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Salviamoci Sardegna!

pietro_tinu tecnica_mista_e_collage_su_cartoncinoLa Sardegna si salva tutta o non si salva – Un futuro produttivo e l’estinzione già in corso
di Enrico Lobina *

In consiglio comunale, a Cagliari, capita, anche nelle parole del Sindaco, di sentire frasi come: “dobbiamo chiedere alla regione ciò che ci spetta, e cambiare le regole del Fondo Unico degli Enti Locali”, “in Italia hanno fatto una legge per Roma capitale e per noi niente”, “noi smaltiamo i rifiuti di tutta l’area vasta, e dobbiamo chiedere una compensazione”.
Anche se ci fosse del vero, ed in qualche caso c’è, mi stupisce la pochezza del ragionamento. I temi dell’inurbamento, dello spopolamento, della Sardegna come ciambella (popolata sulle coste, vuota all’interno) non si possono affrontare così.
La Sardegna si salva tutta o non si salva. O la classe dirigente, a partire da quella della capitale, si pone il problema del futuro dell’isola, oppure i prossimi cambiamenti istituzionali (abolizione delle province, accentramento a Cagliari in seguito ai tagli romani, riforma degli enti locali) produrranno solamente un po’ di risentimento, che non porterà, nel medio periodo, a nulla neanche a Cagliari.
Cagliari e la sua area metropolitana o ragionano di tutta la Sardegna o non si salvano, anche se metà dei sardi si trasferisse a vivere qua, nell’area urbana del sud.
Ma bisogna ancor di più allargare lo sguardo. O le città sarde (Cagliari, Sassari, Oristano, Nuoro ed Olbia) ragionano complessivamente e insieme su se stesse, con leale spirito di collaborazione, ed ognuna si ritaglia un ruolo, oppure qualcuna persisterà con più forza nel proprio declino, e le altre seguiranno qualche decennio dopo.
L’area metropolitana di Cagliari potrebbe essere, se nasce con un profilo alto, un bel contrappeso alla regione e contribuire alla rinascita economica, sociale e culturale di un progetto per la Sardegna.

Lo spopolamento dei paesi, drammatico ed inevitabile, può essere combattuto con fortissime politiche anticicliche. Attualmente non se ne vedono all’orizzonte.
Dalla fine del 2010 il comune di Sadali ha istituito tre misure di incentivazione:
- un bonus bebè di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori (con almeno uno dei genitori con residenza a Sadali) di bambini iscritti al registro anagrafico del comune di Sadali;
- Un bonus famiglia di 200 € mensili per 24 mesi da erogare a chi trasferisce la residenza da un Comune con popolazione superiore a 3 mila abitanti a Sadali;
- Un bonus scuola di 200 € mensili per 24 mesi da erogare ai genitori dei bambini iscritti a scuola.
Il bonus consiste in un “ticket nominativo” attraverso il quale il beneficiario può acquistare, presso gli esercenti convenzionati, beni e servizi necessari per una vita dignitosa.
Dopo 20 anni di saldi negativi, negli anni 2011, 2012 e 2013 si registra un aumento complessivo della popolazione del 4% grazie all’aumento di residenti.
I nuovi residenti sono giovani, istruiti, propensi a riscoprire e svolgere, come lavoro, i mestieri tradizionali e in particolare quelli legati alla coltivazione e allevamento, quasi sempre con figli.
A Sadali non tutti sono felici di queste politiche, ma è un inizio.
In Emilia-Romagna, Calabria, ma anche Galles e Finlandia, e per la verità in altre realtà della Sardegna, si prova, quasi in maniera artigianale, a designare politiche contro lo spopolamento davvero efficaci e forti, concrete.
La politica regionale, al contrario, non va oltre la normale amministrazione di politiche già esistenti, che finora non hanno dato alcun risultato. Il gruppo consiliare regionale di Sardegna Vera, recentemente, ha proposto un emendamento alla proposta di legge sull’edilizia, attualmente in discussione in aula, che prevede che, nel caso un fabbricato di un’area rurale sia in stato di degrado, mediante il Comune si arrivi alla riqualificazione dello stesso da parte di un privato che lo acquista ad un prezzo simbolico.

Si tratta di mettere a sistema politiche che, ritagliate sulle esigenze di ogni singola comunità, vadano tutte nella stessa direzione: salvare dall’estinzione i sardi e ridare forza produttiva alla Sardegna.
Da questo punto di vista, segnalo come il Comune di Cagliar spenda, quasi fosse un bancomat, milioni di euro in sussidi sociali che non provocano nessun incentivo alla riqualificazione produttiva e all’emancipazione in chi li riceve. Al contrario, si abitua una piccola e povera casta all’assistenzialismo.
Se quelle stesse risorse, di concerto con altri comuni e con attività di accompagnamento pubbliche, fossero spese per garantire una emancipazione personale ed uno sviluppo produttivo guidato da quei nuclei familiari, non avremmo fatto un enorme passo in avanti?
Lavorare per una comunità produttiva, libera e felice significa anche rigettare l’assistenzialismo, senza mai lasciare indietro nessuno.
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Sardegna-bomeluzo22
* L’articolo di Enrico Lobina viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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filippo_figari fuoco conoscenza
Il Fuoco della Conoscenza (olio su tela, 1925)
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Nel primo riquadro: dipinto di Pietro Tinu

Cambiare si può, cambiare si deve!

Europa flag
La Grecia sta meglio della Sardegna: perché almeno ha rialzato la testa
di Enrico Lobina

La Grecia ha conosciuto, negli ultimi anni, la peggiore crisi economica nella sua storia recente. Dal 2008 ad oggi la sua economia si è ridotta del 25%. Il tasso di disoccupazione ha raggiunto il 25,8% e, dopo decenni di crescita economica, oggi la Grecia ha il 21,3% di poveri. Dal 2008 una PMI (Piccola e Media Impresa) su quattro è fallita[1]. Secondo un recente sondaggio sette greci su dieci sono pronti a lasciare il paese per trovare un lavoro

A questa situazione il popolo greco ha risposto rifiutando il piano di “salvataggio” dell’economia imposto dalla troika (Fondo Monetario Internazionale, Commissione Europea e Banca Centrale Europea), che ha costretto il Paese a enormi tagli nella spesa pubblica senza pero’ generare alcuna prospettiva di crescita. L’FMI prevedeva che, con l’applicazione della ricetta della troika, nel 2013 il PIL (Prodotto Interno Lordo) della Grecia sarebbe cresciuto del 2,1%, mentre la disoccupazione si sarebbe attestata al 14,3%. I dati reali, però, sono ben diversi.

Il nuovo capo del governo, Alexis Tsipras, ed il suo ministro delle finanze, Yanis Varoufakis, rigettano il principio dell’austerità, secondo il quale i tagli alle spese e la compressione salariale sono la soluzione per far ripartire i paesi europei in crisi. In questi giorni il braccio di ferro tra l’Unione Europea e la Grecia è durissimo, ed i risultati e gli scenari futuri imprevedibili.

Insieme alla Grecia, Cipro, Spagna, Portogallo ed Irlanda hanno vissuto cure simili, ma non hanno avuto politici in grado di mettere in discussione le ricette economiche che arrivavano da Bruxelles. In Spagna si andrà al voto ad ottobre, e Podemos (alleato di Syriza) potrebbe vincere. In Irlanda, l’anno prossimo, lo Sinn Fein, anch’esso legato a Syriza, potrebbe vincere su posizioni che contrastano le politiche di austerità, con l’obiettivo di riunificare il paese.

L’Italia balbetta. Anzi. L’Italia ha scelto una strategia diversa, per bocca del PD: rispettare il Patto di Stabilità e fare riforme strutturali, nella speranza di ottenere più flessibilità nell’applicazione delle regole fiscali. Finora, però, questa linea non ha prodotto risultati: l’economia resta stagnante, la disoccupazione altissima, e in Europa la linea (tedesca) dell’austerità senza sconti e flessibilità non è stata intaccata. Al contempo, i diritti dei lavoratori sono stati messi in discussione con l’abolizione dell’art. 18 e l’introduzione del contratto “a tutele crescenti”, la cui applicazione è tutta da verificare ed i tanto proclamati benefici (nuove assunzioni) appaiono fortemente dubbi. Il comportamento delle classi dirigenti italiane e di quelle greche, anteriori a Syriza, è paragonabile. Il principio da seguire è che il popolo deve pagare le colpe delle classi dirigenti. In questa ottica,oggi la Grecia sta meglio dell’Italia, perché ha alzato la testa.

E la Sardegna?

In Sardegna l’ultimo dato sul tasso di disoccupazione segna 19,1%, contro il 25,8% della Grecia, entrambi ancora in salita[2]. Sul fronte del reddito pro capite, invece, viviamo una forte vicinanza: viaggiamo tutti e due al di sotto dei 20.000 euro pro capite, precisamente 19.300 euro per la Grecia e 19.700 per la Sardegna[3]. Lo stesso ragionamento si può fare sulle persone a rischio povertà: se in Grecia rappresentavano il 23,1% della popolazione nel 2013, in Sardegna siamo al 21,8%.

In Sardegna la presenza di un sistema sanitario nazionale diffuso, e di reti di protezione sociale informale, permettono che il fenomeno non emerga nella sua forza. Ma è questione di tempo.

Mettiamoci l’anima in pace: la Sardegna, su molti dati macroeconomici, non vive una condizione diversa dalla Grecia e dagli altri paesi del sud. Siamo come la Grecia, e non ce ne siamo accorti.

Dal punto di vista politico, niente di simile a Syriza o Podemos appare all’orizzonte. Le proposte di governo di regione e comuni non riprendono nulla di quella spinta alla partecipazione popolare, che abbia l’obiettivo della rottura del quadro dato.

Ecco la differenza: abbiamo bisogno della rottura del quadro dato o possiamo andare avanti facendo aggiustamenti?

In Grecia ed in Spagna i subalterni (spesso giovani) hanno preso la parola ed impongono un cambio di paradigma. In Sardegna pare che la famosa domanda “can the subaltern speak?”[4] di Spivak, che riprende un concetto di Antonio Gramsci, debba avere una risposta negativa.

Il subalterno non parla, e gli intellettuali o non sono organici a quella parte di mondo o fanno finta di esserlo ma, in realtà, non lo sono. Con intellettuali qua intendiamo il vasto ceto, piccolo e medio borghese, che aspira a dirigere, o dirige veramente, gli spazi di potere lasciati in Sardegna nel settore politico, sociale, culturale ed economico.

In questa terra, dove ogni anno dovremmo incassare circa 900 milioni di euro (così stabilisce il nostro statuto) dallo Stato, e dove tra servitù, problemi sanitari, impoverimento del sistema dell’istruzione, culturale ed informativo, sembra di vivere in un incubo, niente. Niente.

Vi è una incapacità totale di vedere gli invisibili, quelli che non affollano i social network, che non entrano nei consigli comunali o regionali perché non hanno studiato, quelli che comprano le candele in drogheria perché non hanno più la luce, o che si avvicinano al macellaio alla chiusura per chiedere di avere ciò che è rimasto gratuitamente.

Mi si dirà, me lo si dice ogni giorno a Cagliari, “non si può fare molto, noi non risolveremo problemi così grandi”. Ma allora perché andare a votare?

E poi, andate a vedere cosa fanno i governi locali in Attica (prima della vittoria a livello nazionale) o in tante altre realtà greche, o in qualche realtà spagnola[5]. Non è vero, care signore e signori della Regione, o della capitale della Sardegna, che non si può fare nulla.

Non è il primo segno del trasformismo (sempre Antonio Gramsci) prendere impegni per tutta la vita e poi, una volta arrivati nella stanza dei bottoni, allargare le braccia e dire “non si può fare”?

[1] Cfr, per esempio, http://blogs.wsj.com/briefly/2015/01/20/crisis-in-greece-the-numbers/

[2] Da un punto di vista statistico, non è corretto mettere a confronto dati nazionali (Grecia), con dati regionali (Sardegna). Sarebbe più corretto mettere a confronto una regione della Grecia con la Sardegna. Sarà ciò che faremo nelle prossime settimane. Data l’urgenza del tema, però, preferiamo comunque avanzare questa parziale comparazione, che ha, quindi, ha un valore eminentemente politico. Sul dato relativo alla disoccupazione in Sardegna cfr. http://www.sardegnalavoro.it/download/Novembre%202014.pdf. Sulla disoccupazione in Grecia http://ec.europa.eu/eurostat/statistics-explained/index.php/File:Unemployment_rates,_seasonally_adjusted,_December_2014.png

[3] Il dato sulla Grecia è una media degli ultimi anni, e la fonte è la Banca Mondiale, mentre il dato per la Sardegna fa riferimento al 2012, e la fonte è l’ISTAT.

[4] “Può il subalterno parlare?” è la traduzione in italiano.

[5] http://www.voxeurop.eu/it/content/article/4886253-nel-laboratorio-politico-di-syriza

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Sardegna-bomeluzo22
* L’articolo di Enrico Lobina viene pubblicato anche sui siti di FondazioneSardinia, Vitobiolchini, Tramasdeamistade, Madrigopolis, Sportello Formaparis, Tottusinpari e sui blog EnricoLobina e RobertoSerra, SardegnaSoprattutto.
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Appello degli intellettuali europei: l’Ue cambi rotta

La richie­sta dell’Unione euro­pea alla Gre­cia di pro­se­guire con le cata­stro­fi­che poli­ti­che di auste­rity degli ultimi cin­que anni, è uno schiaffo alla demo­cra­zia e ai sani cri­teri economici.
Il popolo greco attra­verso ele­zioni demo­cra­ti­che ha rifiu­tato que­ste azioni, che hanno por­tato alla con­tra­zione del 26% della pro­pria eco­no­mia, al 27% del tasso di disoc­cu­pa­zione e hanno por­tato il 40% della popo­la­zione a vivere sulla soglia di povertà.
Con­ti­nuare con l’austerity signi­fica tra­dire la Ue e tra­dire i prin­cipi di demo­cra­zia, pro­spe­rità e soli­da­rietà. Il rischio è che l’austerity fini­sca per dare fiato a forze anti­de­mo­cra­ti­che tanto in Gre­cia, quanto in altri paesi.
Chie­diamo alla lea­der­ship euro­pea di rispet­tare la deci­sione del popolo greco e di con­ce­dere al nuovo governo il tempo per rime­diare alla crisi uma­ni­ta­ria e ripar­tire con la neces­sa­ria rico­stru­zione della deva­stata eco­no­mia nazionale.

Costas Dou­zi­nas, Jac­que­line Rose, Gior­gio Agam­ben, Sla­voj Zizek, Lynne Segal, Gaya­tri Spi­vak, Etienne Bali­bar, Judith Butler, Jean-Luc Nancy, Chan­tal Mouffe, David Har­vey, Eric Fas­sin, Joanna Bourke, Imma­nuel Wal­ler­stein, Wendy Brown, San­dro Mez­za­dra, Marina War­ner, Dru­cilla Cornell