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Depressione post-maturità e adesso, cosa faccio?

rocca-15-2017di Marco Gallizioli su Rocca

È innegabile che l’esame di Stato costituisca uno dei primi, veri, banchi di prova per i giovani contemporanei. Dopo aver trascorso cinque anni all’interno di una struttura più o meno protetta quale è la scuola, i ragazzi si trovano catapultati davanti ad una commissione, formata in gran parte da sconosciuti, a rispondere ad un fuoco incrociato di quesiti, cercando di dimostrare di aver acquisito conoscenze generali, competenze comunicative e abilità logiche accettabili. Si tratta di un’esperienza importante, perlomeno a livello simbolico, perché assume le forme di un laico rito di passaggio. Ma, accanto a queste considerazioni, l’esame diviene anche un’occasione per riflettere sulle trasformazioni antropologiche che caratterizzano il nostro tempo liquido e accelerato.

dal torpore sonnacchioso al sacro furore
In primo luogo, è oggetto di una sorta di rimozione, soprattutto proprio da parte dei protagonisti: molti allievi dell’ultimo anno di corso realizzano che dovranno affrontare un esame impegnativo solo verso la metà del secondo quadrimestre, quando sono scossi da un vero e proprio risveglio post-traumatico. Solo verso marzo-aprile si rendono conto, infatti, che dovranno dimostrarsi preparati su tutto il programma della maggior parte delle discipline e, in più, che dovranno elaborare una tesina multidisciplinare, da cui partire per dimostrare le loro capacità. Immaginatevi lo shock: su tutto il programma? Di quasi tutte le materie? Il torpore sonnacchioso e indolente, allora, si innerva improvvisamente di un sacro furore, generando vere e proprie reazioni a catena, per lo più positive: i sensi si tendono, lo sguardo si affina, la postura si raddrizza, le creste si abbassano. Compaiono gli occhiali da vista, che fanno tanto intellettuale, le barbe dei ragazzi si infittiscono a mo’ di pasionario sessantottino (se così si può dire, visto che per i ragazzi il ’68 è confinato nella preistoria, avvolto nelle nebbie di un passato perduto per sempre), il make up delle ragazze diviene più sobrio e sfumato. Si palesano, poi, i dubbi amletici sull’argomento della tesina: è preferibile un percorso interdisciplinare, o un approfondimento monotematico? Una semplice mappa concettuale, o una relazione dettagliata? Una presentazione su power point, o su supporto cartaceo, che fa tanto vintage? Poi si sa che i prof tanto svelti con le tecnologie non sono: c’è caso che per caricare un file e video-proiettarlo se ne vada la maggior parte dei minuti a disposizione.

prooof… aiuto!
Il tema dell’approfondimento, poi, diviene una vera e propria vexata quaestio: cosa portare? E così, cominciano le domande agli insegnanti, prima timide e impacciate, poi sempre più pressanti e disperate che comportano vere e proprie richieste di aiuto, appostamenti dietro ogni angolo dei corridoi scolastici, all’uscita dalla toilette insegnanti e dell’aula docenti, incontri «fortuiti» sotto casa, sia quella reale sia quella mediatica, visto che tutti siamo esposti e rintracciabili in rete. «Proooof… non so cosa fare, non ho un’idea valida…», diventa il mantra che i docenti, soprattutto quelli delle discipline umanistiche, si sentono ripetere con insistenza da marzo in avanti. E quando tu, insegnante, li solleciti a partire dai loro interessi, dalle loro letture, dalle loro attese, ti rendi conto che molti ragazzi non sono stati educati a coltivare interessi personali, letture individuali, sogni, per cui faticano a trovare il bandolo della matassa. Eccolo lì, dirà il lettore: anche Gallizioli si è trasformato in uno di quei docenti lagnosi e barbogi, sempre pronti a proiettare sulle giovani generazioni ogni sorta di negatività. Non posso negare di appartenere anch’io alla categoria dei docenti e, in quanto tale, di essere stato contagiato dal virus della «lamentite» acuta, ma, a mia parziale discolpa, vorrei sottolineare che, quando registro che i ragazzi faticano ad elaborare percorsi di approfondimento a partire dai propri interessi, implicitamente pongo in rilievo che è il mondo degli adulti a non aver saputo instillare il gusto della ricerca, a non aver educato alla proiezione verso il futuro. Poi occorre riconoscere che, dopo aver fatto piazza pulita delle prime idee che ci vengono offerte dai ragazzi, quasi tutte tratte dalla frequentazione dei siti per studenti, con itinerari di approfondimento già strutturati e, in quanto tali, insopportabilmente noiosi, e, soprattutto, dopo essersi trangugiati un po’ di banalità e di collegamenti multidisciplinari un po’ fantasiosi, le idee vengono fuori ed alcune sono anche interessanti, originali e belle.
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