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Per ricostruire la storia dei movimenti di lotta urbana degli anni 70
Cittàquartiere del marzo 1978. L’editoriale. Non tutto, ma in gran parte ancora pertinente.
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Per l’unificazione dei movimenti nel territorio. Una nuova fase delle lotte.
Il movimento organizzato dei gruppi di base che operano nei quartieri ha sempre ricercato l’unità con tutti i movimenti che si battono per modificare lo stato di cose esistente. Abbiamo sempre ricercato, anche con forzature soggettive, di costruire piattaforme di lotta che facessero avanzare l’unità non su generiche espressioni di solidarietà, ma su obbiettivi comuni, tra cui centrale quello della nuova occupazione per soddisfare bisogni sociali espressi dal proletariato: la casa, i servizi sociali, la salute, l’istruzione e la cultura.
Abbiamo da sempre maturato la convinzione che questo impegnativo compito non potesse essere svolto da un solo settore del movimento (per la casa, operaio, studentesco, delle donne, etc.) e neppure dalla sola classe operaia, che per noi rimane la locomotiva trainante di ogni rivoluzione sociale. Occorre un movimento più ampio, che sappia fondere diverse esperienze senza annullarne la specificità e mortificarne l’autonomia; occorre la costruzione di un movimento di massa che sappia temer testa e passare all’offensiva rispetto alla classe borghese dominante,
Eppure, ora che la crisi subisce una drammatica accelerazione e che l’unità è un’esigenza vitale per la stessa sopravvivenza dei movimenti, dobbiamo ammettere di trovarci spiazzati; proprio ora che ci troviamo in casa, nei quartieri, quella classe operaia di cui per tanto tempo abbiamo lamentato la mancanza o a cui abbiamo rimproverato l’assenza di sensibilità rispetto ai problemi posti dal movimento dei quartieri. Sentiamo quasi come una colpa, che peraltro è da addebitare ad altri, il fatto che la città non abbia ancora colto tutta la drammaticità di quanto accade nella zona industriale: dei licenziamenti effettuati, della cassa integrazione, del tentativo ormai palese dei padroni di chiudere le fabbriche, perché la loro crisi si risolve restringendo la produzione e quindi colpendo a fondo il potere operaio nelle fabbriche. E, beninteso, quando parliamo di città ci riferiamo ai proletari dei quartieri, ai senzatetto, al proletariato marginale dai posti di lavoro precari e sottopagati, ai lavoratori dei servizi, ai disoccupati, ai giovani emarginati. A strati cioè che possono risolvere i loro problemi solo unendosi e organizzandosi intorno ai settori più coscienti del movimento di classe,
La classe operaia è dunque scesa in città, ha “spazzato” i quartieri con centinaia di cortei, ha distribuito migliaia di volantini… ma l’unità, quella che trasforma una lotta parziale in una lotta di tutto un popolo, non è ancora raggiunta. Eppure è proprio questo che occorre. Non si tratta solo di difendere il lavoro di 12.000 operai, ma di richiedere il lavoro per tutti, e questo si può ottenere solo con un diverso modello di sviluppo, che non sia asservito alle compatibilità del mercato capitalista internazionale, che si leghi alle risorse della nostra terra, in primo luogo alla risorsa umana dell’intelligenza, dell’esperienza e capacità professionale acquisita dai nostri lavoratori, della potenzialità i cui dispongono i giovani; che si leghi alle immense risorse sprecate dell’agricoltura, dell’allevamrnto, delle miniere. - segue -