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Nel tempo del Covid-19 e oltre
La crescente capacità di cura delle famiglie italiane
di Remo Siza*
La diffusione del COVID-19 ha profondamente cambiato le condizioni di vita di molte famiglie italiane. Molte associazioni come la Caritas e la Rete Banco Alimentare, hanno osservato un incremento significativo delle richieste di beni essenziali. Questi nuovi gruppi che chiedono assistenza alimentare sono spesso definiti nel dibattito pubblico come i “nuovi poveri”, per riferirsi a persone che potevano contare nei mesi scorsi su un reddito adeguato e che a causa della crisi sono diventate povere.
Probabilmente, però, il termine povertà non ci aiuta a definire queste condizioni sociali e ad individuare gli strumenti di politica sociale più appropriati, a definire politiche sociali di sostegno alle famiglie più articolate e non soltanto risposte minimali di supporto economico. La crescente richiesta di beni essenziali da parte di nuovi gruppi sociali che molte associazioni stanno affrontando è significativamente diversa da quella del passato: è meno persistente e cresce in un contesto sociale caratterizzato dall’aumento dell’insicurezza sociale ed economica, ma anche da nuove risorse di sostegno e cura.
La crisi economica e finanziaria determinata dalla pandemia di COVID-19 ha aggravato le irrisolte disuguaglianze e divisioni sociali della società italiana. Robert Castel in suo saggio molto noto ha osservato la presenza di tre “zone di coesione sociale” nelle attuali società occidentali:
- una “zona di integrazione” caratterizzata da contratti di lavoro a tempo pieno, possibilità di partecipazione alla vita sociale e benefici di welfare adeguati;
- una “zona di vulnerabilità”, la zona cioè della precarietà, del lavoro temporaneo, dei lavori mal retribuiti, di insufficienti risorse di welfare e di fragilità delle relazioni primarie;
- e, infine, la “zona della disaffiliazione” o dell’esclusione (esclusi dal mercato del lavoro e perdita di buona parte delle tutele sociali).
In Italia, la crisi ha ridotto la zona della integrazione riducendo significativamente la consistenza dei gruppi sociali con posti di lavoro altamente protetti da norme e contratti collettivi e livelli adeguati di protezione sociale. Ma soprattutto, ha ampliato a dismisura la zona della vulnerabilità e sta portando solo alcuni segmenti di questa zona verso la terza “zona dell’esclusione” e della povertà.
Certamente crescono i nuovi poveri, ma molte famiglie italiane non sono cadute in povertà in quanto la struttura della società italiana e le sue capacità di integrazione non si sono dissolte. In questi mesi non stiamo assistendo ad un “collasso” dei tre pilastri dell’integrazione sociale, delle sfere di vita cioè da cui dipende la nostra integrazione: il lavoro, la famiglia e il welfare.
Anzi, per tanti motivi, la pandemia ha invertito buona parte delle tendenze alla progressiva erosione di due sfere di vita (il welfare e la famiglia). In primo luogo, ha invertito tendenze che sembravano irreversibili verso una progressiva riduzione delle prestazioni di welfare e di contenimento dei costi. In questi mesi, le risorse del welfare sono cresciute notevolmente nel settore sanitario, nell’istruzione con effetti che saranno visibili nel medio e lungo periodo; le politiche sociali hanno ora una maggiore capacità protettiva e inclusiva, seppure privilegino quasi esclusivamente interventi passivi di supporto al reddito.
In secondo luogo, si sono sensibilmente attenuati processi che negli anni scorsi hanno minato i rapporti reciproci di sostegno e cura e la capacità delle famiglie di far fronte a rischi sociali vecchi e nuovi. La famiglia in questi mesi ha manifestato una elevata e crescente capacità di affrontare la crisi, di creare rapporti di cura e di supporto tra i suoi membri e nell’ambito del vicinato, nuove forme di socialità e di aiuto reciproco, nella costruzione di nuove forme associative.
In terzo luogo, la pandemia ha, invece, peggiorato ulteriormente le criticità storiche del mercato del lavoro italiano: crescono i lavori scarsamente retribuiti, il lavoro sommerso, i contratti a breve termine, si riducono ulteriormente i posti di lavoro.
Gli impatti della pandemia su queste tre sfere della vita stanno creando sicuramente una crescita della povertà, ma soprattutto la crescita di nuove condizioni economicamente e socialmente più vulnerabili: forme di precarietà lavorativa assistita attraverso prestazioni di welfare più generose, forme di deprivazione economica vissute, però, meno individualmente come condizione collettiva e con il supporto di relazioni familiari che la crisi ha rafforzato. Condizioni di vita che in molti casi sacrificano la dignità delle persone e delle famiglie, ma che spesso riescono a “trattenerle” evitando a molti di loro la caduta in forme severe e persistenti di povertà.
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- La foto in testa è tratta dalla pag. fb dell’Organizzazione no-profit Mutuo Soccorso Casteddu .
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