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Miliardi di poveri, milioni di ricchi, centinaia di migliaia di profughi

wealth levels 2015
di Raffaele Deidda

E’ stato pubblicato il Global Wealth Report 2015 del Credit Suisse Research, la fonte più completa e affidabile di informazioni sulla ricchezza delle famiglie a livello mondiale. Fotografa lo sviluppo economico della “classe media” in base alla ricchezza posseduta e non al reddito. Varia nei diversi paesi in base al potere d’acquisto locale. Rientrano nella classe media mondiale le persone con un patrimonio che va da 50mila a 500mila dollari.

La ricchezza globale media è raddoppiata dal 2000, raggiungendo la cifra di 80,7 trilioni di dollari, pari al 32% della ricchezza globale. Dalla metà del 2014 alla metà del 2015, però, è diminuita di 13 trilioni per il deprezzamento del dollaro. Il Rapporto evidenzia come il 90% della popolazione possieda il 12,3% della ricchezza mondiale, detenuta all’87% dal 10%. Meno dell’1% della popolazione possiede quasi la metà di tutta la ricchezza delle famiglie.

La classe media più numerosa è la cinese con 109 milioni di individui che ne fanno parte, mentre gli Stati Uniti si attestano a 92 milioni, primi nella classifica della crescita della ricchezza delle famiglie (4,6 trilioni di dollari contro la crescita annuale della Cina di 1,5 trilioni). La Svizzera resta al primo posto per la ricchezza media pro capite (567.100 dollari).

In Italia gli adulti appartenenti alla classe media sono 29 milioni, il 55% contro i 24 milioni della Francia e i 28 milioni del Regno Unito. La ricchezza nelle mani della classe media in Italia è pari a oltre 4,7 miliardi di dollari, il 47,3% della ricchezza globale del Paese.

Dati che l’Unità, house organ del PD, commenta così: “Premi Nobel e non ci hanno raccontato che gli effetti della crisi hanno colpito la classe media, in alcuni casi riducendola a nuovo proletariato, soprattutto in Europa. Ma ora arrivano dei dati che smentiscono queste tesi, almeno per quanto riguarda l’Italia”.

L’Unità afferma anche che “La vecchia borghesia ha retto l’urto della recessione, dello shock finanziario e dell’aumento delle tasse, uscendone quasi intatta. Le cifre non possono essere definite di parte e quindi non dovrebbe partire il consueto dibattito che contraddistingue ogni rilevazione sui nuovi posti di lavoro”.

Sembra di avvertire un esplicito messaggio ai “gufi” che provano gusto a criticare i provvedimenti del Governo Renzi: “Se lo dice il Credite Suiss che in Italia siamo mediamente ricchi, sarà pur vero. Fatevene una ragione!”. Meno entusiasticamente si dovrebbe riflettere sul fatto che la popolazione adulta considerata “benestante” è quella che possiede un reddito da lavoro dipendente, un’abitazione e un’autovettura di proprietà. Non moltissimo, nell’epoca del massimo sviluppo capitalistico. E’ lo stesso Credit Suisse ad evidenziare come l’aumento di produttività e l’accumulo di ricchezza vadano sempre più a vantaggio di poche decine di migliaia di individui che diventano sempre più ricchi.

E’ ai circa 219 mila italiani che possiedono un patrimonio superiore al milione di euro, individuati nel World Wealth Report 2015, che l’Alto Commissariato Onu per i rifugiati (Unhcr) ha lanciato un appello affinché contribuiscano alle necessità degli immigrati sbarcati in Italia nell’ultimo anno: “Se appena l’1% dei milionari italiani donasse 15.000 euro si disporrebbe di fondi sufficienti per assistere 22.000 famiglie siriane, riducendo il rischio che migliaia di bambini finiscano nella rete dei trafficanti di esseri umani“.

L’auspicio è che i Paperoni italiani, più usi a ricevere che a donare, rispondano all’appello dell’Unhcr. Soltanto nell’anno in corso oltre 365.000 persone hanno attraversato il Mediterraneo per raggiungere l’Europa, 2800 sono morte in mare. Il 70% di esse sono rifugiati siriani costretti alla fuga per scampare alla morte e alle devastazioni della guerra

Intanto il Governo Renzi premia quella borghesia italiana che “ha retto l’urto della recessione, dello shock finanziario e dell’aumento delle tasse” e anche i milionari, eliminando per tutti le tasse sulla prima casa. Sarebbe forse il caso di riflettere sul fatto che se 219mila sono i milionari e il 55% degli italiani sono “classe media”, resta un non trascurabile 45% di cittadini che non sono nè benestanti nè ricchi. Resta, come evidenzia la Caritas, il 14,5% del totale delle famiglie che non hanno denaro per garantirsi un cibo proteico almeno ogni due giorni, con la percentuale che nel Sud e nelle Isole sale rispettivamente al 22,4 e al 24,4 per cento.

E’ a questi cittadini che bisogna pensare e ai loro bisogni che bisogna provvedere, prima di premiare i benestanti e i Paperoni.

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By sardegnasoprattutto / 19 ottobre 2015/ Economia & Lavoro/

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Rapporto Caritas 2015
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Luciano Gallino fto
Luciano Gallino. Cari nipoti vi racconto la nostra crisi
Con il terremoto finanziario ha perso l’idea di uguaglianza e ha vinto una diffusa stupidità Il saggio di Luciano Gallino

Quel che vorrei provare a raccontarvi, cari nipoti, è per certi versi la storia di una sconfitta politica, sociale, morale: che è la mia, ma è anche la vostra. Con la differenza che voi dovreste avere il tempo e le energie per porre rimedio al disastro che sta affondando il nostro paese, insieme con altri paesi di quella che doveva essere l’Unione europea. A ogni sconfitta corrisponde ovviamente la vittoria di qualcun altro. In realtà noi siamo stati battuti due volte. Abbiamo visto scomparire due idee e relative pratiche che giudicavamo fondamentali: l’idea di uguaglianza e quella di pensiero critico. Ad aggravare queste perdite si è aggiunta, come se non bastasse, la vittoria della stupidità. L’idea di uguaglianza, anzitutto politica, si è affermata con la Rivoluzione francese. Essa dice che ogni cittadino gode di diritti inalienabili, indipendenti dal suo censo o posizione sociale, e ogni governo ha il dovere di adoperarsi per fare in modo che essi siano realmente esigibili da ciascuno. La marcia di tale idea è stata per oltre due secoli faticosa e incerta, ma nell’insieme ha avuto esiti straordinari. La facoltà di eleggere i propri rappresentanti in Parlamento; la formazione di sindacati liberi; la graduale estensione del voto sino a includere tutti i cittadini; la tassazione progressiva; l’ingresso del diritto nei luoghi di lavoro; l’istruzione libera e gratuita per tutti sino all’università; la realizzazione dello stato sociale; i limiti posti alle attività speculative della finanza: è una lunga storia, quella che vede il principio di uguaglianza diventare vita quotidiana per l’intera popolazione.
Due periodi furono specialmente favorevoli a tale marcia: gli anni Trenta sotto la presidenza Roosevelt, negli Stati Uniti, che videro un grande rafforzamento dei sindacati e una severa regolazione della finanza, e i primi trent’anni dopo la Seconda guerra mondiale, in quasi tutti gli Stati europei, Italia compresa. Poi, sul finire degli anni Settanta, la ristretta quota di popolazione che per generazioni aveva subito l’attacco dell’idea e delle politiche di uguaglianza decise che ne aveva abbastanza. Si tratta della classe dei personaggi superpotenti e super- ricchi che controllano la finanza, la politica, i media, che dopo i moti di piazza anti Wall Street di anni recenti si usa stimare nell’1 per cento: un dato che le statistiche sulla distribuzione della ricchezza confermano. Essa iniziò quindi un feroce quanto sistematico attacco a qualsiasi cosa avesse attinenza con l’uguaglianza, previa una preparazione che risaliva addirittura agli anni Quaranta.
(…) Quando parlo di pensiero critico, che costituisce la perdita numero due, mi riferisco a una corrente di pensiero che oltre al soggiacente ordine sociale mette in discussione le rappresentazioni della società diffuse dal sistema politico, dai principali attori economici, dalla cultura dominante nelle sue varie espressioni, dai media all’accademia. La tesi da cui tale corrente è (o era) animata è che le rappresentazioni della società predominanti in un paese distorcono la realtà al fine di legittimare l’ordine esistente a favore delle élite o classi che formano tra l’1 e il 10 per cento della popolazione. È una tesi che ha una lunga storia. È stata formulata tra i primi da Machiavelli; ha toccato un vertice di spessore e complessità con Marx e poi con la teoria critica della società, elaborata dalla Scuola di Francoforte tra gli anni Venti e Cinquanta; si è prolungata in Italia con Gramsci e in Francia con Bourdieu e Foucault, sin quasi ai giorni nostri.
La suddetta tesi trova una clamorosa conferma nella società contemporanea, a cominciare dalla nostra. La rappresentazione di quest’ultima che vi propongono i giornali, la Tv, i discorsi dei politici, le scienze economiche, la stessa scuola, l’università, sono soltanto contraffazioni della realtà, elaborate a uso e consumo delle classi dominanti. È la funzione che svolgono quotidianamente le dottrine neoliberali. E guai se uno osa contraddirle. Il richiamo alle distorsioni che l’enorme aumento della disuguaglianza ha prodotto in campo sociale, politico, morale, civile, intellettuale viene confutato con l’idea che l’arricchimento dei ricchi solleva tutte le barche – laddove un minimo di riguardo all’evidenza empirica mostra che nel migliore dei casi, ha scritto un economista americano, esso solleva soltanto gli yacht.
(…) Al posto del pensiero critico ci ritroviamo, come si è detto, con l’egemonia dell’ideologia neoliberale, la sua vincitrice. È un’ideologia strettamente connessa all’irresistibile ascesa della stupidità al potere. È l’impalcatura delle teorie e delle azioni che prima hanno quasi portato al tracollo l’economia mondiale, poi hanno imposto alla Ue politiche di austerità devastanti per rimediare a una crisi che aveva tutt’altre cause – cioè la stagnazione inarrestabile dell’economia capitalistica, il tentativo di porvi rimedio mediante un accrescimento patologico della finanza, la volontà di riconquista del potere da parte delle classi dominanti. Oltre alla crisi ecologica, che potrebbe essere giunta a un punto di non ritorno.
Resta pur vero che senza l’apporto di una dose massiccia di stupidità da parte dei governanti, dei politici, e ahimè di una porzione non piccola di tutti noi, le teorie economiche neoliberali non avrebbero mai potuto affermarsi nella misura sconsiderata che abbiamo sott’occhio.
(…) Pensate a quanto è successo nell’autunno 2014. All’epoca i disoccupati sono oltre tre milioni. I giovani senza lavoro sfiorano il 45 per cento. La base produttiva ha perso un quarto del suo potenziale. Il Pil ha perso 10-11 punti rispetto all’ultimo anno prima della crisi. E che fa il governo? Si sbraccia allo scopo di introdurre nella legislazione sul lavoro nuove norme che facilitino il licenziamento, riprendendo idee e rapporti dell’Ocse di almeno vent’anni prima. Come non concludere che siamo dinanzi a casi conclamati di stupidità? (o forse di malafede: discutere di come licenziare con meno intralci legali è anche un modo per non discutere dei problemi di cui sopra. Lascio a voi il giudizio)
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IL LIBRO. La News on line DIRITTI GLOBALI anticipa un brano da “Il denaro, il debito e la doppia crisi”
di Luciano Gallino
(Einaudi, pagg. 200, euro 18)