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Europa, Europa… Domani scelte decisive per l’Italia e per l’Europa?

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L’Europa al bivio e le scelte decisive per l’Italia
Rita Castellani e Giovanni Principe
Su Sbilanciamoci, 22 Aprile 2020 | Sezione: Apertura, Economia e finanza
In questi giorni si gioca una partita cruciale per il futuro dell’Italia e dell’Unione Europea. Una rassegna del dibattito in corso e delle possibili soluzioni in campo. E una proposta: un piano nazionale di raccolta sul mercato interno con un’emissione straordinaria di titoli a breve scadenza e tasso zero.
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A questa Europa manca una visione del futuro
21 Aprile 2020
di Salvatore Multinu su il manifesto sardo.
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Ricostruzione. I soldi servono, molti, maledetti e subito
20 Aprile 2020
di Franco Ventroni, su il manifesto sardo.
Recentemente, da europeista convinto, ho criticato la politica finanziaria messa in campo dalla Unione Europea per sostenere l’Italia e altri paesi europei in questo tristissimo momento di crisi epocale, scatenata dal corona virus.[...]
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Accordo Ecofin, che fare?
16 Aprile 2020
di Roberto Mirasola su il manifesto sardo.
Si avvicina sempre più velocemente il 23 Aprile, giorno in cui si riuniranno i capi di governo della U.E., e le notizie che trapelano non sono per nulla incoraggianti.[...]
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Altri approfondimenti sulla rassegna stampa di C3dem, ripresa su aladinpensiero.
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Immigrazione: guardare in faccia la realtà

fiori naufragio-migrantidi Vanni Tola
Ciascuno di noi ha una parte di responsabilità in tutto ciò che accade. E’ inutile e ipocrita chiamarsene fuori con argomentazioni pretestuose. Il colonialismo e la politica di rapina delle risorse dei paesi sottosviluppati e del continente africano, i nostri egoismi individuali e collettivi, le scelte di strategia economica dei paesi occidentali, hanno determinato e alimentano crisi, miseria, guerre. Oggi questi problemi presentano “il conto”. Viviamo e siamo partecipi di un esodo biblico di disperati che cercano condizioni di vita umane nei nostri paesi dopo che, nei loro, si è scatenato l’inferno. Un mare, il Mediterraneo, un tempo “culla di civiltà”, luogo di scambi culturali e commerciali tra culture e popoli diversi, trasformato in sterminato cimitero di esseri umani. L’occidente, i paesi che amano definirsi civili, evoluti, progrediti, devono compiere scelte adeguate alla gravità della situazione, adottare scelte politiche e strategie operative per porre fine agli squilibri che dovranno essere nuove e realmente efficaci. Occorre rimettere in discussione, con serietà e onestà, la ripartizione delle ricchezze mondiali per garantire a tutti condizioni di vita migliori pur sapendo che ciò potrebbe limitare il nostro attuale sistema di vita caratterizzato da ipersfruttamento delle risorse e da sprechi. Occorre infine togliere l’ossigeno alle guerre, a tutte le guerre, a partire degli scontri tribali per arrivare agli scontri tra gli Stati africani, ai diversi focolai di tensione del pianeta, agli scontri interreligiosi. Un passo fondamentale da compiere con la massima urgenza dovrà essere rappresentato dalla drastica limitazione della produzione e del commercio di armi e munizioni mettendo al bando i commercianti di morte e i fomentatori delle guerre. Non si può piangere i morti, applaudire gli appelli del Papa al mattino e nel pomeriggio continuare a vivere favorendo, sia pure indirettamente, la condizione di miseria e sottosviluppo di gran parte del mondo con politiche di rapina e vendita di armi. E soprattutto non si può girare il volto e la mente dall’altra parte e fare finta di non vedere o di non sapere. “Per quanto voi vi crediate assolti, siete lo stesso coinvolti” (F. De André.)
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Come evitare la prossima strage di migranti nel Mediterraneo
[Nel riquadro: Carta di Laura Canali da Chi ha paura del califfo]

Accogliere tutti è impossibile e illogico, persegui(ta)re chi fugge da paesi in guerra anche. Ma qualche soluzione c’è, per l’Europa e per l’Africa.
di Riccardo Pennisi, Limes 21/04/2015

Sulla scala delle innumerevoli crisi con cui l’Europa si trova ad avere a che fare, quella dell’immigrazione attraverso il Mediterraneo è ormai tra le più gravi per le sue proporzioni in termini di persone e di valori morali coinvolti.

Se vogliamo comprenderne le dimensioni reali, non possiamo trascurare alcuni dati. Il primo è certamente quello della consistenza inedita dei flussi migratori: tanto grandi che non solo l’Italia, ma l’intera Europa non ne ha mai visti di simili nella sua storia recente. Per quanto i singoli Stati possano credere bene di intervenire promulgando leggi aspre e repressive, o pensare di impiegare armi e soldati per blindare il confine marittimo, il numero di persone disposte a rischiare di morire per arrivare nel nostro continente non diminuirà. Lo si comprende osservando una mappa del mondo: attorno all’Europa si sono moltiplicati gli scenari di crisi, le guerre, le guerre civili, le carestie – un cambiamento spesso dovuto proprio alla goffa diplomazia o agli errori di calcolo strategico dei singoli Stati europei. Mali e Algeria, Sahel, Libia, Darfur e Corno d’Africa; Siria, Iraq e Afghanistan: lasciarsi alle spalle questi inferni vale qualsiasi pena e qualsiasi spesa.

Il crollo di molti Stati e apparati amministrativi conseguente a queste crisi agevola i trafficanti di esseri umani: il tragitto attraverso il Sahara o per le rotte del Medio Oriente e l’imbarco dalle coste mediterranee avvengono in assenza quasi totale di controlli; inoltre, i vari gruppi che si disputano la signoria sui territori di passaggio utilizzano i migranti come succosa e facile fonte di reddito.

Ad esempio, a occuparsi della sorveglianza sui 600 km di coste della Tripolitania libica – una zona caduta sotto il controllo delle forze ribelli al governo appoggiato dagli occidentali, che ha sede nell’altra parte del paese – ci sono solo due navi-vedette di stanza nel porto di Misurata, per metà devastato dalla guerra. Altre quattro navi sono in mano all’Italia che doveva riequipaggiarle, grazie a un accordo con il governo libico, ma non le ha ancora restituite perchè non c’è alcuna certezza del vero uso che ne verrà fatto.

Proprio il crollo della Libia subito dopo il rovesciamento del dittatore Mu’ammar Gheddafi fa sì che il paese sia diventato lo sbocco ideale per traffici illeciti di ogni tipo, e che i flussi migratori vi si concentrino, privilegiando la rotta su Lampedusa piuttosto che quelle dal Marocco o dall’Algeria al sud della Spagna, o dalla Turchia alle isole greche.

Il record di sbarchi registrati in Italia lo scorso anno (150 mila rifugiati e migranti tratti in salvo secondo l’Unhcr) si prepara a essere battuto nel 2015: l’Alto commissariato dell’Onu per i rifugiati certifica già più di 30 mila arrivi in Italia e Grecia a metà aprile – cifra destinata a crescere con lo stabilizzarsi delle condizioni metereologiche: fonti libiche raccolte da Le Monde parlano di 300-700 uomini in partenza quotidianamente nelle giornate di bel tempo.

Gli Stati dell’Unione Europea hanno finora affrontato la questione come un fenomeno stagionale. L’operazione Mare Nostrum costava a Roma 9 milioni al mese, e secondo Human Rights Watch ha soccorso un totale di 100 mila persone. Tuttavia, data l’indisponibilità italiana a contrastare in solitudine un fenomeno che riguarda tutto il continente e la convinzione che una missione meno “generosa” scoraggiasse i migranti, i membri dell’Ue si sono accordati su un suo surrogato.

Sotto il nome di Triton, al costo di 3-5 milioni al mese spalmati sui 28 Stati contribuenti, l’operazione europea in vigore da novembre si limita al pattugliamento, e non alla ricerca e al salvataggio come in precedenza. La sua inefficacia, riconosciuta in febbraio anche dal commissario del Consiglio d’Europa per i Diritti umani Nils Miuznieks, è tristemente provata dal numero di morti registrati negli ultimi mesi, di cui la strage di domenica è solo l’episodio più evidente.

Cosa fare dunque? Considerando che la nostra frontiera è il mare e che non possiamo costruirci sopra un muro come hanno fatto gli Stati Uniti con il loro confine messicano, il modo in cui gli europei si misurano con questo epocale fenomeno dovrebbe cambiare attraverso una nuova assunzione di responsabilità, una revisione degli strumenti di intervento e un piano strategico di medio e lungo periodo. Il regolamento europeo di Dublino, finora in vigore, obbliga a che i migranti chiedano asilo nel paese di approdo: in questo modo l’onere di provvedere alle necessità delle persone soccorse ricade sempre sugli stessi paesi rivieraschi del Mediterraneo, nella proporzione del 70% sul totale dei rifugiati dell’Ue. La destinazione dei migranti è invece nella maggior parte dei casi Germania, Gran Bretagna, Svezia o Norvegia: Stati da cui è giusto pretendere un maggiore coinvolgimento.

Inoltre, l’Ue deve rivedere il suo atteggiamento nei confronti del Nord Africa. La stabilizzazione di tutta l’area deve diventare una priorità sulla quale avere il coraggio di investire risorse, così come una cooperazione allo sviluppo politico-civile che vada oltre il mero riconoscimento delle elezioni (che di per sé non certificano l’esistenza di uno Stato democratico) allargandosi al sostegno dei soggetti che con la loro attività rendono il pluralismo e la partecipazione una prassi diffusa. Risulterebbe difficile, altrimenti, ottenere una collaborazione allo stesso tempo efficace e umanitaria da Stati come l’Egitto, attraversati da moltissimi flussi di passaggio, o la Libia, molo di partenza per eccellenza.

Una collaborazione reciproca che è necessario mettere in pratica con pragmatismo e preparazione: l’impossibilità politica dell’accoglienza in ogni caso e per tutti e l’illogicità dell’opzione repressiva di chiusura dimostrano il fallimento degli approcci ideologici o estemporanei finora adottati.

Senza la collaborazione della Libia, attualmente uno Stato-fantasma, si va poco lontani. La cooperazione con i paesi a lei vicini è necessaria per sorvegliare le rotte percorse dai migranti fino al mare e per smantellare le reti di traffico di esseri umani che le utilizzano; la distruzione dei mezzi di trasporto usati dai criminali, proprio come avviene con l’operazione antipirateria Atalanta al largo della Somalia, potrebbe essere un buon inizio.

La chiusura delle frontiere in Europa provoca un aumento della clandestinità: sarebbe dunque meglio estendere la possibilità di chiedere asilo anche nei paesi nordafricani, e direttamente dai paesi nordafricani per tutti i paesi europei – magari armonizzando le politiche attualmente sbilanciate dei singoli Stati Ue in materia di status di rifugiato e asilo politico. Il peso delle richieste di asilo su Grecia, Malta e Italia dovrebbe essere sostenuto economicamente e amministrativamente da tutte le capitali europee.

Infine, le regole di ingaggio di Triton dovrebbero almeno essere riportate a quelle di Mare Nostrum, in attesa di costruire una maggiore integrazione con le forze di salvataggio e sorveglianza nordafricane – perchè non siano semplice assistenza in mare ma permettano anche un migliore contrasto al traffico di esseri umani. A tal fine l’Europa dovrebbe dotarsi di quella politica comune sull’immigrazione che finora gli Stati, gelosi delle loro prerogative nazionali, hanno rifiutato di concedere a Bruxelles. In mancanza di questa, l’Ue potrà solo continuare a stilare liste di buoni propositi.

Sulla sponda nord del Mediterraneo l’immigrazione continua ad essere usata con successo dai partiti populisti ed eurofobici proprio come prova dell’inefficacia e dell’inutilità dell’Unione Europea. Sulla sponda sud, non solo il crimine organizzato la utilizza come fonte di profitto e serbatoio di reclutamento, ma anche il terrorismo comincia a vedere il potenziale destabilizzante del fenomeno.

Non è la prima volta che l’esitazione e il cinismo degli europei aggravano problemi comuni a tutti i paesi del continente
, sui quali si preferiva distogliere lo sguardo; in questo caso, non è difficile prevedere un’evoluzione ancora peggiore della già tragica situazione attuale, in assenza di adeguate soluzioni.

in giro con la lampada di aladin su Europa Europa, Sardegna Sardegna

aladin-lampada3-di-aladinews312La vera sfida è in Europa
- I rischi per il Governo. Beniamino Moro su L’Unione Sarda del 14 luglio 2014
F35:Cotti (M5S)parla con giacca della pace,interviene Grasso- Riforme, in Senato Cotti (M5S) parla in campidanese e sventola i 4 Mori
Articolo pubblicato il 14 luglio 2014 su SardiniaPost

Repetita iuvant

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europa di fedrica
di Franco Meloni e Vanni Tola*
dall’Archivio di Aladin
Lo abbiamo segnalato più volte, lo sentiamo nell’aria e ce lo ha confermato una recente indagine demoscopica: l’Europa non tira! Nel senso che sempre meno costituisce per i cittadini europei un riferimento positivo di possibile miglioramento. La sua immagine è offuscata dall’incapacità che hanno avuto le istituzioni dell’Unione Europea di fronteggiare la crisi economica, mettendo in essere politiche recessive che l’hanno aggravata. La Grecia soprattutto, ma anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia permangono nelle difficoltà economiche e il quadro sociale in termini di benessere delle popolazioni e livello di occupazione, specie giovanile, peggiora. Le drammatiche vicende ucraine ci dicono poi quanto sia inconsistente l’Europa come soggetto politico, oggi incapace di orientare le politiche degli Stati, neppure di quelli della stessa area geografica. Segnali inquietanti di una possibile degenerazione di questa situazione sono il fatto che rialzino la testa e crescano in consenso popolare i movimenti e i partiti xenofobi, razzisti e di estrema destra, a fronte dei quali non corrisponde una sufficiente crescita di aggregazioni progressiste che sappiano proporre politiche alternative a quelle dei governi dominanti, verso i quali va principalmente rivolta la critica per questa situazione, soprattutto quindi nei confronti dei partiti moderati che prevalgono alla guida dei governi europei, ma anche dei partiti socialdemocratici che governano in alcuni paesi o che comunque praticano uguali politiche economiche anche attraverso le cd larghe intese. Per non deprimerci evidenziamo anche i segnali positivi rappresentati da vari nuovi movimenti che si propongono, seppure in misura tuttora insufficiente, e attualmente con inferiore incisività rispetto alle formazioni della destra, ma significatamente in crescita. Tra i quali vogliamo mettere in evidenza i movimenti nazionalitari che attraverso vie democratiche combattono per l’autodeterminazione di popoli con identità nazionale ma privi di Stato, come gli scozzesi, i catalani e i baschi e, al livello trasversale il movimento che si va aggregando intorno alla proposta del leader greco Alexis Tsipras, animatore della Lista L’Altra Europa con Tsipras, per la quale si sta lavorando alacremente in Italia.
Le prossime elezioni europee per l’elezione del Parlamento Europeo, che per l’Italia si terranno domenica 25 maggio, a detta di alcuni osservatori saranno in grande misura disertate dai cittadini europei. Tuttavia si ha ragione di credere che parte di questo probabile astensionismo sarà ridotto dalla presenza delle liste indipendentiste e dalle liste con riferimento Tsipras.
Ma parliamo della situazione sarda.
Scrive Adriano Bomboi in un articolato intervento sul sito Sa Natzione, critico sulle posizioni di Sardegna Sostenibile e Sovrana e sulle “conclusioni” del convegno organizzato di recente dalla stessa associazione che hanno visto la possibile convergenza di importanti componenti dell’area indipendentista/sovranista (così come di Sel e della Federazione della Sinistra) con la Lista Tsipras “… per le elezioni europee non siamo pronti, non ci sono le condizioni e tutta la galassia politica autonomista e indipendentista rimane frammentata e scoordinata. Men che meno in questo frangente storico bisogna considerare seria la proposta di ideologizzare a sinistra un qualsivoglia progetto politico sovranista unitario, sia in un ottica regionale che europea…”. Io invece non credo che l’inserimento nella Lista L’Altra Europa con Tsipras di uno o più candidati dell’area Indipendentista/sovranista determini una “ideologizzazione” del progetto di quest’ultima, proprio per la caratteristica aperta della Lista. Anzi l’inserimento ben visibile dei candidati sardi dell’area ne proverebbe l’apertura, allargandola. Proprio perchè altre soluzioni non sono pronte, questa della Lista Tsipras va praticata. L’alternativa è una sana e onesta astensione, organizzata come esplicita posizione politica (anche come critica alla quasi impossibile costituzione della circoscrizione elettorale autonoma sarda, per colpa soprattutto di Pd, Pdl-FI). Per quanto mi riguarda all’astensione preferirei un voto alla Lista Tsipras, sperando nell’auspicato accordo.
Certo va ribadito quanto scritto pochi giorni fa su questo sito da Vanni Tola, a nome della redazione di Aladin, e cioè che avremo voluto Michela Murgia a capo di questa aggregazione sarda all’interno della Lista Tsipras, ma questa opportunità sembra ormai tramontata e non possiamo che prenderne atto, seppure con rammarico. Giova però al di là della persona o delle persone che dovranno rappresentarci riportare le motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a impegnarci e a sollecitare un impegno dei sardi per la Lista Tsipras.
Ripetiamo
La Sardegna non può immaginare alcun tipo di futuro, alcuna prospettiva politica e di sviluppo, prescindendo dalle scelte del Consiglio Europeo che tanta parte hanno negli indirizzi di politica economica e nelle scelte legislative dei paesi aderenti all’Unione. Ne può essere indifferente per i Sardi il fatto che in Europa si affermi questa o quella visione del tipo di Unione da realizzare. Non è indifferente per noi che, con le prossime elezioni europee, si riconfermino le scelte neoliberiste del blocco politico-economico rappresentato dalla Cancelliera Anghela Merkel o che prevalgano altre strategie che favoriscano una visione differente dell’Unione e sappiano tenere conto delle problematiche specifiche dell’area mediterranea. A meno che non ci si vada a collocare in quell’area politica che fonda le proprie scelte sul rifiuto radicale della logica stessa di Unione europea in nome dello statalismo e del nazionalismo ben rappresentata dalla destra europea e, nel nostro paese, dalla Lega, da Forza Italia e dal “grillismo”. Una partecipazione attiva e unitaria dell’area indipendentista e di tutti i sardi al dibattito su quale Europa realizzare, sulle scelte di indirizzo economico e politico del vecchio continente, sulla necessità di completare il processo di unificazione europea superando i limiti dalla sola unione monetaria e bancaria, è necessaria, direi prioritaria in questo particolare momento politico. Sono anche fatti nostri. In questo senso andrebbe analizzata con grande attenzione la possibilità di aderire alla lista Tsipras che nasce come proposta della sinistra europea ma si presenta con un programma di grande apertura a tutte le forze progressiste d’Europa e con dei contenuti sui quali è facilmente raggiungibile un ragionevole consenso, a prescindere dalla differente formazione e posizione politica di ciascuno.
bicicletta Tsipras Vanni
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* viene ripubblicato, con alcune lievi modifiche, l’articolo già pubblicato su Aladin il 2 marzo 2014
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Ecco perchè non ci convincono
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Da un articolo su Aladin dell’8 aprile 2014
(…) Le dichiarazioni programmatiche del presidente Pigliaru hanno due “deficit politici”, di fondamentale importanza, che attengono uno alla sardità e l’altro all’europeismo. Tratto queste due questioni in maniera intrecciata, come è giusto che sia. Non è pensabile che il programma del presidente (e della sua coalizione), così come è attualmente formulato, prescinda da una esplicita visione del posizionamento istituzionale della Sardegna, oggi e in prospettiva, in Italia e in Europa. Al riguardo è vero che Pigliaru non poteva sollevare la bandiera dell’indipendentismo o del sovranismo che lo vuole praticare anticipatamente (gli indipendentisti e i sovranisti sono pur sempre una minoranza, seppure importante, della coalizione di centro sinistra), ma la visione che sottende il documento appare francamente riduttiva, niente altro di diverso da un “autonomismo sbiadito”, che non ci porta molto lontano. Pigliaru si guarda bene dal pronunciare parolacce quali indipendentismo e sovranismo e neppure federalismo, utilizza in un passaggio il termine “sovranità” nell’accezione di auto-responsabilità (cito testualmente: “…il principale esercizio di sovranità cui vogliamo dedicare tutta le nostre capacità ed energie, è un’essenziale assunzione di responsabilità verso cui orientiamo la nostra azione di governo”). Non basta certo! Specie nell’attuale momento storico, che ha necessità di una Sardegna rinnovata, anche nelle sue istituzioni, consapevole delle proprie risorse e potenzialità, capace quindi di un suo protagonismo, indispensabile per sopravvivere nel quadro degli attuali rapporti di forza tra entità territoriali (nel confine statuale e in quello europeo). E’ solo in questo quadro, che, come detto, richiede anche una nuova struttura istituzionale della regione, che credo possa iscriversi, come alcuni chiedono: un auspicabile progetto organico di trasformazione e sviluppo, insomma un “nuovo piano di rinascita” della Sardegna. Per fare tutto questo non si può prescindere da una politica sulla lingua sarda, sull’identità sarda, sull’università della Sardegna… in definitiva su chi siamo noi sardi e chi vogliamo o vorremo/vorremmo essere. E, allora: è possibile che Pigliaru non parli della nuova costituente statutaria, a cui siamo tenuti anche in virtù degli esiti referendari sardi? E’ possibile che parli dell’Europa sostanzialmente come vincolo per la nostra economia, come purtroppo è, ma che non necessariamente deve continuare ad essere, o, ancora, come bancomat per prelevare tutte le risorse finanziarie possibili? Importante ma terribilmente riduttivo. E’ possibile che parli d’Europa senza fare cenno all’incredibiie situazione di discriminazione politica dei sardi, impossibilitati, per ottusa e incostituzionale legge italiana (modificabile domani se solo ci fosse la volontà politica dei grandi partiti italiani) ad avere propri rappresentanti nel parlamento europeo? Si chieda Pigliaru se, per fare un esempio, le stesse nostre difficoltà di utilizzare pienamente e con efficacia i fondi europei siano solo problemi organizzativi e di preparazione del personale tecnico, amministrativo e anche politico. Come pur è vero, ma non sono spiegazioni sufficienti a dare conto della situazione. Credo infatti che questo come tanti altri problemi non possano essere disgiunti da uno, più pesante di tutti: l’incapacità della Regione di esercitare un ruolo politico nel quadro europeo, sia nei confronti dell’Italia che s’interpone tra la regione e le istituzioni europee, sia nei confronti dell’istituzioni europee, direttamente, laddove ciò è possibile, anche attualmente, per esempio per incidere, modificandole o integrandole, sulle politiche europee. Ma di tutto quanto detto Pigliaru non si cura, destando il più che legittimo sospetto che per lui bastino l’onesta, la competenza, la tecnica e la razionalità per risolvere i problemi della Sardegna, minimizzando quello che in realtà è soprattutto un problema di Politica. Si dirà che la coalizione del centro sinistra potrà integrare il programma e precisare l’impostazione data dal presidente. Vedremo e vedremmo. Nel mentre parliamo, scriviamo e sottoponiamo i nostri argomenti al presidente, ai politici, ai cittadini sardi…
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Il tempo che passa non da conto di alcun positiva novità. Anzi…

ECCO IL CATALOGO “EUROPA”

RATTO DI EUROPA Carlo Cignani

BEETHOVEN INNO ALLA GIOIA Ludwig Van Beethoven – Inno alla gioia

Italia e Europa: le sinistre e la sfida del governo

eu 27 mar 14Oggi dalle ore 17.00 alle ore 20.00
Mediateca del Mediterraneo
Via Mameli, Cagliari
INTRODUCE E COORDINA
CARLO DORE JR.,
Coordinatore di Libertà e Giustizia – Circolo di Cagliari
DISCUTONO:
ANDREA DEFFENU
IVANA DETTORI
GIOVANNI DORE
ROMINA MURA
GIANLUCA SCROCCU
LUISA SASSU
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prova con Tsipras
#Tsipras L’Altra Europa con Tsipras
Sardegna e Europa in Aladinews

Ahi serva Europa, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta…

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Ratto d'Europa Giovanni Domenico Cerrini

di Franco Meloni
Lo abbiamo segnalato più volte, lo sentiamo nell’aria e ce lo ha confermato una recente indagine demoscopica: l’Europa non tira! Nel senso che sempre meno costituisce per i cittadini europei un riferimento positivo di possibile miglioramento. La sua immagine è offuscata dall’incapacità che hanno avuto le istituzioni dell’Unione Europea di fronteggiare la crisi economica, mettendo in essere politiche recessive che l’hanno aggravata. La Grecia soprattutto, ma anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia permangono nelle difficoltà economiche e il quadro sociale in termini di benessere delle popolazioni e livello di occupazione, specie giovanile, peggiora. Le drammatiche vicende ucraine ci dicono poi quanto sia inconsistente l’Europa come soggetto politico, oggi incapace di orientare le politiche degli Stati, neppure di quelli della stessa area geografica. Segnali inquietanti di una possibile degenerazione di questa situazione sono il fatto che rialzino la testa e crescano in consenso popolare i movimenti e i partiti xenofobi, razzisti e di estrema destra, a fronte dei quali non corrisponde una sufficiente crescita di aggregazioni progressiste che sappiano proporre politiche alternative a quelle dei governi dominanti, verso i quali va principalmente rivolta la critica per questa situazione, soprattutto quindi nei confronti dei partiti moderati che prevalgono alla guida dei governi europei, ma anche dei partiti socialdemocratici che governano in alcuni paesi o che comunque praticano uguali politiche economiche anche attraverso le cd larghe intese. Per non deprimerci evidenziamo anche i segnali positivi rappresentati da vari nuovi movimenti che si propongono, seppure in misura tuttora insufficiente, e attualmente con inferiore incisività rispetto alle formazioni della destra, ma significatamente in crescita. Tra i quali vogliamo mettere in evidenza i movimenti nazionalitari che attraverso vie democratiche combattono per l’autodeterminazione di popoli con identità nazionale ma privi di Stato, come gli scozzesi, i catalani e i baschi e, al livello trasversale il movimento che si va aggregando intorno alla proposta del leader greco Alexis Tsipras, animatore della Lista L’Altra Europa con Tsipras, per la quale si sta lavorando alacremente in Italia.
Le prossime elezioni europee per l’elezione del Parlamento Europeo, che si terranno dal 22 al 25 maggio, a detta di alcuni osservatori saranno in grande misura disertate dai cittadini europei. Tuttavia si ha ragione di credere che parte di questo probabile astensionismo sarà ridotto dalla presenza delle liste indipendentiste e dalle liste con riferimento Tsipras.
Ma parliamo della situazione sarda.
Scrive Adriano Bomboi in un articolato intervento sul sito Sa Natzione, critico sulle posizioni di Sardegna Sostenibile e Sovrana e sulle “conclusioni” del convegno organizzato di recente dalla stessa associazione che hanno visto la possibile convergenza di importanti componenti dell’area indipendentista/sovranista (così come di Sel e della Federazione della Sinistra) con la Lista Tsipras “… per le elezioni europee non siamo pronti, non ci sono le condizioni e tutta la galassia politica autonomista e indipendentista rimane frammentata e scoordinata. Men che meno in questo frangente storico bisogna considerare seria la proposta di ideologizzare a sinistra un qualsivoglia progetto politico sovranista unitario, sia in un ottica regionale che europea…”. Io invece non credo che l’inserimento nella Lista L’Altra Europa con Tsipras di uno o più candidati dell’area Indipendentista/sovranista determini una “ideologizzazione” del progetto di quest’ultima, proprio per la caratteristica aperta della Lista. Anzi l’inserimento ben visibile dei candidati sardi dell’area ne proverebbe l’apertura, allargandola. Proprio perchè altre soluzioni non sono pronte, questa della Lista Tsipras va praticata. L’alternativa è una sana e onesta astensione, organizzata come esplicita posizione politica (anche come critica alla quasi impossibile costituzione della circoscrizione elettorale autonoma sarda, per colpa soprattutto di Pd, Pdl-FI). Per quanto mi riguarda all’astensione preferirei un voto alla Lista Tsipras, sperando nell’auspicato accordo.
Certo va ribadito quanto scritto pochi giorni fa su questo sito da Vanni Tola, a nome della redazione di Aladin, e cioè che avremo voluto Michela Murgia a capo di questa aggregazione sarda all’interno della Lista Tsipras, ma questa opportunità sembra ormai tramontata e non possiamo che prenderne atto, seppure con rammarico. Giova però al di là della persona o delle persone che dovranno rappresentarci riportare le motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a impegnarci e a sollecitare un impegno dei sardi per la Lista Tsipras.
Ripetiamo
La Sardegna non può immaginare alcun tipo di futuro, alcuna prospettiva politica e di sviluppo, prescindendo dalle scelte del Consiglio Europeo che tanta parte hanno negli indirizzi di politica economica e nelle scelte legislative dei paesi aderenti all’Unione. Ne può essere indifferente per i Sardi il fatto che in Europa si affermi questa o quella visione del tipo di Unione da realizzare. Non è indifferente per noi che, con le prossime elezioni europee, si riconfermino le scelte neoliberiste del blocco politico-economico rappresentato dalla Cancelliera Anghela Merkel o che prevalgano altre strategie che favoriscano una visione differente dell’Unione e sappiano tenere conto delle problematiche specifiche dell’area mediterranea. A meno che non ci si vada a collocare in quell’area politica che fonda le proprie scelte sul rifiuto radicale della logica stessa di Unione europea in nome dello statalismo e del nazionalismo ben rappresentata dalla destra europea e, nel nostro paese, dalla Lega, da Forza Italia e dal “grillismo”. Una partecipazione attiva e unitaria dell’area indipendentista e di tutti i sardi al dibattito su quale Europa realizzare, sulle scelte di indirizzo economico e politico del vecchio continente, sulla necessità di completare il processo di unificazione europea superando i limiti dalla sola unione monetaria e bancaria, è necessaria, direi prioritaria in questo particolare momento politico. Sono anche fatti nostri. In questo senso andrebbe analizzata con grande attenzione la possibilità di aderire alla lista Tsipras che nasce come proposta della sinistra europea ma si presenta con un programma di grande apertura a tutte le forze progressiste d’Europa e con dei contenuti sui quali è facilmente raggiungibile un ragionevole consenso, a prescindere dalla differente formazione e posizione politica di ciascuno.
lista tsipras logo
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Marina Spinetti2A proposito della situazione in Ucraina. Un commento di Marina Spinetti, tratto dalla sua pagina fb

Mentre Schulz dice che “bisogna dialogare con i neonazisti di Svoboda”, io ho molta paura di questa guerra e di questa Europa. Europa delle banche e dei mercati, che prepara guerre, si nutre di ingiustizie e vuole dialogare con chi non crede nei valori di democrazia e solidarietà. Non era nata per questo.
Perché è chiaro che quanto succede in Ucraina non sono manifestazioni di protesta, di lotta politica. E’ guerra. Ed è la terribile e purtroppo logica conclusione della degenerazione irreversibile del progetto democratico europeo, di quell’Europa che ha incoraggiato, preparato e forse finanche finanziato tutto questo.
America e Europa sono in crisi, e la guerra è sempre stato il modo migliore per occultare le crisi.

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actassemblea lista tsipras 2 3 14
DECLARATION FINALE DELL’ASSEMBLEA DEL 2 MARZO
SCRITTO DA ACT (Agire, Costruire, Trasformare) Lista L’Altra Europa con Tsipras

Agire, Costruire, Trasformare. Prende avvio con l’assemblea nazionale del 2 marzo il difficile e entusiasmante cammino politico di un’intera generazione: studenti, inoccupati, stagisti e tirocinanti, lavoratori precari ma anche reti locali, circoli di partito, attivisti di associazioni sociali. Convintamente a sostegno della lista unitaria “l’Altra Europa per Tsipras” abbiamo l’obbiettivo di dare corpo al mandato programmatico europeo con il quale ci confronteremo il 25 e 26 maggio, che tenga conto delle istanze sociali e politiche di cambiamento di una intera generazione.

La sfida della candidatura Tsipras è un atto di rinnovamento radicale e realmente alternativo, che innanzitutto rifiuta le ambiguità e le timidezze di gran parte della socialdemocrazia nell’affrontare temi centrali quali i diritti e la protezione sociale, e le cui politiche sono risultate fallimentari, finendo con il favorire la concentrazione della ricchezza nelle mani di un’esigua oligarchia industriale e finanziaria.

Sul piano economico abbiamo assistito all’imporsi di decisioni che riguardano milioni di cittadini europei, decisioni prese da organismi non rappresentativi (Bce, Fmi e Commissione europea) forti dell’appoggio di singole cancellerie (soprattutto quella tedesca) che hanno ridotto le questioni puramente contabili a questioni morali, ignorando, per pura convenienza economica, il nefasto impatto sociale che tali misure hanno prodotto in questi ultimi anni.

Allo stesso tempo, nei singoli paesi si sono formati governi di “grande coalizione” che aggirano, per non dire ignorano del tutto, il verdetto delle urne, e al tempo stesso parlamenti silenti accettano quasi nell’indifferenza generale manomissioni nelle proprie carte costituzionali. Un’ulteriore evidenza della fragilità dei diritti democratici si esprime nella diffusione di strategie repressive nella gestione dei conflitti che animano le piazze di tutta l’Europa. Infatti, i governi, ma anche i partiti stessi, hanno finora affrontato tali rivendicazioni escludendo qualsiasi forma di dialogo con i movimenti, le associazioni, riducendo la gestione della protesta a un problema di ordine pubblico, senza mai mettere in discussione il proprio operato. Ed è proprio con la necessità di riaprire il perimetro della sinistra al contributo di nuovi soggetti del conflitto che si misura la sfida di Tsipras.

Crediamo che l’Europa sia l’unico luogo dove si possa preservare un modello sociale, dove si possano proteggere i cittadini dalle pressioni della globalizzazione, dove si possano compiere quegli investimenti volti al progresso, al miglioramento delle condizioni di vita, all’energia verde, alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma questa Europa non può raggiungere nessuno di questi obiettivi senza un’inversione di rotta nel processo d’integrazione e in particolare nella strategia complessiva della politica economica europea. Dobbiamo dunque da una parte riaprire una discussione complessiva sull’architettura istituzionale europea, che metta al centro di una nuova unione, istituzioni rappresentative come il parlamento e i rappresentanti di regioni e parti sociali, riduca il peso dei governi nazionali, sperimenti pratiche di partecipazione democratica sempre più avanzate. Dall’altra è fondamentale lo fine delle politiche di austerità. Serve una riforma dei trattati per arrivare a modificare le regole esistenti della governance economica. C’è bisogno di un bilancio europeo (basato su delle risorse proprie e adeguate, derivanti da una patrimoniale europea, da una tassa sulle transazioni finanziarie e da imposte ambientali) per un nuovo modello di sviluppo basato sulla giustizia sociale e ambientale. Occorre modificare gli obiettivi fiscali del fiscal compact e del six-pack, per ridare margini di manovra agli stati membri soprattutto per favorire investimenti produttivi. Per accelerare la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio si deve incentrare un green new-deal europeo su un grande piano di investimenti su scala europea da finanziare attraverso obbligazioni emesse dalla Banca Europea per gli Investimenti o da un Fondo europeo creato appositamente per questo fine Occorre inoltre un piano straordinario per l’occupazione giovanile che migliori la transizione dalla formazione al lavoro e che incentivi l’occupazione non precaria

Il tema dell’occupazione, del welfare e della lotta alla precarietà è per noi assolutamente fondamentale, sia per il legame che ha con la nostra esperienza di vita quotidiana sia per la centralità che ha nel presente e nel futuro dello sviluppo in Europa. Per questo riteniamo prioritari la fine delle politiche di austerità e il rilancio di politiche di investimento pubblico nell’economia per la creazione di nuova e buona occupazione. Oggi le politiche europee sull’occupazione giovanile sono emergenziali, sottofinanziate, prive dei criteri e dei vincoli necessari a renderle efficaci. Serve un lungo processo di rilancio, ristrutturazione e armonizzazione delle politiche attive del lavoro, dai centri per l’impiego agli ammortizzatori sociali. Se l’obiettivo è quello di colmare il divario dei diritti da una parte tra lavoratori tradizionali e atipici, dall’altra tra lavoratori di altri paesi, la lotta al dumping sociale deve diventare una priorità, attraverso la costruzione uno spazio contrattuale europeo, di uno spazio europeo del welfare, di uno spazio europeo di diritti universali. La lotta alla povertà, all’esclusione sociale, al ricatto della precarietà deve partire da politiche di redistribuzione della ricchezza, ad esempio utilizzando parte dei dividendi delle rendite finanziarie per finanziarie un reddito di base universale.

Rivendichiamo inoltre la centralità dei saperi come motore della trasformazione sociale. La contraddizione che ha attraversato le politiche educative europee negli ultimi decenni, dal processo di Bologna alla strategia di Lisbona, tra internazionalizzazione, convergenza e promesse di economia della conoscenza da una parte, e precarizzazione, privatizzazione e parcellizzazione dei saperi dall’altra, si sta risolvendo nettamente sul secondo di questi poli. È in corso un attacco predatorio ai processi formativi, con l’obiettivo di smantellare i sistemi educativi pubblici per aprire spazi di profitto al credito e ai privati. Questo attacco va fermato attraverso il rilancio degli investimenti pubblici su scuola, università e ricerca. Dobbiamo inoltre rivendicare una cittadinanza europea dei saperi, che preveda l’accesso universale e gratuito alla conoscenza in tutto il continente e livelli standard di diritto allo studio e welfare studentesco in tutti i paesi. Serve una Maastricht dell’educazione che stabilisca criteri e vincoli validi per tutti, per livellare verso l’alto i diritti e l’accesso ai saperi, compresi quelli dei dottorandi e degli stagisti. Serve inoltre aprire un’ampia discussione sul finanziamento della ricerca, che metta in luce i rischi di controllo totalitario, disciplinamento e snaturamento del lavoro di ricerca connessi alla concentrazione sulla Commissione europea dell’intera struttura dei fondi. Va inoltre riaperta la discussione sui TTIP, i testi di libero scambio che rilanciano meccanismi privatistici sul piano della proprietà intellettuale e dei brevetti. È a partire da questi contenuti che intendiamo costruire il nostro contributo alla lista per l’Altra Europa, in un processo che intendiamo lasciare aperto a idee e discussioni nei prossimi messi. È a partire da questi temi che si concretizza il nostro impegno. Partiamo da qui, andiamo avanti, iniziamo ad agire, costruire, trasformare.

Ma l’Europa dov’è?

Bomeluzo-aladinews-UELe problematiche europee: di un’Europa che non piace più alla maggioranza dei cittadini europei, che attua politiche di austerità che riducono alla fame milioni di persone, molto attenta alle esigenze di banchieri, grandi mercanti e euroburocrati e per contro della rivendicazione di un’Europa diversa, quella dei popoli, che si esprima istituzionalmente in forme di federazione… non c’è nulla nei programmi delle coalizioni. L’Unione Europea risulta una sorta di bancomat distributivo di denari. Sconcertante l’assenza della rivendicazione della circoscrizione autonoma della Sardegna per il rinnovo del Parlamento Europeo, con la lodevole eccezione del programma di Sardegna Possibile.aladin-lampada-di-aladinews312

in giro con la lampada di aladin…

aladin-lampada-di-aladinews312In Italia troppa burocrazia
Sardegnaeuropa-bomeluzo-stelle-400x211111- L’Europa in crisi irreversibile?
- L’Europa cenerentola della campagna elettorale
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L’Europa, quasi inesistente nella campagna elettorale sarda. Nei programmi c’è, ma mancano una visione e una politica per il “che fare?”

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DIBATTITO. Mettiamo l’Europa nel confronto elettorale. Verso un’Altra Europa: l’appello degli intellettuali per Tsipras

Sardegnaeuropa-bomeluzo-stelle-400x211111Tsipras alla Commissione Europea, l’appello degli intellettuali
di Paolo Flores d’Arcais

Il Fatto Quotidiano
ha pubblicato questo appello corredato dalle sole firme dei suoi estensori. Nei prossimi giorni sarà resa pubblica anche la lista delle adesioni che si stanno raccogliendo, e che sono già ora, prima ancora del suo lancio, molto numerose e qualificate. Verso un’Altra Europa – segue -

9 maggio festa dell’Europa che vogliamo diversa dall’attuale

bandiera sardaeuropa

Vogliamo l’Europa dei popoli con gli Stati Uniti d’Europa in cui possa iscriversi anche la sovranità della nostra Sardegna!


Europa con Bomeluzo

2103 Anno europeo dei cittadini sui social network

Aladinbozo-UE

La Commissione europea ha dato il via all’Anno europeo dei cittadini. L’inaugurazione ufficiale è stata fatta a Dublino, il 10 gennaio, in occasione dell’apertura del semestre di Presidenza dell’UE dell’Irlanda. In Italia il Dipartimento Politiche Europee curerà e coordinerà le attività di carattere nazionale nonché la promozione delle iniziative regionali e locali, favorendo la partecipazione di tutte le parti interessate inclusa la società civile. Intanto, l’Anno europeo dei cittadini sarà presente sui social network: sia su Facebook che su Twitter è possibile seguire eventi, iniziative, curiosità, approfondimenti e notizie. Si tratta di stabilire un contatto immediato e diretto con i cittadini a cui l’Anno europeo si rivolge.

Seguite dunque!
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Connessione per argomento Cagliari-Europa

9 maggio Festa dell’Europa per un Europa dei popoli

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9 maggio Festa dell’Europa che vogliamo diversa

9 maggio festa dell’Europa, che vogliamo diversa: l’Europa dei popoli

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Vogliamo un’Europa diversa. Vogliamo gli “Stati uniti d’Europa”.

Il 9 maggio si celebra la Festa dell’Europa per ricordare la “Dichiarazione Schuman“, considerata l’atto di nascita del progetto europeo. Le iniziative della Regione Sardegna.