Tag Archives: Franco Meloni
SEGNALAZIONI. Iniziative del Circolo Gramsci nell’ambito di Monumenti aperti 2015
Nell’ambito di “Monumenti Aperti” Cagliari 2015 domenica 10 maggio dalle ore 17 alle ore 19, di seguito il programma.
Alla scoperta di Is Mirrionis.
Luoghi, storia e storie del quartiere, nei racconti di Sergio Atzeni e nei ricordi dei protagonisti.
Una passeggiata di circa un’ora alla scoperta di Is Mirrionis, quartiere di edilizia popolare sorto dopo la seconda guerra mondiale per ospitare il ritorno degli sfollati e di quanti avevano perso la casa nei bombardamenti (inizialmente sistemati in grotte e nelle casermette militari). Con l’espansione di Cagliari, Is Mirrionis si è trovato pienamente inserito nel perimetro urbano, ma fino al secondo dopoguerra, prima della costruzione delle case INA, era una zona di aperta campagna, in cui si stagliavano le caserme militari, poi sede dell’Ospedale SS Trinità. - segue -
Università della Sardegna. Il dibattito è aperto. I pro e i contro. Le decisioni urgono
Il confronto
Una eventuale fusione degli atenei di Sassari e Cagliari andrebbe evidentemente a tutto svantaggio di quello turritano Se ne occupi la politica
di Antonietta Mazzette
Da alcune settimane si è ricominciato a dibattere sulla cosiddetta Università della Sardegna, discettando su dove collocare il Consiglio di amministrazione: Oristano, Nuoro, chissà! Non è ben chiaro se il cuore della proposta sia quello di una fusione dei due atenei sardi o se, più limitatamente, sia quello di una federazione governata da un unico organo collegiale. Comunque, un unico consiglio di amministrazione significa che, giacché l’università di Sassari è più piccola di quella di Cagliari, si ritroverebbe ad essere, per così dire, “un azionista di minoranza”, con meno peso economico e meno rappresentanza politico-culturale. Considerato che le previsioni sul futuro delle università non inducono ad essere ottimisti, scarsi finanziamenti e costante riduzione dei docenti si potrebbero tradurre in scelte quali, ad esempio, accorpamento dei corsi nel caso in cui ci siano duplicati. Ossia quasi tutti, esclusi quelli di Agraria e Veterinaria e forse Medicina. Le raccomandazioni di andare verso federazioni o fusioni erano contenute nella Legge Gelmini, ma non è un caso che il sistema universitario italiano le abbia largamente ignorate. Non mi risulta che in Lombardia, Toscana, Emilia Romagna etc. qualcuno si sia appassionato a questo tema, per cui il nostro è un dibattito tutto locale. Ma non sottovaluto le argomentazioni che stanno alla base degli interventi di alcuni studiosi cagliaritani ed entro nel merito. I due atenei sardi si collocano stabilmente nelle graduatorie in una condizione mediana; quello di Sassari si ritrova spesso ai vertici delle graduatorie delle università medie. Con tutta la diffidenza che si deve avere verso dette graduatorie, ciò dimostra che il sistema universitario sardo è sano e forma laureati di media e buona qualità, con alcune eccellenze. Si pensi ai diversi casi di successo di cui scrive Giacomo Mameli. Naturalmente, i problemi delle due università sono destinati a crescere, tanto per il costante assottigliamento dei fondi e l’assenza di turn over, quanto per la debolezza strutturale del sistema economico sardo. Debolezza che incide negativamente su alcuni indicatori e dunque sulla dotazione dei finanziamenti ministeriali, quali tasse non elevate, scarsa occupazione dei laureati, poca attrattività di studenti provenienti dal di là del mare. Se questa sommaria descrizione dello stato delle cose ha un fondamento, la proposta di Università della Sardegna esige almeno due domande: quali vantaggi e quali costi comporta? Tra i primi certamente vanno asseverati risparmio (compreso quello riguardante il capitale umano), efficienza e maggiore razionalizzazione dell’offerta formativa. Per ciò che riguarda i costi, invece, è necessario chiedersi se questa “nuova” università avrà o no un incremento di iscritti, se potrà essere di maggiore qualità, di quale natura saranno gli effetti sul territorio, a partire da Sassari, giacché, probabilmente l’ateneo di Sassari subirebbe i maggiori sacrifici. Ho molti dubbi che ci sarebbero incrementi di iscritti. Com’è noto, i giovani del Nord Sardegna se scelgono di non studiare a Sassari non vanno a Cagliari, bensì fuori dall’Isola (Pisa, Perugia, Pavia, Torino). Mentre i giovani che rischiano di non poter studiare a Sassari andrebbero a infoltire le fila di coloro che non studiano e non lavorano. Sulla qualità non saprei se un’unica struttura universitaria possa essere un migliore laboratorio di idee oppure no. Mentre gli effetti sulla città di Sassari sarebbero devastanti. La sua storica università, dopo l’Azienda sanitaria, è la più grande azienda del Nord Sardegna e una sua riduzione costituirebbe un evidente danno economico per il territorio. A tutto ciò aggiungo che la proposta di Università della Sardegna è un elemento di un puzzle più grande che va in una sola direzione: concentrare peso politico, risorse materiali e culturali verso l’area metropolitana di Cagliari. Si pensi alle politiche più recenti riguardanti gli assetti istituzionali, la mobilità, i porti. Ciò che però stupisce è il fatto che le classi dirigenti della vasta area territoriale del Nord-Sardegna sia silente, come se ciò di cui si sta discutendo fuori dai loro confini siano di scarso interesse.
——————————————-
Universidade de Sardigna Università della Sardegna University of Sardinia
di Franco Meloni
Il treno veloce Cagliari-Sassari e viceversa (auspicabilmente esteso ad altre tratte, Olbia in primis) trainerà anche la realizzazione dell’Università della Sardegna. Unica Università o federazione tra i due Atenei storici? Questo è da decidere. Allo stato risulta si propenda per la loro federazione, “al fine di salvaguardarne maggiormente la storia e la tradizione”, ma pur sempre sotto l’egida comune di Università della Sardegna. Però la federazione deve essere vera, come avverte il competente Ministero, che nel documento di programmazione 2013-2015 del sistema universitario italiano delinea le caratteristiche dei “modelli federativi di università su base regionale o macroregionale… ferme restando l’autonomia scientifica e gestionale dei federati nel quadro delle risorse attribuite”. Precisamente devono prevedersi: “a) unico Consiglio di amministrazione con unico Presidente; b) unificazione e condivisione di servizi amministrativi, informatici, bibliotecari e tecnici di supporto alla didattica e alla ricerca”. Siamo allora ben lontani dal debole patto federativo firmato dai due Atenei alcuni anni fa. Nella pratica non si va ancora in tale direzione; assistiamo invece a un atteggiamento prudente e defatigatorio. E non ne sono prove contrarie l’intensificarsi tra gli Atenei degli accordi di programmazione formativa e di collaborazione per la ricerca scientifica (peraltro sempre esistiti). Tutte cose positive, ma, al contrario, perdura l’incapacità di gestione unitaria di importanti attività, come, ad esempio, i progetti di formazione professionale di grandi dimensioni (lo fu Itaca per il paesaggio), o il consorzio per l’Università telematica della Sardegna o i Centri di competenza tecnologica: iniziative fortemente incentivate dall’Unione Europea, dallo Stato e dalla Regione, sempre più ridotte a operazioni di piccolo cabotaggio. Così non si potrà continuare perché l’unificazione (o la vera federazione) è ormai un fatto ineludibile, che la spending review governativa impone, anche attraverso progressive penalizzazioni nel trasferimento di risorse statali se non si procederà nella direzione indicata, ma come peraltro imporrebbero criteri di razionalità nella gestione complessiva delle risorse – e non solo – nell’interesse della Sardegna. Almeno così pensiamo in molti, in prevalenza fuori dall’accademia, nella quale invece prevalgono la conservazione di antichi privilegi e posizioni di potere, quando anche giustificati da nobili motivazioni. Lo riconosciamo: il discorso è complesso e il percorso per arrivare all’obbiettivo dell’unica Università della Sardegna, in una delle possibili forme, non è facile, ma, appunto per questo, occorre agire da subito vincendo la paralizzante prudenza. Qualche segnale della volontà in tal senso arriva dall’esordiente Rettore dell’Università di Sassari, Massimo Carpinelli, che in occasione dell’inaugurazione dell’anno accademico ha parlato di “un progetto capace di promuovere l’Università della Sardegna, che preservi le specificità dei due Atenei, la loro storia e la loro tradizione”, per questo appellandosi particolarmente alla Regione Sardegna “che deve dialogare con gli Atenei e i centri di ricerca [per] costruire un’unica struttura che possa far crescere la formazione, la scienza e la cultura nella nostra Regione”. E’ già qualcosa, ma occorre andare rapidamente oltre le parole e passare ai fatti, prima che qualcun altro, anche in questa circostanza, decida per la Sardegna. La Regione, chiamata giustamente in causa, deve intervenire per favorire questo processo di unificazione/federazione, smettendo di fare solo la parte di bancomat che trasferisce risorse alle Università sarde. E poi, occorre che il dibattito si allarghi, cogliendo anche l’occasione dell’ormai imminente elezione del Rettore dell’Università di Cagliari, perché, come ripetiamo spesso: l’Università è troppo importante per essere lasciata nelle mani dei soli professori, come la guerra in quelle dei generali.
——————————————-
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
—————
Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
——————————————
* Il dibattito su L’Università della Sardegna è ripreso anche da altri siti: FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
——————
- Università della California
——————————————-
- Nell’illustrazione: particolare del dipinto di Filippo Figari “Sardegna universitaria”, aula magna Rettorato Università di Cagliari.
——————————
Logo del Progetto formativo Itaca, ideato e gestito dalle due Università riunite in ATS (Associazione di Scopo), anni 2005-2008
—-
- INFORMAZIONI sul Progetto Itaca nella fase di attuazione (a cura di Uniss)
California dreamin’
Un futuro possibile per la città di Nuoro è diventare la sede dell’Università della Sardegna
di Salvatore Cubeddu
Un giorno dopo l’altro, le notizie si sovrappongono, una più allarmata dell’altra. 4 febbraio: Antonietta Mazzette, sociologa, da Sassari giustamente si preoccupa che … “l’Ateneo di Sassari si sta avvicinando pericolosamente alla soglia dei 10mila iscritti, soglia che comporterebbe il passaggio da media a piccola università. Questo significherebbe automaticamente contrazione dei finanziamenti, dei corsi di laurea e dell’alta formazione”. Noi sappiamo dall’articolo di Franco Meloni di qualche giorno fa che l’ateneo di Sassari è obbligato da disposizioni governative a federarsi/fondersi con l’università di Cagliari.
Due giorni dopo: il 6 febbraio. Sul futuro della zona industriale e della città di Nuoro si autoconvocano i 7 consiglieri regionali della provincia e insistono con l’assessore all’industria Piras che … “Il Nuorese, come il Sulcis, deve essere inserito nel programma nazionale di rilancio delle aree di crisi». Commento del giornalista (La Nuova Sardegna): “È questa la formula magica che, secondo i sette consiglieri regionali del Nuorese, darebbe una nuova opportunità di riscatto alla Sardegna centrale, in ginocchio dopo la fine del sogno industriale)”. Stesso giorno, diverso il giornale (L’Unione Sarda), riporta che “il Sulcis è tra le province sarde quella che ha speso meno risorse dai fondi Por Fesr (cofinanziamento regionale e comunitario) e dal Piano di azione e coesione. Una torta che vale 93 milioni di euro, per 152 progetti presentati da enti locali, istituti scolastici, Regione, imprese. Nella provincia più povera d’Italia però il 63 per cento dei fondi assegnati non è stato ancora speso, il dato peggiore tra le diverse aree della Sardegna. Quasi 35 milioni sono stati già utilizzati, ma ben 58 milioni devono ancora essere spesi …”.
In questo stato di cose resta da dire che le dirigenze delle due università sarde – oltre ad aver traslocato parte dei loro massimi esponenti a governare la Regione sarda – trascurano i dettati della legge di risparmio per le università italiane e vorrebbero dalle casse della Regione (o, tramite essa, dall’UE, che se ne è lamentata) quello che invece devono avere dallo Stato. Intanto fanno finta di non sapere che avrebbero già dovuto fondersi tra loro, Sassari e Cagliari.
Le tre informazioni possono, allora, meglio sintetizzarsi nei termini seguenti: anche le università sarde, come i comuni e le province, vivono una stagione di riforma istituzionale; nel piatto della crisi istituzionale, quindi, insieme ai paesi e ai capoluoghi di provincia, bisogna inserire anche le università delle quattro sedi (Cagliari e Sassari sono decentrate anche ad Oristano e Nuoro); tutte queste istituzioni bussano per i soldi alla Regione, prescindendo (nel caso dell’università) dalle sue competenze. Ma non sempre i soldi sono la soluzione, come nella ex-provincia più povera d’Italia (Sulcis) e, presumibilmente, in quella che viene subito dopo (Nuoro).
Dunque, nel mazzo delle riforme istituzionali bisogna mettere: i comuni, le province e le università. Nel complesso delle loro dimensioni: servizi ai cittadini, occupazione, disponibilità finanziaria. Mancherebbe la Regione, il cui Consiglio è chiamato a decidere. Come? La logica della cieca subordinazione alle indicazioni romane e l’unicità del parametro economico stanno portando inesorabilmente le istituzioni della Sardegna verso un loro generale declassamento. A vantaggio di chi? Neanche dei cagliaritani, nonostante le apparenze, in quanto che, nella loro generalità, questi cittadini non sono consapevoli di quel che sta succedendo; e poi: non saprebbero né potrebbero reggere le proteste e l’aggressività di una Sardegna umiliata da decisioni distruttive degli storici ruoli e compiti degli altri comuni e città.
Prendiamo ora il caso di Nuoro. Sta per perdere la provincia, la camera di commercio ed altri uffici ad essi connessi. Il sogno dell’industria non potrà mai realizzarsi se non tramite imprenditori locali, ma non se ne vedono tanti all’orizzonte. Il suo futuro sembra segnato da quanto già vivono Iglesias e Ozieri, con l’ospedale e il vescovo (fino a quando, in quelle due cittadine?) quali uniche istituzioni di rilievo territoriale.
Nuoro deve il suo ruolo di città al fatto di essere capoluogo di provincia. La provincia di Nuoro fu preferita alla più legittimata, storicamente ed economicamente, sede di Oristano, per permettere al Governo il controllo dell’ordine pubblico in Barbagia. Una preoccupazione che, evidentemente, è venuta meno.
Ma con essa il destino della città è sospesa nel limbo della disponibilità altrui. Difatti, nessuno ne risolverà i problemi se la sua dirigenza non individuerà le soluzioni e si batterà per costruirle.
I Nuoresi si lamentano, si vittimizzano, invocano presso di sé la presenza della Giunta regionale. Fanno in piccolo, verso Cagliari, quello che tutti i sardi spesso fanno nei confronti di Roma. Ma non propongono una vera e convincente idea sul futuro della propria città. Magari un futuro da costruire nei decenni, da confrontare con le altre città della Sardegna che, anch’esse, si domandano cosa sarà di loro dopo la chiusura della provincia. Nuoro, come Sassari, come Oristano o Olbia, non hanno niente da pietire alla Regione. Sono esse stesse componenti chiamate a decidere il futuro delle istituzioni della Sardegna. Ogni comune, iniziando dal più piccolo, non deve sentirsi portato a elemosinare la propria esistenza sulla base dei semplici rapporti di forza. Tutte attendono scelte di cambiamento, persino dolorose, ma che almeno abbiano un senso, siano equamente con – divise, vengano inserite in un’idea generale della Sardegna dei prossimi decenni.
Nuoro dovrebbe organizzarsi per divenire da subito (nella decisione) la sede della Università della Sardegna, chiedendo per sé la costruzione delle nuove case dello studente in progetto a Sassari e Cagliari, iniziando con il potenziamento delle facoltà esistenti e con lo spostamento di nuove facilmente trasferibili. Tutta la nuova urbanistica cittadina dovrebbe relazionarsi alla prevedibile e futura presenza di 20/30 mila studenti universitari (con il corpo docente ed i relativi servizi) distribuiti nei campus che dalla città si distenderanno nel verde dei boschi. Più agili e veloci collegamenti sarebbero inevitabilmente indispensabili con gli aeroporti di Olbia ed Oristano. Evidentemente l’autorità cittadina accompagnerebbe la dirigenza accademica nelle scelte connesse al nuovo ruolo che la Sardegna assegna alla sua città più interna. Nel mondo è continua, e da secoli, sia l’individuazione che la costruzione di campus e di città universitarie. Le positive ricadute culturali ed economiche sono facilmente individuabili. Insieme alla permanenza della grande provincia del Nord–Sardegna, e alla ri-costruzione di Olbia, l’operazione rappresenterebbe per decenni un volano di investimenti pubblici di qualità. Parte di quel new deal attraverso il quale lanciare nel futuro la Sardegna che vogliamo e che suppone una nuova attribuzione di funzioni ai nostri paesi e alle nostre città.
Altrimenti: che cosa vuole essere, Nuoro? E, se non ora, quando?
—————
Salvatore Cubeddu. Cagliari, 15 febbraio 2015 (2. continua: il primo articolo è uscito il 18 gennaio).
——————————————
* L’articolo di Salvatore Cubeddu viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
——————
- Università della California
————-
- La California
- California dreamin, The Mamas And The Papas, 1966
- Sognando la California, I dik dik, 1966
Una nuova politica per gli spazi culturali
A Cagliari nasce lo “Studentato Occupato Sa Domu”! Ed ora cambierà la politica della giunta Zedda sugli spazi culturali?
di Vito Biolchini*
Ricordo bene che già qualche mese fa un gruppo di giovani aveva occupato la sede staccata della scuola Manno di via La Marmora a Cagliari (nel quartiere Castello), abbandonata da anni, con l’intento di far nascere un centro culturale autogestito. Il tentativo durò però solo poche ore, stroncato subito dalla questura e dal comune. Stasera invece è andata meglio a circa 350 tra studenti medi e universitari, riunitisi sotto la sigla “Studentato Occupato Sa Domu”. Come hanno raccontato loro stessi in una nota stampa.
Da subito sono intervenute le forze dell’ordine che hanno minacciato denunce e uno sgombero imminente, ma successivamente anche il preside della scuola e il sindaco di Cagliari Massimo Zedda sono arrivati allo studentato occupato. Abbiamo avuto un incontro con entrambi ai quali abbiamo spiegato i motivi che ci hanno spinto a quest’azione e i problemi che vivono tutti i giorni gli studenti e gli universitari di Cagliari e zone limitrofe.
Evidentemente la campagna elettorale già in corso per le comunali del 2016 suggerisce all’amministrazione cagliaritana di centrosinistra di abbandonare l’atteggiamento di chiusura totale nei confronti di operazioni come questa. Per cui per fortuna niente sgombero e anzi massima disponibilità:
Al termine di questi incontri abbiamo ottenuto, molto probabilmente per lunedì, un incontro tra gli studenti occupanti e le istituzioni: il presidente dell’Ersu, Luca Funedda, l’assessore regionale alla pubblica Istruzione Claudia Firino, e il sindaco di Cagliari.
I giovani dello “Studentato Occupato Sa Domu” contestano i tagli all’istruzione, la mancanza di alloggi per universitari (“solo 725 posti letto nelle case dello studente a fronte dei 15.000 studenti fuori sede presenti”). Non solo: nelle loro intenzioni la scuola di via La Marmora (“uno dei tanti posti abbandonati o lasciati all’incuria presenti in città, uno stabile abbandonato al degrado da più di tre anni”) la scuola potrebbe diventare un polo culturale:
perché sentiamo il bisogno di uno spazio indipendente di ricerca e formazione, che possa essere un laboratorio politico, culturale e sociale, aperto agli studenti e a tutta la cittadinanza e slegato dalle logiche di profitto che stanno trasformando le università e le scuole in aziende, invece che un luogo di formazione e condivisione di saperi.
Riusciranno i nostri eroi nell’intento? Ce lo auguriamo caldamente. E ci auguriamo soprattutto che approfittando di questa occupazione, l’amministrazione Zedda compia una virata di 180 gradi e finalmente inizi a concedere a gruppi ed associazioni culturali i tanti spazi pubblici abbandonati da tempo in città. Era una promessa fatta in campagna elettorale che però è stata clamorosamente disattesa.
Finora la politica degli spazi culturali perseguita dal centrosinistra a Cagliari è stata a dir poco disastrosa, con bandi fatti male e ancora campati per aria, progetti morti sul nascere (come quello della “Casa delle associazioni”), e scelte sballate e mai messe laicamente in discussione. Tuttavia per cambiare rotta non è mai tardi, e non è un caso che il Pd cittadino nelle ultime settimane stia dichiarando ai quattro venti che la politica culturale della giunta Zedda ha bisogno di una “verifica”.
“Nei prossimi giorni all’interno dello spazio organizzeremo iniziative e momenti di confronto aperti a tutto il quartiere”, promettono i giovani dello Studentato Occupato Sa Domu.
A Cagliari c’è bisogno di cultura autogestita e autorganizzata. Speriamo che sia la volta buona.
———————————————-
* Vito Biolchini su vitobiolchini.it
———————————————-
Civic crowdfunding per i centri di aggregazione socio-culturali
di Franco Meloni
Civic crowdfunding. Cos’è? Superiamo per un momento il fastidio di questi termini anglofoni che ci invadono tutti i giorni e parliamo nel merito di un innovativo strumento finanziario e non solo: si tratta di un metodo per raccogliere soldi dai cittadini interessati a sostenere una certa proposta di rilievo civile e sociale (facciamo più avanti qualche esempio). Lo si fa attraverso una piattaforma tecnologica che semplifica la possibilità di fare i versamenti e di controllare tutti gli aspetti dell’operazione. Intendiamo che il contribuente o qualsiasi cittadino interessato deve poter accedere facilmente a un sito web dove sono presenti tutte le informazioni sul progetto proposto, sul come sta procedendo la raccolta dei fondi e come poi si spendono effettivamente i denari in attuazione di quanto prestabilito. Semplice? Non proprio, ma tutto attuabile stante le molte esperienze di successo in Italia e nel mondo. Ovviamente occorre disporre di un’efficiente organizzazione, di buona reputazione (di cui il cittadino si possa fidare) che gestisca tutte le fasi dell’attività: dall’ideazione del progetto alla sua definizione in dettaglio; dalla campagna di comunicazione alla raccolta dei fondi; dal loro effettivo utilizzo alla puntuale rendicontazione; e così via. Tutte operazioni che richiedono competenze professionali e costi di gestione. Le molte attività di crowfunding, che si esplicano in diverse tipologie (1), prevedono l’intervento di almeno due soggetti attuatori: il gestore della piattaforma tecnologica e di tutto quanto connesso e un istituto di credito che si occupi della parte di gestione finanziaria. Ecco, trattandosi nel nostro caso di “civic crowdfunding”, cioè di iniziative no-profit, senza scopi di lucro, è sostenibile che questi costi vengano sostenuti dalla Pubblica amministrazione. Per esempio per quanto riguarda la nostra regione, dalla Finanziaria regionale Sfirs, che già possiede le competenze professionali per svolgere adeguatamente tali funzioni, eventualmente dotandosi di quanto ulteriormente dovesse servire. Non dimentichiamo che il crowdfunding è sostenuto dall’Unione Europea e pertanto sarebbe possibile che i costi di cui parliamo siano a carico dei fondi di cui la Regione Sarda dispone nell’ambito della programmazione europea 2014-2020. E’ evidente che ci sono molti aspetti da chiarire per essere operativi, ma è senz’altro una strada innovativa (per la nostra realtà) da percorrere senza indugio. Almeno così proponiamo. Applicazioni pratiche, anche con carattere di sperimentalità, potrebbero essere quelle di recuperare all’uso sociale strutture abbandonate nella disponibilità dei Comuni o di altre Amministrazioni pubbliche. Avrete forse capito che sto parlando di un caso pratico che ci sta a cuore: del ricupero dell’attuale rudere già sede della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis per realizzare un bel centro di aggregazione socio-culturale. In una certa parte (per esempio il 20 per cento) il costo del recupero potrebbe essere affrontato reperendo i fondi necessari appunto con un’operazione di civic crowdfunding, aggiungendosi a quelli della “mano pubblica” (Europa, Regione, Comune, Area ex Iacp, etc).
Alcuni giorni fa ho partecipato all’incontro intitolato “Life in Italy is ok – Diritto alla salute in Italia“, organizzato dal Gruppo Emergency di Cagliari e Serrenti, con la partecipazione di Cecilia Strada. Nel dibattito che è seguito alle relazioni di Cecilia e degli esponenti locali di Emergency è, tra gli altri, intervenuto Gianni Argiolas, responsabile di un’associazione di volontariato in campo sanitario. Lui ha lamentato che gli organismi di volontariato non abbiamo tutto il sostegno che meriterebbero da parte delle amministrazioni pubbliche, in particolare ha rammentato la difficoltà di reperire sedi a canoni sostenibili. Ha anche proposto di recuperare il dismesso carcere di Buoncammino per destinarlo “in toto” alle organizzazioni di volontariato. E’ una proposta senza dubbio legittima, non so quanto vincente rispetto a tante altre che si sono proposte nel dibattito recentemente avviato. Vedremo. Certo è che le esigenze delle associazioni del terzo settore – tra queste citiamo, a mo’ d’esempio, quelle che intervengono rispetto a situazioni di disabilità o di disagio sociale o quelle che organizzano ulteriori attività culturali nel territorio – devono trovare risposte convincenti da parte delle pubbliche amministrazioni. Ma, aggiungiamo noi, non solo… Di questi problemi devono farsi carico tutti i cittadini, anche mettendo mano al portafoglio, ovviamente ciascuno in base alle proprie capacità economiche e finanziarie e alla propria sensibilità sociale. Ecco dunque la proposta di civic crowdfunding, come uno dei possibili strumenti da utilizzare. Gli esperti sostengono che le disponibilità di denari da parte di molte persone, singole o organizzate, siano notevoli e di gran lunga superiori a quanto la crisi in atto potrebbe far pensare. Anche se non fossimo del tutto convinti (è legittimo che facciamo i san Tommaso: provare per credere) è bene tentare di stanare queste risorse, se esistono e, se si, cercare di utilizzarle per investimenti in solidarietà e, in senso lato, per migliorare la qualità della convivenza sociale. Attendiamo qualche risposta da chi di dovere; per parte nostra proseguiamo nel nostro impegno con convinzione, fiducia e con una buona dose di creatività.
———————–
(1) Sul crowdfunding Aladinews è da tempo impegnata. Di recente ha contribuito a realizzare un’iniziativa di studio e divulgazione in collaborazione con la Camera di commercio di Cagliari; ecco la pagina fb dell’evento.
———————–
Incredulità di San Tommaso, Caravaggio
——————————————————-
——————————————————-
in giro con la lampada di aladin…
- All’attacco dei fuoricorso. Sono il 43,6% degli iscritti. Melis: «Un trend in costante calo» – Le misure messe in campo per ridurre il numero degli irregolari negli studi. Su L’Unione Sarda, 02 ottobre 2014.
- Un altro punto di vista: ma i fuori corso, almeno in certa misura, sono una risorsa! Franco Meloni sul blog Valorest
L’ Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali si dota di uno spazio web per comunicare le sue iniziative e mettere a disposizione informazioni utili e pertinenti
La Fondazione Sardinia ha attivato all’interno del suo sito web uno spazio dedicato all’Osservatorio sulle riforme isituzionali . Il sito è così organizzato:
O.S.R.I.
- Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
- Testi legislativi
- Convegni e Seminari
- Documentazione
- Comunicazioni
- Rassegna Stampa
– segue documentazione OSRI -
Innovazione e Sinnova. Molti applausi, qualche fischio. La critica più grande: oggi l’Università e le Camere di Commercio della Sardegna cenerentole. Domani?
di Franco Meloni
Torno su “innovazione e dintorni” in relazione all’iniziativa Sinnova2014 (e non solo). Voglio premettere di ribadire il plauso per l’iniziativa, che, come da prassi e come è giusto sia, va a tutti coloro che hanno collaborato per il suo successo, in primis ai responsabili delle istituzioni che l’hanno promossa e organizzata, cioè a Raffaele Paci per l’Assessorato regionale alla programmazione e a Maria Paola Corona per Sardegna Ricerche. Soprattutto a quest’ultima si deve un giusto riconoscimento per la tenacia e l’impegno dimostrati. Detto questo, passiamo ad alcune notazioni critiche, ovviamente con intenti costruttivi. Innanzitutto parliamo della location. Riconoscimenti a L’Unione Sarda per la disponibilità per la nuova edizione di Sinnova e condivisione della decisione dell’assessore Paci di confermare detta sede, in quanto la complessa organizzazione dell’evento era già molto avanti nel momento del suo insediamento come assessore. Ma, come espresso fin da molto prima della prima edizione, la sede ottimale per la manifestazione è a parer nostro la Fiera Internazionale della Sardegna, sia per la più ampia disponibilità di spazi espositivi e congressuali, sia (ed è questa la ragione più importante) per assecondare concretamente il disegno di riconversione della Fiera in struttura utile per le esigenze di sviluppo dell’economia della Sardegna. Grazie quindi a L’Unione Sarda, ma la terza edizione di Sinnova, Sinnova 2015, la vorremmo proprio nello spazio Fiera. C’è poi un ragionamento da fare sugli organizzatori: bene – lo ripetiamo – Sardegna Ricerche, ma questa organizzazione non può occupare spazi che altri dovrebbero occupare in modo più pertinente. Finchè questi “altri” sono assenti è evidente che Sardegna Ricerche fa bene e non dobbiamo che essergliene grati, ma sono appunto questi “altri” a dover muovere il culo (scusate il linguaggio, ma rende bene) e darsi da fare per assolvere al loro compito istituzionale. Per essere chiari, ci riferiamo a due soggetti precisi e ci limitiamo a due, anche se ciascuno di questi ha una propria articolazione su basi territoriali. Ci riferiamo allora alle quattro Camere di Commercio sarde, riunite nella struttura di UNIONCAMERE SARDEGNA e alle due Università sarde, riunite in un labile patto federativo allo stato ben lontano dall’auspicabile UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA. Ecco, Sinnova2015 dovrebbe essere promosso e organizzato proprio da queste quattro entità: la Regione, Sardegna Ricerche, Unioncamere Sardegna, Università della Sardegna. A ben vedere sono esattamente i soggetti a cui la Regione e l’Unione Europea avevano affidato una parte importante della promozione dell’innovazione nella nostra regione. peraltro riconoscendo per questa finalità rilevanti risorse, soprattutto a far data dal ciclo programmatorio 2000-2006, a seguire con quello 2006-2013 nel quale un finanziamento consistente è stato destinato al progetto INNOVARE. Tali fondi, non dimentichiamolo, prevedono un cospicuo cofinanziamento regionale, circostanza che impone ancor più attenzione nel fare le scelte di utilizzo delle risorse. La programmazione 2014-2020 conferma ingenti finanziamenti sotto la voce INNOVAZIONE (allocati negli Obiettivi Tematici finanziati dai vari fondi Por), prevalentemente destinati alle imprese, con l’obbiettivo prioritario di creare occupazione (mantenimento e nuova). Le risorse 2014-2020 sono state già oggetto di specifico “atto di indirizzo strategico” della Giunta regionale (delibera 19 del 27/5/2014), sulla base dei macro obbiettivi stabiliti dall’Unione Europea. Prima di procedere alla definizione dei progetti esecutivi occorre fare una valutazione precisa, soprattutto in termini di efficacia e risultati conseguiti per quanto è stato fatto nel ciclo programmatorio 2006-2013, ora in fase conclusiva, per il quale è consentita la spendita di risorse fino al tutto l’anno 2015. Quanto detto vale per tutti i fondi europei, ma in questa occasione, ci riferiamo specificamente ai fondi del progetto INNOVARE. Nonostante le assicurazione degli assessori e dei funzionari competenti risulta tuttora una difficoltà di spendita dei fondi, tale da far paventare una restituzione di una parte di essi all’Unione Europea. Al di la di questa circostanza, che sarebbe una iattura, occorre ragionare sulle scelte effettuate dalle Università e da Sardegna Ricerche (ma su quest’ultima in questa nota non ci soffermiamo) per la realizzazione degli obbiettivi del progetto Innovare. Intanto segnaliamo l’esclusione dalla realizzazione del progetto delle Camere di Commercio regionali. Non discutiamo in questa sede delle responsabilità di tale assenza, certo in parte attribuibile all’inconsistenza organizzativa dell’Unioncamere regionale, incapace di costituire interlocutore unico rispetto alla Regione, ma si potrebbe obbiettare che neppure le Università sarde sono state in grado di rappresentarsi come soggetto unitario, eppure tale situazione non ha impedito a ciascuna di esse di essere partner del progetto Innovare. Quindi sono altre le ragioni dell’esclusione delle Camere di Commercio, su cui è importante indagare, sempre nella logica di una corretta programmazione dei fondi futuri. Ma anche sul comportamento delle Università occorre fare chiarezza, perchè proprio su questo versante appaiono rilevanti criticità. E non solo sulla lentezza della spesa. Le Università sarde, come è costume di molte altre Università, tendono a piegare l’utilizzo dei finanziamenti europei alle loro esigenze specifiche, spesso prescindendo dalle finalità dei singoli progetti. Così con i soldi di Innovare si sono finanziati progetti di ricerca lontani da un loro immediato beneficio per le imprese. L’Unione Europea ha ben chiarito che tali fondi erano destinati alle imprese per il tramite delle iniziative delle Università e non alle Università per le loro finalità istituzionali. Altri sono infatti i programmi e i fondi per la ricerca. Lo stesso finanziamento delle borse di dottorato di ricerca, massicciamente utilizzato dagli Atenei sul progetto Innovare, non è dimostrato sia andato a beneficiare il sistema produttivo della Sardegna. Discorso da approfondire, certo, e lo faremo, contando di disporre di un report esaustivo da parte della Regione, così come obbligatoriamente prevedono i regolamenti europei. Ma, tornando a Sinnova, non sembra che tra i protagonisti attuatori delle politiche dell’innovazione si sia creata la necessaria intesa. Lo ha dimostrato perfino il ruolo giocato dalle Camere e dalle Università nella manifestazione. Sostanzialmente un ruolo di cenerentole. La Camera di Commercio e le Università relegate in ristrette postazioni, non rappresentate nei diversi workshop tenutisi nelle due giornate dell’evento. L’Università era certo presente in maniera diffusa nelle diverse aziende presenti, spin off e start up, ma totalmente assente come istituzione, se si eccettua il “ripostiglio delle scope” a ciascuna assegnato in una sala espositiva, quasi a marcarne la povertà di proposta piuttosto che la presenza. Eppure le Università avrebbero potuto esporre buona merce: basti citare il C-Lab a Cagliari o l’incubatore/acceleratore d’impresa a Sassari. Anche tutto questo attende una risposta chiarificatrice! Certo è che così continuando non si va da nessuna parte. Lo sa bene Raffaele Paci, a cui senza malizia rivolgiamo l’invito a rileggersi il suo editoriale su L’Unione Sarda del 9 settembre 2009 in tema dì mancanza di amalgama tra le istituzioni. E, infine, l’Europa. Possibile che sia stata la grande assente in una manifestazione consentita anche per i finanziamenti europei? Possibile che l’Europa sia stata assente sia nei suoi simboli grafici e bandiere stellate, che peraltro sono obbligatori in queste circostanze, sia soprattutto per i contenuti e i programmi/progetti? Partecipando a un Seminario su sharing economy e dintorni siamo stati gli unici a ricordare le indicazioni dell’Unione Europea in materia. C’è poco da fare: il provincialismo o forse anche l’ignoranza sono attitudini che in questa come in altre occasioni sono ancora una volta emerse a denunciare le carenze culturali della politica sarda. Infine una notazione personale. Dai tempi in cui le Università sarde si ponevano come trainanti rispetto alle esigenze dell’innovazione per la Sardegna (non per nulla nel 2005 l’Università di Cagliari istituì la Direzione per l’Innovazione – Dirinnova) siamo tornati indietro a fare i fanalini di coda. Ma non devono essere questi tempi di rimpianti, quanto di ripartenze nel segno del cambiamento, altrimenti, come ha giustamente detto il direttore de l’Unione Sarda a chiusura del suo editoriale di domenica in tema di innovazione : “se non cambiamo – subito e ora – forse non ci sarà un domani”.
————————-
Nella foto il prof. Franco Nurzia prorettore all’Innovazione fino al 2009 e Franco Meloni, dirigente di Dirinnova, Direzione per l’Innovazione dell’Università di Cagliari fino al 2010.
Eppur si muove! Le politiche per la giovane impresa… molto da migliorare!
Segnaliamo un interessante articolo di Enrico Lobina, consigliere comunale di Cagliari, sulle iniziative del Comune di Cagliari (come di altre Amministrazioni) per la creazione di nuova impresa (su Il fatto quotidiano, ripreso dal sito e dalla pagina fb di Enrico, nonchè da Aladinews). Non ci illudiamo che le nuove imprese costituiscano una decisiva risposta alla disoccupazione, specie giovanile, se non in una certa misura. Che non conosciamo, proprio perchè mancano le misurazione e valutazioni del fenomeno. Mancano o sono fortemente carenti perfino le misurazioni e valutazioni delle azioni positive fatte dalle Amministrazioni (regionale e locali) sostenute da importanti finanziamenti europei (si tratta di finanziamenti soprattutto del Fondo Sociale Europeo e del FESR, che prevedono cofinanziamenti statali e regionali). Le (poche) valutazioni comunque effettuate e la raccolta delle opinioni di quanti hanno fatto esperienza di creazione di nuova impresa sostenuta da finanzianti pubblici, sebbene frammentarie, mettono in rilievo le criticità e suggeriscono attività di correzione per quanto si deve fare in tempi successivi. Al riguardo, come detto, si fa ben poco e non si riesce allo stato a innescare virtuosi processi di miglioramento. Allora ci auguriamo e auspichiamo un’inversione di rotta, anche dando credito alle dichiarazioni fatte in argomento dal presidente Pigliaru e da suoi competenti assessori. Vogliamo però sottolineare come gli interventi di sostegno all’impresa vedano in campo numerosi soggetti pubblici, tutti tra loro allo stato scollegati, spesso incapaci di dare efficace attuazione alle misure previste dai citati programmi. Ci riferiamo sia alla Regione, sia alle altre Amministrazioni: Comuni, Camere di Commercio, Università… Tutti soggetti che fanno finta di collaborare e che invece nella realtà operano “a compartimenti stagni”. Non possiamo più permettercelo. Noi di Aladin ne parliamo da quando esistiamo. Come prova riportiamo un intervento del 3 febbraio 2013, che dava saggi consigli al Comune di Cagliari e alle altre Amministrazioni, in gran parte finora del tutto ignorati e che crediamo tuttora validi e da proporre. Dunque: monitoriamo, facciamo proposte e pungoliamo. Sono le sole attività che, allo stato, possiamo fare, come facciamo e faremo (f.m. Aladinews).
Università della Sardegna: questione che riguarda tutti i sardi. Una punta ‘e billettu
di Franco Meloni
Nel mese di giugno l’Università di Sassari eleggerà il nuovo Rettore per il sessennio 2014-2020, in sostituzione del prof. Attilio Mastino, il quale per le disposizioni di legge e statutarie non potrà ricandidarsi. Il nuovo Rettore entrerà in carica il 1° ottobre del corrente anno. Per l’Università di Cagliari il nuovo Rettore sarà eletto nel mese di giugno 2015 ed entrerà in carica il 1° ottobre del medesimo anno.
E’ importante e necessario che si colgano tali scadenze per riprendere il dibattito sullo stato delle Università sarde, sul ruolo che rivestono nella regione attualmente e, soprattutto, su quanto si può e si deve cambiare, ovviamente in meglio. Sì perchè siamo convinti che i sardi non siano soddisfatti dell’attuale situazione delle loro Università e vogliono che sia superata l’attuale inadeguatezza generale e specifica rispetto alle esigenze di sviluppo della Sardegna. La recente legge di riforma delle Università (Legge 30 dicembre 2010, n. 240*) con tutti i conseguenti provvedimenti attuativi non è certo servita a migliorare l’Università italiana, anzi in generale a peggiorarne lo stato, come ben dimostrato in una serie di importanti convegni che si sono tenuti in questi anni (si segnala al riguardo l’ultimo organizzato dalla rivista on line Roars, che abbiamo ripreso come Aladin). A dire il vero la criticabilissima legge che prende il nome dal ministro berlusconiano Mariastella Gelmini, ha avuto come fiero oppositore soprattutto il movimento degli studenti sostenuto da pochi altri; sicuramente non dalla stragrande maggioranza dei Rettori che si sono rapidamente adeguati alle impostazioni del ministro e della maggioranza parlamentare di centro destra (e non solo). E’ giusto segnalare come uno dei rettori più critici rispetto alla riforma sia stato Attilio Mastino, che su tali posizioni si era anche proposto alla guida della Conferenza italiana dei Rettori, peraltro senza successo. I ministri dell’Istruzione e dell’Università che si sono succeduti non hanno modificato l’impostazione della legge. Ricordiamo al riguardo gli apprezzamenti degli allora presidente del consiglio Mario Monti e ministro ex rettore Francesco Profumo. Una delle ragioni del forte riallineamento dei Rettori rispetto alle posizioni ministeriali è senza dubbio attribuibile alle notevoli concessioni in termini di aumento smisurato del potere dei rettori (definiti da Sabino Cassese nel citato convegno come zar o boss**) e nell’antidemocratica proroga “ope legis” di due anni del loro mandato rettorale. Normativa che ha comportato uno straordinario incremento del potere baronale e anche una conferma della gerontocrazia, considerato che molti Rettori in carica erano anziani e al termine della loro carriera accademica. A parziale correzione di questa situazione è stata inserito nell’articolo 2 della legge un comma che così recita: “L’elettorato passivo per le cariche accademiche è riservato ai docenti che assicurano un numero di anni di servizio almeno pari alla durata del mandato prima della data di collocamento a riposo”. Ciò significa che, per fare gli esempi delle nostre Università, non può essere candidato come rettore dell’Università di Sassari chi compia 70 anni oltre il 30 settembre 2020 e per l’Università di Cagliari chi compia i 70 anni oltre il 30 settembre 2021.
Ma, torniamo alla questione più importante: è necessario (e per questo ci impegniamo anche noi con i nostri modesti mezzi) che il dibattito sulle Università esca dalle stanze accademiche per riguardare l’intera comunità sarda. In primis nel dibattito deve entrare la costituzione dell’unica Università della Sardegna, articolata almeno nei suoi due Atenei storici. Concludiamo ricordando la nostra impostazione: l’Università sarda abbandoni ogni impostazione autoreferenziale e non si chieda solo quanto e come la Sardegna possa aiutarla, ma cosa possa fare come Università per i sardi e per la Sardegna.
** Dice Sabino Cassese, insieme ad altre diverse e pesanti considerazioni sullo stato dell’Università: (…) ci sono le responsabilità… del corpo universitario che non ha saputo gestire l’autonomia, che ha creato delle cose abnormi, come, per esempio, la configurazione zaristica, ho detto zaristica, o, se volete, bossistica, del ruolo dei Rettori…
…attenzione sta passando il 64!
Passa il sessantaquattro!
http://www.youtube.com/watch?v=eCss0kZXeyE