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La Sardegna si propone come Territorio Intelligente (ecosistema favorevole ai processi innovativi), anche in previsione di un prossimo bando del Mise
Intanto la Regione organizza un Convegno “Sardegna isola dell’innovazione. Dall’idea all’impresa”. Ecco il programma diramato da Sardegna Ricerche. Come abbiamo segnalato in altre occasioni siamo in attesa di un apposito bando da emanarsi a cura del Ministero dello Sviluppo che prevederà l’attribuzione della qualità di “territorio intelligente” a quegli ecosistemi innovativi in grado di proporsi come esempio e traino dei processi innovativi e, conseguentemente, attrattori di investimenti in persone e attività produttive. Connessi a questa attribuzione di qualità sono previste sperimentazioni e incentivazioni di varia natura (fiscale, promozionale, semplificazione burocratica, etc). Le risorse a disposizione per questa operazione sarebbero consistenti, ma tali da premiare solo pochi territori italiani (si parla di 4 o 5). Non sappiamo poi se intere regioni possano proporsi come “territorio intelligente” o porzioni territoriali più ridotte. Certo è che i territori che vorranno candidarsi dovranno porsi in competizione per cogliere tale opportunità. Senza esagerare, ma solo per rendere chiaro il concetto, si tratta di una sorta di candidatura alla sede dei giochi olimpici. I territori che si candidano devono già possedere una serie di attributi-condizioni, quali ad esempio l’esistenza di imprese innovative (sopratutto start up innovative), l’esistenza di consistenti attività di ricerca e di formazione, l’esistenza di infrastrutture che facilitino le attività formative e di ricerca (dalla banda larga alle condizioni di vivibilità dei territori) e, aggiungiamo, devono essere in grado di adeguarsi rapidamente rispetto a determinati standard. L’iniziativa seminariale che la Regione propone (e di cui si da dettagliata notizia nel proseguo), coglie opportunisticamente il momento (lo diciamo in senso positivo, a merito degli organizzatori), ma se vorrà essere produttiva dovrà porsi esplicitamente come occasione per mettere le basi a operazioni più consistenti e partecipate. La cartina di tornasole potrebbe essere costituita proprio dal fatto che si trovino a partire dal Convegno accordi per le iniziative future a partire dall’individuazione di precise modalità organizzative per la partecipazione al bando di cui si è detto. Al riguardo è fondamentale che si costituisca un tavolo operativo tra le istituzioni (la Regione e gli Enti locali e, tra questi ultimi, sopratutto le amministrazioni di Cagliari e delle altre città più grandi), le Camere di Commercio (e la loro Unione regionale), le Università e gli altri Centri di ricerca e le Associazioni di categoria, soprattutto con riferimento alle imprese innovative. Le quali ultime sono nella quasi totalità piccole e spesso micro imprese, a volte non rappresentate dall’associazionismo tradizionale, cosa che consiglia specifiche forme di tutela della rappresentanza delle stesse. Ovviamente la partecipazione deve essere massimamente estesa e perciò andare oltre rispetto alle stesse organizzazioni citate, coinvolgendo i singoli, siano essi studenti o semplici cittadini che hanno voglia e intelligenza da mettere a fattor comune a beneficio di tutta la comunità. Occorre parlarne, con il massimo sforzo di chiarezza, tenendo conto dei tempi brevi a disposizione, che richiedono concretezza, con un supplemento di impegno e dedizione al compito da parte degli uomini e delle donne che rappresentano le Istituzioni e le Imprese.
La Terza Conferenza sulla ricerca e l’innovazione. La politica lascia tutto in mano ai professori!
di Aladin
Non basta investire in misura consistente nella ricerca scientifica per determinare l’innovazione in tutti i settori della società. Occorre fare scelte su dove e come investire queste risorse, che seppure consistenti, sono scarse per definizione e pertanto devono essere impiegate nel modo migliore possibile, con efficienza ed efficacia. Per questa finalità tra i diversi criteri ve ne è uno fondamentale, che è questo: la ricerca deve contribuire in modo esplicito e misurabile a creare occasioni di lavoro. Tra queste occasioni vi è prima di tutto il lavoro stabile e poi tutte le opportunità che consentono la remunerazione dignitosa del lavoro anche quando esso è a tempo determinato o limitato rispetto alla vita di un determinato progetto. E quando parliamo di lavoro ci riferiamo sia al lavoro subordinato, sia al lavoro nelle imprese, sia al lavoro autonomo di carattere professionale. Quando si snocciolano i dati dei denari spesi o stanziati per la ricerca vogliamo che siano resi noti insieme ai risultati attesi ed effettivi quelli sulle opportunità di lavoro create o realisticamente realizzabili. Ma questa “contabilità” è proprio quella che manca, che è mancata tra le molte parole dette nella Terza conferenza regionale sulla ricerca e l’innovazione. In verità seppure timidamente la questione è stata tirata fuori negli interventi dei due “politici ufficiali” presenti alla manifestazione (oltre all’assessore Giorgio La Spisa), precisamente dai consiglieri regionali Pietro Pittalis del Pdl e Giampaolo Diana del Pd, i quali hanno messo in relazione le risorse agli obbiettivi dello sviluppo economico-sociale della Sardegna. E il lavoro è il primo degli obbiettivi della politica regionale (almeno così virtuosamente crediamo!). Ma i due, seppure Diana sia stato più esplicito, hanno parlato appunto timidamente, con l’animo dello studente al cospetto dei professori, che in quella sede sembravano i “dominus”. Perfino l’assessore La Spisa si è sentito in dovere di incoraggiare i due politici riconoscendo che la ricerca deve rispondere a precisi indirizzi politici stabiliti nelle sedi politiche (Consiglio regionale in primis) e che quindi le richieste erano più che legittime. Ma è appunto questo il principale problema in tema di destinazione delle risorse per la ricerca scientifica in Sardegna; occorrono indirizzi precisi da parte della politica, che purtroppo non ci sono, almeno in modo adeguato. Certo la ricerca in certa parte deve essere lasciata libera di andare dove vuole, dappertutto, a piacimento della creatività dei ricercatori, ma in altra parte – in misura più consistente – deve essere orientata a risolvere i problemi della società. E i ricercatori e le (molte) istituzioni pubbliche e le (poche) entità private che fanno ricerca e per questo sono finanziate con risorse pubbliche devono dare conto dei risultati e di come dette risorse vengono impiegate. Tra questi impieghi è fondamentale conoscere in dettaglio quante opportunità di lavoro vengono create direttamente o nell’indotto. Ma perchè tutto ciò in Italia e in Sardegna appare così strano? Non lo è per esempio negli Stati Uniti, dove l’amministrazione centrale e sopratutto i governi degli Stati, pongono alla base dei finanziamenti alla ricerca proprio la concreta possibilità che creino lavoro.