Tag Archives: Enrico Lobina
in giro con la lampada di aladin…
Partiti, istituzioni, Europa: la fiducia va a picco, cittadini sempre più soli. Il Papa unica speranza. Ilvo Diamanti su La Repubblica.
Dall’indagine Demos 2014 emerge una nazione spaesata sfiancata da crisi, fisco e corruzione. Il quadro già negativo del 2013 peggiora ancora. Anche la magistratura in calo – Povera patria.
- Sardegna 2015: ora o mai più. Per Pigliaru, Zedda e i sovranisti un anno cruciale. Vito Biolchini su vitobiolchi.it.
- Due avvenimenti a San Michele-Is Mirrionis: 1) il ritorno dei missionari Saveriani (in via Sulcis, alle pendici del colle San Michele); 2) l’apertura del Circolo politico-culturale ME-TI di via Mandrolisai, coordinatore Nicola Calledda e esponente di spicco il consigliere comunale Enrico Lobina (lettera di Enrico agli abitanti del quartiere e ai cagliaritani tutti).
- Jobs Act e senso dello Stato. Francesco Cocco su Democraziaoggi
- Solo gli stranieri salvano una città di vecchi e soli. Impietosa istantanea scattata dal Comune di Sassari: sempre meno i residenti indigeni. Pochi i figli e fatti sempre più tardi. Aumentano gli immigrati, boom di romeni. Giovanni Bua, su La Nuova Sardegna on line.
in giro con la lampada di aladin…
- I GIGANTI ISSATI SULLE SPALLE DI NANI. Anthony Muroni su L’Unione Sarda on line.
- Di ritorno dai paesi baschi… riflessioni, di Enrico Lobina. EDITORIALE DELLA DOMENICA di Fondazione Sardinia
L’ Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali si dota di uno spazio web per comunicare le sue iniziative e mettere a disposizione informazioni utili e pertinenti
La Fondazione Sardinia ha attivato all’interno del suo sito web uno spazio dedicato all’Osservatorio sulle riforme isituzionali . Il sito è così organizzato:
O.S.R.I.
- Osservatorio Sardo Riforme Istituzionali
- Testi legislativi
- Convegni e Seminari
- Documentazione
- Comunicazioni
- Rassegna Stampa
– segue documentazione OSRI -
Eppur si muove! Le politiche per la giovane impresa… molto da migliorare!
Segnaliamo un interessante articolo di Enrico Lobina, consigliere comunale di Cagliari, sulle iniziative del Comune di Cagliari (come di altre Amministrazioni) per la creazione di nuova impresa (su Il fatto quotidiano, ripreso dal sito e dalla pagina fb di Enrico, nonchè da Aladinews). Non ci illudiamo che le nuove imprese costituiscano una decisiva risposta alla disoccupazione, specie giovanile, se non in una certa misura. Che non conosciamo, proprio perchè mancano le misurazione e valutazioni del fenomeno. Mancano o sono fortemente carenti perfino le misurazioni e valutazioni delle azioni positive fatte dalle Amministrazioni (regionale e locali) sostenute da importanti finanziamenti europei (si tratta di finanziamenti soprattutto del Fondo Sociale Europeo e del FESR, che prevedono cofinanziamenti statali e regionali). Le (poche) valutazioni comunque effettuate e la raccolta delle opinioni di quanti hanno fatto esperienza di creazione di nuova impresa sostenuta da finanzianti pubblici, sebbene frammentarie, mettono in rilievo le criticità e suggeriscono attività di correzione per quanto si deve fare in tempi successivi. Al riguardo, come detto, si fa ben poco e non si riesce allo stato a innescare virtuosi processi di miglioramento. Allora ci auguriamo e auspichiamo un’inversione di rotta, anche dando credito alle dichiarazioni fatte in argomento dal presidente Pigliaru e da suoi competenti assessori. Vogliamo però sottolineare come gli interventi di sostegno all’impresa vedano in campo numerosi soggetti pubblici, tutti tra loro allo stato scollegati, spesso incapaci di dare efficace attuazione alle misure previste dai citati programmi. Ci riferiamo sia alla Regione, sia alle altre Amministrazioni: Comuni, Camere di Commercio, Università… Tutti soggetti che fanno finta di collaborare e che invece nella realtà operano “a compartimenti stagni”. Non possiamo più permettercelo. Noi di Aladin ne parliamo da quando esistiamo. Come prova riportiamo un intervento del 3 febbraio 2013, che dava saggi consigli al Comune di Cagliari e alle altre Amministrazioni, in gran parte finora del tutto ignorati e che crediamo tuttora validi e da proporre. Dunque: monitoriamo, facciamo proposte e pungoliamo. Sono le sole attività che, allo stato, possiamo fare, come facciamo e faremo (f.m. Aladinews).
Quali Sardegne? Dal “triangolo dell’isolamento” verso l’orizzonte della contemporaneità
Nel 1958 Thomas Münster, un ingegnere tedesco, scrive un attento diario di viaggio dei suoi soggiorni in Sardegna intitolato “Parlane bene” (della Sardegna). Si racconta di un’isola da poco entrata nella “modernità” e che ancora porta con sè i segni profondi di un passato lontano, importante e profondo. Segni che a un cittadino europeo del tempo suscitano sensazioni di stupore e affetto miste a preoccupazione. Ne avverte da subito, infatti, la mancanza di senso storico percependo come, nella pur ottima memoria dei Sardi, mancasse una dimensione, come se tutti gli avvenimenti storici fossero visti “come su un dipinto, contemporaneamente e uno accanto all’altro”. E come, a questo senso limitato del tempo, corrispondesse un senso dello spazio anch’esso limitato e allo stesso tempo complesso. Una complessità degli spazi che, ancora oggi, deriva da una geografia difficile, da una memoria “labirintica” e da una storicità composita che fanno dell’isola uno dei rari luoghi in Europa dove coesistono, in stretta prossimità, elementi paleolitici, nuragici, medioevali, moderni o di archeologia industriale.
Spesso questa immagine, appena descritta, corrisponde a quella parte della Sardegna che Nereide Rudas, nel libro “L’isola dei coralli”, ha definito il “triangolo dell’isolamento”, ovvero quell’area che “poggia la propria base sulla costa orientale dell’Ogliastra e della Baronia, abbraccia il massiccio del Gennargentu con le sue propaggini e contrafforti settentrionali e meridionali, include gli altipiani centrali per poi convergere con il vertice dei suo lati verso il Montiferro e la costa occidentale”.
Questa specifica area geografica e culturale, caratterizzata da una bassa demografia e da tassi di isolamento molto elevati, è quella nella quale si distribuiscono, per luogo di nascita, quelli che sono considerati alcuni tra i maggiori autori sardi del Novecento e dove più a lungo si sono conservate la lingua e una cultura autoctona.
Per questi ed altri motivi, legati per esempio alle dinamiche migratorie interne della Sardegna del secondo Dopoguerra o ad altre più squisitamente politiche, economiche e culturali, la narrazione di questa parte della nostra regione è quella che ancora oggi viene di norma considerata come la più autentica.
In altri termini ciò che in questo testo intendo argomentare, con tutta la sensibilità e l’attenzione che il tema richiede, è che a partire dagli anni Cinquanta si sia affermata una narrazione e una rappresentazione dell’isola che ha privilegiato una parte della stessa senza riconoscere altrettanta dignità alle altre Sardegne, che pure esistono, e le cui storie, sistemi valoriali e culturali potrebbero essere di enorme aiuto in quel percorso di costruzione di una unità e di un destino collettivo che ancora è ben lungi dall’essere realizzato.
E’ innegabile infatti come il focus abbia costantemente privilegiato l’interno rispetto alle coste, le zone rurali rispetto a quelle urbane, il mondo agro-pastorale rispetto a quello minerario.
Il caso della Sardegna mineraria è, in questo senso, paradigmatico. Come è stato ricordato da Paolo Fadda (studioso e storico cagliaritano, ndr), nel riflettere sull’epopea mineraria sarda, è davvero incredibile come ancora oggi si continui ad avere una modesta, se non scarsa, valutazione su cosa abbia rappresentato per la Sardegna l’essere terra di miniere.
Spesso infatti la lettura è non dissimile da quella che viene data al processo di industrializzazione del Piano di Rinascita. Si pone (giustamente) l’accento su quanto sottratto, depauperato, inquinato mentre non si riconosce pienamente, con altrettanta determinazione, il valore di entrambe le esperienze. Tralasciando, nel caso minerario, quanta civiltà europea (attraverso il lavoro operaio, la scienza giuridica, la tecnica, l’organizzazione) ci sia stata messa a disposizione e dimenticando importanti elementi simbolici che invece, a mio avviso, dovrebbero essere parte integrante del nostro immaginario collettivo. Penso per esempio al fragore del motore a scoppio della prima auto immatricolata nel 1903 in Sardegna (quello della Decauville 10HP del direttore della miniera di Buggerru) oppure alla luce della prima lampadina elettrica che illuminò una notte sarda (quella che si accese a Monteponi, prima località dell’isola ad essere elettrificata). E’ vero che quelle miniere sono state chiuse, ma ancora oggi quel mondo è protagonista di alcune delle più importanti esperienze europee di recupero della memoria e della cultura mineraria, come testimoniato dal premio del paesaggio del Consiglio d’Europa assegnato nel 2011 alla Città di Carbonia per il progetto “Carbonia Landscape Machine”.
Nel pieno rispetto e riconoscimento del patrimonio culturale, storico e linguistico rappresentato dalla Sardegna “interna” dovremmo a mio avviso incominciare a superare tutte quelle barriere che limitano una piena presa di consapevolezza di tutte le altre Sardegne. Penso per esempio a quelle rappresentate dalle diverse comunità di pescatori delle nostre coste, dalle varianti linguistiche dell’open field cerealicolo campidanese, dalle città di fondazione (di epoca sabauda e di epoca fascista), dalla ricerca scientifica e dalle attività imprenditoriali.
In caso contrario il rischio più grande sarebbe quello di alimentare un identitarismo di maniera che spesso viene praticato sul piano politico e che potrebbe invece essere mitigato provando ad indicare possibili filoni di studio che ci accompagnino in questa contemporaneità.
Sicuramente quel focus di cui si è parlato anteriormente tenderà a spostarsi, già se ne vedono i segnali, dalle zone rurali a quelle urbane e dall’interno all’esterno. In particolare è ragionevole pensare che nel primo caso si concentrerà sulle nuove generazioni degli hinterland di Cagliari e Sassari e, nel secondo caso, sull’emigrazione liquida delle fasce più dinamiche della popolazione sarda che, pur lasciando l’isola, mantengono una relazione continua, fluida e diretta con il territorio e le reti sociali di origine.
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Oltre che su questo sito, questo articolo viene pubblicato anche sui siti Fondazione Sardinia, Vitobiolchini, Tramas de Amistade, Madrigopolis, SardegnaSoprattutto, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra.
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Su Riforma Sullo, “terribile diritto” e precarietà abitativa a Cagliari
di Enrico Lobina
Il 2013 è l’anniversario del tentativo – fallito – di riforma del regime dei suoli, operato dal democristiano Fiorentino Sullo nel 1963. La riforma prevedeva la prevalenza, nella pianificazione urbanistica, dell’interesse generale rispetto a quello privato.
La rendita è un guadagno non legato al lavoro, bensì al semplice possesso di un terreno, che per qualche ragione aumenta di valore. L’aumento è legato al fatto che un PUC stabilisce che in quel terreno, dove prima non si poteva costruire, ora si può. In linea di massima, questo atteggiamento ha fatto del male alle città, a chi ci abita ed al paesaggio.
Fiorentino Sullo voleva riportare quella rendita nella sfera del pubblico, mediante uno schema di appropriazione pubblica della rendita.
Per dare un senso della portata della riforma, si sappia che il tentativo di colpo di stato del generale De Lorenzo, progettato in quegli anni, non aveva come obiettivo principale il centrosinistra dei primi anni sessanta, come molti hanno scritto e sostenuto, bensì la riforma Sullo.
Contro Sullo si scatenò una violenta campagna denigratoria. Il suo partito lo abbandonò e da allora si smise di parlare di riforma del regime dei suoli. Nessuno, a parte il dipartimento di Architettura di Alghero, ricorda lui e quel progetto di riforma.
Ancora oggi sarebbe necessaria una legge su questi temi, che rimetta in discussione il “terribile diritto”, per riprendere una espressione usata, tra gli altri, da Stefano Rodotà e Paolo Carrozza. Il terribile diritto sarebbe la proprietà fondiaria, quando questa diventa un ostacolo alla realizzazione di spazi buoni. Per proprietà fondiaria intendiamo la proprietà sul fondo, sia esso rurale o urbano, così come stabilito dal codice civile.
Le questioni della rendita, dell’urbanistica, dei palazzinari e delle politiche abitative ruotano tutte intorno a questi temi.
Le posizioni che rivendicano il primato dell’interesse generale sull’interesse particolare della rendita vincono se hanno una base sociale e storica che li sospinge. Di questa base sociale e storica fanno parte tutte le vittime della precarietà abitativa.
Il sindaco di Cagliari, in campagna elettorale, raccontava come in Olanda se una persona scopre che una casa è disabitata, e poi nei tre anni successivi rimane disabitata, può entrarvi e utilizzarla come proprio alloggio, se ne ha bisogno.
A Cagliari viviamo una situazione abitativa esplosiva, di cui già si occuparono, spesso con successo, i movimenti per la casa degli anni settanta.
Esistono due Cagliari. La prima Cagliari è quella dei dipendenti pubblici e para-pubblici, delle professioni, i cui figli vanno a scuola e all’università, leggono i blog e i giornali.
C’è, poi, una seconda Cagliari, che non legge i nostri blog, o li legge raramente, la quale spesso è immersa nella precarietà abitativa: poco meno di 1.000 famiglie sono in graduatoria per un alloggio popolare, circa 400 chiedono una casa anche con standard minori ai limiti di legge (case-parcheggio), e secondo l’ultimo censimento sono più di 1.000 le famiglie in coabitazione. Tra case popolari del Comune e di AREA, sono circa 6.000 le famiglie che abitano in alloggi ERP (Edilizia Residenziale Pubblica).
A questo aggiungiamo che secondo il Ministero degli interni nel 2012 gli sfratti in Sardegna sono aumentati del 77%, quasi tutti per morosità incolpevole, cioè una morosità dovuta ad una situazione economica negativa sopravvenuta. Stanno ricominciando le occupazioni, dalle abitazioni dell’Aeronautica militare di Monte Urpinu a tutta l’area di Calamosca. E non solo.
In questo contesto, Cagliari ha più di 5.000 appartamenti sfitti, e interi quartieri (vedi lottizzazione Magnolia, a Genneruxi) dove non abita nessuno.
Intere aree andrebbero recuperate, e moltissimi volumi, attraverso processi di auto-recupero e riqualificazione, restituiti a chi ha diritto ad una casa. Non è costruendo nuovi volumi che si risolve la precarietà abitativa: la storia recente l’ha dimostrato.
È questa la base sociale e politica a cui guardare per discutere del nuovo rapporto tra proprietà privata dei suoli e delle abitazioni, governo del territorio e precarietà abitativa. Altrimenti ogni illuminato, come Sullo e altri che di recente hanno provato a fare politiche simili in Sardegna, sarà spazzato via da chi ha la maggioranza delle leve del potere.
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Ecco i siti/blog in cui sono pubblicati gli interventi concordati dal gruppo In Sardu.
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Il primo intervento di Salvatore Cubeddu
Il secondo intervento di Fabrizio Palazzari
Il terzo intervento di Nicolò Migheli
Il quarto intervento di Vito Biolchini
Il quinto intervento di Franco Meloni
Il sesto intervento di Salvatore Cubeddu
Il settimo intervento di Fabrizio Palazzari
L’ottavo intervento è di Vito Biolchini
Il nono intervento è di Piero Marcialis
Il decimo intervento è di Nicolò Migheli
L’undicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il dodicesimo intervento è di Franco Meloni
Il tredicesimo intervento è di Vito Biolchini
Il quattordicesimo intervento è di Gianni Mascia
Il quindicesimo intervento è di Francesca Madrigali
Il sedicesimo intervento è la lettera di Frantziscu a Efis
Il diciasettesimo intervento è l’odierno di Enrico Lobina
La Sardegna invoca la pace
L’appello contro la Guerra in Siria e un intervento di Enrico Lobina
Vedi Aladinews blog