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La Terza Conferenza sulla ricerca e l’innovazione. La politica lascia tutto in mano ai professori!
di Aladin
Non basta investire in misura consistente nella ricerca scientifica per determinare l’innovazione in tutti i settori della società. Occorre fare scelte su dove e come investire queste risorse, che seppure consistenti, sono scarse per definizione e pertanto devono essere impiegate nel modo migliore possibile, con efficienza ed efficacia. Per questa finalità tra i diversi criteri ve ne è uno fondamentale, che è questo: la ricerca deve contribuire in modo esplicito e misurabile a creare occasioni di lavoro. Tra queste occasioni vi è prima di tutto il lavoro stabile e poi tutte le opportunità che consentono la remunerazione dignitosa del lavoro anche quando esso è a tempo determinato o limitato rispetto alla vita di un determinato progetto. E quando parliamo di lavoro ci riferiamo sia al lavoro subordinato, sia al lavoro nelle imprese, sia al lavoro autonomo di carattere professionale. Quando si snocciolano i dati dei denari spesi o stanziati per la ricerca vogliamo che siano resi noti insieme ai risultati attesi ed effettivi quelli sulle opportunità di lavoro create o realisticamente realizzabili. Ma questa “contabilità” è proprio quella che manca, che è mancata tra le molte parole dette nella Terza conferenza regionale sulla ricerca e l’innovazione. In verità seppure timidamente la questione è stata tirata fuori negli interventi dei due “politici ufficiali” presenti alla manifestazione (oltre all’assessore Giorgio La Spisa), precisamente dai consiglieri regionali Pietro Pittalis del Pdl e Giampaolo Diana del Pd, i quali hanno messo in relazione le risorse agli obbiettivi dello sviluppo economico-sociale della Sardegna. E il lavoro è il primo degli obbiettivi della politica regionale (almeno così virtuosamente crediamo!). Ma i due, seppure Diana sia stato più esplicito, hanno parlato appunto timidamente, con l’animo dello studente al cospetto dei professori, che in quella sede sembravano i “dominus”. Perfino l’assessore La Spisa si è sentito in dovere di incoraggiare i due politici riconoscendo che la ricerca deve rispondere a precisi indirizzi politici stabiliti nelle sedi politiche (Consiglio regionale in primis) e che quindi le richieste erano più che legittime. Ma è appunto questo il principale problema in tema di destinazione delle risorse per la ricerca scientifica in Sardegna; occorrono indirizzi precisi da parte della politica, che purtroppo non ci sono, almeno in modo adeguato. Certo la ricerca in certa parte deve essere lasciata libera di andare dove vuole, dappertutto, a piacimento della creatività dei ricercatori, ma in altra parte – in misura più consistente – deve essere orientata a risolvere i problemi della società. E i ricercatori e le (molte) istituzioni pubbliche e le (poche) entità private che fanno ricerca e per questo sono finanziate con risorse pubbliche devono dare conto dei risultati e di come dette risorse vengono impiegate. Tra questi impieghi è fondamentale conoscere in dettaglio quante opportunità di lavoro vengono create direttamente o nell’indotto. Ma perchè tutto ciò in Italia e in Sardegna appare così strano? Non lo è per esempio negli Stati Uniti, dove l’amministrazione centrale e sopratutto i governi degli Stati, pongono alla base dei finanziamenti alla ricerca proprio la concreta possibilità che creino lavoro.