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I Cattolici e l’impegno in Politica – Incontro-dibattito il primo aprile 2019

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Le ragioni dell’incontro.
L’incontro ha la finalità di suscitare una riflessione a tutto tondo sull’impegno dei cattolici in Politica nel nostro tempo. Lo facciamo partecipando – anche con questa iniziativa – al grande dibattito che si sta sviluppando nel Paese, che non può essere ridotto alla proposta di riedizione di un “partito cattolico”, che peraltro non condividiamo (1). Ma qui non vogliamo parlare solo in termini generali, perché intendiamo misurarci con la nostra realtà di primo riferimento, cioè con l’impegno che caratterizza o dovrebbe caratterizzare i cattolici nella società sarda e nella città metropolitana di Cagliari. Non vogliamo soffermarci sulle diverse esperienze positive (che pur è importante tenere presenti, riconoscendone i meriti anche nell’intento di rafforzare collegamenti e sinergie), vogliamo invece riflettere sulle carenze dell’intervento dei cattolici nel tradurre i valori evangelici nell’impegno sociale, con particolare riguardo all’intervento politico, che ne è un aspetto fondamentale. In questo ambito ci chiediamo il perché le politiche sociali a tutti i livelli (ma qui prendiamo in esame quelli a noi più vicini) siano sempre meno efficaci nel perseguire i principi: eguaglianza, pace, solidarietà, partecipazione, diritto al lavoro, diritto alla salute, diritto a vivere in un ambiente salubre, diritto alla casa, diritto all’istruzione e alla formazione.
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Is Mirrionis. Genesi di una periferia (e del suo barabba più famoso)

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di Mario Gottardi, su Vent’anni senza Sergio

Ci avete mai fatto caso? Io no. Eppure da cagliaritano quel quartiere l’ho vissuto durante gli anni dell’università. Sto parlando dell’architettura di Is
Targa Ina casa Is MirrionisMirrionis. Perché sì, anche le costruzioni di questo vitale e verace rione ex periferico hanno un loro stile, che lo caratterizzano dal resto della città e anche al suo interno. Ad esempio, i palazzi intorno alla piazzetta senza nome, in “via Is Mirrionis segue numerazione”, hanno tutti la parte bassa in trachite, il reticolo di travi e pilastri sono di una tonalità diversa dal resto dell’edificio e hanno gli angoli sporgenti, a freccia, così come i piccoli balconi, a vista. E poi tutti hanno le grate in laterizio e nel portone d’ingresso quella inconfondibile mattonella, retaggio della ricostruzione e del nascente welfare state italiano: “InaCasa”.

Poi ci sono le casette basse, a un piano, con un piccolo cortile. E quelle sì che le ricordo. Per un periodo ci ha vissuto un collega e qualche volta ci sono passato, cercando di non innervosire troppo il pittbull di qualche barabba. Un barabba con un’anima, certo, che speravo non fosse troppo irascibile. E poi, ancora, incastonate tra queste casette e i palazzoni, ci sono le case a due piani.

C’è anche una costruzione, un casermone, oggi monumento al degrado, che tante volte ci sono passato accanto a piedi o in auto e mi è sempre sembrato anonimo. Quasi invisibile, nonostante la mole. Ma di questo parleremo dopo.

Queste informazioni sulla nascita e sull’architettura di Is Mirrionis le hanno date l’ingegnere Antonella Sanna e l’architetto Felice Carta durante il caldo e assolato pomeriggio di domenica 10 maggio, proprio nella piazzetta senza nome. È stata questa la prima tappa dell’appuntamento organizzato dall’associazione Antonio Gramsci Cagliari, con la consulenza della studiosa Gigliola Sulis, nell’ambito di Monumenti Aperti. Un luogo scelto non a caso, visto che proprio qui si affaccia la casa dove ha vissuto Sergio Atzeni.

Lo scrittore cagliaritano più famoso, nei suoi articoli giornalistici ha sempre rimproverato i cagliaritani degli altri quartieri di non prestare attenzione a quel rione dal nome insolito, che secondo alcuni richiama un antico elmo spagnolo, per altri due stele preistoriche poste sul colle omonimo. E infatti, nonostante la ultradecennale vita di Monumenti aperti, domenica è stata la prima volta che la manifestazione ha messo piede a Is Mirrionis. A cercare di rimediare ci ha pensato con questa iniziativa l’associazione Gramsci, che proprio nel quartiere vive e opera.

La prima tappa è stata pensata per raccontare la storia del rione, la sua nascita, la sua costruzione. Per questo dopo l’introduzione di Lucia Cossu, che arrivando a Cagliari da studentessa universitaria in questo quartiere ha scelto di vivere, il compito è stato affidato a Sanna e Carta, che hanno ricordato il piano Ina Casa, nato nel 1953. Il primo nucleo di edifici fu realizzato in tre anni, anche se tutto il piano si è sviluppato in 14 anni, sette di progettazione e sette di realizzazione dei palazzi. Un piano di occupazione prima ancora che urbanistico. Sotto quest’ultimo aspetto, ha spiegato Antonella Sanna, Is Mirrionis è stato pensato come un «sistema di unità di vicinanza», con un’articolazione in borgo. Questo progetto, poi risultato vincente era dell’architetto Maurizio Sacripanti, che ha voluto realizzare un quartiere autonomo, sviluppato in modo concentrico. Dai palazzi in linea alle casette a un piano, più interne, per venire incontro alle diverse esigenze delle persone che sarebbero arrivate ad abitarlo: dagli operai del nascente polo industriale ai contadini dei paesi dell’interno dell’isola. E oltre le case sono stati progettati servizi come un centro sociale e un campetto sportivo, che però hanno avuto alterne fortune.

È tra questa piazzetta senza nome dove si affacciano le diverse unità abitative, che passa l’infanzia e si forma Atzeni, tra il 1956 e il 1962 insieme alla famiglia, e mantenendo un forte legame con gli amici del posto anche negli anni a venire. E sarà lui, uno dei pochi, a descriverle e rivelare l’umanità che ci viveva ai suoi concittadini più distratti.

Nelle case popolari – le prime – immigrati dall’interno attirati da quel profumo nuovo, di cibo e benessere, che la città esaltava negli anni Cinquanta, operai, piccoli impiegati, maestri. Donne dai lunghi capelli ossigenati, sformate da troppi amplessi e troppe maternità esercitavano il mestiere più antico nei casermoni mentre bambini scalzi coperti da canottiere sdrucite facevano a pugni rotolando nel fango e uomini barrosi arrostivano viscere allo spiedo. Qualcuno era violento, cattivo. Fango e drammi familiari vissuti ad alta voce e subito dimenticati.
Implacabili le ruspe hanno cambiato la valle fra i due colli. Le grotte disabitate hanno dato rifugio per amori veloci alle più sventate fra quante ragazze nascevano nelle case popolari sempre più numerose, e infine anche le grotte son sparite, il colle di Is Mirrionis sventrato oggi è dominato dai palazzi.
Così lo scrittore raccontava la nascita del quartiere in Periferia, quel luogo senza memoria, pubblicato il 5 giugno del 1986 da L’Unione Sarda. Uno dei brani letti da Maria Grazia Sughi del Teatro di Sardegna proprio al centro della piazzetta senza nome, seconda tappa del tour. Gli altri due testi interpretati dall’attrice riguardano invece l’aspetto più sociale e umano del quartiere.

Sergio Atzeni ft microPiù e più volte, per parlare di “ghetti di periferia”, per spiegare il particolare clima civile e morale che si vive nelle zone abitate per lo più dal “sottoproletariato urbano”, si cita l’esempio di via Podgora, del quartiere di San Michele, di quello di Sant’Avendrace. È la città “difficile” quella che non si lascia rinchiudere negli ultimi schemi della comprensione meccanica; il cronista ne coglie l’aspetto esteriore (i giovani al flipper, i furti d’auto, la diffusione della droga, la vita nelle salette dei bar, la difficoltà a comunicare, la prostituzione) e cerca poi di spiegare, ma la spiegazione è sempre incomprensibile per “gli spiegati”; infarcita di termini come disgregazione, competitività, ecc.
L’unica sarebbe viverci, in quei quartieri, per comprendere la complessità, spesso non ancora riconducibile ad analisi sociologiche – o forse mai abbastanza indagata, se non, appunto, dall’esterno – perché talmente enigmatica da fare paura: la notte, pochi degli interpreti della vita sottoproletaria avrebbero il coraggio di trascorrerla nei pressi di Is Mirrionis. Chi è, allora, che può capire, che può spiegare, che può agire per cambiare? I compagni delle sezioni di periferia spesso hanno capito. E a tal punto da riuscire a far sì che proprio quei quartieri “disgregati e disperati” siano quelli che votano, di più e meglio, comunista. Più e meglio di quartieri socialmente integrati ma animati da furori qualunquisti e da quotidianità piccolo borghese refrattaria al nuovo che avanza.
Fare il lavoro politico, in queste sezioni, non è facile, malgrado l’abnegazione dei compagni – di alcuni di loro – rasenti spesso il sacrificio quasi totale del “privato”. A periodi di grande attività – spesso coincide con gli impegni elettorali – si susseguono pause pericolose di inerzia: la partita a carte, giocata in sezione (che è diversa da quella giocata al bar, non siamo puristi: è pur sempre un atto – minimo, fin che si vuole – di militanza) diventa orizzonte autoconclusivo.

Questa denuncia, apparsa sull’edizione sarda de L’Unità il 13 giugno 1978 con il titolo Fare politica in un quartiere “disgregato” della periferia è una sferzata che il giovane Atzeni (appena ventiseienne) sbatte in faccia all’intellighenzia, italiana e sarda, incapace di spiegare la complessità sociale e umana delle periferie. Posti in cui i cronisti ci passavano pure. Li tangevano quei luoghi ai margini, magari non solo per per motivi di lavoro. Provavano a descriverli ma non ci riuscivano mai bene, per il semplice motivo che quelle periferie non le vivevano.

L’invito dello scrittore è però caduto nel vuoto o, per lo meno, non raccolto come Atzeni avrebbe voluto. Ed è per questo che a distanza di quasi 25 anni lo scrittore-giornalista torna sull’argomento fustigando nuovamente giornalisti e intellettuali che ancora non conoscevano i “barabba di periferia” descritti da Pasolini. Anzi, nonostante il passare degli anni, dei decenni, si cullavano ancora sulle analisi pasoliniane, senza mai provare ad andare oltre, come denunciato in Siddharta e i progressisti, articolo scritto sempre per L’Unione Sarda, l’11 aprile del 1994.

Quanto ai mutamenti sociali, oltre Pasolini (rivelazione della genesi dei barabba di periferia privi d’anima) non vedo novità.
Sergio Atzeni ft microNessuno dubita delle analisi pasoliniane, a sinistra? Dubito per un motivo elementare: sono un barabba di periferia, ho vissuto l’infanzia e la parte finora più ardua dell’età adulta nel quartiere di San Michele, città di Cagliari, e sono certo, qualunque cosa pensasse Pasolini, di aver un’anima, e soprattutto sono certo che tutti i barabba di periferia che ho conosciuto nella vita, e non soltanto a Cagliari, anche loro hanno un’anima.
Che avevano e hanno un’anima quei barabba di periferia dovrebbero ricordarlo tutti i cagliaritani e non solo. E avrebbero dovuto farlo ben prima di Bellas mariposas, uno dei romanzi più famosi di Atzeni, ispirato proprio da quell’umanità di periferia con dolori, passioni, limiti, paure, aspirazioni, colpe e meriti. Con un’anima. Esattamente come gli abitanti di qualsiasi luogo sulla Terra.

Atzeni con la sua letteratura è riuscito dove la saggistica e il giornalismo non sono riusciti completamente ad arrivare, cioè a raccontare pienamente la periferia cagliaritana, i suoi luoghi, aneddoti, storie personali e collettive.

Come quelle rivelate da Franco Meloni e Marco Mameli, attivisti della Scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis, un presidio democratico e autogestito per dare ai tanti lavoratori del quartiere un’istruzione ma anche un posto in cui incontrarsi, fare politica, discutere e prendere le decisioni in modo condiviso. «Ci ispiravamo a don Milani e a Barbiana», ha infatti precisato Mameli.

A introdurre la terza e ultima tappa ci ha pensato come sempre Lucia Cossu che ha spiegato che lì dietro, al di là di quelle mura scalcinate, c’è stata una delle esperienze sociali di maggiore interesse della storia recente di Cagliari. Meloni e Mameli hanno ripercorso quell’epoca fatta di scontri, di tensioni ma anche di tentativi riusciti di aggregazione sociale hanno spiegato il perché fare una scuola popolare proprio a Is Mirrionis:

Era il quartiere con il più alto tasso di analfabetismo della città». «Abbiamo iniziato a Sant’Eusebio, in una saletta, c’erano più di 50 alunni e noi eravamo una trentina», ha esordito Meloni. Ma il parroco dopo un paio di mesi voleva buttarli fuori. «Noi decidevamo sempre tutti assieme – prosegue Meloni – per cui deliberammo di andare dall’arcivescovo, il cardinale Baggio, che chiese al parroco di darci i locali». Un successo. Dopo alterne vicende la Scuola finì dove Sacripanti aveva previsto il centro sociale. Una scelta quasi freudiana, visto che in realtà di un particolare centro sociale si trattava, autonomo e organizzato, simile a quelli che nascevano negli altri capoluoghi d’Italia.

Man a mano che passava il tempo i frequentatori della scuola aumentavano, «anche perché in un periodo di lotte a sinistra, da noi c’era posto per tutti». Un pragmatismo lontano rispetto allo scontro ideologico che in quegli anni spaccava la sinistra in tanti gruppuscoli ma di fatto vincente, non fosse altro perché «in 4 anni di attività la scuola ha “licenziato” circa 130 lavoratori», ha sottolineato Meloni.

Un fenomeno operaio a cui guardava con interesse anche la classe dirigente. «I padroni delle cliniche private venivano da noi per chiedere di preparare i loro dipendenti», ha infatti ricordato Mameli. In pochi anni passarono migliaia di persone attraverso quella scuola, dove si faceva anche recupero scolastico con i ragazzi del Pacinotti e del Siotto, e tutti i gruppi teatrali del capoluogo, dai Compagni di Scena al Teatro di Sardegna.

È sbagliato però considerare la Scuola solo come luogo di istruzione, cultura e arte. La Scuola voleva essere ed era un luogo politico. Da lì si mossero i cortei per la protesta contro l’omicidio da parte della polizia di Wilson Spiga e Giuliano Marras, freddati dalla polizia rispettivamente nel dicembre 1976 e nel gennaio del 1977: il primo per non essersi fermato a un controllo di polizia in via Cadello, perché senza patente; il secondo in una traversa di viale La Playa.

Subito dopo il fatto (di Spiga, ndr) ci fu un incontro da noi e partì un corteo spontaneo di 200 ragazzi verso la Questura», ricorda Mameli. Poi organizzarono una manifestazione: «il movimento portò in città 10 mila persone e non era istituzionale, organizzato da partiti o sindacati», ha detto fino a quando le parole non si sono strozzate in gola per la commozione.

Anche la Scuola, come tanti luoghi di aggregazione sociale, subì gli effetti del “reflusso”, del ritorno al privato, ma riuscì a durare fino al 1984. Di quel luogo, oggi proprietà di Area (l’agenzia regionale per l’edilizia abitativa, lo ex Iacp per intendersi), l’associazione Gramsci vorrebbe fare una biblioteca popolare. «Noi pensiamo al recupero di questo posto, anche perché questo quartiere continua ad avere la dispersione scolastica più alta di Cagliari», ha spiegato Michela Caria, la segretaria dell’associazione.

Parole che hanno fatto accendere un dibattito sulle esigenze del quartiere, tra i tanti cittadini, di Is Mirrionis e non solo, a cui ha partecipato anche l’assessore alla Pianificazione Strategica, Barbara Cadeddu, che non si è sottratta al confronto con i cittadini del quartiere. Un sintomo che dovrebbe far riflettere sulla necessità di partecipazione, di discussione sugli argomenti pubblici che ancora è presente a Is Mirrionis, oggi abitato anche da tantissimi studenti fuorisede e dal ceto medio intellettuale che ha scelto di vivere lì, in mezzo a quei “barabba di periferia” descritti da Atzeni.

Un momento di partecipazione democratica che è avvenuto proprio lì, a pochi metri da quei locali che hanno visto tante discussioni, tante assemblee. Proprio lì di fronte alla piazzetta senza nome, piccolo omaggio involuto a Sergio Atzeni.

Mario Gottardi (Twitter @margotten78)
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- Le foto sono tratte dalla pagina fb di Lucia Cossu.
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- Una riflessione di Lucia Cossu
Raccontare la storia e le storie che ci appartengono e ci contraddistinguono è il primo momento per riappropriarsi dei propri spazi. Domenica scorsa, la passeggiata alla scoperta di Is Mirrionis, dei luoghi, delle architetture e dei personaggi del quartiere è stata molto partecipata ed emozionante. Una scommessa vinta. Il monumento da scoprire è il quartiere, progettato dall’architetto Sacripanti con l’idea di unire gli spazi abitativi con gli spazi destinati al gioco e alla sosta, e realizzato, come nucleo pilota, tra il 1953 e il 1956. Is Mirrionis, il quartiere più popoloso di Cagliari con i suoi quai 14 mila abitanti, nasce qui, nasce in questa piazza, tra queste strade.
Sergio Atzeni, con i sui scritti giornalistici e Bellas Mariposas, che alla piazzetta si ispira, ci ha condotto alla scoperta di un quartiere vivo con una sua storia importante e che è necessario riscoprire e raccontare.
La scuola popolare dei lavoratori di Is Mirrionis, che aiutò a far acquisire un titolo di studio e una prospettiva di vita migliore a centinaia di lavoratori, fu un’esperienza partecipata di vita democratica, ancora sentita nel quartiere. Oggi quello spazio è una profonda ferita, un edificio abbandonato che dev’essere recuperato come spazio funzionale. Il dibattito finale con l’Assessore Barbara Cadeddu ha dimostrato quanto Is Mirrionis abbia voglia di acquisire consapevolezza, abbia voglia di riappropriarsi dei propri spazi. Una scommessa vinta chiama altre scommesse!
Grazie all’Associazione Antonio Gramsci – Cagliari, a Gigliola Sulis, grazie a Laura Stochino e Michela Caria, ad Antonella Sanna e Felice Carta, grazie a Franco Meloni e Marco Mameli, a Massimo Aresu e prepariamoci per la prossima scommessa!

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Per correlazione, dagli archivi di Aladinews
In giro nel quartiere di Is Mirrionis, tra le rovine della cultura.
ape-innovativadi Franco Meloni

SP 3 dic 14 i relatoriMercoledì 3 dicembre per me e per gli altri due relatori dell’assemblea su “Riprendiamoci la Scuola Popolare. 40 anni dopo tra storia e futuro” (Marco Mameli e Terenzio Calledda) è stata una giornata interamente dedicata al quartiere di Is Mirrionis.
Dell’assemblea svoltasi di pomeriggio sapete tutto o quasi. Il nostro sito e quello dell’associazione Antonio Gramsci ne hanno dato ampio risalto, riportando anche i collegamenti con altri siti, blog e pagine fb che hanno ripreso l’evento con scritti e servizi fotografici. Ora, invece, vi racconto della mattinata in giro per il quartiere con una giornalista Rai, Chiara Pottini, accompagnata da un cine operatore (di cui non ricordo il nome). - segue -

SEGNALAZIONI. Iniziative del Circolo Gramsci nell’ambito di Monumenti aperti 2015

monumentiaperti 2015Nell’ambito di “Monumenti Aperti” Cagliari 2015 domenica 10 maggio dalle ore 17 alle ore 19, di seguito il programma.
Alla scoperta di Is Mirrionis.
Luoghi, storia e storie del quartiere, nei racconti di Sergio Atzeni e nei ricordi dei protagonisti.
Una passeggiata di circa un’ora alla scoperta di Is Mirrionis, quartiere di edilizia popolare sorto dopo la seconda guerra mondiale per ospitare il ritorno degli sfollati e di quanti avevano perso la casa nei bombardamenti (inizialmente sistemati in grotte e nelle casermette militari). Con l’espansione di Cagliari, Is Mirrionis si è trovato pienamente inserito nel perimetro urbano, ma fino al secondo dopoguerra, prima della costruzione delle case INA, era una zona di aperta campagna, in cui si stagliavano le caserme militari, poi sede dell’Ospedale SS Trinità. - segue -

Università della Sardegna. Il dibattito è aperto. I pro e i contro. Le decisioni urgono

Il confronto
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Una eventuale fusione degli atenei di Sassari e Cagliari andrebbe evidentemente a tutto svantaggio di quello turritano Se ne occupi la politica
di Antonietta Mazzette

Da alcune settimane si è ricominciato a dibattere sulla cosiddetta Università della Sardegna, discettando su dove collocare il Consiglio di amministrazione: Oristano, Nuoro, chissà! Non è ben chiaro se il cuore della proposta sia quello di una fusione dei due atenei sardi o se, più limitatamente, sia quello di una federazione governata da un unico organo collegiale. Comunque, un unico consiglio di amministrazione significa che, giacché l’università di Sassari è più piccola di quella di Cagliari, si ritroverebbe ad essere, per così dire, “un azionista di minoranza”, con meno peso economico e meno rappresentanza politico-culturale. Considerato che le previsioni sul futuro delle università non inducono ad essere ottimisti, scarsi finanziamenti e costante riduzione dei docenti si potrebbero tradurre in scelte quali, ad esempio, accorpamento dei corsi nel caso in cui ci siano duplicati. Ossia quasi tutti, esclusi quelli di Agraria e Veterinaria e forse Medicina. Le raccomandazioni di andare verso federazioni o fusioni erano contenute nella Legge Gelmini, ma non è un caso che il sistema universitario italiano le abbia largamente ignorate. Non mi risulta che in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna etc. qualcuno si sia appassionato a questo tema, per cui il nostro è un dibattito tutto locale. Ma non sottovaluto le argomentazioni che stanno alla base degli interventi di alcuni studiosi cagliaritani ed entro nel merito. I due atenei sardi si collocano stabilmente nelle graduatorie in una condizione mediana; quello di Sassari si ritrova spesso ai vertici delle graduatorie delle università medie. Con tutta la diffidenza che si deve avere verso dette graduatorie, ciò dimostra che il sistema universitario sardo è sano e forma laureati di media e buona qualità, con alcune eccellenze. Si pensi ai diversi casi di successo di cui scrive Giacomo Mameli. Naturalmente, i problemi delle due università sono destinati a crescere, tanto per il costante assottigliamento dei fondi e l’assenza di turn over, quanto per la debolezza strutturale del sistema economico sardo. Debolezza che incide negativamente su alcuni indicatori e dunque sulla dotazione dei finanziamenti ministeriali, quali tasse non elevate, scarsa occupazione dei laureati, poca attrattività di studenti provenienti dal di là del mare. Se questa sommaria descrizione dello stato delle cose ha un fondamento, la proposta di Università della Sardegna esige almeno due domande: quali vantaggi e quali costi comporta? Tra i primi certamente vanno asseverati risparmio (compreso quello riguardante il capitale umano), efficienza e maggiore razionalizzazione dell’offerta formativa. Per ciò che riguarda i costi, invece, è necessario chiedersi se questa “nuova” università avrà o no un incremento di iscritti, se potrà essere di maggiore qualità, di quale natura saranno gli effetti sul territorio, a partire da Sassari, giacché, probabilmente l’ateneo di Sassari subirebbe i maggiori sacrifici. Ho molti dubbi che ci sarebbero incrementi di iscritti. Com’è noto, i giovani del Nord Sardegna se scelgono di non studiare a Sassari non vanno a Cagliari, bensì fuori dall’Isola (Pisa, Perugia, Pavia, Torino). Mentre i giovani che rischiano di non poter studiare a Sassari andrebbero a infoltire le fila di coloro che non studiano e non lavorano. Sulla qualità non saprei se un’unica struttura universitaria possa essere un migliore laboratorio di idee oppure no. Mentre gli effetti sulla città di Sassari sarebbero devastanti. La sua storica università, dopo l’Azienda sanitaria, è la più grande azienda del Nord Sardegna e una sua riduzione costituirebbe un evidente danno economico per il territorio. A tutto ciò aggiungo che la proposta di Università della Sardegna è un elemento di un puzzle più grande che va in una sola direzione: concentrare peso politico, risorse materiali e culturali verso l’area metropolitana di Cagliari. Si pensi alle politiche più recenti riguardanti gli assetti istituzionali, la mobilità, i porti. Ciò che però stupisce è il fatto che le classi dirigenti della vasta area territoriale del Nord-Sardegna sia silente, come se ciò di cui si sta discutendo fuori dai loro confini siano di scarso interesse.
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Universidade de Sardigna Università della Sardegna University of Sardinia
di Franco Meloni
Il treno veloce Cagliari-Sassari e viceversa (auspicabilmente esteso ad altre tratte, Olbia in primis) trainerà anche la realizzazione dell’Università della Sardegna. Unica Università o federazione tra i due Atenei storici? Questo è da decidere. Allo stato risulta si propenda per la loro federazione, “al fine di salvaguardarne maggiormente la storia e la tradizione”, ma pur sempre sotto l’egida comune di Università della Sardegna. Però la federazione deve essere vera, come avverte il competente Ministero, che nel documento di programmazione 2013-2015 del sistema universitario italiano delinea le caratteristiche dei “modelli federativi di università su base regionale o macroregionale… ferme restando l’autonomia scientifica e gestionale dei federati nel quadro delle risorse attribuite”. Precisamente devono prevedersi: “a) unico Consiglio di amministrazione con unico Presidente; b) unificazione e condivisione di servizi amministrativi, informatici, bibliotecari e tecnici di supporto alla didattica e alla ricerca”. Siamo allora ben lontani dal debole patto federativo firmato dai due Atenei alcuni anni fa. Nella pratica non si va ancora in tale direzione; assistiamo invece a un atteggiamento prudente e defatigatorio. E non ne sono prove contrarie l’intensificarsi tra gli Atenei degli accordi di programmazione formativa e di collaborazione per la ricerca scientifica (peraltro sempre esistiti). Tutte cose positive, ma, al contrario, perdura l’incapacità di gestione unitaria di importanti attività, come, ad esempio, i progetti di formazione professionale di grandi dimensioni (lo fu Itaca per il paesaggio), o il consorzio per l’Università telematica della Sardegna o i Centri di competenza tecnologica: iniziative fortemente incentivate dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, sempre più ridotte a operazioni di piccolo cabotaggio. Così non si potrà continuare perché l’unificazione (o la vera federazione) è ormai un fatto ineludibile, che la spending review governativa impone, anche attraverso progressive penalizzazioni nel trasferimento di risorse statali se non si procederà nella direzione indicata, ma come peraltro imporrebbero criteri di razionalità nella gestione complessiva delle risorse – e non solo – nell’interesse della Sardegna. Almeno così pensiamo in molti, in prevalenza fuori dall’accademia, nella quale invece prevalgono la conservazione di antichi privilegi e posizioni di potere, quando anche giustificati da nobili motivazioni. Lo riconosciamo: il discorso è complesso e il percorso per arrivare all’obbiettivo dell’unica Università della Sardegna, in una delle possibili forme, non è facile, ma, appunto per questo, occorre agire da subito vincendo la paralizzante prudenza. Qualche segnale della volontà in tal senso arriva dall’esordiente Rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ha parlato di “un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna, che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione”, per questo appellandosi particolarmente alla Regione Sardegna “che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione”. E’ già qualcosa, ma occorre andare rapidamente oltre le parole e passare ai fatti, prima che qualcun altro, anche in questa circostanza, decida per la Sardegna. La Regione, chiamata giustamente in causa, deve intervenire per favorire questo processo di unificazione/federazione, smettendo di fare solo la parte di bancomat che trasferisce risorse alle Università sarde. E poi, occorre che il dibattito si allarghi, cogliendo anche l’occasione dell’ormai imminente elezione del Rettore dell’Università di Cagliari, perché, come ripetiamo spesso: l’Università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli professori, come la guerra in quelle dei generali.
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UC panorama
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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* Il dibattito su L’Università della Sardegna è ripreso anche da altri siti: FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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- Nell’illustrazione: particolare del dipinto di Filippo Figari “Sardegna universitaria”, aula magna Rettorato Università di Cagliari.
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Logo del Progetto formativo Itaca, ideato e gestito dalle due Università riunite in ATS (Associazione di Scopo), anni 2005-2008
Itaca Unica-Uniss
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- INFORMAZIONI sul Progetto Itaca nella fase di attuazione (a cura di Uniss)

California dreamin’

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Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
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Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
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* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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- La California
- California dreamin, The Mamas And The Papas, 1966
- Sognando la California, I dik dik, 1966
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Dai movimenti degli anni settanta alla Sardegna di oggi. Ricordando Riccardo Lai

MANIFESTO11 ric laiI MOVIMENTI TRA IERI E OGGI
- In attesa degli atti del Convegno continuiamo con la pubblicazione di alcuni interventi (abbiamo iniziato con quelli del direttore, di Vanni Tola e, oggi, proseguiamo con la relazione introduttiva al Convegno di Benedetto Sechi. Mano a mano che ci perverranno pubblicheremo anche gli altri e inoltre daremo conto della pubblicazione delle relazioni in altre news. Avvertiamo che si tratta di interventi che ci sono pervenuti per iscritto e che durante il Convegno sono stati per lo più arricchiti “a braccio”. Abbiamo anche riportato la trascrizione di un intervento inedito di Riccardo Lai, l’ultimo della sua vita di militante impegnato nelle lotte sociali. La Fondazione Sardinia ha comunicato che quanto prima sarà disponibile nel nel suo sito web l’intera registrazione video delle due giornate di lavori dell’evento. ape-innovativaLa pagina fb dell’evento.
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Intervento introduttivo di Benedetto Sechi

Ripercorrendo le lotte, di proposta e di protesta dei movimenti giovanili, si comprende quanta strada è stata fatta, quanti rallentamenti, quanti passi avanti e quanti indietro per arrivare fin qui. Buon esercizio per la memoria! Non sono mai stato un buon archivista, ho sempre accumulato a casaccio, anche nella mia testa. Quindi mi sono sorpreso, ricordando i fatti, le immagini, i documenti, gli articoli, a pensare che tanto è cambiato negli strumenti di comunicazione, dal ciclostile a facebook il passo è lungo, molto meno è mutato nelle esigenze, nelle rivendicazioni nel malessere sociale. Solo alcune questioni hanno assunto proporzioni gigantesche: la diffusione delle droghe ad esempio, la violenza sulle donne, quello che oggi con un brutto sillogismo chiamiamo “femminicidio”. Ma due sono i temi irrisolti, in questi trent’anni e più, che scorreranno davanti a noi e che sono rimasti, costantemente, al centro delle proteste e del disagio delle generazioni che si sono avvicendate: La Scuola e il Lavoro! Certo, con alti e bassi, ma in fondo, in tutti questi anni, chi ha governato l’Italia, e la Sardegna, non ha mai saputo progettare e realizzare riforme soddisfacenti. Pensiamo alla riforma Berlinguer sui percorsi universitari, pensiamo all’incapacità di dotarsi di politiche di sviluppo che sapessero metter un freno alla crescente perdita di posti di lavoro e alla creazione di nuovi, cambiando il modello produttivo imposto con l’industria pesante. Facendo questa considerazione non voglio certo dire che le generazioni che si sono susseguite, siano uguali. Le differenze per fortuna ci sono, per le influenze culturali, la musica, l’arte, modi diversi di trascorrere il tempo libero e di rapportarsi tra loro, ma in tanti tratti esse sono simili, proprio perché uguali sono i problemi che devono affrontare.
Prima di addentrarmi in questo viaggio nel tempo, che per la verità un poco temo, vorrei dedicare un pensiero a Riccardo, Riccardone come tutti noi lo chiamavamo. Di lui sono tante le cose che si possono ricordare, lo faremo in questi giorni, lo farà ogni persona che lo ha conosciuto. Riccardo era un uomo di una intelligenza straordinaria, con una capacità innata nel sapersi rapportare con chiunque, in fabbrica, tra noi operai, era amato e i suoi interventi, a nome del movimento degli studenti, non solo erano apprezzati, ma se lui si trovava in sala mensa, erano attesi e richiesti. Ma il mio pensiero va innanzitutto alle sue doti umane alla sua enorme autoironia, a quel non prendersi mai troppo sul serio, elemento distintivo delle grandi persone. Ironia, entusiasmo, fantasia, intelligenza, che egli esprimeva in ogni contesto e in ogni azione.
Nella meta degli anni 70’ la SIR di Rovelli ottiene pareri di conformità per raddoppiare gli impianti di Porto Torres e Assemini, si costruisce anche a Isili e, per non farci mancare niente, lo Stato Italiano, decide che neppure a Ottana ci starebbe male un poco di chimica, c’era da fronteggiare il fenomeno del banditismo e questa sembrava una buona soluzione. Altrettanto fa Ursini con la Liquichimica, così come la Montedison. Insomma mentre Rovelli con le sue scatole cinesi, quasi cento aziende, si impegna per saccheggiare le risorse del Piano di Rinascita, della Legge 268, gli altri non stanno a guardare e in Veneto, in Toscana, in Sicilia, gli impianti che producono chimica di base proliferano.
- segue -

Una nuova politica per gli spazi culturali

studentato vbA Cagliari nasce lo “Studentato Occupato Sa Domu”! Ed ora cambierà la politica della giunta Zedda sugli spazi culturali?
di Vito Biolchini*
Ricordo bene che già qualche mese fa un gruppo di giovani aveva occupato la sede staccata della scuola Manno di via La Marmora a Cagliari (nel quartiere Castello), abbandonata da anni, con l’intento di far nascere un centro culturale autogestito. Il tentativo durò però solo poche ore, stroncato subito dalla questura e dal comune. Stasera invece è andata meglio a circa 350 tra studenti medi e universitari, riunitisi sotto la sigla “Studentato Occupato Sa Domu”. Come hanno raccontato loro stessi in una nota stampa.

Da subito sono intervenute le forze dell’ordine che hanno minacciato denunce e uno sgombero imminente, ma successivamente anche il preside della scuola e il sindaco di Cagliari Massimo Zedda sono arrivati allo studentato occupato. Abbiamo avuto un incontro con entrambi ai quali abbiamo spiegato i motivi che ci hanno spinto a quest’azione e i problemi che vivono tutti i giorni gli studenti e gli universitari di Cagliari e zone limitrofe.

Evidentemente la campagna elettorale già in corso per le comunali del 2016 suggerisce all’amministrazione cagliaritana di centrosinistra di abbandonare l’atteggiamento di chiusura totale nei confronti di operazioni come questa. Per cui per fortuna niente sgombero e anzi massima disponibilità:

Al termine di questi incontri abbiamo ottenuto, molto probabilmente per lunedì, un incontro tra gli studenti occupanti e le istituzioni: il presidente dell’Ersu, Luca Funedda, l’assessore regionale alla pubblica Istruzione Claudia Firino, e il sindaco di Cagliari.

I giovani dello “Studentato Occupato Sa Domu” contestano i tagli all’istruzione, la mancanza di alloggi per universitari (“solo 725 posti letto nelle case dello studente a fronte dei 15.000 studenti fuori sede presenti”). Non solo: nelle loro intenzioni la scuola di via La Marmora (“uno dei tanti posti abbandonati o lasciati all’incuria presenti in città, uno stabile abbandonato al degrado da più di tre anni”) la scuola potrebbe diventare un polo culturale:

perché sentiamo il bisogno di uno spazio indipendente di ricerca e formazione, che possa essere un laboratorio politico, culturale e sociale, aperto agli studenti e a tutta la cittadinanza e slegato dalle logiche di profitto che stanno trasformando le università e le scuole in aziende, invece che un luogo di formazione e condivisione di saperi.

Riusciranno i nostri eroi nell’intento? Ce lo auguriamo caldamente. E ci auguriamo soprattutto che approfittando di questa occupazione, l’amministrazione Zedda compia una virata di 180 gradi e finalmente inizi a concedere a gruppi ed associazioni culturali i tanti spazi pubblici abbandonati da tempo in città. Era una promessa fatta in campagna elettorale che però è stata clamorosamente disattesa.

Finora la politica degli spazi culturali perseguita dal centrosinistra a Cagliari è stata a dir poco disastrosa, con bandi fatti male e ancora campati per aria, progetti morti sul nascere (come quello della “Casa delle associazioni”), e scelte sballate e mai messe laicamente in discussione. Tuttavia per cambiare rotta non è mai tardi, e non è un caso che il Pd cittadino nelle ultime settimane stia dichiarando ai quattro venti che la politica culturale della giunta Zedda ha bisogno di una “verifica”.

“Nei prossimi giorni all’interno dello spazio organizzeremo iniziative e momenti di confronto aperti a tutto il quartiere”, promettono i giovani dello Studentato Occupato Sa Domu.

A Cagliari c’è bisogno di cultura autogestita e autorganizzata. Speriamo che sia la volta buona.

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* Vito Biolchini su vitobiolchini.it
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Civic crowdfunding per i centri di aggregazione socio-culturali
F Figari-cantiere navale CCIAA Ca
ScuolaPopolareIsmirrionis
di Franco Meloni

Civic crowdfunding. Cos’è? Superiamo per un momento il fastidio di questi termini anglofoni che ci invadono tutti i giorni e parliamo nel merito di un innovativo strumento finanziario e non solo: si tratta di un metodo per raccogliere soldi dai cittadini interessati a sostenere una certa proposta di rilievo civile e sociale (facciamo più avanti qualche esempio). Lo si fa attraverso una piattaforma tecnologica che semplifica la possibilità di fare i versamenti e di controllare tutti gli aspetti dell’operazione. Intendiamo che il contribuente o qualsiasi cittadino interessato deve poter accedere facilmente a un sito web dove sono presenti tutte le informazioni sul progetto proposto, sul come sta procedendo la raccolta dei fondi e come poi si spendono effettivamente i denari in attuazione di quanto prestabilito. Semplice? Non proprio, ma tutto attuabile stante le molte esperienze di successo in Italia e nel mondo. Ovviamente occorre disporre di un’efficiente organizzazione, di buona reputazione (di cui il cittadino si possa fidare) che gestisca tutte le fasi dell’attività: dall’ideazione del progetto alla sua definizione in dettaglio; dalla campagna di comunicazione alla raccolta dei fondi; dal loro effettivo utilizzo alla puntuale rendicontazione; e così via. Tutte operazioni che richiedono competenze professionali e costi di gestione. Le molte attività di crowfunding, che si esplicano in diverse tipologie (1), prevedono l’intervento di almeno due soggetti attuatori: il gestore della piattaforma tecnologica e di tutto quanto connesso e un istituto di credito che si occupi della parte di gestione finanziaria. Ecco, trattandosi nel nostro caso di “civic crowdfunding”, cioè di iniziative no-profit, senza scopi di lucro, è sostenibile che questi costi vengano sostenuti dalla Pubblica amministrazione. Per esempio per quanto riguarda la nostra regione, dalla Finanziaria regionale Sfirs, che già possiede le competenze professionali per svolgere adeguatamente tali funzioni, eventualmente dotandosi di quanto ulteriormente dovesse servire. Non dimentichiamo che il crowdfunding è sostenuto dall’Unione Europea e pertanto sarebbe possibile che i costi di cui parliamo siano a carico dei fondi di cui la Regione Sarda dispone nell’ambito della programmazione europea 2014-2020. E’ evidente che ci sono molti aspetti da chiarire per essere operativi, ma è senz’altro una strada innovativa (per la nostra realtà) da percorrere senza indugio. Almeno così proponiamo. Applicazioni pratiche, anche con carattere di sperimentalità, potrebbero essere quelle di recuperare all’uso sociale strutture abbandonate nella disponibilità dei Comuni o di altre Amministrazioni pubbliche. Avrete forse capito che sto parlando di un caso pratico che ci sta a cuore: del ricupero dell’attuale rudere già sede della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis per realizzare un bel centro di aggregazione socio-culturale. In una certa parte (per esempio il 20 per cento) il costo del recupero potrebbe essere affrontato reperendo i fondi necessari appunto con un’operazione di civic crowdfunding, aggiungendosi a quelli della “mano pubblica” (Europa, Regione, Comune, Area ex Iacp, etc).
Alcuni giorni fa ho partecipato all’incontro intitolato “Life in Italy is ok – Diritto alla salute in Italia“, organizzato dal Gruppo Emergency di Cagliari e Serrenti, con la partecipazione di Cecilia Strada. Nel dibattito che è seguito alle relazioni di Cecilia e degli esponenti locali di Emergency è, tra gli altri, intervenuto Gianni Argiolas, responsabile di un’associazione di volontariato in campo sanitario. Lui ha lamentato che gli organismi di volontariato non abbiamo tutto il sostegno che meriterebbero da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare ha rammentato la difficoltà di reperire sedi a canoni sostenibili. Ha anche proposto di recuperare il dismesso carcere di Buoncammino per destinarlo “in toto” alle organizzazioni di volontariato. E’ una proposta senza dubbio legittima, non so quanto vincente rispetto a tante altre che si sono proposte nel dibattito recentemente avviato. Vedremo. Certo è che le esigenze delle associazioni del terzo settore – tra queste citiamo, a mo’ d’esempio, quelle che intervengono rispetto a situazioni di disabilità o di disagio sociale o quelle che organizzano ulteriori attività culturali nel territorio – devono trovare risposte convincenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Ma, aggiungiamo noi, non solo… Di questi problemi devono farsi carico tutti i cittadini, anche mettendo mano al portafoglio, ovviamente ciascuno in base alle proprie capacità economiche e finanziarie e alla propria sensibilità sociale. Ecco dunque la proposta di civic crowdfunding, come uno dei possibili strumenti da utilizzare. Gli esperti sostengono che le disponibilità di denari da parte di molte persone, singole o organizzate, siano notevoli e di gran lunga superiori a quanto la crisi in atto potrebbe far pensare. Anche se non fossimo del tutto convinti (è legittimo che facciamo i san Tommaso: provare per credere) è bene tentare di stanare queste risorse, se esistono e, se si, cercare di utilizzarle per investimenti in solidarietà e, in senso lato, per migliorare la qualità della convivenza sociale. Attendiamo qualche risposta da chi di dovere; per parte nostra proseguiamo nel nostro impegno con convinzione, fiducia e con una buona dose di creatività.
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(1) Sul crowdfunding Aladinews è da tempo impegnata. Di recente ha contribuito a realizzare un’iniziativa di studio e divulgazione in collaborazione con la Camera di commercio di Cagliari; ecco la pagina fb dell’evento.
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Caravaggio Tommaso incredulo
Incredulità di San Tommaso, Caravaggio
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in giro con la lampada di aladin…

BOMELUZO-MUNCH2lampada aladin micromicro- All’attacco dei fuoricorso. Sono il 43,6% degli iscritti. Melis: «Un trend in costante calo» – Le misure messe in campo per ridurre il numero degli irregolari negli studi. Su L’Unione Sarda, 02 ottobre 2014.
- Un altro punto di vista: ma i fuori corso, almeno in certa misura, sono una risorsa! Franco Meloni sul blog Valorest

L’ Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali si dota di uno spazio web per comunicare le sue iniziative e mettere a disposizione informazioni utili e pertinenti

Fondazione Sardinia logo2La Fondazione Sardinia ha attivato all’interno del suo sito web uno spazio dedicato all’Osservatorio sulle riforme isituzionali . Il sito è così organizzato:
O.S.R.I.
- Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
- Testi legislativi
- Convegni e Seminari
- Documentazione
- Comunicazioni
- Rassegna Stampa
Sardegna-bomeluzo22 – segue documentazione OSRI -

Innovazione e Sinnova. Molti applausi, qualche fischio. La critica più grande: oggi l’Università e le Camere di Commercio della Sardegna cenerentole. Domani?

4 suonatori
di Franco Meloni
ape-innovativa2Torno su “innovazione e dintorni” in relazione all’iniziativa Sinnova2014 (e non solo). Voglio premettere di ribadire il plauso per l’iniziativa, che, come da prassi e come è giusto sia, va a tutti coloro che hanno collaborato per il suo successo, in primis ai responsabili delle istituzioni che l’hanno promossa e organizzata, cioè a Raffaele Paci per l’Assessorato regionale alla programmazione e a Maria Paola Corona per Sardegna Ricerche. Soprattutto a quest’ultima si deve un giusto riconoscimento per la tenacia e l’impegno dimostrati. Detto questo, passiamo ad alcune notazioni critiche, ovviamente con intenti costruttivi. Innanzitutto parliamo della location. Riconoscimenti a L’Unione Sarda per la disponibilità per la nuova edizione di Sinnova e condivisione della decisione dell’assessore Paci di confermare detta sede, in quanto la complessa organizzazione dell’evento era già molto avanti nel momento del suo insediamento come assessore. Ma, come espresso fin da molto prima della prima edizione, la sede ottimale per la manifestazione è a parer nostro la Fiera Internazionale della Sardegna, sia per la più ampia disponibilità di spazi espositivi e congressuali, sia (ed è questa la ragione più importante) per assecondare concretamente il disegno di riconversione della Fiera in struttura utile per le esigenze di sviluppo dell’economia della Sardegna. Grazie quindi a L’Unione Sarda, ma la terza edizione di Sinnova, Sinnova 2015, la vorremmo proprio nello spazio Fiera. C’è poi un ragionamento da fare sugli organizzatori: bene – lo ripetiamo – Sardegna Ricerche, ma questa organizzazione non può occupare spazi che altri dovrebbero occupare in modo più pertinente. Finchè questi “altri” sono assenti è evidente che Sardegna Ricerche fa bene e non dobbiamo che essergliene grati, ma sono appunto questi “altri” a dover muovere il culo (scusate il linguaggio, ma rende bene) e darsi da fare per assolvere al loro compito istituzionale. Per essere chiari, ci riferiamo a due soggetti precisi e ci limitiamo a due, anche se ciascuno di questi ha una propria articolazione su basi territoriali. Ci riferiamo allora alle quattro Camere di Commercio sarde, riunite nella struttura di UNIONCAMERE SARDEGNA e alle due Università sarde, riunite in un labile patto federativo allo stato ben lontano dall’auspicabile UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA. Ecco, Sinnova2015 dovrebbe essere promosso e organizzato proprio da queste quattro entità: la Regione, Sardegna Ricerche, Unioncamere Sardegna, Università della Sardegna. A ben vedere sono esattamente i soggetti a cui la Regione e l’Unione Europea avevano affidato una parte importante della promozione dell’innovazione nella nostra regione. peraltro riconoscendo per questa finalità rilevanti risorse, soprattutto a far data dal ciclo programmatorio 2000-2006, a seguire con quello 2006-2013 nel quale un finanziamento consistente è stato destinato al progetto INNOVARE. Tali fondi, non dimentichiamolo, prevedono un cospicuo cofinanziamento regionale, circostanza che impone ancor più attenzione nel fare le scelte di utilizzo delle risorse. La programmazione 2014-2020 conferma ingenti finanziamenti sotto la voce INNOVAZIONE (allocati negli Obiettivi Tematici finanziati dai vari fondi Por), prevalentemente destinati alle imprese, con l’obbiettivo prioritario di creare occupazione (mantenimento e nuova). Le risorse 2014-2020 sono state già oggetto di specifico “atto di indirizzo strategico” della Giunta regionale (delibera 19 del 27/5/2014), sulla base dei macro obbiettivi stabiliti dall’Unione Europea. Prima di procedere alla definizione dei progetti esecutivi occorre fare una valutazione precisa, soprattutto in termini di efficacia e risultati conseguiti per quanto è stato fatto nel ciclo programmatorio 2006-2013, ora in fase conclusiva, per il quale è consentita la spendita di risorse fino al tutto l’anno 2015. Quanto detto vale per tutti i fondi europei, ma in questa occasione, ci riferiamo specificamente ai fondi del progetto INNOVARE. Nonostante le assicurazione degli assessori e dei funzionari competenti risulta tuttora una difficoltà di spendita dei fondi, tale da far paventare una restituzione di una parte di essi all’Unione Europea. Al di la di questa circostanza, che sarebbe una iattura, occorre ragionare sulle scelte effettuate dalle Università e da Sardegna Ricerche (ma su quest’ultima in questa nota non ci soffermiamo) per la realizzazione degli obbiettivi del progetto Innovare. Intanto segnaliamo l’esclusione dalla realizzazione del progetto delle Camere di Commercio regionali. Non discutiamo in questa sede delle responsabilità di tale assenza, certo in parte attribuibile all’inconsistenza organizzativa dell’Unioncamere regionale, incapace di costituire interlocutore unico rispetto alla Regione, ma si potrebbe obbiettare che neppure le Università sarde sono state in grado di rappresentarsi come soggetto unitario, eppure tale situazione non ha impedito a ciascuna di esse di essere partner del progetto Innovare. Quindi sono altre le ragioni dell’esclusione delle Camere di Commercio, su cui è importante indagare, sempre nella logica di una corretta programmazione dei fondi futuri. Ma anche sul comportamento delle Università occorre fare chiarezza, perchè proprio su questo versante appaiono rilevanti criticità. E non solo sulla lentezza della spesa. Le Università sarde, come è costume di molte altre Università, tendono a piegare l’utilizzo dei finanziamenti europei alle loro esigenze specifiche, spesso prescindendo dalle finalità dei singoli progetti. Così con i soldi di Innovare si sono finanziati progetti di ricerca lontani da un loro immediato beneficio per le imprese. L’Unione Europea ha ben chiarito che tali fondi erano destinati alle imprese per il tramite delle iniziative delle Università e non alle Università per le loro finalità istituzionali. Altri sono infatti i programmi e i fondi per la ricerca. Lo stesso finanziamento delle borse di dottorato di ricerca, massicciamente utilizzato dagli Atenei sul progetto Innovare, non è dimostrato sia andato a beneficiare il sistema produttivo della Sardegna. Discorso da approfondire, certo, e lo faremo, contando di disporre di un report esaustivo da parte della Regione, così come obbligatoriamente prevedono i regolamenti europei. Ma, tornando a Sinnova, non sembra che tra i protagonisti attuatori delle politiche dell’innovazione si sia creata la necessaria intesa. Lo ha dimostrato perfino il ruolo giocato dalle Camere e dalle Università nella manifestazione. Sostanzialmente un ruolo di cenerentole. La Camera di Commercio e le Università relegate in ristrette postazioni, non rappresentate nei diversi workshop tenutisi nelle due giornate dell’evento. L’Università era certo presente in maniera diffusa nelle diverse aziende presenti, spin off e start up, ma totalmente assente come istituzione, se si eccettua il “ripostiglio delle scope” a ciascuna assegnato in una sala espositiva, quasi a marcarne la povertà di proposta piuttosto che la presenza. Eppure le Università avrebbero potuto esporre buona merce: basti citare il C-Lab a Cagliari o l’incubatore/acceleratore d’impresa a Sassari. Anche tutto questo attende una risposta chiarificatrice! Certo è che così continuando non si va da nessuna parte. Lo sa bene Raffaele Paci, a cui senza malizia rivolgiamo l’invito a rileggersi il suo editoriale su L’Unione Sarda del 9 settembre 2009 in tema dì mancanza di amalgama tra le istituzioni. E, infine, l’Europa. Possibile che sia stata la grande assente in una manifestazione consentita anche per i finanziamenti europei? Possibile che l’Europa sia stata assente sia nei suoi simboli grafici e bandiere stellate, che peraltro sono obbligatori in queste circostanze, sia soprattutto per i contenuti e i programmi/progetti? Partecipando a un Seminario su sharing economy e dintorni siamo stati gli unici a ricordare le indicazioni dell’Unione Europea in materia. C’è poco da fare: il provincialismo o forse anche l’ignoranza sono attitudini che in questa come in altre occasioni sono ancora una volta emerse a denunciare le carenze culturali della politica sarda. Infine una notazione personale. Dai tempi in cui le Università sarde si ponevano come trainanti rispetto alle esigenze dell’innovazione per la Sardegna (non per nulla nel 2005 l’Università di Cagliari istituì la Direzione per l’Innovazione – Dirinnova) siamo tornati indietro a fare i fanalini di coda. Ma non devono essere questi tempi di rimpianti, quanto di ripartenze nel segno del cambiamento, altrimenti, come ha giustamente detto il direttore de l’Unione Sarda a chiusura del suo editoriale di domenica in tema di innovazione : “se non cambiamo – subito e ora – forse non ci sarà un domani”.

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Franco-Nurzia-e-Franco-Meloni-ipg Nella foto il prof. Franco Nurzia prorettore all’Innovazione fino al 2009 e Franco Meloni, dirigente di Dirinnova, Direzione per l’Innovazione dell’Università di Cagliari fino al 2010.

Crowdfunding… solo un aperitivo, un buon aperitivo!

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Franco per start upUlteriori informazioni sulla pagina fb dell’evento

Eppur si muove! Le politiche per la giovane impresa… molto da migliorare!

orest bollinomicromicroaladinSegnaliamo un interessante articolo di Enrico Lobina, consigliere comunale di Cagliari, sulle iniziative del Comune di Cagliari (come di altre Amministrazioni) per la creazione di nuova impresa (su Il fatto quotidiano, ripreso dal sito e dalla pagina fb di Enrico, nonchè da Aladinews). Non ci illudiamo che le nuove imprese costituiscano una decisiva risposta alla disoccupazione, specie giovanile, se non in una certa misura. Che non conosciamo, proprio perchè mancano le misurazione e valutazioni del fenomeno. Mancano o sono fortemente carenti perfino le misurazioni e valutazioni delle azioni positive fatte dalle Amministrazioni (regionale e locali) sostenute da importanti finanziamenti europei (si tratta di finanziamenti soprattutto del Fondo Sociale Europeo e del FESR, che prevedono cofinanziamenti statali e regionali). Le (poche) valutazioni comunque effettuate e la raccolta delle opinioni di quanti hanno fatto esperienza di creazione di nuova impresa sostenuta da finanzianti pubblici, sebbene frammentarie, mettono in rilievo le criticità e suggeriscono attività di correzione per quanto si deve fare in tempi successivi. Al riguardo, come detto, si fa ben poco e non si riesce allo stato a innescare virtuosi processi di miglioramento. Allora ci auguriamo e auspichiamo un’inversione di rotta, anche dando credito alle dichiarazioni fatte in argomento dal presidente Pigliaru e da suoi competenti assessori. Vogliamo però sottolineare come gli interventi di sostegno all’impresa vedano in campo numerosi soggetti pubblici, tutti tra loro allo stato scollegati, spesso incapaci di dare efficace attuazione alle misure previste dai citati programmi. Ci riferiamo sia alla Regione, sia alle altre Amministrazioni: Comuni, Camere di Commercio, Università… Tutti soggetti che fanno finta di collaborare e che invece nella realtà operano “a compartimenti stagni”. Non possiamo più permettercelo. Noi di Aladin ne parliamo da quando esistiamo. Come prova riportiamo un intervento del 3 febbraio 2013, che dava saggi consigli al Comune di Cagliari e alle altre Amministrazioni, in gran parte finora del tutto ignorati e che crediamo tuttora validi e da proporre. Dunque: monitoriamo, facciamo proposte e pungoliamo. Sono le sole attività che, allo stato, possiamo fare, come facciamo e faremo (f.m. Aladinews).

Università della Sardegna: questione che riguarda tutti i sardi. Una punta ‘e billettu

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di Franco Meloni
Nel mese di giugno l’Università di Sassari eleggerà il nuovo Rettore per il sessennio 2014-2020, in sostituzione del prof. Attilio Mastino, il quale per le disposizioni di legge e statutarie non potrà ricandidarsi. Il nuovo Rettore entrerà in carica il 1° ottobre del corrente anno. Per l’Università di Cagliari il nuovo Rettore sarà eletto nel mese di giugno 2015 ed entrerà in carica il 1° ottobre del medesimo anno.
E’ importante e necessario che si colgano tali scadenze per riprendere il dibattito sullo stato delle Università sarde, sul ruolo che rivestono nella regione attualmente e, soprattutto, su quanto si può e si deve cambiare, ovviamente in meglio. Sì perchè siamo convinti che i sardi non siano soddisfatti dell’attuale situazione delle loro Università e vogliono che sia superata l’attuale inadeguatezza generale e specifica rispetto alle esigenze di sviluppo della Sardegna. La recente legge di riforma delle Università (Legge 30 dicembre 2010, n. 240*) con tutti i conseguenti provvedimenti attuativi non è certo servita a migliorare l’Università italiana, anzi in generale a peggiorarne lo stato, come ben dimostrato in una serie di importanti convegni che si sono tenuti in questi anni (si segnala al riguardo l’ultimo organizzato dalla rivista on line Roars, che abbiamo ripreso come Aladin). A dire il vero la criticabilissima legge che prende il nome dal ministro berlusconiano Mariastella Gelmini, ha avuto come fiero oppositore soprattutto il movimento degli studenti sostenuto da pochi altri; sicuramente non dalla stragrande maggioranza dei Rettori che si sono rapidamente adeguati alle impostazioni del ministro e della maggioranza parlamentare di centro destra (e non solo). E’ giusto segnalare come uno dei rettori più critici rispetto alla riforma sia stato Attilio Mastino, che su tali posizioni si era anche proposto alla guida della Conferenza italiana dei Rettori, peraltro senza successo. I ministri dell’Istruzione e dell’Università che si sono succeduti non hanno modificato l’impostazione della legge. Ricordiamo al riguardo gli apprezzamenti degli allora presidente del consiglio Mario Monti e ministro ex rettore Francesco Profumo. Una delle ragioni del forte riallineamento dei Rettori rispetto alle posizioni ministeriali è senza dubbio attribuibile alle notevoli concessioni in termini di aumento smisurato del potere dei rettori (definiti da Sabino Cassese nel citato convegno come zar o boss**) e nell’antidemocratica proroga “ope legis” di due anni del loro mandato rettorale. Normativa che ha comportato uno straordinario incremento del potere baronale e anche una conferma della gerontocrazia, considerato che molti Rettori in carica erano anziani e al termine della loro carriera accademica. A parziale correzione di questa situazione è stata inserito nell’articolo 2 della legge un comma che così recita: “L’elettorato passivo per le cariche accademiche è riservato ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data di collocamento a riposo”. Ciò significa che, per fare gli esempi delle nostre Università, non può essere candidato come rettore dell’Università di Sassari chi compia 70 anni oltre il 30 settembre 2020 e per l’Università di Cagliari chi compia i 70 anni oltre il 30 settembre 2021.
Ma, torniamo alla questione più importante: è necessario (e per questo ci impegniamo anche noi con i nostri modesti mezzi) che il dibattito sulle Università esca dalle stanze accademiche per riguardare l’intera comunità sarda. In primis nel dibattito deve entrare la costituzione dell’unica Università della Sardegna, articolata almeno nei suoi due Atenei storici. Concludiamo ricordando la nostra impostazione: l’Università sarda abbandoni ogni impostazione autoreferenziale e non si chieda solo quanto e come la Sardegna possa aiutarla, ma cosa possa fare come Università per i sardi e per la Sardegna.

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* Legge 30 dicembre 2010, n. 240
“Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonche’ delega al Governo per incentivare la qualità e l’efficienza del sistema universitario”
(pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 10 del 14 gennaio 2011 – Suppl. Ordinario n. 11)

** Dice Sabino Cassese, insieme ad altre diverse e pesanti considerazioni sullo stato dell’Università: (…) ci sono le responsabilità… del corpo universitario che non ha saputo gestire l’autonomia, che ha creato delle cose abnormi, come, per esempio, la configurazione zaristica, ho detto zaristica, o, se volete, bossistica, del ruolo dei Rettori…uniss

Ahi serva Europa, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta…

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Ratto d'Europa Giovanni Domenico Cerrini

di Franco Meloni
Lo abbiamo segnalato più volte, lo sentiamo nell’aria e ce lo ha confermato una recente indagine demoscopica: l’Europa non tira! Nel senso che sempre meno costituisce per i cittadini europei un riferimento positivo di possibile miglioramento. La sua immagine è offuscata dall’incapacità che hanno avuto le istituzioni dell’Unione Europea di fronteggiare la crisi economica, mettendo in essere politiche recessive che l’hanno aggravata. La Grecia soprattutto, ma anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia permangono nelle difficoltà economiche e il quadro sociale in termini di benessere delle popolazioni e livello di occupazione, specie giovanile, peggiora. Le drammatiche vicende ucraine ci dicono poi quanto sia inconsistente l’Europa come soggetto politico, oggi incapace di orientare le politiche degli Stati, neppure di quelli della stessa area geografica. Segnali inquietanti di una possibile degenerazione di questa situazione sono il fatto che rialzino la testa e crescano in consenso popolare i movimenti e i partiti xenofobi, razzisti e di estrema destra, a fronte dei quali non corrisponde una sufficiente crescita di aggregazioni progressiste che sappiano proporre politiche alternative a quelle dei governi dominanti, verso i quali va principalmente rivolta la critica per questa situazione, soprattutto quindi nei confronti dei partiti moderati che prevalgono alla guida dei governi europei, ma anche dei partiti socialdemocratici che governano in alcuni paesi o che comunque praticano uguali politiche economiche anche attraverso le cd larghe intese. Per non deprimerci evidenziamo anche i segnali positivi rappresentati da vari nuovi movimenti che si propongono, seppure in misura tuttora insufficiente, e attualmente con inferiore incisività rispetto alle formazioni della destra, ma significatamente in crescita. Tra i quali vogliamo mettere in evidenza i movimenti nazionalitari che attraverso vie democratiche combattono per l’autodeterminazione di popoli con identità nazionale ma privi di Stato, come gli scozzesi, i catalani e i baschi e, al livello trasversale il movimento che si va aggregando intorno alla proposta del leader greco Alexis Tsipras, animatore della Lista L’Altra Europa con Tsipras, per la quale si sta lavorando alacremente in Italia.
Le prossime elezioni europee per l’elezione del Parlamento Europeo, che si terranno dal 22 al 25 maggio, a detta di alcuni osservatori saranno in grande misura disertate dai cittadini europei. Tuttavia si ha ragione di credere che parte di questo probabile astensionismo sarà ridotto dalla presenza delle liste indipendentiste e dalle liste con riferimento Tsipras.
Ma parliamo della situazione sarda.
Scrive Adriano Bomboi in un articolato intervento sul sito Sa Natzione, critico sulle posizioni di Sardegna Sostenibile e Sovrana e sulle “conclusioni” del convegno organizzato di recente dalla stessa associazione che hanno visto la possibile convergenza di importanti componenti dell’area indipendentista/sovranista (così come di Sel e della Federazione della Sinistra) con la Lista Tsipras “… per le elezioni europee non siamo pronti, non ci sono le condizioni e tutta la galassia politica autonomista e indipendentista rimane frammentata e scoordinata. Men che meno in questo frangente storico bisogna considerare seria la proposta di ideologizzare a sinistra un qualsivoglia progetto politico sovranista unitario, sia in un ottica regionale che europea…”. Io invece non credo che l’inserimento nella Lista L’Altra Europa con Tsipras di uno o più candidati dell’area Indipendentista/sovranista determini una “ideologizzazione” del progetto di quest’ultima, proprio per la caratteristica aperta della Lista. Anzi l’inserimento ben visibile dei candidati sardi dell’area ne proverebbe l’apertura, allargandola. Proprio perchè altre soluzioni non sono pronte, questa della Lista Tsipras va praticata. L’alternativa è una sana e onesta astensione, organizzata come esplicita posizione politica (anche come critica alla quasi impossibile costituzione della circoscrizione elettorale autonoma sarda, per colpa soprattutto di Pd, Pdl-FI). Per quanto mi riguarda all’astensione preferirei un voto alla Lista Tsipras, sperando nell’auspicato accordo.
Certo va ribadito quanto scritto pochi giorni fa su questo sito da Vanni Tola, a nome della redazione di Aladin, e cioè che avremo voluto Michela Murgia a capo di questa aggregazione sarda all’interno della Lista Tsipras, ma questa opportunità sembra ormai tramontata e non possiamo che prenderne atto, seppure con rammarico. Giova però al di là della persona o delle persone che dovranno rappresentarci riportare le motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a impegnarci e a sollecitare un impegno dei sardi per la Lista Tsipras.
Ripetiamo
La Sardegna non può immaginare alcun tipo di futuro, alcuna prospettiva politica e di sviluppo, prescindendo dalle scelte del Consiglio Europeo che tanta parte hanno negli indirizzi di politica economica e nelle scelte legislative dei paesi aderenti all’Unione. Ne può essere indifferente per i Sardi il fatto che in Europa si affermi questa o quella visione del tipo di Unione da realizzare. Non è indifferente per noi che, con le prossime elezioni europee, si riconfermino le scelte neoliberiste del blocco politico-economico rappresentato dalla Cancelliera Anghela Merkel o che prevalgano altre strategie che favoriscano una visione differente dell’Unione e sappiano tenere conto delle problematiche specifiche dell’area mediterranea. A meno che non ci si vada a collocare in quell’area politica che fonda le proprie scelte sul rifiuto radicale della logica stessa di Unione europea in nome dello statalismo e del nazionalismo ben rappresentata dalla destra europea e, nel nostro paese, dalla Lega, da Forza Italia e dal “grillismo”. Una partecipazione attiva e unitaria dell’area indipendentista e di tutti i sardi al dibattito su quale Europa realizzare, sulle scelte di indirizzo economico e politico del vecchio continente, sulla necessità di completare il processo di unificazione europea superando i limiti dalla sola unione monetaria e bancaria, è necessaria, direi prioritaria in questo particolare momento politico. Sono anche fatti nostri. In questo senso andrebbe analizzata con grande attenzione la possibilità di aderire alla lista Tsipras che nasce come proposta della sinistra europea ma si presenta con un programma di grande apertura a tutte le forze progressiste d’Europa e con dei contenuti sui quali è facilmente raggiungibile un ragionevole consenso, a prescindere dalla differente formazione e posizione politica di ciascuno.
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Marina Spinetti2A proposito della situazione in Ucraina. Un commento di Marina Spinetti, tratto dalla sua pagina fb

Mentre Schulz dice che “bisogna dialogare con i neonazisti di Svoboda”, io ho molta paura di questa guerra e di questa Europa. Europa delle banche e dei mercati, che prepara guerre, si nutre di ingiustizie e vuole dialogare con chi non crede nei valori di democrazia e solidarietà. Non era nata per questo.
Perché è chiaro che quanto succede in Ucraina non sono manifestazioni di protesta, di lotta politica. E’ guerra. Ed è la terribile e purtroppo logica conclusione della degenerazione irreversibile del progetto democratico europeo, di quell’Europa che ha incoraggiato, preparato e forse finanche finanziato tutto questo.
America e Europa sono in crisi, e la guerra è sempre stato il modo migliore per occultare le crisi.

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DECLARATION FINALE DELL’ASSEMBLEA DEL 2 MARZO
SCRITTO DA ACT (Agire, Costruire, Trasformare) Lista L’Altra Europa con Tsipras

Agire, Costruire, Trasformare. Prende avvio con l’assemblea nazionale del 2 marzo il difficile e entusiasmante cammino politico di un’intera generazione: studenti, inoccupati, stagisti e tirocinanti, lavoratori precari ma anche reti locali, circoli di partito, attivisti di associazioni sociali. Convintamente a sostegno della lista unitaria “l’Altra Europa per Tsipras” abbiamo l’obbiettivo di dare corpo al mandato programmatico europeo con il quale ci confronteremo il 25 e 26 maggio, che tenga conto delle istanze sociali e politiche di cambiamento di una intera generazione.

La sfida della candidatura Tsipras è un atto di rinnovamento radicale e realmente alternativo, che innanzitutto rifiuta le ambiguità e le timidezze di gran parte della socialdemocrazia nell’affrontare temi centrali quali i diritti e la protezione sociale, e le cui politiche sono risultate fallimentari, finendo con il favorire la concentrazione della ricchezza nelle mani di un’esigua oligarchia industriale e finanziaria.

Sul piano economico abbiamo assistito all’imporsi di decisioni che riguardano milioni di cittadini europei, decisioni prese da organismi non rappresentativi (Bce, Fmi e Commissione europea) forti dell’appoggio di singole cancellerie (soprattutto quella tedesca) che hanno ridotto le questioni puramente contabili a questioni morali, ignorando, per pura convenienza economica, il nefasto impatto sociale che tali misure hanno prodotto in questi ultimi anni.

Allo stesso tempo, nei singoli paesi si sono formati governi di “grande coalizione” che aggirano, per non dire ignorano del tutto, il verdetto delle urne, e al tempo stesso parlamenti silenti accettano quasi nell’indifferenza generale manomissioni nelle proprie carte costituzionali. Un’ulteriore evidenza della fragilità dei diritti democratici si esprime nella diffusione di strategie repressive nella gestione dei conflitti che animano le piazze di tutta l’Europa. Infatti, i governi, ma anche i partiti stessi, hanno finora affrontato tali rivendicazioni escludendo qualsiasi forma di dialogo con i movimenti, le associazioni, riducendo la gestione della protesta a un problema di ordine pubblico, senza mai mettere in discussione il proprio operato. Ed è proprio con la necessità di riaprire il perimetro della sinistra al contributo di nuovi soggetti del conflitto che si misura la sfida di Tsipras.

Crediamo che l’Europa sia l’unico luogo dove si possa preservare un modello sociale, dove si possano proteggere i cittadini dalle pressioni della globalizzazione, dove si possano compiere quegli investimenti volti al progresso, al miglioramento delle condizioni di vita, all’energia verde, alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma questa Europa non può raggiungere nessuno di questi obiettivi senza un’inversione di rotta nel processo d’integrazione e in particolare nella strategia complessiva della politica economica europea. Dobbiamo dunque da una parte riaprire una discussione complessiva sull’architettura istituzionale europea, che metta al centro di una nuova unione, istituzioni rappresentative come il parlamento e i rappresentanti di regioni e parti sociali, riduca il peso dei governi nazionali, sperimenti pratiche di partecipazione democratica sempre più avanzate. Dall’altra è fondamentale lo fine delle politiche di austerità. Serve una riforma dei trattati per arrivare a modificare le regole esistenti della governance economica. C’è bisogno di un bilancio europeo (basato su delle risorse proprie e adeguate, derivanti da una patrimoniale europea, da una tassa sulle transazioni finanziarie e da imposte ambientali) per un nuovo modello di sviluppo basato sulla giustizia sociale e ambientale. Occorre modificare gli obiettivi fiscali del fiscal compact e del six-pack, per ridare margini di manovra agli stati membri soprattutto per favorire investimenti produttivi. Per accelerare la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio si deve incentrare un green new-deal europeo su un grande piano di investimenti su scala europea da finanziare attraverso obbligazioni emesse dalla Banca Europea per gli Investimenti o da un Fondo europeo creato appositamente per questo fine Occorre inoltre un piano straordinario per l’occupazione giovanile che migliori la transizione dalla formazione al lavoro e che incentivi l’occupazione non precaria

Il tema dell’occupazione, del welfare e della lotta alla precarietà è per noi assolutamente fondamentale, sia per il legame che ha con la nostra esperienza di vita quotidiana sia per la centralità che ha nel presente e nel futuro dello sviluppo in Europa. Per questo riteniamo prioritari la fine delle politiche di austerità e il rilancio di politiche di investimento pubblico nell’economia per la creazione di nuova e buona occupazione. Oggi le politiche europee sull’occupazione giovanile sono emergenziali, sottofinanziate, prive dei criteri e dei vincoli necessari a renderle efficaci. Serve un lungo processo di rilancio, ristrutturazione e armonizzazione delle politiche attive del lavoro, dai centri per l’impiego agli ammortizzatori sociali. Se l’obiettivo è quello di colmare il divario dei diritti da una parte tra lavoratori tradizionali e atipici, dall’altra tra lavoratori di altri paesi, la lotta al dumping sociale deve diventare una priorità, attraverso la costruzione uno spazio contrattuale europeo, di uno spazio europeo del welfare, di uno spazio europeo di diritti universali. La lotta alla povertà, all’esclusione sociale, al ricatto della precarietà deve partire da politiche di redistribuzione della ricchezza, ad esempio utilizzando parte dei dividendi delle rendite finanziarie per finanziarie un reddito di base universale.

Rivendichiamo inoltre la centralità dei saperi come motore della trasformazione sociale. La contraddizione che ha attraversato le politiche educative europee negli ultimi decenni, dal processo di Bologna alla strategia di Lisbona, tra internazionalizzazione, convergenza e promesse di economia della conoscenza da una parte, e precarizzazione, privatizzazione e parcellizzazione dei saperi dall’altra, si sta risolvendo nettamente sul secondo di questi poli. È in corso un attacco predatorio ai processi formativi, con l’obiettivo di smantellare i sistemi educativi pubblici per aprire spazi di profitto al credito e ai privati. Questo attacco va fermato attraverso il rilancio degli investimenti pubblici su scuola, università e ricerca. Dobbiamo inoltre rivendicare una cittadinanza europea dei saperi, che preveda l’accesso universale e gratuito alla conoscenza in tutto il continente e livelli standard di diritto allo studio e welfare studentesco in tutti i paesi. Serve una Maastricht dell’educazione che stabilisca criteri e vincoli validi per tutti, per livellare verso l’alto i diritti e l’accesso ai saperi, compresi quelli dei dottorandi e degli stagisti. Serve inoltre aprire un’ampia discussione sul finanziamento della ricerca, che metta in luce i rischi di controllo totalitario, disciplinamento e snaturamento del lavoro di ricerca connessi alla concentrazione sulla Commissione europea dell’intera struttura dei fondi. Va inoltre riaperta la discussione sui TTIP, i testi di libero scambio che rilanciano meccanismi privatistici sul piano della proprietà intellettuale e dei brevetti. È a partire da questi contenuti che intendiamo costruire il nostro contributo alla lista per l’Altra Europa, in un processo che intendiamo lasciare aperto a idee e discussioni nei prossimi messi. È a partire da questi temi che si concretizza il nostro impegno. Partiamo da qui, andiamo avanti, iniziamo ad agire, costruire, trasformare.

…attenzione sta passando il 64!

Passa il sessantaquattro!Beatles copertina When I'm sixty four
Dirinnova-2007
http://www.youtube.com/watch?v=eCss0kZXeyE