliore dei casi contribuiamo a strutturare la nostra identità di persone, per chi ci crede anche quella di “popolo”. Nel peggiore dei casi, invece, ce la cantiamo e ce la suoniamo da soli, perché la sensazione è che non si sia ancora riusciti, noi abitanti della Sardegna, a capire chi siamo e soprattutto cosa vogliamo fare. Inutile portare quella bandiera con i Quattro Mori in giro per concerti; ingenuo spacciare la birra Ichnusa come orgoglio regionale.
L’essere sardi passa oggi per la tutela del territorio, le specificità produttive e culturali, l’attenzione alla lingua sarda,la nostra storia, il turismo sostenibile e la mobilità, la comunicazione interna e verso l’esterno del nostro sentire.
Il nostro agire intellettuale deve orientarsi alla diffusione di massa dell’importanza di questi e altri elementi, per cambiare concretamente la situazione della Sardegna. Deve contrastare la semplificazione estrema e spesso folclorica del concetto, analizzarlo nel nostro tempo, comunicarlo con nuovi linguaggi che favoriscano una presa di coscienza il più ampia possibile. Il tutto in una ottica assolutamente inclusiva, perché sardi lo si può perfino diventare, per scelta.
Le nuove tecnologie possono aiutarci, gli incontri pubblici sul territorio anche, una maggiore e più costante attenzione dei media tradizionali sarebbe importante.
Tutto questo è identità, oggi, tutto insieme in una ottica di molteplicità di azioni, lasciando da parte per un momento le dispute filosofiche e un tantino archeologiche su cosa (che poi di solito è un chi) abbia la priorità. Il senso della sardità e dell’appartenenza non può, oggi, essere disgiunto dal resto del mondo, con cui, volenti o nolenti, comunichiamo e interagiamo, che ci riguarda e al quale è corretto, conveniente, salutare, insomma: giusto, proporci. Perché nessun uomo –e nessun “popolo” – è un’isola, e non dobbiamo esserlo neanche noi.
Francesca Madrigali
——————-
REMEMBER
Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
——————
Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni
Il sesto intervento di Salvatore Cubeddu
Il settimo intervento di Fabrizio Palazzari
L’ottavo intervento è di Vito Biolchini
Il nono intervento è di Piero Marcialis
Il decimo intervento è di Nicolò Migheli
L’undicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il dodicesimo intervento è di Franco Meloni
Il tredicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il quattordicesimo intervento è di Gianni Mascia
Il quindicesimo (questo) intervento è di Francesca Madrigali
———-
Le tre follie: Chimica verde, Carbosulcis, Progetto Eleonora. Il ruolo nefasto dei sindacati in Sardegna
Tre follie, una più grande dell’altra. Mettetele voi in ordine di assurdità, il mio intanto è questo: progetto Matrica sulla cosiddetta “chimica verde”, Carbosulcis, Progetto Eleonora. Tre progetti industriali uno più improponibile dell’altro. Perché rischiosi, sorpassati, falsi e bugiardi. Tre progetti che guardano al passato e che rischiano di pregiudicare lo sviluppo futuro della Sardegna.
Chimica verde, riassunto delle puntate precedenti. L’Eni smantella il suo polo industriale nel nord Sardegna e propone, per compensare l’emorragia dei posti di lavoro, la realizzazione di un impianto da un miliardo di euro (secondo loro) in grado di creare (secondo loro) settecento posti di lavoro. Ma cos’è poi in concreto questa cosiddetta chimica verde?
Di fatto, Eni Power e Versalis vogliono creare una centrale elettrica a biomasse alimentata da due caldaie. La prima per la produzione di vapore, alimentata, come combustibile, da un residuo industriale speciale del cracking dell’etilene, denominato FOK (alla faccia dell’ecologia!). La seconda caldaia per la produzione di bioplastiche (e qui viene il bello) dovrebbe invece bruciare la bellezza di 500-600 mila tonnellate di cardi all’anno! Cardi che noi sardi dovremmo produrre, destinando a questa speciale coltivazione qualcosa come centomila ettari del nostro territorio! Mezza Sardegna coltivata a cardo, destinato poi ad essere bruciato: questa è la famosa chimica verde di cui sentite parlare nei telegiornali. Se non è follia questa, ditemi voi come la dobbiamo definire. Come ha raccontato La Nuova Sardegna, il progetto è stato presentato alla commissione del Consiglio regionale. Tutto bene fino a quando non è intervenuto un rappresentante dell’Università di Sassari che ha detto chiaro e tondo due cose: la prima “che il cardo non è la migliore materia prima per estrarre dai suoi semi l’olio naturale alla base della produzione di bio-plastiche” (incredibile!); la seconda che “la coltivazione intensiva del cardo (la centrale a biomasse ha bisogno di grandi quantità) potrebbe avere contraccolpi sulle coltivazioni tradizionali”. Appunto: l’agricoltura sarda stravolta. Una follia.
Carbosulcis: c’è qualcosa che ancora non sapete? La miniera è della Regione e il carbone che si estrae è di pessima qualità: non lo vuole manco l’Enel che lo compra perché obbligata dalla politica e poi lo lascia lì nei piazzali. Per cercare di dare un futuro ai quasi 400 lavoratori della miniera tempo fa qualcuno si è inventato un progetto fantascientifico che prevede l’estrazione del carbone, la sua gassificazione e lo stoccaggio delle scorie nelle gallerie. Il progetto è stato già bocciato tre volte dalla Commissione europea (che dovrebbe finanziarlo), perché evidentemente impraticabile: la produzione a Nuraxi Figus dovrebbe salire vertiginosamente e a Bruxelles vogliono garanzie che l’impianto non sia costruito solo per giustificare l’esistenza in vita della miniera ma perché realmente competitivo. Eja.
Qualche mese fa la Carbosulcis sembrava avere i giorni contati, poi in piena campagna elettorale il deputato del Pdl Mauro Pili si è barricato nelle gallerie, è successo un gran casino e i lavoratori hanno avuto l’ennesima rassicurazione che il progetto sarebbe stato ritenuto prioritario dal Governo nei suoi rapporti con l’Unione Europea. Da allora cos’è successo? Che l’ennesimo ultimatum posto dall’Europa sta scadendo, il progetto richiesto da Bruxelles non si vede e che dunque la chiusura della miniera si avvicina. Nel frattempo però la Regione, nell’ultima finanziaria, ha buttato nei pozzi di Nuraxi Figus altri venti milioni di euro (no comment) mentre i politici del centrodestra (ultima in ordine di apparizione, la Polverini) hanno ripreso il loro pellegrinaggio alla Carbosulcis, perché questa bufala del nuovo progetto sarà in realtà uno dei cavalli di battaglia di Ugo Cappellacci o Claudia Lombardo (chissà chi la spunterà) nella campagna elettorale per le prossime regionali. Cavallo di battaglia solo del centrodestra? Siamo sicuri? Ma andiamo avanti.
Progetto Eleonora. La Saras vuole estrarre ad Arborea un miliardo di metri cubi di metano, mettendo a rischio l’esistenza del polo zootecnico più importante dell’isola. Perché, a parte chi si ritroverà i pozzi di estrazione sotto casa (e a poche centinaia di metri da un’area naturale protetta), ad essere contraria è soprattutto la 3A che teme per le falde acquifere ma soprattutto per l’immagine di un territorio che dovrebbe evocare una situazione ben diversa. Peraltro la 3A non ha nulla contro il metano (infatti vorrebbe realizzare un deposito al porto di Oristano dove stoccarlo, una volta acquistato sul mercato) ma teme i contraccolpi di questa iniziativa. Iniziativa che peraltro riguarderà prestissimo altre zone dell’isola, soprattutto Serramanna, Uta e Assemini, dove la Saras (ma anche altre società) hanno già richiesto l’autorizzazione alle trivellazioni. Perché non mi convince il Progetto Eleonora? L’ho capito parlando ieri con il mio amico Gigi, che mi ha detto: “Il nuovo modello di sviluppo che tutti auspicano si deve basare su un nuovo modello di energia e questo dell’estrazione del metano non lo è. La Sardegna produce già molta energia ma non ne risparmia abbastanza e non punta abbastanza sulle rinnovabili”.
Su questi tre progetti (Matrica, Carbosulcis, Eleonora) la politica sarda è profondamente spaccata. Non nel senso che centrodestra e centrosinistra la pensano diversamente, no: nel senso che sia nel centrodestra che nel centrosinistra ci sono posizioni opposte. Ad esempio, i giovani del Pdl sono contro il Progetto Eleonora, i consiglieri regionali invece a favore. E così anche per gli altri due progetti, sia nel Pd che nel Pdl.
E ora preparatevi perché quello che avete letto finora è solo l’antipasto. Vi faccio una domandina semplice semplice: qual è il soggetto che in Sardegna è a favore, senza spaccature, di tutti i tre i progetti sopra indicati? Rispondete voi? Lo faccio io? Lo faccio io: i sindacati.
Cgil, Cisl e Uil sostengono in misura diversa (ma sostengono) sia la chimica verde, sia il rilancio della Carbosulcis, sia il progetto Eleonora. Laddove gli schieramenti politici hanno dubbi, spaccature e ripensamenti significativi, i sindacati no, sono sempre molto compatti al loro interno. È questa la loro forza vera: sono uniti ad ogni livello.
I sindacati si lamentano (e giustamente) con la politica regionale per la sua inconsistenza. Ma in che misura le tre sigle confederali possono essere considerate responsabili della crisi di senso che attraversa l’isola? Sono credibili queste organizzazioni che sostengono senza batter ciglio ogni iniziativa industriale, anche quella più inverosimile? Perché parlano di “nuovo modello di sviluppo” se poi sono le prime a sostenere con forza quello vecchio?
Ma il punto non è neanche solo questo, il punto è (scusate se ho la fissa) culturale. Nel momento in cui sempre di più ci si rende conto che la Sardegna ha bisogno di un progetto di autogoverno, che nulla o poco di buono potrà arrivare dall’Italia ormai incasinata di suo e non certo attenta alle esigenze del due per cento della sua popolazione, nel momento in cui sarebbe invece opportuno realizzare uno “strappo” dalle grandi organizzazioni nazionali per rimettere al centro realmente le necessità dei sardi, i sindacati confederali (quanto se non più dei grandi partiti italiani) restano fedeli ad una logica nazionale e subordinano tutto ad essa.
Al pari dei partiti, la crisi di senso che la Sardegna sta attraversando è provocata anche dai sindacati che, per miopia o convenienza, continuano a riprodurre dinamiche ormai fallimentari. Ecco perché i loro quadri appoggiano Matrica, Carbosulcis ed Eleonora: perché stanno in Sardegna ma sono stati formati a Roma e a Milano, questo è il guaio.
Lungi da me ovviamente sminuire il ruolo del sindacato per il suo impegno a difesa dei diritti dei lavoratori, ci mancherebbe pure, il primo che mi fa dire cose che non penso neanche lontanamente lo attacco al muro. Ma anch’io, come ha scritto bene e con coraggio l’esponente della Federazione delle Sinistre, Enrico Lobina nel suo post “Rivoluzioniamo la Cgil”, penso che
“la Cgil rivoluziona se stessa o declina (…) Bisogna porsi pochi obiettivi, ma chiari. Unificare il lavoro, rivoluzionare l’organizzazione e la trasparenza totale sono i nostri obiettivi. Unificare il lavoro significa parlare a tutti coloro che hanno meno di 40 anni, non hanno sindacato e non lo possono avere. È la parte più sfruttata del mondo del lavoro, e non lo rappresentiamo. (…) Non si può rispondere alla fine di un modello di sviluppo con la difesa di quello stesso modello. Su questo aspetto siamo al capolinea”.
I sindacati che difendono la Carbosulcis, ad esempio, si allontanano drammaticamente dalla nuova classe egemone di lavoratori di oggi, concretamente rappresentata da quelle migliaia di giovani che non sono riusciti ad accedere agli stage da 500 euro al mese, e anzi sostanzialmente li condannano alla loro condizione di lavoratori senza rappresentanza e senza consapevolezza. Quelli per la Carbosulcis, con tutto il rispetto che va dato ai lavoratori della miniera, sono ormai soldi buttati e tolti ai giovani senza lavoro, quello vero però, non quello assistito. Con le loro posizioni inverosimili, i sindacati sardi sono oggi un elemento di conservazione del sistema, non di innovazione. Sono un tappo al nuovo sviluppo dell’isola.
E se ci aggiungiamo che i sindacati, questi sindacati, con i loro apparati simbolici e concreti, sono l’unica vera organizzazione rimasta a sinistra, ci rendiamo anche conto dei motivi della crisi di senso e di consenso che conoscono i partiti della sinistra storica e lo stesso Pd (che a Roma oggi ha come segretario l’ex segretario nazionale della Cgil, per dire).
Conclusione: se non cambiano i sindacati sardi, non cambia la politica sarda, e dunque l’isola resta quella che è. Forse qualcuno passerà dal sindacato al consiglio regionale o al parlamento e siamo contenti per lui, ma per la Sardegna non mi sembra una grande cosa avere l’immobilismo come prospettiva. Se non cambiano i sindacati sardi (e dunque la politica, perché i partiti non hanno oggi la forza di contrapporsi alle organizzazioni sindacali e ne sono invece succubi), bisognerà inventarsi in fretta qualcosa di nuovo perché qui la barca sta affondando e la gente, come si è visto bene ad Arborea, ha voglia di partecipare e non si beve più come se niente fosse ogni cosa che arriva dai partiti, dalla Saras e dall’Eni. E da Cgil, Cisl e Uil.
Fine del ragionamento.
Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnaei nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
——————
Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
———
Il dipinto di anonimo pittore, datato XVII sec., situato nello studio del rettore dell’Università di Cagliari, spesso viene considerato come l’immagine di Eleonora d’Arborea. In realtà è più accreditata la tesi che rappresenti l’immagine di Giovanna la pazza.
——–
Sull’argomento “chimica verde e dintorni” le posizioni di Aladinews sono espresse da Vanni Tola, negli interventi quì segnalati
LA SEDIA DI VANNI
Chimica verde? Discutiamone con tutti i dati sul tavolo. E poi decidiamo (e questo è il punto!) innanzitutto nell’interesse di noi sardi e della Sardegna.
Spesso il desiderio di dimostrare un concetto viene concretizzato adattando informazioni e dati, che dovrebbero essere quanto più obiettivi, al proprio obiettivo. Il risultato, in termini di corretta comunicazione, diventa, in questi casi, controproducente e non favorisce di certo il miglioramento delle conoscenze di chi legge e l’arricchimento del dibattito. Affermare che il progetto Chimica Verde rappresenti una follia, che si tratti di un progetto rischioso e sorpassato che guarda al passato e rischia di pregiudicare lo sviluppo futuro della Sardegna, è un’opinione legittima e naturalmente rispettabile. Ma non si può descrivere un progetto complesso e articolato come quello di Matrìca in modo semplicistico e superficiale. Dall’articolo di V. Biolchini, pubblicato sul nostro notiziario, sembra di capire che l’obiettivo fondamentale del progetto Matrìca sia quello di “ creare una centrale elettrica a biomasse alimentata da due caldaie. La prima per la produzione di vapore, alimentata, come combustibile, da un residuo industriale speciale del cracking dell’etilene, denominato FOK (alla faccia dell’ecologia!). La seconda caldaia per la produzione di bioplastiche (e qui viene il bello) dovrebbe invece bruciare la bellezza di 500-600 mila tonnellate di cardi all’anno!”.
Procediamo con ordine. Il progetto Matrìca in realtà consiste, fondamentalmente, nel trasformare il vecchio impianto dell’Eni di Portotorres in una bioraffineria di terza generazione, una delle più importanti d’Europa, per produrre il bio-butadiene, un monomero impiegato nell’industria della gomma utilizzando, come materia prima biomasse. In pratica nel trasformare un cimitero industriale in una fabbrica di elementi base per la produzione di polimeri biodegradabili da prodotti vegetali che costituiranno la materia prima per la produzione di bioplastiche. La centrale elettrica alimentata da biomasse (cioè dal residuo del cardo dopo che sono stati estratti gli olii per la produzione dei polimeri) serve esclusivamente per produrre l’energia elettrica necessaria per il funzionamento della bioraffineria evitando di utilizzare combustibili fossili. La centrale elettrica ausiliaria, che originariamente doveva essere alimentata con il Fok, sostanza pericolosissima e cancerogena, sarà in realtà alimentata con altro combustibile. Questa è una notizia ufficiale emersa nell’incontro pubblico tra Eni e Comune di Portotorres di qualche mese fa. E’ priva di fondamento la notizia dei centomila ettari di suolo agricolo da destinare alla coltura del cardo. Al momento neppure l’Università di Agraria azzarda previsioni sulla superficie necessaria per la produzione del cardo che alimenterà la bioraffineria. Il responsabile agricoltura dell’Enimont, intervistato a margine della citata riunione di Portotorres, ha dichiarato che, sulla base delle loro sperimentazioni e nella migliore delle ipotesi, la superficie agricola interessata alla coltivazione del cardo non supererà i 25.000 Ha. Superficie notevole che, tuttavia, corrisponde si e no a circa la metà delle superfici agricole abbandonate in provincia negli ultimi cinque anni (dati Istat).
Chiarito ciò, è evidente che nessuno è disposto a mettere la mano sul fuoco sulla “bontà” del progetto Matrìca. I danni prodotti dall’Eni in Sardegna sono sotto gli occhi di tutti. I problemi da approfondire sono tanti, in primo luogo quello delle bonifiche ambientali del vecchio sito petrolchimico, la verifica del reale impatto ambientale della nuova bioraffineria. Il problema vero però, a mio avviso è un altro. La Sardegna può disinteressarsi di un grande progetto di riconversione della chimica di base. Può chiamarsi fuori dal mercato delle bioplastiche che presenta interessanti potenzialità economiche nel mondo e stravolge il vecchio modo di fare chimica da fossile o deve rincorrere, favorire e assecondare tali processi come una delle possibili scelte di sviluppo?
(Vanni Tola)