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Camera di Commercio di Cagliari: guardiamo agli interessi della Sardegna

F Figari-cantiere navale CCIAA CaChe succede in Camera di Commercio? Tutte le informazioni nel servizio giornalistico di Alessandra Carta su SardiniaPost.
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ape-innovativa2di Franco Meloni
Forse i procedimenti adottati, pubblicati negli esaustivi servizi di Alessandra Carta su SardiniaPost, contengono come dicono i giuristi alcuni “profili di illegittimità”, ma danno conto senza ombra di dubbio che 1) il dott. Giancarlo Deidda non gode più del consenso del Consiglio Camerale, che gli ha votato all’unanimità dei presenti alla riunione del 31 marzo (21 su 32 componenti) una mozione di sfiducia, ai sensi dello Statuto dell’Ente. Vero è che la riunione si è tenuta in proseguo di quella presieduta dallo stesso Deidda che l’aveva dichiarata chiusa prima di mettere in votazione la mozione. Ma i consiglieri rimasti hanno poi votato la sfiducia, apponendo tutti la firma sul verbale della seduta tenutasi in proseguo in assenza di Deidda; 2) i consiglieri l’8 aprile hanno eletto al terzo scrutinio un nuovo presidente, nella persona di Vitangelo Tizzano, con l’unanimità dei 19 presenti, voto regolare, richiedendosi ai sensi dello Statuto la maggioranza semplice dei componenti il Consiglio.
Ora, come detto in premessa, non bisogna nascondere che vi siano dubbi sulle procedure adottate, ma la volontà del Consiglio è chiara ed inequivocabile. Spetta alla struttura amministrativa mettere a posto le cose per gli aspetti formali, dando seguito appunto alla volontà espressa dal Consiglio.
Giancarlo Deidda può fare resistenza, con l’unico risultato di prolungare, di poco, la sua permanenza in carica come presidente, ma così provocando inutili ulteriori disagi e danni, non solo di immagine, alla Camera di commercio di Cagliari. Se decidesse di prendere atto della realtà e quindi di accettare senza indugi il verdetto del Consiglio meriterebbe l’onore delle armi. E’ contro il suo interesse personale? Può darsi, ma, qui devono valere i superiori interessi pubblici. Anche se il caso è profondamente diverso, ma pertinente nelle conclusioni, prenda ad esempio la vicenda delle elezioni presidenziali negli Stati Uniti d’America che si svolsero il 7 novembre del 2000. La sfida oppose il candidato repubblicano George W. Bush e il vicepresidente democratico uscente Al Gore. In termini di voto popolare prevalse quest’ultimo, ma i voti elettorali, 271 contro 266, furono favorevoli a Bush e ne determinarono l’elezione. Al Gore, contro il suo interesse non fece resistenza oltre una certa misura, così si comportò per l’America che aveva necessità di un presidente nella pienezza dei poteri. Ecco, Deidda rinunci a qualsiasi resistenza ulteriore: lo faccia per la Camera di Cagliari e per la Sardegna.
A Vito Tizzano, nuovo presidente della Camera di Commercio di Cagliari tutti chiediamo un rilancio della stessa per l’importante missione che è chiamata a svolgere per l’economia del territorio.
L’occasione della presentazione della nuova Camera sarà la giornata inaugurale della Fiera di Cagliari, che, anch’essa, deve cambiare, trasformarsi, come più volte è stato detto e scritto, per porsi davvero al servizio dello sviluppo economico di tutta la Sardegna.
Dunque si archivi rapidamente il passato e si guardi al futuro. Non c’è molto tempo per ricuperare i terribili ritardi, ma ci sono le energie per farlo. Ne siamo convinti!

La primavera dell’università che vogliamo

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di Franco Meloni
Lo ripetiamo con esercizio di sano ottimismo: è di buon auspicio che il nuovo rettore dell’università di Cagliari venga eletto in primavera. Speriamo che anche per suo impulso si realizzi una “primavera dell’università”. Sono molte le aspettative al riguardo, dentro e oltre il mondo accademico, perchè l’università è importante e costituisce uno strumento formidabile per sollecitare, accompagnare, contribuire a realizzare i processi di cambiamento nella e della nostra società. Di questo cambiamento, come sempre ma particolarmente in questo periodo storico, abbiamo bisogno trattandosi della condizione per affrontare e auspicabilmente superare le crisi. Vale in generale, ma noi pensiamo specificamente alla situazione sarda, sulla quale torneremo subito.
Prima vorrei ricordare che alle tradizionali due missioni dell’università, la formazione (dei giovani innanzitutto, ma direi delle persone di ogni età) e la ricerca scientifica, se ne aggiunge una terza, che consiste nel trasferimento dei saperi al territorio, oggi decisamente sottodimensionata. Evidentemente le tre missioni quantunque enucleabili sono tra loro fortemente connesse. Le università hanno necessità di ripensare se stesse e ridefinire complessivamente le tre grandi missioni, in un confronto con le comunità di riferimento – sia scientifiche sia territoriali – nelle quali sono impegnate.
Si dirà che questo sforzo di adeguamento le università italiane sono impegnate a farlo ormai da oltre trent’anni, ma i vari provvedimenti di riforma che si sono susseguiti nel tempo a ritmi pazzeschi hanno comportato più guai che miglioramenti, consegnandoci l’attuale università burocratizzata e incapace di rispondere fino in fondo alle esigenze del paese.
Un rettore che insieme alla propria comunità accademica voglia cambiare questo stato di cose deve in primo luogo rendere attivamente partecipe la propria istituzione di un movimento complessivo di riforma, che contrasti l’attuale deriva distruttiva dell’università pubblica italiana. Si deve essere consapevoli che occorre invertire la rotta rispetto alla direzione impressa al sistema universitario italiano dalla legge Gelmini, fin troppo assecondata dai rettori regnanti di questi ultimi anni e contrastata soprattutto dagli studenti, che vede purtroppo continuità nelle politiche del governo Renzi.
Certamente però uno spazio d’azione esiste al livello regionale. Qui si tratta di costruire ex novo una politica universitaria che innanzitutto realizzi l’Università della Sardegna, nel rispetto e nel ricupero della ricchezza delle diversità dei due Atenei storici, ma proiettata nel futuro di quanto occorra per i sardi e la Sardegna: l’Università della Sardegna che guardi all’Europa e al Mediterraneo e metta insieme la qualità dell’insegnamento e della ricerca di Sassari con quella di Cagliari, passando dalla competizione alla collaborazione.
C’è molto da fare. Forse non si hanno ancora le idee chiare su cosa e come fare. Ma ci sono sicuramente intelligenze e risorse materiali per fare bene. Occorre cimentarsi mettendo in gioco tutte le risorse di cui disponiamo, dentro e fuori l’università. Bisogna crederci.
Ci creda per primo il rettore che uscirà vincitore dalla competizione elettorale.
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Riferimenti diretti
io 65 a bruxL’UNIVERSITÀ PER LO SVILUPPO DEL TERRITORIO
Per una nuova governance dell’Università che ne rafforzi la funzione di valorizzazione
delle conoscenze, risorse per lo sviluppo delle comunità e del territorio
F. Meloni, Cagliari, 2007.
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Università: per non morire di autoreferenzialità
di Franco Meloni, su aladinews del 23 gennaio 2013

“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country.” “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America.

E’ una frase che mi piace e che a partire da ciascuno di noi deve riguardare tutti per orientare comportamenti virtuosi verso il bene pubblico. Ritengo che si possa riferire in modo pertinente soprattutto a quanti gestiscono la “cosa pubblica”.
Non è allora fuori luogo il fatto che mi sia venuta in mente pensando allo stato attuale delle università nel nostro paese. Cercherò di spiegarlo nel proseguo.
L’università pubblica che per definizione è al servizio del paese e dei cittadini, nonostante la sua funzione essenziale per qualsiasi traguardo di sviluppo sociale ed economico, è sottoposta da molti anni a questa parte a politiche vessatorie, fatte soprattutto di progressive restrizioni delle risorse statali, di aumento smisurato di adempimenti burocratici, di sfiancanti processi di riforma, in gran parte inefficaci.
A perderci in questa situazione non è certo, se non in minima parte, l’accademia, consolidata nei propri privilegi, quanto piuttosto gli studenti e, in conclusione, il paese intero. L’università pubblica, nel suo complesso, sembra destinata ad un inesorabile declino per mano assassina della politica (del governo come del parlamento) e, si badi per inciso, in presenza di un governo mai stato così tanto partecipato da professori, da assomigliare a un “senato accademico”
Ma perchè non si riesce a fermare questo precipitare verso il peggio? Forse i consapevoli quanto responsabili (colpevoli) di quanto accade pensano che le Università virtuose possano risuscitare dalle ceneri delle attuali. Sarebbe follia, ma sembra appunto questa la strada intrapresa. Non avanziamo qui ulteriori considerazioni, rinviando ad autorevoli approfondimenti, come quelli in grande parte condivisibili di Gianfranco Rebora (http://gianfrancorebora.org/category/universita/).
Invece vogliamo soffermarci su un aspetto: quello del modo in cui è percepita l’Università da parte della gran parte delle persone, dei cittadini e dalle altre organizzazioni. Fondamentalmente come un luogo di privilegiati che si occupano sì di scienza, cultura, insegnamento… ma quando e come vogliono, dall’alto delle loro sicurezze e con atteggiamenti di supponenza e separatezza, senza aver alcun obbligo di “resa del conto”, innanzitutto a chi finanzia l’università (in primis le famiglie, poi lo Stato, le Regioni, l’Unione Europea, etc). Sì, non è vero che sia tutto così deprecabile. Sappiamo, per esempio, quanti professori svolgono con scrupolo e impegno il loro prezioso lavoro e ancor di più quanti giovani nelle università lavorino sodo, i più senza adeguati riconoscimenti monetari e di carriera… Anche qui non mi soffermo, perchè il problema che voglio affrontare è un altro, precisamente questo: perchè nessuno, tranne i diretti interessati, difende l’Università? La risposta, a mio parere, si può ancora una volta trovare sul “peccato di autoreferenzialità” che marchia l’Università e che la rende largamente estranea al resto della società. Non voglio parlare di “parentopoli” o cose di questa natura, che rappresentano comunque perduranti patologie, ma piuttosto del modo normale di atteggiarsi delle università, soprattutto in relazione al modo in cui esse sono rappresentate dai rettori e dai diversi gruppi dirigenti. Del “peccato di autoreferenzialità” si ha certo da tempo consapevolezza, tanto è che perfino negli ambienti accademici si ricercano modalità per superarlo. Le stesse numerose leggi e altri miriadi di provvedimenti cosiddetti di riforma hanno a parole combattuto l’autoreferenzialità, ma possiamo azzardare che sia invece aumentata, tanto da far considerare la stessa come una delle cause più rilevanti del cattivo rapporto università-territorio.
Richiestomi da un’amica ricercatrice universitaria che indaga sull’apertura delle università al territorio così come appare dalla riformulazione degli statuti, in applicazione di quanto previsto dalla legge 30 dicembre 2010 n. 240, ho letto tutti o quasi gli statuti, pubblicati nei siti degli Atenei, tanto da ritenermi legittimato ad esprimere qualche giudizio. La mia lettura ha riguardato fondamentalmente gli aspetti dell’apertura dell’ateneo al territorio, in certa parte rappresentata dalla valorizzazione dei saperi nel loro trasferimento sul territorio e l’apertura al medesimo territorio attraverso la partecipazione alla governance universitaria dei soggetti del territorio. Per il primo aspetto (apertura) devo dire che in tutti gli statuti esaminati emerge l’attenzione verso il territorio di riferimento di ciascun Ateneo. L’impegno particolare verso la regione (istituzione e territorio) risulta in tutti, ma in modo marcato per le università che operano nelle regioni a statuto speciale (tra questi statuti segnalo quello dell’Università di Sassari per i riferimenti alle specificità delle problematiche regionali come la lingua, l’identità la cultura, etc). Maliziosamente potremmo darci ragione di tale enfasi rammentando come i rapporti Università-Regione comportino importanti trasferimenti di risorse dalle casse regionali a quelle universitarie, generalmente regolati da appositi protocolli d’intesa/convenzioni. Tuttavia – e qui parliamo del secondo aspetto (partecipazione alla governance) – il rapporto con il territorio rispetto all’ambito di diretto riferimento o considerato quello di più vaste dimensioni (nazionale, europeo, internazionale) non prevede negli statuti esaminati particolari forme di integrazione a livello gestionale, salvo alcuni statuti, ad esempio delle università dell’Emilia e Romagna e dell’Università di Bari che hanno istituito appositi organismi (come la “consulta dei sostenitori” per le università emiliano-romagnole e la “conferenza d’ateneo” per l’università di Bari), con prerogative abbastanza significative per quanto riguarda il controllo “esterno” sulla (e il coinvolgimento nella) programmazione delle attività dell’Università. Si osserva come dal punto di vista dell’integrazione tra Università e Istituzioni dell’ambito territoriale risultino, anche per effetto della legge di riforma e degli statuti, significativamente affievoliti i legami che storicamente si erano precedentemente consolidati. Parliamo soprattutto del legame con le città. Gli statuti riformati sulla base della legge citata prevedono la presenza nei consigli di amministrazione e nei nuclei di valutazione di esperti non appartenenti al mondo accademico, ma hanno abolito qualsiasi rappresentanza delle Istituzioni (Comune capoluogo in primis). Da questo versante possiamo pertanto dire che i nuovi statuti ci hanno consegnato università rafforzate nell’autoferenzialità. Si può osservare come la legge di riforma non impediva la costituzione di organismi di collegamento e di partecipazione alla programmazione, e gli statuti citati (sia pure nella debolezza della ”consulta dei sostenitori” o consimili) ne è prova, ma l’errore di non aver previsto l’obbligatorietà di tali organismi (così come previsto, ad esempio, nell’ordinamento delle università spagnole) ha portato di fatto a non contemplarli e pertanto ad una ulteriore chiusura autoreferenziale delle università. Ne emerge la riproposizione “in peius” di modelli tradizionali, meno partecipati dalle Istituzioni e dal mondo delle Imprese, nei quali anche la famosa “terza missione” viene sì prevista ma con carattere subordinato rispetto alle tradizionali funzioni universitarie (ricerca e insegnamento). Certo bisogna riconoscere la positività della previsione dell’impegno per il trasferimento tecnologico per la quasi totalità delle Università che lo hanno citato nei principi fondamentali degli statuti, cosa che dovrebbe indurre a un maggiore impegno dell’Ateneo per questa missione, ma il tutto appare davvero insufficiente. Nello specifico, probabilmente bisogna prendere atto che l’attività di diffusione del sapere/trasferimento tecnologico può essere efficacemente attuata solo con una strumentazione diversa da quella propriamente accademica e pertanto attraverso strumenti come Fondazioni e Consorzi. Infatti è difficile pensare che una gestione efficace ed efficiente di tali attività possa essere svolta dagli attuali organi di governo dell’Ateneo (Rettore, Senato accademico, Consiglio di amministrazione…). Al tutto dobbiamo aggiungere, in negativo, una maledetta spirale burocratica che avvolge gli Atenei pubblici fino a volerli ridurre a una sorta di licei rigidamente controllati dal Ministero dell’economia. In analogia per quanto detto in fatto di partecipazione delle Istituzioni (e delle Imprese) alla governance degli Atenei sarebbe auspicabile che una legge prevedesse l’obbligatorietà per ogni università di dare vita a una propria fondazione per le attività propriamente riconducibili alla “terza missione”.
E infine, torniamo all’incipit del presente contributo, riscrivendo a nostro uso la famosa frase di Kennedy: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!

Architettura Ad Alghero. Hanno ragione gli studenti, ma anche Pigliaru, al quale spetta dare impulso alla costruzione dell’Università della Sardegna

SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-71di Franco Meloni
La recente vicenda del Dipartimento di “Architettura ad Alghero” (notate la denominazione, su cui tornerò) merita una riflessione che vada oltre la richiesta del contributo regionale aggiuntivo (aggiuntivo rispetto a quanto l’Università di Sassari, a cui afferisce il Dipartimento, trasferisce alle proprie strutture interne). Sgombriamo subito il campo dalla questione contingente, dicendo che il Consiglio regionale ha fatto bene a deliberare eccezionalmente tale elargizione al fine di non danneggiare gli studenti e che bene ha fatto il presidente Pigliaru a pretendere che venisse inserita nella delibera la motivazione del contributo, con preciso riferimento alla “posizione di eccellenza raggiunta dal dipartimento”. Come ha riferito SardiniaPost, Pigliaru si è letteralmente impuntato: “Tutti sappiamo – ha detto – che Alghero sia un’eccellenza, prima in classifica in molti ranking nazionali, come il Censis, di indubbia autorevolezza. Ma quando si danno soldi pubblici, bisogna fissare una regola generale. Se quindi la ragione per la quale si finanzia Architettura è la premialità, allora lo si scriva espressamente. Questo vuol dire tutelare anche tutti quei dipartimenti e facoltà che aspirano a diventare eccellenza. A tutti vanno date pari opportunità”. Chiusa questa vicenda si apre ora quella di grande importanza che comporta un riordino del sistema universitario pubblico della Sardegna. Questione che rientra nella competenza primaria dello Stato, ma che non può vedere la Regione estranea, anche per la sua specificità, minacciata quanto sappiamo, ma tuttavia formalmente esistente di “Regione Autonoma”. Come abbiamo già detto chiaramente, il Governo italiano al riguardo ha espresso la propria determinazione: le due Università sarde devono unificarsi o associarsi in una vera federazione, con un solo consiglio di amministrazione e comuni strutture tecnico amministrative. Di questo ne sono pienamente consapevoli le dirigenze accademiche che dovrebbero concertare una linea comune con la Regione per costruire l’Università della Sardegna, con una struttura rispondente da una parte alle impostazioni del sistema universitario italiano, dall’altra alle esigenze della Sardegna. Occasione SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-121quantunque obbligata che può essere affrontata con spirito positivo e innovativo e nella ricerca di un coinvolgimento quanto mai diffuso e attivo dei territori. Cosa molto diversa da quanto si sta facendo, laddove il dibattito è sequestrato nelle segrete stanze dei Palazzi. Si crea allora una situazione che ha del paradossale: da una parte si chiede che tutto resti com’è e che si salvaguardino gli antichi privilegi, più o meno legittimi, dall’altra si tenta di costruire un discorso nuovo, che affronti la nuova situazione, ma lo si fa in modo paludato, senza parlare chiaro, se non per quanto si è costretti a giustificare per dare conto dei compromessi. Così Bibo Cecchini, che pur è un innovatore, ma che in questo caso si limita a chiedere di salvare il salvabile, sbotta annunciando le dimissioni da direttore: “tutti sanno che nel giro di pochi anni ci sarà una sostanziale unificazione dei due atenei sardi. È un lucido, insensato disegno che alcuni ambienti politico-culturali perseguono da tempo: Sassari conserverà verosimilmente soltanto Medicina, Agraria e Veterinaria, il resto sarà concentrato nel capoluogo regionale. Peccato che in questa logica di spartizione che va bene a tante persone ci sia una realtà come la nostra considerata inaffidabile perché fuori da tutti i giochi, da tutte le famiglie, da tutte le appartenenze” . Ma perché le cose devono andare come prevede Cecchini che rimarca solo le derive negative sorvolando sugli aspetti positivamente innovativi che dovrebbero poter consentire la costruzione di un buon sistema universitario della Sardegna, che ci piace riassumere nell’Università della Sardegna? Eppure lo stesso Cecchini per la vicenda di Architettura auspica una “Grande Scuola di Architettura della Sardegna nel Mediterraneo, aperta la mondo”. Tale prospettiva, che già nel presente si traduce in concrete collaborazioni tra i Dipartimenti di Architettura di Alghero e di Cagliari, risulta ben delineata nell’ottimo servizio sulla vicenda di Alghero, fatto dalla rivista on line Sardarch, che, tra l’altro, riporta due interviste a Alessandra Casu, ricercatrice del Dipartimento, la quale specifica con chiarezza il progetto di attuazione di detta Scuola e fa presente le difficoltà che insorgono rispetto all’effettiva integrazione tra le strutture dei due Atenei sardi, prevalentemente legate all’inefficiente sistema dei trasporti nella nostra Isola.
SalviamolAAA-foto-di-Stefano-Ferrando-61E, allora? Concludendo (per ora). Francesco Pigliaru, il presidente non il professore universitario, prenda in mano la situazione e alla luce del soìe, non appena sia stato eletto in nuovo rettore dell’università di Cagliari, avvii il processo di ristrutturazione del sistema universitario pubblico della Sardegna, che stante le interlocuzioni in corso, dovrebbe caratterizzarsi come vera federazione tra i due Atenei storici, che preveda la diffusione in tutto il territorio sardo delle sedi universitarie, pertanto, oltre che a Cagliari e a Sassari, anche nelle sedi di Alghero, Oristano, Nuoro, Olbia, Iglesias, (ne manca qualcuna?), senza duplicazioni non giustificate dalle esigenze degli studenti e dal perseguimento dell’efficienza ed efficacia dei servizi della didattica, della ricerca scientifica e dell’amministrazione. In questo quadro è probabile che la sede di Architettura permanga proprio ad Alghero. Ma sotto l’egida dell’Università della Sardegna. D’altronde, per tornare all’incipit del presente articolo, i fondatori della Facoltà (ex Facoltà, oggi solo Dipartimento, per effetto della cosiddetta riforma Gelmini) di Architettura di Alghero (che esordì come progetto di Facoltà di Architettura del Mediterraneo) hanno situato il loro progetto all’interno dell’Università di Sassari solo perché non era possibile fare cosa diversa, ma hanno cercato in tutti i modi di segnare una distinzione, quando non anche una separazione netta da quell’Ateneo, presentandosi come “AAA Architettura Ad Alghero“, evidenziando tale impostazione nel logo che la rappresenta. Non è un caso che la trattativa per il riconoscimento del contributo aggiuntivo sia stata portata avanti in prima persona dal direttore Arnaldo Bibo Cecchini e non, come sarebbe stato naturale, dal rettore dell’Università di Sassari, che forse per tali ragioni ha ben volentieri delegato!
In finale una proposta apparentemente riduttiva: la Regione e i due Atenei scelgano subito un logo che rappresenti il sistema universitario pubblico sardo, l’Università della Sardegna, magari affidandone la realizzazione alle due Architetture di Alghero e di Cagliari, anticipatamente unite nella Scuola di Architettura dell’Università della Sardegna. E si vada ovviamente avanti, con determinazione, con quanto c’è da fare verso l’Università della Sardegna! Seguiamo con attenzione e partecipazione.

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- Le foto sono tratte dal servizio giornalistico della rivista on line Sardarch

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Un progetto di studio e lavoro

SANT ELIARILEGGERE LE LOTTE SOCIALI URBANE DEGLI ANNI 70 PER COGLIERNE UTILI INSEGNAMENTI PER L’OGGI. PARTIAMO DALL’ESPERIENZA DEL COMITATO DI QUARTIERE DI SANT’ELIA E DELLA SCUOLA POPOLARE DEI LAVORATORI DI IS MIRRIONIS.
ape-innovativadi Franco Meloni

Come prolungamento positivo del ’68 studentesco e del ’69 operaio, negli anni Settanta si svilupparono in Italia grandi e diffuse lotte popolari per rivendicare migliori condizioni di vita ed estendere a tutti i cittadini i diritti previsti dalla Costituzione repubblicana, troppo spesso fino allora rimasti lettera morta. Così rammentiamo le lotte per il diritto al lavoro, per il diritto allo studio, per i diritti civili… che produssero importanti risultati (lo statuto dei lavoratori, le 150 ore, la legge sul divorzio, tanto per citarne qualcuno).
Nel medesimo scenario un ruolo di rilievo hanno avuto anche le lotte per il diritto alla casa e per la qualità della vita nelle città, particolarmente legate alla salvaguardia dell’ambiente e connotate dalla partecipazione popolare che rivendicava riforme legislative e la disponibilità di adeguati spazi di democrazia.
A Cagliari queste lotte sociali si sono espresse in misura rilevante sia nella quantità sia nella qualità. Sarebbe importante farne la storia, in aggiunta e approfondimento di quanto già si è fatto (1). E che non basta. C’è da scrivere la storia dei Comitati di quartiere, in larga parte protagonisti di quelle lotte: di Is Mirrionis (a partire dal 1971), di Stampace alto (dal 1972), di Marina (dal 1975), di Fonsarda (dal 1974), nonché del “Coordinamento dei Comitati e Circoli di Quartiere”, così come di altri organismi di base.
Per contribuire a svolgere questo compito si è recentemente candidato il Circolo culturale Antonio Gramsci, che ha cominciato a raccogliere documentazione sui movimenti, partendo dalla ricostruzione dell’esperienza della Scuola Popolare dei Lavoratori, promotrice del Comitato del quartiere di Is Mirrionis
Si vuole indagare sulle vicende di quei movimenti non solo per legittima curiosità o suggestivi amarcord per coloro che le hanno vissute direttamente, ma, soprattutto, al fine di coglierne aspetti positivi e anche limiti per quanto possono insegnarci oggi nei percorsi di democrazia partecipativa. Nel presente intervento ci riferiamo, a mo’ di esempio, solo a due movimenti, dei quartieri di Sant’Elia e di Is Mirrionis. - SEGUE -

Rompere gli schemi e azzardare perché la Sardegna abbia futuro

4 suonatori
ape-innovativa2di Franco Meloni
“Il nostro Dio è Dio delle sorprese: ogni giorno ce ne fa una. Dio è così, Dio rompe gli schemi: se non rompiamo gli schemi, non andremo mai avanti. Perché Dio ci spinge a questo, a essere creativi verso il futuro”.
Questa bella frase che papa Francesco ha detto sabato nella sua visita in Molise, anche se vogliamo leggerla in una versione laica, indica la strada che oggi dobbiamo percorrere in tutti i contesti. Limitiamoci alla Sardegna per dire che l’attuale situazione di crisi drammatica non può essere superata con i consueti strumenti, sia pure utilizzati nel modo più efficiente e razionale possibile. E’ quanto ci sembra stia facendo l’attuale governo regionale. Non basta, anzi potrebbe essere tutto inutile. Sì, perché si tratta di rispondere a problemi che hanno una enorme e straordinaria rilevanza. Ci riferiamo innanzitutto alla crisi demografica, cioè al fatto che i nuovi nati a cui aggiungere i nuovi arrivi non riescono complessivamente a superare i morti sommati a coloro che emigrano. Le conseguenze cominciano a mostrarsi con il progressivo abbandono dell’agricoltura (non compensato dal significativo interesse di molti giovani al settore) e la prevedibile chiusura di alcuni comuni sardi per mancanza di abitanti. Una situazione che può essere contrastata solo attuando una innovativa politica di accoglienza, che sappia integrare nuovi emigranti, in massima parte giovani, con le popolazioni, dando ad essi abitazioni e lavoro, in modo particolare nel settore agricolo. E’ quanto sostenuto da tempo da valenti studiosi, per citarne uno tra essi, il prof. Giuseppe Pulina, dell’Università di Sassari. La proposta è stata recentenente ripresa dal prof. Andrea Saba (anch’egli illustre docente, ora in pensione, di Economia Industriale alla “Sapienza” di Roma, allievo di Paolo Sylos Labini), in un intervento su La Nuova Sardegna. Ci rendiamo conto che non sono cose di poco conto, ma appunto perché difficili e complesse vanno affrontate con tempestività e con capacità politica e organizzativa. Si tratta di costruire piani di grandi dimensioni e complessità che devono coinvolgere molti soggetti pubblici e privati. Parlando delle istituzioni questa è senza dubbio la maggiore criticità: far lavorare insieme, in modo coordinato, più amministrazioni. Le risorse esistono, anche se vanno organizzate in relazione a programmi ben strutturati. Sono prevalentemente fondi europei, a cui si aggiungono i cofinanziamenti statali e regionali, e, auspicabilmente, anche privati.
Riuscirà l’attuale governo regionale a proporre programmi di così grande dimensione, con tutto l’azzardo che necessariamente ciò comporta? Sospendiamo il giudizio in attesa di notizie al riguardo, ovviamente in tempi brevi.
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aladin-lampada3-di-aladinews312Approfondimenti su Aladinews e dintorni

- Demografia e sviluppo nel prossimo futuro. La Sardegna senza Sardi? Drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo? Di Vanni Tola (https://www.aladinpensiero.it/?p=19142#more-19142)
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- Economia e immigrati. Far rinascere i paesi fantasma con l’agricoltura plurietnica. Si potrebbe ottenere allo stesso tempo il recupero dei campi e quello demografico, necessario una specifico progetto regionale. Gli esempi da seguire. Di Andrea Saba.
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G Pulina intervistato da Aladinews- 13 marzo 2015 Aladinews. Intervista a Giuseppe Pulina, a cura di Franco Meloni. L’EUROPA 2020 E LE PROSPETTIVE DELL’AGRICOLTURA SARDA – Sala Conferenze Banco di Sardegna, Cagliari (a cura di www.aservicestudio.com)
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- Riflessioni sul convegno Caritas-Migrantes di presentazione del dossier immigrazione 2012. Cosa fare in (e per la) Sardegna? Di Franco Meloni
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- Barbagia a rischio estinzione. Giuseppe Pulina: «La soluzione? Accogliere quindicimila coppie di immigrati».
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- Per i 150 della Camera di Commercio. Di Franco Meloni (https://www.aladinpensiero.it/?p=1158)
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- Dibattito: rompere gli schemi e azzardare perché la Sardegna abbia futuro. Ecco come la pensa Nicolò Migheli.

Al governo: politici o tecnici? Una riflessione al lume della lampada di aladin

lampadadialadmicromicroape innovativadi Franco Meloni
Governano i politici non i tecnici. Ovviamente devono essere buoni politici, di cui abbiamo bisogno come del pane. E purtroppo, specie negli ultimi tempi i meccanismi di selezione della classe politica hanno funzionato alla rovescia, privilegiando improvvisati, affaristi e via dicendo (la mamma del mio amico Piero Marcialis alla notizia che una persona mediocre si fosse impegnato in politica ne uscì con una frase colorita, che rende bene: eh itté? Immoi ogna culu e cani sinci ghettada in politica?). Sull’argomento ho scritto su Aladin. Scusate se mi cito: https://www.aladinpensiero.it/?p=13434. Il problema è allora: quali sono le caratteristiche di un buon politico?* - segue -

L’EUROPA cenerentola nella campagna elettorale: scarsamente presente e in modo poco politico nei programmi elettorali delle coalizioni

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di Franco Meloni

Come avvertiamo da osservatori politici e come conferma una recente ricerca, l’Europa o, meglio, le istituzioni dell’Unione Europea, sono sempre meno popolari agli occhi dei cittadini europei. Le politiche economiche e sociali dell’Unione Europea (a dir poco inadeguate, se non disastrose) sono rappresentate dalla drammatica situazione della Grecia (emblematicamente) e dalla imposizione di sempre maggiori sacrifici per il risanamento dei bilanci pubblici, che comportano livelli crescenti di povertà diffusa, soprattutto in alcuni paesi europei, tra cui l’Italia. Forse per queste ragioni L’Europa è scomparsa dalla campagna elettorale sarda, in attesa di riapparire giocoforza in occasione delle elezioni del parlamento europeo che si terranno del prossimo maggio.
La drammaticità della situazione europea non traspare in alcun modo nel dibattito politico elettorale e neppure nei programmi di governo delle coalizioni, che pure trattano l’argomento. Al riguardo l’Europa e le politiche europee appaiono in modo significativo su quattro dei sei programmi elettorali facenti capo alle coalizioni, precisamente nei programmi del Centro sinistra, del Centro destra, di Sardegna Possibile e di Unidos. Solo qualche citazione nei programmi del Movimento Zona Franca e di Indipendentistas. L’argomento è trattato in modo differenziato in termini di contenuti e spazio dedicati, ma anche con importanti punti comuni. Il programma del Centro sinistra insiste molto sulle opportunità fornite dai diversi programmi europei in attuazione (che enumera in dettaglio, evidenziando i rispettivi finanziamenti) e soprattutto dalla programmazione dei fondi 2014-2020; si sostiene la necessità di essere protagonisti nelle negoziazioni e bravi nella capacità di utilizzo di ingenti risorse che si rendono effettivamente disponibili con capacità progettuali e organizzative partecipando e vincendo i bandi. Così pure il programma di Unidos, che si caratterizza per precisione su quanto si può fare con una migliore capacità negoziale con l’Europa. e con qualificata presenza nella rappresentanza comunitarie delle isole. Il programma del Centro destra, come ovvio da parte dell’amministrazione uscente, sottolinea la continuità nella strada intrapresa, centrando gli aspetti di nuova negoziazione sulla rivendicazione di trattamenti di favore e vantaggi fiscali legati all’insularità e soprattutto alla zona franca integrale. Il programma di Sardegna Possibile denuncia l’inadeguatezza della presenza della regione nelle sedi del potere comunitario, anche per debolezza organizzativa e si batte perchè i sardi possano contare su una loro circoscrizione elettorale per l’elezione dei propri rappresentanti nel parlamento europeo. Tra i programmi citati, quelli del Centro sinistra, di Unidos e di Sardegna Possibile, puntano all’esercizio di un importante specifico ruolo della Sardegna nei rapporti con i paesi mediterranei, specie della sponda sud. Nessun approfondimento invece sulla fondamentale questione dell’istituzione delle “macro regioni” per l’attuazione comune dei programmi comunitari, significativamente incentivate dall’UE, che per la Sardegna dovrebbe privilegiare l’aggregazione di regioni insulari e mediterranee. Si osserva ancora come per gli aspetti di gestione istituzionale delle politiche comunitarie, bastava fare preciso riferimento alla buona legge regionale 30 giugno 2010, n.13 (Disciplina delle attività europee e di rilievo internazionale della Regione autonoma della Sardegna), finora largamente inattuata. Ma ci chiediamo quanto questa vigente normativa sia conosciuta dagli stessi partiti e dai loro esponenti!
Detto questo, complessivamente appare una sottovalutazione dell’importanza dell’Europa, se non in prevalenza per la sua funzione di bancomat nell’erogazione di finanziamenti. Non si coglie in nessun programma tensione per un’Europa nuova e diversa, che si traduce nell’impegno per l’Europa dei popoli, la quale deve assumere configurazioni istituzionali di tipo federativo. Eppure è abbastanza diffuso e condiviso, seppure con diverse gradazioni, il concetto che qualsiasi forma di indipendentismo o sovranismo efficace, di cui sono portatrici formazioni politiche presenti in tutte le diverse coalizioni, non possa che iscriversi nella realizzazione della nuova Europa qui sinteticamente richiamata.
Desta poi sorpresa e amarezza che la proposta di legge per l’istituzione della circoscrizione elettorale sarda per l’elezione dei rappresentanti della Sardegna nel parlamento europeo sia del tutto assente non solo nei programmi delle coalizioni, con la lodevole eccezione del programma di Sardegna Possibile, ma soprattutto negli impegni dei partiti. C’è poco da fare: dimostriamo ancora una volta di essere provinciali, largamente estranei al grande dibattito europeo su queste questioni!
Concludiamo facendo nostro l’appello del prof. Paolo Fois, illustre europeista, contenuto in un suo recente intervento su La Nuova Sardegna: “Con un’Europa il cui baricentro si allontana dal Mediterraneo, e nella quale le pressioni per imporre nuove regole del gioco si moltiplicano e si rafforzano, non c’è più posto per approssimazioni e dilettantismi”. Trasformando un suo interrogativo in auspicio non ci resta che richiedere ai candidati e alle coalizione consistenti integrazioni programmatiche con “precise e convincenti indicazioni circa le prospettive concrete di un cambio di rotta radicale anche nella politica da seguire nelle questioni che coinvolgono l’Europa”.

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L’Europa su Aladinews
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Oltre che da Aladinews, questo articolo è stato pubblicato anche sui seguenti siti: SardegnaSoprattutto, Fondazione Sardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra.

La vecchia classe dirigente è un freno per la crescita

Sardegna-bomeluzo22
Riproponiamo un articolo di Aldo Berlinguer (insegna nell’Università della Sardegna – Università di Cagliari), apparso su L’Unione Sarda del 13 settembre 2013, che avevamo condiviso e che rimane di immutata validità. In questa sede ci interessano soprattutto le considerazioni sulla situazione sarda e ancora la riproposizione di alcuni interrogativi, che dovrebbero essere tra gli argomenti principi del dibattito elettorale [i neretti sono nostri]. Non sappiamo che consistenza abbiano le voci di Aldo Berlinguer come possibile candidato del centro sinistra alla presidenza della nostra regione. Sappiamo che da alcuni giorni è stato nominato assessore all’ambiente della regione Basilicata. Certo è che sarebbe un buon nome da spendere anche per la nostra regione, non necessariamente nel ruolo principale, per il quale peraltro sembra possedere titoli adeguati, ma anche per altri possibili impieghi al servizio della nostra comunità. Vedremo! (f.m.).
I problemi comuni di Italia e Sardegna.
La vecchia classe dirigente è un freno per la crescita.

di Aldo Berlinguer
Cresce la spesa pubblica, cresce il peso, ormai schiacciante, della burocrazia, regna l’instabilità politica, con il Governo, e il Paese, appesi al filo di contese tra partiti, a loro volta ostaggio di vicende personali dei loro leader.
Non si placano neppure le reazioni provocate dalla pubblicazione dell’indice di competitività regionale 2013 della commissione Ue, dal quale l’Italia esce malissimo: 18^ in Europa; la Lombardia al 128° posto, l’Emilia e il Veneto rispettivamente al 141° e al 158°, la Sardegna al 222°.
Eppure Regioni come la Lombardia continuano a primeggiare in vari indicatori. Prima in assoluto per valore aggiunto nell’industria, seconda dopo l’Île-de-France per valore aggiunto totale, commercio, trasporti e turismo, terza per agricoltura ma anche per finanza e servizi alle imprese. Anche Veneto ed Emilia mostrano buone performances e il Pil pro capite è tra i più alti in Europa.
Ma allora perché una simile débâcle? I dati peggiori vengono dalla stabilità macroeconomica (che comprende il debito pubblico), dotazione infrastrutturale, istruzione di base, superiore e lifelong learning, innovazione. Ma ciò che più colpisce è la qualità delle istituzioni, la corruzione, il rispetto delle regole e l’ordine pubblico, le capacità di governo, la trasparenza ed efficacia dei sistemi elettorali, la libertà di informazione. Qui, è tutto il sistema Italia a crollare, 24^, avanti solo a Romania, Ungheria, Bulgaria e Grecia. La Sardegna, con tutto il mezzogiorno, è tra le ultime regioni della Ue: 227^ su 262, dietro solo alcune regioni dell’est Europa. Pessimi anche i dati sardi sull’istruzione superiore (222^), sulle infrastrutture (231^), sull’efficienza del mercato del lavoro (230^), sull’innovazione (230^).
Insomma, analisi impietosa anzitutto per un dato: le nostre istituzioni, le classi dirigenti, non rappresentano uno strumento inadeguato a fronteggiare la crisi. Anzi, risultano essere una concausa della crisi e rappresentano un handicap formidabile per la ripresa.
Del resto, nulla di nuovo: basti leggere il settimo rapporto “Luiss 2013: generare classe dirigente” e si rimane impietriti. I dati di fondo sono peggiorati rispetto a quelli, già impietosi, del 2007. Abbiamo una prima fila di ultrasessantacinquenni, scarsamente scolarizzata, che si perpetua impedendo ogni forma di ricambio. Per oltre l’88% sono uomini, con scarsissime esperienze estere e con una bassa conoscenza di lingue straniere. Spesso il loro successo si deve più alle conoscenze che alla conoscenza. E ovunque, nel pubblico e nel privato, il leitmotiv è autoreferenzialità. Nel caso della rappresentanza politico-istituzionale vince più il Palazzo che non il Paese, più le logiche interne di riposizionamento dei partiti che non le politiche destinate a governare il Paese reale, più le parole che non i fatti. In quello della rappresentanza dell’economia e del sociale, vince il silenzio rispetto alla proposta, l’attesa rispetto all’iniziativa.
Se poi parliamo di Regioni, come la Sardegna, ove la quota maggioritaria del Pil è pubblica e l’impresa vive una condizione di subalternità, talvolta parassitaria, è chiaro che la rappresentanza degli interessi privilegia una logica di government (della classe politica) rispetto a una logica di governance (della rappresentanza economica).
Risultato: l’economia è al contempo assistita e sedata dalle scelte pubbliche. E ciò genera impoverimento economico, sociale e culturale. Si disseminano fedeltà, servilismo e assistenzialismo, piuttosto che una sana cultura di impresa e del lavoro.
Non è un caso che, nel 2000, l’Italia era 28°, al mondo, nell’indice di libertà economica, 34° nel 2006, 74° nel 2008, 83° nel 2013 (dietro a Montenegro, Khazakistan, Sri Lanka), con dati sconfortanti in corruzione e spesa pubblica.
Negli auspici, l’Italia dovrebbe divenire una delle economie fondate sulla conoscenza (Knowledge economy) più competitive al mondo. Nel frattempo, i dati sulla fuga dei cervelli in Italia (brain drain) peggiorano ogni ora. Gli italiani tra i 20 e i 40 anni residenti all’estero (dati Aire) sono aumentati di 316 mila unità tra il 2000 e il 2010, con oltre 30 mila espatri l’anno.
Ma allora, quali nuove, inedite proposte intendono assumere i partiti per fronteggiare la crisi? Quanti laureati e quali professionalità verranno candidate alle prossime elezioni regionali? Migrati i cervelli, chi governerà l’economia della conoscenza? Sono domande alle quali sarebbe imprescindibile dare una risposta.

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(Da L’Unione Sarda di venerdì 13 settembre 2013)
I problemi comuni di Italia e Sardegna.
La vecchia classe dirigente è un freno per la crescita.
di Aldo Berlinguer

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valentina foto di repertorio
Buon 2014 ! I migliori auguri per la Sardegna e per i sardi. Forza paris nei suoi significati di forza insieme e forza uguali!

di Franco Meloni
PENSIERO CREATIVO PER IL FUTURO GOVERNO DELLA SARDEGNA
Attilio Mastino, presidente
Salvatore Cubeddu, vice presidente
Giuseppe Pulina/ Sandro Dettori, agricoltura
Michela Murgia/ Vito Biolchini/ Nicolò Migheli, cultura e sport
Gianni Loy/ Piera Loi/ Salvatore Melis, lavoro
Aldo Berlinguer/ Tore Cherchi, economia e bilancio
Alessandro Bianchi/ Cristiano Erriu, urbanistica e enti locali
Maria Del Zompo/ Ettore Cannavera, salute e assistenza
Massimo Dadea/ Antioco Gregu/ Bustianu Cumpostu lavori pubblici
Gianfranco Bottazzi/ Andrea Murgia, industria,
Paolo Maninchedda/ Gianfranco Fancello, trasporti
Aide Esu/ Francesco Soddu, turismo
Vanni Tola/ Vincenzo Migaleddu, ambiente
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E’ una provocazione? E’ una proposta? Come volete. Il mio intento è solo affermare che nel centro sinistra e nei raggruppamenti indipendentisti e sovranisti ci sono persone di grande capacità, affidabili e prive di coinvolgimenti giudiziari. Ne elenco solo alcune, prese dentro le variegate componenti di quell’area e avuto naturale riguardo alla rappresentanza di genere, generazionale e alla provenienza sociale e territoriale. Non guardate troppo alle assenze. Qualcuno potrebbe giustamente dolersi di non esserci. Si può fare di meglio? Certamente. E poi c’è da lavorare per tutti, per tutti gli uomini di buona volontà che vogliono mettere a disposizione scienza e impegno per la Sardegna, costruendo fiducia e alleanze tra generazioni. Solo come appunto (punta ‘e billettu) ricordo che c’è da costruire buone teorie su come sviluppare l’economia, in sintonia con l’impegno planetario, al riguardo seguendo sollecitazioni di varie provenienze, tra le quali mi piace richiamare quelle di papa Francesco. Tornando alla situazione sarda e alla contingenza politica, si potrebbe anche obiettare che ci sono persone rispettabili e competenti anche nel centro destra. Vero. Ma ritengo che il compito di governare la Sardegna spetti oggi al centro sinistra, dopo cinque anni di autentico disastro delle giunte Cappellacci. E’ possibile che il medesimo giudizio sia condiviso dalla maggioranza degli elettori sardi e che dunque il centro sinistra vinca le elezioni e riesca a portare al governo della Regione quanto di meglio dei figli della Sardegna? E’ possibile. Io lo credo. La condizione è che tutte le componenti di quest’area trovino un programma condiviso, una candidatura comune per un presidente che rappresenti tutti e che tutti rispetti, senza illusioni leaderistiche. Ci vuole responsabilità nei confronti della Sardegna e dei sardi, pensando soprattutto alle giovani generazioni, e consapevolezza che si vince insieme. Forza paris dunque, nei suoi significati di forza insieme e forza uguali! E’ il migliore augurio che possiamo farci. Per quanto possiamo, anche dalle pagine di questa nostra news contribuiamo a questo scopo, nella via pratica indicataci da Gramsci del pessimismo della ragione e dell’ottimismo della volontà.
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GramsciPessimismo della ragione, ma ottimismo della volontà.
La foto di Valentina vuole rappresentare proprio questo bellissimo concetto del nostro conterraneo Antonio Gramsci
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vanitasvanitatemLa Sardegna senza Sardi?
Demografia e sviluppo nel prossimo futuro

di Vanni Tola
“La Sardegna senza Sardi?”. Era questo il titolo di un convegno svoltosi a Sassari nei giorni scorsi. Un importante momento di discussione che ha stimolato ulteriori riflessioni nel merito di un problema poco esaminato: l’evoluzione demografica della Sardegna. Da decenni nell’isola si registra un incremento demografico negativo. In altri termini, il numero dei nuovi nati e degli immigrati è notevolmente inferiore a quello degli emigrati e dei deceduti. Gli studiosi di fenomeni demografici, elaborando dati reali (censimenti Istat in particolare), hanno indagato sul fenomeno e formulato delle previsioni prefigurando scenari futuri e realizzando ipotesi di evoluzione dell’andamento demografico fondate e attendibili. La considerazione che deriva dalla sintesi di tali elaborazioni è che la Sardegna rischia nei prossimi decenni un’implosione demografica. Una situazione che potrebbe essere caratterizzata da una consistente riduzione del numero dei sardi (alcuni parlano di 300-400 mila unità in meno, ed è l’ipotesi meno pessimistica), dalla scomparsa di centinaia di comuni minori, da un costante invecchiamento della popolazione attiva e da un insufficiente inserimento di intelligenze giovanili nel sistema Sardegna. Ipotesi preoccupanti, difficili da accettare perché pongono in discussione certezze consolidate. La millenaria civiltà isolana messa in crisi dal fenomeno delle “culle vuote”? Eppure è cosi. L’indice di natalità dell’isola è notevolmente inferiore, circa la metà, di quello che sarebbe necessario per mantenere costante la popolazione. L’indice dell’incremento demografico è negativo ormai da decenni in quasi tutta la Sardegna con l’unica eccezione di alcune limitate aree costiere (della Gallura, del Cagliaritano e del Sassarese). Centinaia di paesi potrebbero scomparire per mancanza di abitanti già dai prossimi decenni. La programmazione economica della Sardegna, i programmi di sviluppo, le strategie delle forze politiche impegnate nell’ennesima tornata elettorale, non possono più ignorare il problema, devono anzi considerarlo il punto di riferimento per qualunque nuova ipotesi riguardante lo sviluppo dell’isola. Alcuni esempi. Non ha più senso oggi, per la maggior parte delle amministrazioni comunali, predisporre piani urbanistici di sviluppo considerato che si va incontro a importanti decrementi della popolazione. Allo stesso modo occorre rivedere la progettazione e il ridimensionamento di una serie di servizi pubblici (in primo luogo sanità, edifici scolastici e altri) con riferimento alle previsioni di spopolamento delle aree amministrate. Naturalmente le previsioni demografiche sono appunto delle previsioni, non sono realizzate con la speranza che si concretizzino ma soprattutto per consentire la possibilità di intervenire in modo adeguato per governare le dinamiche in atto. Già alcuni studiosi propongono una lettura meno pessimistica degli scenari di decremento della popolazione, qualcuno formula perfino l’ipotesi che il decremento della popolazione possa perfino rappresentare una opportunità per determinare migliori condizioni di vita per i Sardi “residui”. Altri propongono di esaminare la possibilità di invertire le tendenze demografiche registrate e prevedibili per il futuro prossimo. Una proposta molto interessante e innovativa e che farà certamente discutere è quella avanzata dal prof. Pulina direttore del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari. Partendo dalla considerazione che in Sardegna si registrano tassi di natalità che sono tra i più bassi al mondo e che i giovani continuano a emigrare, Pulina propone di attivare interventi concreti ed efficaci per invertire la tendenza ad un significativo spopolamento della Sardegna e delle zone interne in particolare. La principale attività dell’isola, l’agro-pastorizia, stante l’attuale andamento demografico tende a diventare nei prossimi decenni una attività praticata quasi esclusivamente da lavoratori anziani, e perfino a essere fortemente ridimensionata nel suo ruolo e nelle sue potenzialità economiche. La soluzione indicata è quella di programmare, per i prossimi dieci anni, l’accoglienza di quindicimila coppie di immigrati, un vero e proprio progetto di ripopolamento o se preferite di riantropizzazione di vaste aree dell’isola come è avvenuto in altre parti del mondo, per esempio in Argentina e Australia. Un progetto che non deve essere inteso esclusivamente in termini di trasferimento di forza lavoro bensì come progetto di inclusione di persone nella nostra realtà garantendo loro progetti di vita validi e accettabili a cominciare dal diritto di cittadinanza per i loro figli. La realizzabilità di tale progetto potrebbe essere favorita da finanziamenti europei già disponibili, ad esempio le risorse del programma Horizon 20.20 per le politiche di integrazione. Milioni di euro che potranno essere spesi dal 2014, se si avrà il coraggio, la capacità e la lungimiranza di predisporre adeguate programmazioni. La Sardegna potrebbe essere la prima realtà europea a realizzare un piano di questo tipo. L’isola si candiderebbe così a diventare un’area geografica di accoglienza e gestione programmata di flussi migratori che potrebbero, a loro volta, concorrere a rivitalizzare una società tendenzialmente minacciata di estinzione o comunque di un drastico ridimensionamento del proprio ruolo nel mondo. Ancora una volta la discussione, il confronto, lo studio di ipotesi di sviluppo valide e alternative alle logiche e alle scelte del passato ci pone drammaticamente di fronte alla necessità di compiere uno sforzo straordinario di elaborazione politica, di crescita culturale, di formulazione di strategie economiche alternative con le quali ci dovremo misurare. Saremo in grado di farlo?
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VT Van Gogh Il seminatore Vanni Tola

Segna in agenda

SEGNA IN AGENDA

Sardegnaricerche anticipa il prossimo evento che organizzerà al parco di Is Molas il 27 settembre dal titolo eloquente: SISTEMA STARTUP 2013.  Si tratta dell’evento conclusivo del bando start up innovative. Sono state selezionato 27 idee di impresa successivamente inserite in un percorso di accompagnamento e di tutoraggio al business planning. Nei prossimi giorni partirà la fase di valutazione dei BP e a settembre ci sarà l’incontro di presentazione agli investitori e VC.

Nell’ambito dell’evento è stata previsto una tavola rotonda sul crowdfunding nel corso della quale verrà illustrato il recente regolamento Consob.

Fondazione Sardinia, Aladinews, Vitobiolchiniblog,Tramas de amistade, insieme ad altre entità organizzate e a singole persone, promuovono un Convegno-confronto sulla modifica della legge elettorale (italiana) per la costituzione di una “circoscrizione Sardegna” che garantisca rappresentanti sardi nel prossimo Parlamento europeo. Si propone la data di lunedì 16 settembre, con inizio alle ore 17.30, presso l’Ostello della gioventù Scalette San Sepolcro Cagliari.

Inaugurazione del nuovo Centro Informativo Europe Direct della Regione Sardegna. L’Assessore regionale alla Programmazione inaugurerà, venerdì 19 luglio alle h. 10.00 presso la Mediateca del Mediterraneo di via Mameli a Cagliari – il Centro Informativo Europe Direct “Regione Sardegna”. Il nuovo punto informativo verrà gestito sino al 2017 dal Centro Regionale di Programmazione. Direttore del nuovo Centro Europe Direct è Franco Ventroni (nella foto).

L’agricoltura torna la priorità della Sardegna

di Aladin

Che l’agricoltura sia tornata una priorità lo dimostra il successo della manifestazione promossa da Coldiretti Sardegna, che si è tenuta stamane (20 febbraio) presso l’Hotel Mediterraneo a Cagliari. Gli organizzatori non si aspettavano il notevole afflusso di pubblico, tanto è che si è dovuto rimuovere il separatore della sala per allargarla e contenere tutti i partecipanti. Precisamente l’argomento era centrato sulla PAC, la nuova Politica Agricola Comune dell’Unione Europea, relativa alla programmazione dei fondi del settennio 2014-2020. Sono temi complessi che il bravo relatore esperto della direzione nazionale della Coldiretti, Stefano Leporati, ha cercato di porgere nel modo più comprensibile possibile, in parte riuscendovi, in parte rinviando agli ulteriori chiarimenti e approfondimenti. “Per capire tutto e bene ci vorrebbe un master in PAC” – ha commentato nel suo intervento il prof. Giuseppe Pulina, docente dell’Università di Sassari - che al riguardo non si è fatto scappare l’occasione per proporre proprio un maggiore impegno del Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari (ma possiamo dire dell’Università della Sardegna), di cui Pulina è direttore, anche con un apposito Master in gestione delle risorse agricole (il titolo è assolutamente provvisorio), magari scegliendo come sede Oristano (per la sua centralità, ma anche perchè già ospita un insediamento universitario pertinente). Pulina ha detto molte cose interessanti, ma qui vogliamo riportarne una in modo particolare: “Dobbiamo portare la conoscenza al Km. zero, nel senso di crearla e approfondirla a diretto contatto con le problematiche e al servizio dei sardi”. Ecco un bel concetto, della serie: “Anche in agricoltura, non chiederti cosa può fare la Sardegna per l’Università, ma, piuttosto, cosa può fare l’Università per la Sardegna”.

La Coldiretti negli autorevoli interventi del neo presidente regionale Battista Cualbu e del direttore Luca Saba, è sembrata portatrice di un rinnovato spirito di collaborazione ( “occorre fare squadra” ) non solo tra le Organizzazioni del settore, ma con la Regione, a cui si chiede anche il riposizionamento delle funzioni e dell’organizzazione delle Agenzie (Laore e Agris), con gli Enti locali (in particolare i Comuni) e con l’Università. Si deve dare vita a un “tavolo permanente” in grado di costruire una forte politica agricola della Regione, che possa sostenere il confronto in sede nazionale (Ministero delle politiche agricole e forestali) e soprattutto europea. In questo quadro si è proposto anche di praticare politiche di alleanze con le regioni italiane più forti, proprio per aumentare il potere contrattuale degli agricoltori sardi nei confronti delle diverse Istituzioni (lo sguardo è ovviamente rivolto soprattutto a Bruxelles), anche perchè non tutte le decisioni risultano ancora prese nelle diverse “stanze dei bottoni”. Non si tratta però solo di politiche di salvaguardia delle risorse comunitarie a favore degli agricoltori sardi, ma di ripensare tutta la politica agricola in relazione a nuovi modelli di sviluppo della Sardegna. Ripensare dunque la politica agricola in stretta connessione con le scelte complessive in campo economico-sociale.

Nel suo intervento Cristiano Erriu, sindaco di Santadi e presidente dell’Associazioni dei Comuni sardi (Anci Sardegna) ha ribadito come solo un rifiorire dell’agricoltura può salvare i paesi sardi dalla desertificazione e dall’abbandono delle giovani generazioni. Nell’aderire al “tavolo permanente” ha proposto che si pratichi una valorizzazione dei prodotti sardi, dando priorità alla qualità piuttosto che alla quantità, portando come felice esempio proprio la “Cantina di Santadi”, che ha diminuito la produzione complessiva, aumentando la qualità e il fatturato. Recentemente un alto funzionario cinese si è recato in visita a Santadi per toccare con mano queste politiche produttive, anche per imitarle. Ovviamente si tratta di vedere caso per caso, ma certo non bisogna farsi irretire da proposte che potrebbero stravolgere l’agricoltura senza portare adeguati benefici. Attenzione all’uso intensivo di terreni agricoli per altri scopi. Erriu ha poi ricordato l’esistenza di fondi europei diversificati, come il FSE e il FESR, che possono essere utilizzati in sinergia con gli interventi per l’agricoltura e ha rimarcato la necessità di intervenire per l’innovazione dei processi e dei prodotti e per la formazione delle persone.
(Aladin)
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allegoria agricoltura
Palazzo Civico di Cagliari: Andrea Valli, allegoria dell’Agricoltura