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Un mare di vergogna

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Newsletter n. 52 del 2 novembre 2021

IL G20 E IL MULTILATERALISMO

Cari Amici,
tra i buoni auspici scaturiti dall’incontro del G 20 che si è tenuto con grande sfoggio di occasioni turistiche a Roma, c’è quello di piantare in giro per il mondo un miliardo di alberi entro il 2030, per calmierare, in modo ben più efficace che mediante il risparmio energetico, l’invasione dell’anidride carbonica nell’atmosfera. Per il resto, a cominciare dalla prospettiva di ridurre il riscaldamento climatico a 1 grado e mezzo entro il 2050 (ma l’India ha già detto che lo farà per il 2070) gli auspici non sono stati resi molto credibili, tanto che il segretario generale dell’ONU, Gutierrez, ha espresso papale papale tutta la sua delusione per i risultati raggiunti. Perciò appare più realistico spostare il bilancio del vertice sul fronte dei sogni, come del resto ha fatto Draghi dicendo che è stato un successo anche solo il poter “ mantenere vivi i nostri sogni” in ciò interpretando puntualmente, ma un po’ troppo letteralmente, la profezia di Gioele: “i vostri anziani faranno sogni, i vostri giovani avranno visioni”.
Quello che è mancato al G 20, che del resto fu inventato nel 1999 a beneficio dei suoi primi 7 membri per dare ali alla finanza mondiale, è stato un progetto globale per il futuro del mondo e la visione dei mezzi atti a conseguirlo; il futuro infatti non è solo clima, ma una buona convivenza umana nell’armonia di culture, lingue e genti diverse, guerre dismesse e giustizia realizzata, universalità di diritti e istituzioni capaci di attuarle, sotto la sovranità riconosciuta di una Costituzione pensata e promulgata per tutta la terra. È vero che il presidente Draghi ha identificato nel multilateralismo lo strumento essenziale per stabilire regole adeguate a questo obiettivo, ma esso non può contrarsi a coinvolgere alcuni, anche se ricchi, e non tutti i Paesi, né può partire col piede sbagliato di una contrapposizione tra pretese egemonie, dando per scontata una conflittualità tra quello che fu l’Occidente e grandi Paesi come la Russia e la Cina, con un mondo “Terzo” a fare da spettatore o complice.
Questi sono i limiti della costruzione di un assetto globale, che rimbalzano da Roma a Glasgow, e questo è il cimento a cui la politica è chiamata a confrontarsi: sogni, visioni, ma anche decisioni responsabili e azioni effettive. A cominciare già oggi, non da ipotetiche date negoziate per il futuro.
In “Biblioteca di Alessandria” pubblichiamo un riassunto delle conclusioni del G20, il cui testo in Inglese si può trovare qui. Nel sito Costituente Terra una notizia sul respingimento dei migranti in Libia e un articolo su una nuova violazione israeliana dei diritti palestinesi.
Con i più cordiali saluti

www.costituenteterra

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Diritti umani, diritto disumano

di Luigi Ferrajoli

1.
La nostra civiltà giuridica e politica rischia di naufragare in un mare di vergogna. La vergogna consiste anzitutto nelle innumerevoli violazioni del diritto internazionale e dei diritti fondamentali stabiliti nella nostra Costituzione e nella Carta europea dei diritti in tema di libertà personale, di diritto d’asilo, di divieto di respingimenti collettivi e di dovere di soccorso in mare. Ma c’è un’altra vergogna, forse ancor più grave perché in grado di minare le basi sociali della nostra democrazia. Essa consiste nel discredito e nella squalificazione, fino alla criminalizzazione, dell’impegno civile, morale e politico di quanti salvano in mare la vita di migranti che tentano di raggiungere il nostro paese e di chi si batte in difesa dei loro diritti e della loro dignità di persone. Questa seconda vergogna della nostra vita pubblica è stata inaugurata, all’inizio di questa legislatura, dalle politiche dell’ex ministro Matteo Salvini, che hanno segnato un salto di qualità nelle forme del populismo. Il vecchio populismo penale faceva leva sulla paura per la criminalità di strada e di sussistenza, cioè per fatti enfatizzati ma pur sempre illegali, onde produrre paura e ottenere consenso a misure inutili e demagogiche ma pur sempre giuridicamente legittime, come gli inasprimenti delle pene decisi con i vari pacchetti di sicurezza. Il nuovo populismo punitivo, esattamente al contrario, fa leva sull’istigazione all’odio e sulla diffamazione di condotte non solo lecite ma virtuose, come il salvataggio di vite umane in mare, al fine di alimentare paure e razzismi e ottenere consenso a misure illegali, come la chiusura dei porti, la preordinata omissione di soccorso, le lesioni dei diritti umani e la trasformazione in irregolari di immigrati regolari.

Ebbene, un penoso contributo a questo nuovo populismo punitivo è venuto, nei giorni scorsi, dalla sentenza del Tribunale di Locri che ha condannato Mimmo Lucano a 13 anni e 2 mesi di reclusione e alla restituzione, lui nullatenente, di 702.410 euro da lui investiti nelle attività dell’accoglienza. È una sentenza assurda. Non si dica che essa è consistita nella severa applicazione della legge, o che dovremmo aspettarne la motivazione per pronunciarci sulla sua insensata crudeltà. Sappiamo benissimo che rientra nella discrezionalità dei giudici sia l’interpretazione delle leggi, sia l’accertamento e la valutazione dei fatti e delle prove, sia la determinazione della misura della pena. Era dunque ben possibile una pronuncia diversa, quanto meno nella durata della pena, che è stata quasi il doppio di quella – 7 anni e 11 mesi – già incredibilmente e scandalosamente alta richiesta dal pubblico ministero. La verità è che ci troviamo di fronte a un eccesso, a un surplus di volontà punitiva, che non si spiega se non con l’intento di pronunciare una sentenza esemplare diretta a penalizzare l’accoglienza dei migranti. Ciò che accomuna questa condanna crudele e il populismo crudele di Matteo Salvini, che da ministro promuoveva le omissioni di soccorso nei confronti dei naufraghi e il linciaggio di Carola Rackete per aver disobbedito ai suoi divieti, è la volontà di criminalizzare la solidarietà e il senso di umanità, quali si manifestano nei salvataggi delle vite in mare dei migranti e nelle politiche di accoglienza messe in atto a sostegno di questi disperati. Mimmo Lucano – è noto a tutti – è diventato un simbolo, a livello mondiale, di un modello di accoglienza dei migranti fondato sulla loro integrazione sociale e sul rispetto della loro dignità di persone. Ciò che si è voluto colpire con questa durezza è stato dunque questo modello. Ciò che con essa si è voluto difendere è tutto ciò che Lucano ha voluto combattere: l’intolleranza per i migranti, la loro diffamazione come terroristi o potenziali criminali, la loro oppressione e discriminazione razzista.

Il danno più grave di queste pratiche istituzionali – delle politiche contro gli immigrati di Matteo Salvini come della sentenza del Tribunale di Locri – è il crollo del senso morale a livello di massa provocato dall’istigazione all’intolleranza nei confronti dei deboli da esse veicolata. È un veleno distruttivo, immesso nella società italiana, che ha abbassato lo spirito pubblico e il senso morale nella cultura di massa, soprattutto dei ceti più deboli. Quando la disumanità e l’immoralità vengono esibite, ostentate a livello istituzionale, attraverso slogan come “prima gli italiani” o “la pacchia è finita” a sostegno dell’omissione di soccorso, oppure con la penalizzazione in eccesso dell’accoglienza e della solidarietà, esse contagiano la società e si trasformano in senso comune. Non sono soltanto legittimate, ma anche assecondate e alimentate. Non capiremmo, senza questo ruolo performativo del senso morale svolto dall’esibizione dell’immoralità al vertice dello Stato, il consenso di massa di cui godettero i totalitarismi del secolo scorso.

Queste politiche crudeli – questo il loro danno civile e politico – hanno avvelenato la società, in Italia e in Europa. Hanno seminato la paura e l’odio per i diversi, solo perché diversi. Hanno logorato i legami sociali. Hanno screditato, con la diffamazione di quanti salvano vite umane, la pratica elementare del soccorso di chi è in pericolo di vita. Hanno svalutato i normali sentimenti di umanità e solidarietà che formano il presupposto elementare della democrazia e, prima ancora, della convivenza civile. Hanno rifondato le basi ideologiche del razzismo, il quale consiste, essenzialmente, nell’idea che l’umanità è divisa tra chi ha il diritto di vivere e chi non è degno di sopravvivere a causa della sua diversa identità. Perseguire il consenso tramite l’esibizione dell’immoralità e dell’illegalità equivale sempre a deprimere la moralità corrente e ad alterare, nel senso comune, le basi del nostro Stato di diritto, che consistono anzitutto nella dignità della persona, di qualunque persona, nel valore della solidarietà e nella difesa dei diritti fondamentali, che sono tutti leggi dei più deboli in alternativa alla legge del più forte destinata a prevalere ove essi non siano garantiti bensì ignorati o violati.

2.
Se questo è vero, dobbiamo riconoscere che questo nuovo populismo crudele ha fatto della questione migranti la questione di fondo sulla quale si gioca il futuro della nostra civiltà: non solo dell’Italia, ma anche dell’Unione Europea – nata, non dimentichiamolo, contro i razzismi e i nazionalismi, contro i genocidi e i fili spinati, contro i campi di concentramento e contro le oppressioni e le discriminazioni razziali – i cui Paesi membri sono oggi tutti variamente impegnati nella limitazione della libertà di accesso e di circolazione dei migranti. Di più: sulla questione migranti l’intero Occidente rischia il crollo della sua identità morale e politica. Le politiche di esclusione dei migranti e le pratiche repressive della solidarietà ci pongono infatti davanti a una contraddizione scandalosa e a lungo andare insostenibile: la contraddizione tra i nostri conclamati valori – l’uguaglianza, la dignità della persona, l’universalismo dei diritti fondamentali di tutti – e la loro negazione da parte di quelle politiche e di quelle pratiche. È una contraddizione che, se non risolta, renderà impronunciabili gli stessi diritti fondamentali, i quali sono universali e indivisibili oppure, semplicemente, non sono. Sicché non potremo continuare a lungo a proclamarli decentemente come i “valori” dell’Occidente se continuerà questo gigantesco apartheid planetario da cui fuggono i migranti e che esclude dal loro godimento, in contrasto con le tante carte dei diritti che affollano il nostro diritto internazionale e con la nostra celebrata tradizione liberale, oltre un miliardo di persone che vivono in condizioni di povertà estrema e milioni di esseri umani che muoiono ogni anno per fame e per mancanza di acqua potabile e di farmaci salva-vita.

Più in generale, la questione migranti si sta rivelando come una questione centrale per il futuro della democrazia e della pace a livello globale. Affermare la dignità dei migranti come persone equivale infatti ad affermare e a difendere la nostra dignità e, insieme, la dignità della nostra Repubblica. Rifiutare la parola d’ordine “prima gli italiani” equivale a rifiutare il razzismo e la svalutazione dei differenti che stanno dietro queste parole. Lottare contro il veleno razzista che sta diffondendosi nella società equivale a difendere l’identità democratica dei nostri ordinamenti. La questione migranti sta insomma diventando il banco di prova della credibilità dei princìpi di uguaglianza e dignità delle persone sui quali si fondano le nostre democrazie. Se prendiamo sul serio i diritti umani, non possiamo non rifiutare l’odierno paradosso in forza del quale nell’età della globalizzazione tutto, fuorché le persone, può liberamente circolare: comunicazioni e informazioni, merci e capitali alla ricerca dei luoghi nei quali si può massimamente sfruttare il lavoro, inquinare l’ambiente, non pagare le imposte e corrompere i governi. Non possiamo non riconoscere, in breve, che il diritto di emigrare fa parte del diritto vigente, che implica ovviamente il diritto di immigrare in qualche parte della Terra e va perciò garantito almeno quanto la libertà di circolazione delle merci e dei capitali.

C’è poi un’altra ragione della centralità politica della questione migranti. Le stragi nel Mediterraneo saranno ricordate come una colpa imperdonabile perché potevano e potrebbero essere evitate. I terribili effetti dell’attuale chiusura delle frontiere dei Paesi ricchi – le migliaia di persone che muoiono ogni anno nel tentativo di raggiungere le nostre coste; le decine di migliaia di persone cacciate dall’Algeria e lasciate vagare e morire nel deserto del Sahara; quelle rinchiuse in condizioni disumane nell’inferno delle carceri libiche e turche; le migliaia di migranti che si affollano ai nostri confini contro barriere e fili spinati, lasciati al freddo e alla fame; le crudeli espulsioni di immigrati irregolari che talora vivono da anni nei nostri Paesi – sono gli orrori dei nostri tempi che imporranno ai costituenti del futuro un nuovo “mai più”. Di questi crimini i nostri governanti e quanti li hanno votati e sostenuti dovranno un giorno vergognarsi. Non potranno dire: non sapevamo. Nell’età dell’informazione sappiamo tutto. Siamo perfettamente a conoscenza delle migliaia di morti provocati da quelle politiche; delle violenze, degli stupri e delle torture inflitte ai migranti sequestrati nei campi libici; delle forme di sfruttamento selvaggio cui sono sottoposti molti migranti una volta raggiunta l’Italia.
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È uno stralcio dalla relazione svolta dall’Autore al convegno di Magistratura democratica Un mare di vergogna, svoltosi a Reggio Calabria l’1-2 ottobre 2021 (che può leggersi integralmente in www.questionegiustizia: https://www.questionegiustizia.it/articolo/diritti-umani-diritto-disumano).
- Sintesi su Volerelaluna.
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Luigi Ferrajoli
Luigi Ferrajoli, professore emerito di Filosofia del diritto all’Università di Roma Tre, è stato allievo di Norberto Bobbio ed è tra i massimi filosofi del diritto viventi. Già magistrato, è stato, a fine anni Sessanta, tra i fondatori di Magistratura democratica. Tra le sue opere principali: “Manifesto per l’uguaglianza” (2018), “Principia Iuris. Teoria del diritto e della democrazia” (2007), “Diritto e ragione. Teoria del garantismo penale” (1989), tutti pubblicati da Laterza.