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Po “sa die de sa Sardigna” 2015
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Il significato. La storia. Il programma: Sa die in Casteddu, sa die in totu sa Sardigna.
- Sul sito della Fondazione Sardinia
http://www.fondazionesardinia.eu/ita/?p=10319#more-10319
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Costituito l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
COMUNICATO STAMPA
Cagliari, 15 luglio 2014
Per difendere la specialità della Sardegna e la sua autonomia, è nato a Cagliari l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
È nato a Cagliari l’Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali. L’obiettivo è quello di monitorare costantemente quanto accade nel Parlamento italiano, nel Consiglio regionale della Sardegna ed all’interno della società sarda, al fine sia di contrastare il pericolo della perdita della specialità sarda e dello svuotamento del nostro statuto autonomistico e sia di promuovere tutti quegli elementi che costruiscano una Sardegna del futuro più libera, giusta e solidale. - segue -
LA GRANDE GUERRA (1915 – 18) e la SARDEGNA: SEMINARIO di STUDI
LA GRANDE GUERRA (1915 – 18) E LA SARDEGNA: un nuovo centenario impegnativo. SEMINARIO DI STUDI.
Il seminario di studio è promosso dal gruppo dei blogger e dalla Fondazione Sardinia. Si terrà LUNEDI’ 12 MAGGIO 2014, ore (17,00 – 20,00, nella sede della Fondazione, in CAGLIARI Piazza San Sepolcro 5.
Come per i precedenti, dato che la sala non supera il 35 posti a sedere di capienza, si tratta di incontri relativamente riservati a coloro che ricevono apposito invito e che abbiano confermato la loro presenza. Pertanto abbiamo previsto lo STRAIMING (CLICCA QUI).
La serata verrà introdotta e guidata dal prof. MARIO CUBEDDU, del quale è in stampa un’interessante ricerca sui combattenti sardi originari nell’Oristanese. Per introdurre il tema è il caso di iniziare a porci alcune domande. – segue -
Per una Sardegna nuova. Cando si tenet su bentu est prezisu bentulare
di Salvatore Cubeddu, Fondazione Sardinia
La situazione drammatica dell’economia, della condizione sociale e della fragilità culturale invoca, oggi in Sardegna, politiche nuove, esige intelligenza progettuale e capacità creativa.
E’ il momento storico a dirci che non c’è posto per una politica di sopravvivenza, per l’ordinaria amministrazione e neppure per un progressismo moderato. Si tocca con mano lo stato di depressione e ancora peggio la chiusura di ogni orizzonte, che ci fa dire: “non ce la facciamo, non ne usciamo, non c’è nulla da fare”. Troppe cose in Sardegna sono accadute senza ideazione e senza progetto, così si è offuscata persino la speranza di progettare, è stata cancellata la prospettiva del futuro, è stato tolto il diritto di sognare. Nell’idea di Sardegna manca l’amore della speranza perché non c’è tensione desiderante, capace di creatività.
Eppure proprio la situazione di stallo può diventare un fattore propulsivo e rivoluzionario, stimolo per un nuovo modo di dire e di fare e per un nuovo modo di rappresentare la Sardegna a noi stessi e agli altri. Paradossalmente la situazione drammatica attuale diventa il dispositivo per il rilancio di una nuova costruzione. Per noi la Sardegna non è oggetto della mancanza e del fallimento se davanti a noi poniamo l’impresa, il progetto e il programma. Ciò che è crisi diventa dispositivo d’opera e d’invenzione. Siamo convinti che dinanzi a noi c’è l’avvenire che non viene da sé e che si compie nel fare. A patto che la politica diventi invenzione, come l’economia, come la cultura. Niente scene del negativo, abbiamo cose da raccontare e da produrre: tutto da vivere, tutto da fare. L’identità sarda si costruisce nell’itinerario della produzione materiale e della produzione di senso.
Da queste riflessioni è sorta nella Fondazione Sardinia una serie di incontri e di dibattiti che sono provvisoriamente confluiti in questa proposta di Sardegna nuova.
Si tratta, nell’aspetto economico, di un programma di concrete opere pubbliche, non di un vero e proprio nuovo modello di sviluppo. Le linee di questo restano, piuttosto, sullo sfondo, sottintese e richieste. Ma l’innovazione riguarda tutti gli aspetti della realtà sarda.
Al di là di ogni schieramento e di ogni appartenenza politica, vogliamo fare partecipi di questa nostra riflessione quanti, tra i Sardi ed i loro estimatori, intendono impegnarsi per un contributo di arricchimento e di elaborazione, nella prospettiva di una diffusione più ampia e con il proposito di farne partecipi il popolo sardo.
“Quando tira vento, c’è
chi alza muri per difendersi
e chi costruisce mulini a vento”
(M. de Cervantes).
SARDIGNA NO(V)A
Un NEW DEAL per la SARDEGNA del terzo millennio: appunti per un nuovo inizio.
SOMMARIO: 1. le nuove drammaticità sarde. 2. Le urgenze dell’ora. 3. Un progetto inevitabile. 3.1. il risanamento dei territori; 3.2. Le pianure irrigate per la sovranità alimentare; 3.3. l’energia, della Sardegna, per i Sardi, dei Sardi. 3.4. L’emergenza linguistica. 4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. 5. La riforma delle istituzioni: la nuova Olbia, Sassari- Cagliari- Nuoro- Oristano con vecchie e nuove funzioni, Città di Sardegna, una burocrazia redistribuita e rinnovata, un altro destino per i paesi. 6. Provvisorie osservazioni conclusive.
1. Le nuove drammaticità sarde. Per due settimane nelle case e nelle campagne dei 60 comuni si è lavorato ad uscire dal fango. Il lavoro sarà lungo.
Il diluvio scende dalle alture alle coste e travolge gli arenili scarsi dell’immensa ciambella in costruzione. Siamo all’ultimo aggiornamento, ma il fenomeno si ripete ad intervalli sempre più brevi. La natura segue il suo corso, indipendentemente dall’insipienza dei nostri ostacoli.
Tra sette – otto mesi, nel nostro interno in abbandono potrebbe riproporsi il pericolo di sempre, il fuoco distruttore. Nel centro Sardegna, sempre più abbandonato, l’inselvaticamento della natura finirà per annientare gli antidoti di un’agricoltura millenaria ormai in estinzione.
Intanto è costante l’aria inquinata portata dai venti: da Sarrock e P. Torres verso Cagliari e Sassari, da P. Vesme nella direzione di S. Antioco, Carbonia ed Iglesias, da Macomer e Ottana nei quattro quadranti della Sardegna centrale. Laddove i fumaioli si sono spenti, il loro fumo ha lasciato sul suolo tracce forse imperiture.
Siamo alla fine del nostro mondo, gli uomini hanno avviato l’apocalisse. Possiamo cercare un’altra ‘rivelazione’? Siamo disponibili a pensare alla risoluzione dei problemi facendo fronte con finanziamenti, con progetti, con l’organizzazione e i tempi necessari? La responsabilità è nelle nostre mani. Per quello che è stato (se non altro per non averlo impedito) e per quello che sarà. Quello che è non può essere più accettato.
Dobbiamo cambiare, noi innanzitutto. I sardi sono la vera risorsa per se stessi. Se essi rinunciano, nessuno può portare loro la salvezza. Neanche se continuasse – e non può a lungo proseguire (né sarebbe corretto pretenderla!) – la straordinaria solidarietà che ci arriva dal Continente, dagli Italiani per una volta finalmente solidali con i Sardi. Anche al nostro interno, la solidarietà di queste settimane segnerà a lungo positivamente i giorni che ci aspettano. Perciò osiamo sognare. Per offrire un seguito a ciò che vediamo, per promuovere a progetto ciò che è positiva reazione all’emergenza, per darci la realizzabile immagine di una Sardegna nuova.
E la natura domanda la fine di certi comportamenti e la promozione di nuovi. Le istituzioni cercano da decenni un’ altra legittimazione. La società vede giovani ed operai in giro per le strade ad elemosinare il tozzo di pane dell’assistenza in attesa che qualcuno costruisca il lavoro. Ma, quale lavoro si creerebbe se pure ci fossero i finanziamenti? Come spenderemmo i miliardi se, per una qualche benefica resipiscenza dello Stato italiano, ci venisse restituito il mal tolto degli ultimi decenni? Come spenderemmo i soldi pubblici nel creare lavoro: per fare che cosa? Chi agirebbe? Secondo quale nuova idea di Sardegna?
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2. Le urgenze dell’ora. Otto province da abolire e nuove aggregazioni dei comuni da organizzare in vista dell’inevitabile necessità dell’ente intermedio: davvero, da Cagliari, è possibile guidare il territorio della Sardegna senza aspettarsi una ribellione a un centralismo già oggi denunciato come invadente? Cagliari, da sola, versus 376 comuni: esperimento già fallito con il feudalesimo. Non per i feudatari, ma sì per i Sardi. E’ invece indispensabile restituire un forte senso ai capoluoghi delle province storiche: Cagliari, Sassari, Nuoro, Oristano.
Città e paesi da ricostruire, ad iniziare da Olbia, secondo comune per numero di abitanti e primo in quanto capoluogo del turismo. E’possibile profittare del presente disastro per rimodellare l’urbanistica della città correggendone storture e valorizzandone le risorse? Olbia da rimodellare quale città del futuro. Lanciare una nuova idea di città gallurese – una città di mare in simbiosi con i bellissimi monti del Limbara, non in contrasto – fruendo delle presenze, delle amicizie, degli interessi internazionali, intelligentemente e accortamente orientati da una società locale che ora va facendo un’esperienza così amara degli errori commessi?
Trecento piccoli comuni sono in decadenza per il crollo demografico e per la fuga degli abitanti (sempre nella direzione di Cagliari ed Olbia): anche a loro bisogna restituire un senso. Un hinterland cagliaritano da bloccare nell’insana crescita demografica ristabilendo la funzione della città, il suo significato ed i limiti nei confronti dell’insieme del territorio isolano.
Cagliari come città dell’economia moderna, delle telecomunicazioni e della ricerca, del commercio e degli scambi, Cagliari città vedetta della Sardegna nei confronti delle numerose ‘capitali’ del Mediterraneo? Cagliari ha le potenzialità di diventare per la Sardegna quella che Milano è per l’Italia, New York per gli USA (pur essendo Washington la capitale), Rio de Janeiro per il Brasile (con Brasilia costruita ex novo). Non più rinserrata in un castello dove racchiudersi e difendersi, ma città guida nella prosperità, nella cultura e nell’arte.
Una cultura da riorganizzare, nei suoi aspetti istituzionali/scolastici e nella sua dimensione politica/identitaria. Cresce la pressione dei ministeri romani per l’unificazione delle due università di Cagliari e di Sassari, proprio mentre Nuoro ed Oristano insistono per mantenere i loro recenti insediamenti. Il processo, non facile né breve, domanderà un vero campus per un’Università della Sardegna. Dove, come, chi si assumerà la responsabilità di accelerare intelligentemente il processo?
Un progetto di opere pubbliche che alleggerisca la fame di lavoro domanda finanziamenti destinati a rispondere a questo non semplice carico di problemi che si impongono alla comunità sarda.
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3. Un progetto inevitabile. Si sente e si legge dappertutto: la prima cosa che manca in Sardegna è il lavoro. Eppure, anche se avessimo i finanziamenti – ad esempio, i soldi che lo Stato dovrebbe darci indietro, perché nostri (quanti? Mettiamo un miliardo di euro?) – non sapremmo quali opere pubbliche sarebbero in grado di occupare, mettiamo, diecimila lavoratori nel breve periodo per un’operazione da new deal.
Eppure la Sardegna è tutta da rifare, non solo avendo davanti la presente catastrofe, ma pure a partire dal risanamento dell’ambiente nelle zone industriali, alla rifondazione di un’agricoltura che si affianchi alla pastorizia, alla decisione sul riequilibrio demografico nel territorio, al ruolo delle due città (Cagliari ed Olbia) che divorano la popolazione dei paesi, al destino delle province, alla qualificazione complessiva dell’istruzione e della cultura.
Osservando con serietà la condizione dei Sardi, dobbiamo recuperare la lungimiranza e il coraggio di assumere decisioni che ci proiettino nell’arco dei prossimi 20/50 anni per la definizione delle decisioni economiche, istituzionali, culturali.
3.1. Le migliaia di lavoratori in cassa integrazione devono essere utilizzati per il risanamento dei territori di Macchiareddu, Porto Torres, Porto Vesme, Ottana, Arbatax. Dato che l’esigenza dell’assistenza è destinata a permanere (ma non altrettanto facile sarà garantire le necessarie risorse sine termine) , essa deve essere finalizzata a chiedere un contraccambio, a tempo totale o parziale (adeguandovi il salario), al personale uscito senza possibilità di rientro dal processo produttivo. Chi non venisse impiegato nel risanamento ambientale dovrebbe venire organizzato per altri lavori socialmente utili.
3.2. Le pianure irrigate dovrebbero venire solamente destinate alle coltivazioni che garantiscano la sovranità alimentare del popolo sardo. In nessun modo debbono essere messe a disposizione di Matrica o di altre società intenzionate a profittare delle presenti difficoltà dell’agricoltura per utilizzare le nostre terre e per produrre materia prima in vista del processo produttivo della cosiddetta chimica verde. Andrebbe anche verificata fino in fondo l’eventuale disponibilità di terreni marginali. Si ha la chiara impressione che in molti stiano barando per farci trovare tutti in condizioni di non ritorno, a livello governativo e locale, nel mondo imprenditoriale, associativo e sindacale. Tarda, purtroppo, a partire un movimento di opinione che chieda conto in anticipo di scelte che ci stanno sovrastando. La situazione appare straordinariamente simile alla segretezza delle decisioni che ci hanno portato fuori dall’obiettivo 1 dell’Unione Europea e, prima ancora, al grande inganno che riversò in Sardegna la grande industria di base petrolchimica e metallurgica.
3.3. La Regione sarda ha riavuto nella sua dotazione e in suo potere l’energia elettrica delle dighe. Si tratta di un dato importante, che però viene tenuto riservato e che non viene fatto rientrare nel presente dibattito sull’energia ‘verde’. Essa, invece, si aggiungerebbe alle energie rinnovabili per rendere l’Isola totalmente autonoma dalle energie fossili inquinanti e dispendiose. La Regione deve riprendere in considerazione l’esperienza della società sarda dell’elettricità (Ersae), per confermarne l’attualità e rimodernarne l’organizzazione.
3.4. L’emergenza linguistica rappresenta la realtà e la metafora della presente condizione del popolo sardo. Esiste un parallelo indiscutibile e impressionante tra la perdita della lingua e la perdita della nostra economia, tra l’espropriazione culturale e l’espropriazione delle nostre risorse, tra il lasser faire nella cura della nostra anima più profonda e la leggerezza con cui lasciamo che invadano di cardi e di eucaliptus le nostre pianure dopo che per cinquant’anni hanno avvelenato con la petrolchimica alcuni dei nostri migliori litorali. Parallelismi della nostra irresponsabilità voluta ed accettata.
4. Investimenti per il lavoro e per costruire una Sardegna nuova. Bisogna avere il coraggio politico e la capacità finanziaria e organizzativa di proporre un grande progetto di opere pubbliche, che abbia quale punto fermo quello di evitare la funzione/ciambella dello sviluppo urbanistico intorno alle coste e di promuovere la continuità della distribuzione della popolazione nei paesi della Sardegna. Inevitabile agire su Olbia e Cagliari, attuali punti di attrazione a motivo dell’espletamento della funzione turistica (Olbia) e della concentrazione burocratica (Cagliari).
Ad Olbia bisogna risanare, riqualificare, cancellare. Alla città bisognerebbe offrire l’opportunità di rinascere come città d’eccellenza. E’ inutile mettere pezze a situazioni irrecuperabili. Bisogna ripensare la città, secondo la legge e la qualità del vivere. Olbia ha molti amici potenti e qualificati, che sarebbero interessati a collaborare ad operazioni ambiziose e di prospettiva.
A Cagliari ancora si va avanti ad occhi chiusi, in assoluto isolamento rispetto agli interessi della Sardegna, ubriachi di un’espansione demografica che ora troverebbe spazio solo nella cinta dei comuni dell’hinterland. Su Stangioni era uno stagno, procedere nel percorso verso la sua urbanizzazione è una follia, ambientale, urbanistica e demografica. Basta, con l’accettare la crescita del polo urbano a svantaggio degli altri comuni della Sardegna. Si pensi: quante famiglie ospiterebbe l’urbanizzazione di una SS 554 trasformata in semplice strada comunale? Resterebbero dei sardi al di fuori del promontorio e della costa intorno al Golfo degli Angeli? A Cagliari e nel suo hinterland bisogna migliorare quello che c’è, non estenderlo.
A Sassari, Oristano e Nuoro, una volta retrocesse dal loro ruolo di ente provinciale, cosa resterebbe per impedire al loro interno una crescita esponenziale di risentimento nei confronti della città ora capitale, già a ragione accusata di centralismo, sempre ma soprattutto nel quinquennio della presente amministrazione regionale di centrodestra?
5. La riforma delle istituzioni resta oggi elemento determinante anche negli aspetti economici, politici e culturali. E’ da considerare troppo tranchant l’abolizione totale delle province. Non regge una Sardegna dove il potere è concentrato tutto su Cagliari, diventando le unioni dei comuni nient’altro che decentramenti funzionali e burocratici, senza vera identità istituzionale (che è fatta di valori storici, economici, etc. ). Per questo è necessario ripensare la redistribuzione dei ruoli istituzionali tra i capoluoghi storici della Sardegna in modo che vi sia funzionalità delle città rispetto ai comuni circostanti, potenziale parità di opportunità tra gli ex capoluoghi di provincia, rispetto delle vocazioni storiche e culturali di tutte le città sarde.
La proposta: a) Sassari e Cagliari restano capoluoghi di provincia, e si dividerebbero il territorio sardo.
b) I presìdi attualmenti aperti dalle due università sarde a Nuoro dovranno progressivamente allargarsi fino a costituire l’Università della Sardegna. Gradualmente si arriverebbe alla loro unificazione e, nel tempo (richiesto dal procedere dei grandi lavori di costruzione del campus, a partire dalla città ed allargandosi nei boschi e nei giardini, nell’Ortobene ed oltre), verrebbero spostate e unificate le facoltà in modo da riqualificare il capoluogo barbaricino nel segno dell’istruzione e della cultura (sarebbe la Cambridge sarda!). Non è difficile immaginare la grande massa di risorse e di occupazione necessarie nel corso delle differenti fasi del processo e nella successiva situazione operativa della grande Università della Sardegna. (L’idea, in fondo, non è originale: la Corsica, appena avute le istituzioni autonomistiche, ha fondato la propria università a Corte, l’antico capoluogo in mezzo alle montagne).
c) Non lontano da Oristano – e fruendo del suo porto, potenziando il suo aeroporto (offrendo, finalmente, a loro un senso), presso le le colline e nei boschi alle pendici del monte Arci (il monte sacro dell’età neolitica!) – dovrebbe costruirsi ex novo un Capitol delle nuove istituzioni della Sardigna No(v)a, esso pure pensato come un campus istituzionale – con le moderne condizioni dell’ospitalità – e non una nuova città della burocrazia. Nella nuova Città di Sardegna risiederebbe la sola dirigenza al servizio delle grandi istituzioni della Sardegna: consiglio, governo, apici degli assessorati; i segni della cultura (il rettorato) e dei valori universali (una chiesa cattedrale? Una sede monumentali a carattere interreligioso?).
Gli impiegati della nuova regione sarda sarebbero gradualmente individuati tra i giovani, e meno giovani, abitanti nei comuni di tutta la Sardegna, collegati tra loro e con i loro dirigenti del ‘Capitol’ tramite il telelavoro. Ovviamente, pensato nella prospettiva dei decenni, il processo di progressiva redistribuzione nel territorio del personale, attualmente concentrato in poche città, andrebbe curato sia nelle capacità professionali e sia attraverso un’apposita contrattazione di funzioni e riconoscimenti normativi ed economici. Questa soluzione, nel mentre alleggerisce la pressione demografica delle città, offrirebbe una chance di permanenza e di nuova prospettiva ai tanti comuni in via di chiusura, consentendo elementi di nuova qualità della vita ai lavoratori dell’impiego pubblico.
Anche il sistema stradale riceverebbe nuovi effetti benefici nell’indirizzare le sue direttrici verso il centro geomorfologico dell’Isola. Nessun amministratore comunale sarebbe più distante di centocinquanta chilometri dalla nuova capitale istituzionale della Sardegna.
6. Provvisorie osservazioni conclusive. Alla facile osservazione di utopia rispondo con la richiesta di altrettante soluzioni alternative alla elencazione dei problemi inizialmente esposti. Alla preoccupazione sulla scarsità dei finanziamenti c’è l’esperienza del new deal degli anni trenta, non solo in America: la scelta dei lavori pubblici viene fatta appunto nei tempi di crisi. Sulla questione della classe dirigente dico: noi tutti siamo classe dirigente, diamoci da fare, lasciateci immaginare e realizzare, noi saremmo in grado di avviare, dirigere, portare a compimento il processo, andando anche oltre la presente generazione.
Anche chi vuole l’indipendenza della Sardegna non vuole solo agitare una bandiera: vuole soprattutto far stare meglio i propri cittadini e rendere migliore la propria terra.
(Questo documento è stato redatto da Salvatore Cubeddu ed ha avuto una prima fase di discussione tra i soci della Fondazione Sardinia il 7 e il 9 dicembre 2013).
Cagliari 11.12.13
Quali Sardegne? Dal “triangolo dell’isolamento” verso l’orizzonte della contemporaneità
Nel 1958 Thomas Münster, un ingegnere tedesco, scrive un attento diario di viaggio dei suoi soggiorni in Sardegna intitolato “Parlane bene” (della Sardegna). Si racconta di un’isola da poco entrata nella “modernità” e che ancora porta con sè i segni profondi di un passato lontano, importante e profondo. Segni che a un cittadino europeo del tempo suscitano sensazioni di stupore e affetto miste a preoccupazione. Ne avverte da subito, infatti, la mancanza di senso storico percependo come, nella pur ottima memoria dei Sardi, mancasse una dimensione, come se tutti gli avvenimenti storici fossero visti “come su un dipinto, contemporaneamente e uno accanto all’altro”. E come, a questo senso limitato del tempo, corrispondesse un senso dello spazio anch’esso limitato e allo stesso tempo complesso. Una complessità degli spazi che, ancora oggi, deriva da una geografia difficile, da una memoria “labirintica” e da una storicità composita che fanno dell’isola uno dei rari luoghi in Europa dove coesistono, in stretta prossimità, elementi paleolitici, nuragici, medioevali, moderni o di archeologia industriale.
Spesso questa immagine, appena descritta, corrisponde a quella parte della Sardegna che Nereide Rudas, nel libro “L’isola dei coralli”, ha definito il “triangolo dell’isolamento”, ovvero quell’area che “poggia la propria base sulla costa orientale dell’Ogliastra e della Baronia, abbraccia il massiccio del Gennargentu con le sue propaggini e contrafforti settentrionali e meridionali, include gli altipiani centrali per poi convergere con il vertice dei suo lati verso il Montiferro e la costa occidentale”.
Questa specifica area geografica e culturale, caratterizzata da una bassa demografia e da tassi di isolamento molto elevati, è quella nella quale si distribuiscono, per luogo di nascita, quelli che sono considerati alcuni tra i maggiori autori sardi del Novecento e dove più a lungo si sono conservate la lingua e una cultura autoctona.
Per questi ed altri motivi, legati per esempio alle dinamiche migratorie interne della Sardegna del secondo Dopoguerra o ad altre più squisitamente politiche, economiche e culturali, la narrazione di questa parte della nostra regione è quella che ancora oggi viene di norma considerata come la più autentica.
In altri termini ciò che in questo testo intendo argomentare, con tutta la sensibilità e l’attenzione che il tema richiede, è che a partire dagli anni Cinquanta si sia affermata una narrazione e una rappresentazione dell’isola che ha privilegiato una parte della stessa senza riconoscere altrettanta dignità alle altre Sardegne, che pure esistono, e le cui storie, sistemi valoriali e culturali potrebbero essere di enorme aiuto in quel percorso di costruzione di una unità e di un destino collettivo che ancora è ben lungi dall’essere realizzato.
E’ innegabile infatti come il focus abbia costantemente privilegiato l’interno rispetto alle coste, le zone rurali rispetto a quelle urbane, il mondo agro-pastorale rispetto a quello minerario.
Il caso della Sardegna mineraria è, in questo senso, paradigmatico. Come è stato ricordato da Paolo Fadda (studioso e storico cagliaritano, ndr), nel riflettere sull’epopea mineraria sarda, è davvero incredibile come ancora oggi si continui ad avere una modesta, se non scarsa, valutazione su cosa abbia rappresentato per la Sardegna l’essere terra di miniere.
Spesso infatti la lettura è non dissimile da quella che viene data al processo di industrializzazione del Piano di Rinascita. Si pone (giustamente) l’accento su quanto sottratto, depauperato, inquinato mentre non si riconosce pienamente, con altrettanta determinazione, il valore di entrambe le esperienze. Tralasciando, nel caso minerario, quanta civiltà europea (attraverso il lavoro operaio, la scienza giuridica, la tecnica, l’organizzazione) ci sia stata messa a disposizione e dimenticando importanti elementi simbolici che invece, a mio avviso, dovrebbero essere parte integrante del nostro immaginario collettivo. Penso per esempio al fragore del motore a scoppio della prima auto immatricolata nel 1903 in Sardegna (quello della Decauville 10HP del direttore della miniera di Buggerru) oppure alla luce della prima lampadina elettrica che illuminò una notte sarda (quella che si accese a Monteponi, prima località dell’isola ad essere elettrificata). E’ vero che quelle miniere sono state chiuse, ma ancora oggi quel mondo è protagonista di alcune delle più importanti esperienze europee di recupero della memoria e della cultura mineraria, come testimoniato dal premio del paesaggio del Consiglio d’Europa assegnato nel 2011 alla Città di Carbonia per il progetto “Carbonia Landscape Machine”.
Nel pieno rispetto e riconoscimento del patrimonio culturale, storico e linguistico rappresentato dalla Sardegna “interna” dovremmo a mio avviso incominciare a superare tutte quelle barriere che limitano una piena presa di consapevolezza di tutte le altre Sardegne. Penso per esempio a quelle rappresentate dalle diverse comunità di pescatori delle nostre coste, dalle varianti linguistiche dell’open field cerealicolo campidanese, dalle città di fondazione (di epoca sabauda e di epoca fascista), dalla ricerca scientifica e dalle attività imprenditoriali.
In caso contrario il rischio più grande sarebbe quello di alimentare un identitarismo di maniera che spesso viene praticato sul piano politico e che potrebbe invece essere mitigato provando ad indicare possibili filoni di studio che ci accompagnino in questa contemporaneità.
Sicuramente quel focus di cui si è parlato anteriormente tenderà a spostarsi, già se ne vedono i segnali, dalle zone rurali a quelle urbane e dall’interno all’esterno. In particolare è ragionevole pensare che nel primo caso si concentrerà sulle nuove generazioni degli hinterland di Cagliari e Sassari e, nel secondo caso, sull’emigrazione liquida delle fasce più dinamiche della popolazione sarda che, pur lasciando l’isola, mantengono una relazione continua, fluida e diretta con il territorio e le reti sociali di origine.
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Oltre che su questo sito, questo articolo viene pubblicato anche sui siti Fondazione Sardinia, Vitobiolchini, Tramas de Amistade, Madrigopolis, SardegnaSoprattutto, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra.
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A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! Lamentarci? No, tempo perso!
di Gianni Mascia
A si chesciai? No, est tempus pèrdiu! De tempus meda no feus atru chi si chesciai e cun cali arrennèscida? A s’amagurai e a sighiri a incungiai negatividadi. Settembre, Caput anni, Cabudanni… S’annu agrìculu torrat a cumentzai e tocat a ghetai sèmini. Est su chi nosu sardus puru depeus fai in su campu casi sempri prenu de lullu de sa vida polìtica nosta. Seus casi in campagna eletorali, infatis de innoi a pagu eus a andai a votai po is regionalis e is europeas ddas ant a sighiri illuegus. S’ant agatai cun is manus in is manus e spartzinaus in milli arritzolus custa borta puru? No podit sutzedi prus chi si andit a votai a collegiu acorpau a sa Sicìlia! S’emus a torrai a agatai sentza de rapresentantis in Bruxelles, a aturai a sa ventana cun sa spera chi calchi parlamentari sicilianu si dimitat, cumenti est sutzèdiu candu sa Barràcciu est intrada in parti de Crocetta. Tocat a si donai de fai e a chistionai e fai chistionai de custa campànnia chi si fetzat arribai a tenni torra unu collègiu totu sardu, poita chi sa popolatzioni sbentiada po is milli spot chi ddi trumentant s’ànima dònnia die si donghit contu de cantu de importu mannu siat a essi innia aundi si detzidint is chistionis primàrias po su svilupu de s’ìsula nosta. Ma innoi nd’arribant is arriolus! De pagu apu fatu una spètzia de sondàgiu po cumprendi in cantus scipiant de is consultatzionis apeliosas e cun scoramentu mannu apu tentu sa cunfirma de su chi timemu: sa maioria de is pessonas no sciiant o in sa mellus de is ipotesis non sciiant chi nosu faessimus parti de su collègiu de is ìsulas, aundi is sicilianus sendi assumancu tres bortas tanti de nosu iant a essi tentu totus is sègius a dispositzioni. Ai custu puntu mi benit de pensai de cantu no si ndi potzat fai de mancu de torrai a partiri de s’educatzioni, de fai cresci tzitadinus cun sa cuscièntzia de ddu essi e cun su deretu-doveri de pigai parti a sa res publica, chi tengant sa cuscièntzia de cantu su votu, mancai sbregungiu e scoloriu, siat unu de is pagus momentus in chi podeus nai sa nosta. Seguramenti is ùrtimas atzionis de is politcus nostus, natzionalis e regionalis, ant sghiu a minai sa cunfia in is istitutzionis, e stesiau sempri de prus sa genti de sa politica, bista che fumu in is ogus po no essi stètia bona a ndi betiri atru chi disparidadi sempri prus manna, che a cursa fata feti po sighiri a preni sa buciaca insoru e sa de is amigus de is amigus ( e non ddi podeus nai chi no est beridadi) e fai de manera chi is ferrus intra de chini tenit tropu e chini nudda siant sempri prus obertus. Cun custa spètzia de guvernu natzionali “di larghe intese” eus pèrdiu nosu puru sa possibilidadi de andai contras a su dìciu “tanto sono tutti uguali” e imoi prus che mai serbint atzionis chi torrint a castiai a is arguais mannus chi pertocant a sa natzioni e prus che mai a s’ìsula e fetzant torrai in su pòpulu sa gana de participatzioni, chi arrennèsciant a fai cumprendi chi sentza de votai sciendi su chi seus faendi no podit esisti democratzia, chi no est una cosa bella su ddu fai tupendisi su nasu o bendendiddu po unu pratu de malloreddus, cumenti eus biu fintzas e tropu in is ùrtimus tempus. Sa tenta depit esssi a fai de manera chi sa genti tengat is anticorpus culturalis po si difendi de su bombardamentu mediaticu chi ddi stontonat su ciorbeddu circhendi de fai passai su messàgiu chi si no tenis su Rolex de oru, su SUV, o chi si no bestis Armani o no ses amistadau cun assumancu cincu o ses fèminas ses unu balossu, a fai cumprendi chi prus che a tenni tocat a essi, a fai cresci òminis indipendentis, chi feti aici si podit aberu arribai a s’indipendèntzia chi no depit essi amarolla separatismu, podit essi puru un’autonomia forti, fata nasci arribendi a tenni su coranta po centu cumenti sutzedit a is regionalis in Val d’Aosta, po si podi permiti de artziai sa boxi cun su guvernu natzionali e no a fai is tzeracus cumenti a s’ùrtima giunta, aundi eus dèpiu po fintas suportai s’afrentu de biri su Psd’Az arregalai sa bandera de sos bator moros a Berlusconi. In custa situatzioni pagu cussoladora is intellètualis podint tenni una parti de importu mannu ponendi a dispositzioni de sa tenta s’atividadi insoru, faendi nasci in is blog, situs, in is pàginas facebook, in is reading, in is presentadas de librus, in is performance, in is atòbius pùblicus, momentus de arrefrescia ponendi de manera lèbia ma chi intrit in costas su focus suba de cussas possibiladadis de crèscida colletiva puru atruessu de is linguàgius artìsticus chi permitint de mandai messàgius in butìllia e input de arrexonamentu puru a is prus mandronis. A bortas est difitzili a agatai su tempus po totu (de seu su primu a ndi tenni pagu…) ma si creeus in sa possibiladi de cambiamentu, depeus essi, cumenti naraiat calincunu, nosu su cambiamentu chi boleus essi, depeus essi nosu etotu a cumentzai sa “Rivolutzioni umana” (aici ddi narat su filosofu giaponesu Daisaku Ikeda ) poita chi si furrit a sa de totu s’umanidadi. Una rivolutzioni no podit cumentzai chi de una sotziedadi chi andit faci a is cosas a una sotziedadi chi andit faci a is pessonas. No tocat a tenni timoria de nai chi fàbricas de nudda no ndi cherimus prus, chi feti cun sa bonifica de is logus apestaus emus a tenni traballu po tempus meda, chi cherimus bivi de EcoAgriCulTurismu, de produtzionis sustenibilis, de is cosas spantosas chi teneus sa bona sorti manna de sciri fai.
Lamentarci? No, tempo perso! Da troppo tempo non facciamo altro che lamentarci e con quale risultato? Amareggiarci e continuare ad accumulare negatività. Settembre, Caput anni, Cabudanni… L’anno agricolo riparte con la preparazione del terreno alla semina. E’ quello che anche noi sardi dobbiamo fare nel campo spesso pieno di gramigna della nostra vita politica. Siamo quasi in campagna elettorale, infatti a breve avremo le regionali e le europee seguiranno subito dopo. Ci faremo trovare con le mani in mano e divisi in mille rivoli come al solito? Non può più capitare che si vada a votare a collegio accorpato alla Sicilia! Ancora una volta ci ritroveremo a non avere rappresentanza a Bruxelles, a stare alla finestra con la speranza che qualche parlamentare siciliano si dimetta, come accaduto con Crocetta a cui è subentrata la Barracciu. E’ necessario uscire allo scoperto e divulgare con ogni mezzo questa campagna affinchè la popolazione distratta da mille spot si renda conto di quanto sia importante essere presenti là dove si prendono decisioni fondamentali per lo sviluppo della nostra isola. Ma qui arrivano le difficoltà. Ultimamente ho fatto una sorta di sondaggio per capire in quanti siano informati dell’imminente consultazione e con grande sconforto ho avuto la conferma di quanto temevo: la maggior parte delle persone non sapevano o nella migliore delle ipotesi non erano a conoscenza del fatto che noi appartenessimo al collegio delle isole, dove i siciliani essendo almeno il triplo di noi sardi in quanto a numero di abitanti avrebbero ottenuto tutti i seggi disponibili. A questo punto mi viene da fare una riflessione sul fatto che sia indispensabile ripartire dall’educazione, dal creare cittadini con la coscienza di esserlo e con il diritto-dovere di partecipare alla vita politica, di avere la consapevolezza di quanto il voto, sia pur vituperato e scolorito, sia uno dei pochi momenti in cui abbiamo voce in capitolo. Certo le recenti performances dei nostri politici, nazionali e regionali, hanno continuato a minare la credibilità delle istituzioni e allontanato ulteriormente la gente dalla politica, vista come fumo negli occhi in quanto portatrice di efferate diseguaglianze, come corsa volta a rimpinguare le loro tasche e quelle degli amici degli amici (e come dargli torto?) e rendere sempre più aperta la forbice tra chi ha troppo e chi nulla. Col cosiddetto governo nazionale di larghe intese abbiamo perso poi anche la possibilità di controbattere al “tanto sono tutti uguali” e ora più che mai si rendono necessarie azioni che riportino l’attenzione sui problemi reali del paese e della nostra isola in particolare e facciano ritornare nel popolo la voglia di partecipazione, che riescano a far capire che senza voto consapevole non può esistere democrazia, che non bisogna andare a votare turandosi il naso o vendendolo per un piatto di malloreddus, come abbiamo visto fin troppo ultimamente. L’obiettivo dev’essere quello di fare in modo che la gente abbia gli anticorpi culturali per difendersi dal bombardamento mediatico che lobotomizza le menti cercando di far passare il messaggio che se non hai un Rolex d’oro, un Suv, o che se non vesti Armani o non hai almeno cinque amanti sei uno stupido, di far capire quanto sia più importante essere che avere, di far crescere uomini indipendenti, che solo così si potrà arrivare davvero all’indipendenza che non dev’essere obbligatoriamente separatismo, potrebbe essere anche una forte autonomia costruita arrivando ad ottenere il quaranta per cento dei voti come capita alle regionali in Val d’Aosta, per potersi permettere di fare la voce grossa con il governo nazionale e non fare i servitori come capitato all’ultima giunta regionale, dove abbiamo dovuto sopportare anche l’offesa di vedere la bandiera dei quattro mori regalata a Berlusconi dal Psd’Az. In questo quadro non certo confortante gli intellettuali possono svolgere un ruolo importante mettendo al servizio della causa la loro attività, creando cioè nei loro blog, siti, pagine facebook, nei reading, nelle presentazioni di libri, nelle performance e negli incontri pubblici, momenti di discussione incentrando in maniera leggera ma persuasiva il focus su quella possibilità di crescita collettiva anche attraverso la creatività dei linguaggi artistici che consentono di mandare messaggi in bottiglia e spunti di riflessione anche ai più pigri. A volte è difficile trovare il tempo per tutto, (io sono il primo ad averne poco…) ma se crediamo nella possibilità del cambiamento, come diceva qualcuno, dobbiamo essere noi il cambiamento che vogliamo, dobbiamo essere noi a cominciare la nostra “Rivoluzione umana”, ( così la chiama il filosofo giapponese Daisaku Ikeda), affinchè poi diventi quella di tutta l’umanità. Una vera rivoluzione dei valori non può che iniziare da una società orientata alle cose a una società orientata sulle persone. No bisogna aver paura di dire che fabbriche di nulla non ne vogliamo più, che solo con la bonifica dei siti inquinati ci sarebbe lavoro per molti anni e che noi vogliamo vivere di EcoAgriCulTurismo, di produzioni sostenibili, delle eccellenze che abbiamo la fortuna di saper creare!
Gianni Mascia
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Così come promesso, il cerchio si è allargato e nuovi contributi arricchiscono il dibattito. Ecco allora pubbicato un intervento dello scrittore Gianni Mascia, che viene condiviso, oltre che su questo blog, anche sui siti della Fondazione Sardinia, vitobiolchini, Tramas de Amistade e Madrigopolis (new entry).
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REMEMBER
Il presente contributo viene pubblicato anche in altri siti/blog, nell’ambito di un accordo tra diverse persone (tutte impegnate nel movimento culturale “In sardu”), le quali dispongono di detti spazi virtuali che mettono a disposizione per favorire la circolazione di idee (e l’organizzazione di iniziative di carattere politico-culturale) sulle problematiche della Sardegna, senza limiti di argomenti e nel pieno rispetto delle diverse opinioni e impostazioni politiche e culturali, ovviamente nella condivisione dello spirito e dei comportamenti democratici. I contributi saranno pubblicati in italiano e/o in sardo.
Ecco i siti/blog (a cui nel tempo se ne aggiungeranno altri, auspicabilmente) :
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni
Il sesto intervento di Salvatore Cubeddu
Il settimo intervento di Fabrizio Palazzari
L’ottavo intervento è di Vito Biolchini
Il nono intervento è di Piero Marcialis
Il decimo intervento è di Nicolò Migheli
L’undicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il dodicesimo intervento è di Franco Meloni
Chi organizza il dibattito fa crescere la società. Qualche domanda sugli intellettuali e la Sardegna di oggi
Dopo la (breve) sosta estiva, riprende l’appuntamento con i post del martedì che, oltre che su questo blog, vengono anche pubblicati sui siti della della Fondazione Sardinia, su Tramas de Amistade e su Vitobiolchini.
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Settembre, è il momento di ripartire. L’antico calendario agricolo rivive in noi, nella voglia innata che abbiamo di riprendere le nostre attività con nuovo vigore. Ma è anche il momento di scegliere cosa fare ancora e cosa non fare più. È il momento di immaginare il futuro.
Il bilancio individuale diventa progetto collettivo per chi, in un modo o in un altro, ha deciso di mettere la propria attività intellettuale al servizio della comunità.
(L’intellettuale, dunque, o vive in un sistema di relazioni o non è tale. Esiste oggi in Sardegna questo sistema di relazioni? È abbastanza ampio, ramificato, diffuso, riconosciuto? Prevalgono le aperture o le chiusure?).
A scadenze regolari gli intellettuali pensano di servire a qualcosa, e forse è proprio così. Nelle campagne elettorali, anche soltanto per riempire un programma, la politica ha bisogno di idee, di riflessioni, di ragionamenti in grado di alimentare una realtà possibile. Idee che non possono ovviamente arrivare dal nulla, ma che sono frutto di anni di studio, di confronti, di illusioni e disillusioni, di successi (pochi) e di sconfitte (la maggior parte).
(Gli intellettuali sono coloro che conoscono la strada giusta o forse coloro che più di altri sanno dove si è sbagliato e che errori bisognerebbe non commettere? Perché se così fosse sarebbe chiaro il motivo del sempre più accentuato distacco tra gli intellettuali e la politica, o meglio tra intellettualità critica e politica: perché gli intellettuali che danno ragione alla politica non rimangono mai senza lavoro).
Anche se lo ammette con sempre maggior riluttanza, la politica ha dunque bisogno degli intellettuali, cioè di chi è in grado di collocare un’idea in un tempo (questo) e in uno spazio (il nostro). Ma gli intellettuali sono pronti oggi ad affrontare in maniera dialettica il rapporto con la politica, soprattutto in questi mesi che ci porteranno a rinnovare il nostro Consiglio regionale?
Dei limiti della politica sappiamo tutto, ma quali sono invece i limiti di chi vuole con le proprie idee e le proprie riflessioni migliorare la società? In Sardegna gli intellettuali sono all’altezza dei tempi e delle sfide di oggi?
Per tre mesi a Cagliari si è tenuto un esperimento originale: un gruppo di sei persone (Salvatore Cubeddu, Nicolò Migheli, Piero Marcialis, Fabrizio Palazzari, Franco Meloni e Vito Biolchini), costituitosi in maniera né del tutto casuale né del tutto precisa, ha condiviso riflessioni sulla realtà sarda nel corso di un incontro settimanale dalla durata molto limitata (un’ora circa), tenutosi nella sede della Fondazione Sardinia. A turno ciascuno di essi proponeva la una riflessione scritta che poi veniva condivisa nei blog e nei siti degli altri partecipanti.
(Perché in effetti l’unico criterio con il quale inizialmente si è proceduto è stato questo: era necessario che ogni partecipante avesse un blog o un sito. L’attività intellettuale può essere quindi disgiunta da un’attività di divulgazione delle idee? E quali sono oggi i canali attraverso cui queste idee vengono divulgate? Sono sufficientemente ramificati? Quante persone raggiungono? E con quali ricadute?).
Settembre, è ora di immaginare il futuro, dunque di farsi domande. E se il gruppo di sei persone si allargasse? Se ogni lunedì fossimo in dieci? Ci sarebbero più idee, è vero. Ma come coniugare la maggiore ricchezza di contributi con la necessaria snellezza degli incontri, la cui durata non può certo essere estesa in proporzione ai partecipanti?
E come selezionare i nuovi arrivati? Sempre sulla base di un loro “potere mediatico”? E di quali idee dovrebbero essere portatori i nuovi innesti? Di quelle in cui si riconoscono (seppur con le inevitabili differenze) i sei “fondatori” oppure il confronto sarebbe più proficuo mettendo sul tavolo posizioni anche disomogenee?
Organizzare il dibattito significa contribuire concretamente alla crescita la società. Questo è quello che gli intellettuali possono e devono fare oggi in Sardegna. Prima ancora di lamentarsi dei limiti della politica.
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(Alla fine una decisione è stata presa: il gruppo del lunedì verrà ampliato ad altri tre-quattro blogger, mentre una volta al mese la discussione si aprirà a contributi esterni qualificati, nel corso di incontri che saranno aperti ad un gruppo più ampio di persone).
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Nel sito di Vito Biolchini gli interventi nel dibattito
La qualità delle istituzioni è la qualità delle persone che le costituiscono. Sono pertanto da costruire nuovi adeguati meccanismi di selezione del personale pubblico a livello politico e amministrativo.
La qualità delle istituzioni pubbliche, intesa come capacità di soddisfare i bisogni espressi o impliciti dei cittadini, è uno dei fondamentali fattori di equilibrio e progresso della società. La qualità dipende essenzialmente dalle persone che costituiscono le diverse organizzazioni e che consentono di perseguire in modo adeguato gli obbiettivi delle loro missioni. Quanto a qualità del personale pubblico, politico e amministrativo, in Sardegna, come pure in Italia, non siamo affatto messi bene e le conseguenze negative si conoscono! In questo intervento mi occupo esclusivamente di personale politico, con qualche considerazione anche sul personale amministrativo di vertice, quello soggetto allo spoils system , che ne consente la sostituzione su basi discrezionali da parte degli amministratori, ad ogni rinnovo elettorale. Dunque, in generale il giudizio sulla qualità dell’attuale classe politica non è positivo e non da ora. Assistiamo infatti da almeno un trentennio a un suo progressivo scadimento; fenomeno che possiamo datare, con un certa approssimazione, dalla fine degli anni 80, in coincidenza e correlazione con la crisi delle ideologie e dei partiti che ad esse si ispiravano. I partiti fino a quel tempo produttori di programmi e dotati di personale politico qualificato in grado di attuarli, ma anche capaci di catturare una certa parte delle idee formatesi al loro esterno, sono andati progressivamente perdendo queste capacità, riducendosi sempre più a “macchine elettorali”, con personale politico nominato dalle segreterie centrali (la legge porcellum costituisce al riguardo un esempio eclatante) e in prevalenza sulla base di lealtà verso i capi dei quali garantire la permanenza al potere. Il berlusconismo costituisce una chiara esemplificazione di quanto affermato, anche se non esaurisce il fenomeno nella sua totalità. Nel richiamato passato invece la selezione della classe politica avveniva, nella generalità dei casi, in modo rigoroso, con metodi abbastanza comuni a tutti i partiti quantunque portatori di diverse ideologie e rappresentanti di diversi interessi. Limitando l’esempio ai grandi partiti di massa: la Democrazia Cristiana selezionava i propri rappresentanti attraverso l’Azione Cattolica, le Acli, la cooperazione e il sindacalismo cattolico, così come il Partito Comunista e il Partito Socialista selezionavano fondamentalmente attraverso i sindacati, l’associazionismo e la cooperazione di sinistra. Un ruolo importante nella formazione dei dirigenti e rappresentanti nelle istituzioni lo avevano poi le scuole di partito. In generale il cursus honorum, cioè la carriera del politico, veniva costruita nel passaggio dalle istituzioni minori, via via, a quelle di livello superiore, cioè: dal ricoprire le cariche di consigliere o assessore comunale o provinciale a quelle di consigliere o assessore regionale, fino, eventualmente, agli incarichi parlamentari e di governo. Chi arrivava alle alte sfere era dunque ben rodato; poteva certo capitare qualche smagliatura, cioè che passasse una ridotta percentuale di inidonei al ruolo ricoperto. Oggi le proporzioni si sono decisamente rovesciate. Tutto questo lo paghiamo – e molto caro – rispetto alla qualità della gestione pubblica, costituendo la concausa della decadenza del paese. La descrizione fatta è schematica e non dà conto di consistenti eccezioni, ma corrisponde sostanzialmente alla situazione attuale. A questo punto se non vogliamo cadere nel baratro dobbiamo necessariamente invertire la rotta. E come? Innanzitutto modificando le leggi elettorali, come il vituperato porcellum, che va abolito, aprendole alla partecipazione e consentendo un’effettiva scelta da parte dei cittadini dei propri rappresentanti. A mio parere occorre riconsiderare positivamente i sistemi proporzionali, che consentono una maggiore rappresentanza dei cittadini e, tutto sommato, un più alto tasso di governabilità. Al riguardo la recente legge elettorale sarda è un pessimo esempio, in quanto restringe le opportunità democratiche.
Poi occorre ripristinare la democrazia nei partiti, modificandone la forma attuale, sperimentando inedite configurazioni, che solo i giovani possono assicurare, nella misura in cui sia consentito loro di avere ruoli dirigenti negli stessi partiti, auspicando alleanze generazionali ed equilibri di genere. Quest’ultima circostanza comporta un percorso più lungo e difficile, che tuttavia è possibile praticare da subito. Una parte consistente del rinnovamento passa attraverso l’adozione di adeguati meccanismi di scelta dei rappresentanti nelle istituzioni. Al riguardo ciò che maggiormente può garantire la qualità della classe politica è la possibilità effettiva di esercitare sulla stessa il controllo popolare, in attuazione di principi di trasparenza e partecipazione e con l’utilizzo degli strumenti della democrazia digitale, opportunamente facilitati e generalizzati. Ecco perchè i candidati agli incarichi istituzionali devono essere espressi attraverso serie consultazioni che trovano esplicitazione, non esclusiva, nelle cosidette primarie. Consultazioni aperte e pubbliche quindi per tutte le cariche e per tutti i livelli. Ma non basta: occorrono modalità precise e condivise per raccogliere le candidature e per far conoscere i programmi delle formazioni politiche, dando dimostrazione della adeguatezza dei diversi candidati a ricoprire gli incarichi pubblici. Queste azioni vanno sostenute con il concorso della spesa pubblica, e non sono in alcun modo ascrivibili allo spreco, in quanto contribuiscono ad allargare gli spazi della democrazia.
Calandomi nel concreto, con riferimento alle istituzioni del nostro territorio, regione in primis, per quanto riguarda gli alti incarichi, da assessore a dirigente soggetto allo spoils system, occorre verificare e discutere pubblicamente i curriculum dei candidati, valutando le esperienze effettuate e il loro potenziale innovativo. Che fare allora? Una proposta interessante potrebbe essere quella di prevedere obbligatoriamente (meglio se per legge o regolamento) e comunque da subito, che ciascun candidato a posto di alta responsabilità venga preventivamente sottoposto a valutazione da parte di un’apposita competente commissione, la quale discuta con il medesimo candidato la sua esperienza e con lui si confronti sull’adeguatezza delle qualità tecniche, professionali e relazionali rispetto all’incarico da ricoprire. Le sedute di tali audizioni dovrebbero essere pubbliche e rese accessibili ai cittadini attraverso la televisione e i siti internet istituzionali. Negli Stati Uniti tale procedura è prevista per gli alti incarichi conferiti dal Presidente, che diventano efficaci solo dopo il nulla osta dell’apposita commissione senatoriale. E’ un modello che ha funzionato e funziona. Il Presidente può proporre per alti incarichi pubblici chi vuole, anche suo fratello, ma lo deve sottoporre ad un severo vaglio pubblico, con le modalità accennate. Se la commissione non si convince della bontà della proposta, la stessa viene accantonata con la bocciatura del candidato. Anche l’Unione Europea utilizza una procedura analoga per la conferma dei candidati a commissario europeo. Siffatte procedure applicate, mutatis mutandis, alla casistica italiana farebbero rinunciare molti candidati nel giro di pochi minuti dal colloquio valutativo. Altri invece passerebbero a testa alta, con beneficio della res publica.
Su questi argomenti il dibattito è aperto, ma non si possono ritardare decisioni che devono far prevalere comportamenti virtuosi. Le forze politiche sarde, anche come esercizio di autonomia, si muovano per quanto sanno fare in questa direzione, assumendo le migliori pratiche in vigore nell’ambito europeo ed internazionale. Tutto ciò costituisce un terreno di confronto non secondario anche nella costruzione dei programmi elettorali sardo, italiano ed europeo, che devono contemplare le modalità di gestione virtuosa della cosa pubblica. Anche in questo caso dobbiamo superare un certo provincialismo nella ricerca del meglio, ed è pertinente il richiamo al concetto: la Sardegna e l’Europa si salvano insieme.
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Gli OCCHIALI di PIERO
ROBERTO COTTI
Il senatore del Movimento 5 stelle, Roberto Cotti è nato a Cagliari il 20 aprile 1961, di professione formatore, imprenditore e guida turistica.
Si parla tanto di lui oggi perchè, intervenendo in Senato contro l’acquisto degli F35, ha indossato una giacca (è obbligatorio avere la giacca) coi colori arcobaleno della bandiera della pace, aggirando il divieto di avere bandiere dentro l’aula.
Si è parlato meno, e invece bisogna farlo, del fatto che Cotti è primo firmatario di una proposta di legge che costituisca la Sardegna come collegio unico alle prossime elezioni europee. Finora aggregata alla Sicilia, che ha un numero di elettori quasi 4 volte superiore, la Sardegna rischia di non mandare nessun rappresentante a Bruxelles.
Finora è stata l’unica risposta concreta all’appello che abbiamo lanciato in questo senso io e gli amici Gianni Mascia e Franco Meloni.
Con questi amici e d’intesa con Fondazione Sardinia, Aladin Pensiero, Vitobiolchiniblog, Tramas de Amistade e altri, abbiamo promosso un convegno-confronto pubblico, che si terrà lunedì 16 settembre alle 17,30 presso l’Ostello della Gioventù a Cagliari, Scalette S.Sepolcro: “per la costituzione di una circoscrizione sardegna che garantisca rappresentanti sardi nel prossimo Consiglio d’Europa”.
IL GOVERNO E’ UNO STABILE
All’attico il candido Letta coltiva narcisi e fa la mammo/letta.
All’ultimo piano l’angelico Alfano ha un telefono in mano.
Al piano di sotto, che strano destino, risponde Bonino
e fa l’amareggiata, Alfano: no grazie, per me una kazata.
Al piano segreto lo strano gruppetto fa gli aeroplanini.
Al piano stradale i saggi impegnati a battaglia navale:
F35! colpito e affondato…
Il ministro della fellonia sta studiando la geografia,
lo stato kazako vuol saper dove sia:
E’ una seccatura non sapere dove inviare la fattura.
Al piano terra la ragioneria, lamenta lo stato dell’economia.
Nei sottosuoli il bel Calderoli grugnisce e ruggisce ma non si dimette.
Epifani nervoso, per l’accanimento della terapia, forse va via.
Governo, che inferno! c’è tanto da fare: le tasse aumentare,
i bolli, la benzina, c’è anche il furfantello da perdonare…
Contro i magistrati ci han fatto scioperare…
Per strada Civati raccoglie il dissenso.
Sarebbe ora di dargli una stanza,
è lui che mantiene la residua speranza.
Oppure c’è Barca che affronta il Diluvio:
iscritto recente, ma ha tanti pensieri,
peccato non averci pensato da ieri.
LA POESIA E’ SINTESI E PROFEZIA
Nel 1930 il regista Abel Gance girava a Parigi il film “La fin du monde”
Per creare l’atmosfera di una società alla fine fece rinchiudere nel Velodromo migliaia di comparse, uomini e donne separati, e li privò di cibo e acqua per 24 ore. Poi filmò lo spettacolo allucinante che ne era derivato.
Il 16 e 17 luglio 1942 a Parigi, sotto occupazione tedesca, per ordine del governo di Vichy e del zelante ministro collaborazionista Pierre Laval, furono arrestati 13.152 ebrei, 5.802 erano donne, 4.115 erano bambini tra i 2 e i 15 anni. Furono rinchiusi tutti per alcuni giorni nel Velodromo dello Sport, come nel film di Gance.
L’operazione “Vento di primavera” era guidata dalla polizia francese.
Gli ebrei furono tutti inviati nei lager. Solo 100 sopravvisero.
Sulla vicenda, nel 2010, è stato fatto il film “Elle s’appellait Sarah”.
Pierre Laval alla fine della guerra fu catturato, processato e fucilato.
Nel 1959 i Velodromo è stato demolito.
Il 16 luglio 1995 lo Stato Francese, per bocca di Jacques Chirac, ha riconosciuto il ruolo dello Stato nella persecuzione degli ebrei.
DA SARDI VOGLIAMO ESSERE EUROPEI. Organizziamo la mobilitazione dei sardi per la modifica della legge elettorale (italiana) per avere nostri rappresentanti nel prossimo Parlamento europeo!
Prendiamo spunto da quanto Franco Meloni ha pubblicato su questo blog di Aladin Pensiero e su altri blog sardi, uniti da un recente accordo di collaborazione, Fondazione sardinia, Tramas de Amistade e Vitobiolchiniblog.
Franco premette al suo intervento che “si ripropone con urgenza la modifica della legge elettorale per consentire ai sardi di eleggere propri rappresentanti nel parlamento europeo”.
Con questa affermazione, e con la sostanza della tesi sostenuta da Franco, concordiamo pienamente. E come sarebbe possibile non concordare?
Gli OCCHIALI di PIERO
A TUTTI GLI INTERESSATI
Mi assento fino a venerdì. Venerdì alle 18 potremmo vederci al Municipio di Oristano
per Sa Die de sa Sardigna. Sarò là con Salvatore Cubeddu. Racconterò del 28 aprile 1794. Sabato 27 dalle ore 10 a Cagliari Palazzo viceregio festeggeremo Sa Die ponendoci le 5 domande, quelle del 1794 e quelle di oggi. Per maggiori informazioni vedete nei siti della Fondazione Sardinia, di Vito Biolchini e di Aladinews (Aladinpensiero).
Siate felici intanto, io lo sarò.
Piero Marcialis
L’evento su fb: iscrivetevi!
1812-2012 Arregordendi is martiris de Palabanda
Pubblicato su fb un video di Gianni Loy sulla manifestazione tenutasi il 31 dicembre in occasione della collocazione di due lapidi del Comune di Cagliari (presente anche il sindaco Massimo Zedda) per ricordare i martiri di Palabanda a duecento anni della congiura di popolani e intellettuali sardi contro i piemontesi
Ecco l’indirizzo web per visionare il filmato: in versione integrale http://www.youtube.com/watch?v=NfbMJnBY39U&feature=share – in versione ridotta http://www.youtube.com/watch?v=CRFPx0B4oxY
Approfondimenti: sul sito della Fondazione Sardinia – blog Comitato “Pro Palabanda”