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Editoriale
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Prima loro. La Speranza non delude
Ai Mittenti e Interlocutori della Lettera agli ebrei e delle Notizie da Chiesa di tutti Chiesa dei poveri
Lunedì 20 gennaio 2025
PRIMI I CINESI PRIMA GLI OSTAGGICari Amici,
chi l’avrebbe detto? Quando abbiamo cominciato a scrivervi dall’indirizzo mail “Prima loro”, chi avrebbe potuto pensare che primi sarebbero stati i Cinesi? Prima infatti che Trump, il pregiudicato, giurasse per la Casa Bianca, ecco che i Cinesi gli telefonano il 17 gennaio, e di certo non solo per Tik Tok. Sembrava che fossimo prossimi alla fine del mondo, con questa nave dei folli condotta da cattivi nocchieri, con genocidi, sfide, missili di profondità, droni, naufragi e muri, dall’Ucraina a Gaza, dal Mediterraneo al Messico, e invece ecco che tutto forse comincia di nuovo. Certo neanche Xi Jinping è un santarellino, come non lo era Biden, ma ora Cinesi e Americani si parlano, e dicono che risolveranno molti problemi insieme, e a partire da subito. “Il presidente ed io – ha detto Xi – faremo tutto il possibile per rendere il mondo più pacifico e sicuro”.
Il rovesciamento sarebbe radicale. Per capire da dove veniamo basta sapere che cosa c’era scritto nei vigenti documenti strategici americani, usciti il 12 ottobre 2022 dalla Casa Bianca di Biden e dal Pentagono di Lloyd Austin. C’era scritto che questo sarebbe stato un decennio decisivo di “competizione strategica” per “plasmare il futuro dell’ordine internazionale”, di cui gli Stati Uniti, nel proprio interesse, avrebbero dovuto essere i vincitori. In questa partita, scriveva Biden, “la Repubblica Popolare Cinese rappresenta la sfida geopolitica più importante per l’America. La Russia rappresenta una minaccia immediata e continua all’ordine di sicurezza regionale in Europa ed è una fonte di disturbo e instabilità a livello globale, ma non ha le capacità trasversali della Repubblica Popolare Cinese”. La Cina era considerata infatti il solo competitore che avesse “sia l’intento di rimodellare l’ordine internazionale, sia il potere economico, diplomatico, militare e tecnologico per farlo”.
“Pechino – continuava Biden – ha l’ambizione di creare una crescente sfera di influenza nell’Indo-Pacifico e di diventare la potenza guida del mondo, col suo modello autoritario e usando il suo potere economico in modo coercitivo verso le altre nazioni”. Né si trattava di divergenze discutibili, le accuse erano brucianti: “genocidio e crimini contro l’umanità in Xinjiang, violazioni di diritti umani in Tibet, smantellamento dell’autonomia e della libertà di Hong Kong”.
E qui Biden rimandava al documento sulla strategia militare del Pentagono, nel quale Lloyd Austin scriveva, il 27 ottobre 2022:
“La Repubblica Popolare Cinese (RPC) rimane il nostro competitore strategico più importante per i prossimi decenni. Ho raggiunto questa conclusione sulla base delle crescenti azioni di forza della Repubblica Popolare Cinese per rimodellare la regione dell’Indo Pacifico e il sistema internazionale per adattarlo alle sue preferenze autoritarie, e sulla base di una profonda consapevolezza delle intenzioni chiaramente dichiarate della RPC e della rapida modernizzazione ed espansione delle sue forze armate”.
Il Dipartimento della Difesa era impegnato pertanto a “ottenere e sostenere vantaggi militari, contrastare forme acute di coazione dei nostri avversari e complicare le più significative attività degli avversari che, se non affrontate, metterebbero in pericolo la nostra superiorità militare ora e in futuro”. Tutto ciò quando, come aveva scritto Biden, “quella militare americana è la più forte forza militare che il mondo abbia mai conosciuto”.
Già dal settembre 2002, un anno dopo l’attentato alle Due Torri, i documenti sulla sicurezza nazionale americana rivendicavano il principio di una guerra preventiva, sostenendo che “la migliore difesa è un buona offesa”; tuttavia in quei documenti il giovane Bush apprezzava gli sforzi della Cina per definire la natura del proprio ordinamento, e la metteva per così dire sotto osservazione, in attesa che facesse “fondamentali scelte” sul carattere del proprio Stato.
Ciò per quanto riguarda la Cina. Per Israele invece Bush era stato molto esplicito nel contestargli la colonizzazione della Cisgiordania e nel pretendere la soluzione della questione palestinese: “Il conflitto israelo-palestinese è critico a causa del tributo di sofferenza umana, a causa dello stretto rapporto dell’America con lo Stato di Israele e con gli Stati arabi chiave, e a causa della importanza di quella regione per le altre priorità globali degli Stati Uniti. Non ci può essere pace per nessuna delle due parti senza libertà per entrambe le parti. L’America è impegnata per una indipendente e democratica Palestina, che viva accanto a Israele in pace e sicurezza. Come tutti gli altri popoli, i palestinesi meritano un governo che serva i loro interessi e presti ascolto alle loro voci. Se i palestinesi abbracciano la democrazia e il governo della legge, affrontano la corruzione e rifiutano fermamente il terrorismo, possono contare sul sostegno americano per la creazione di uno Stato palestinese. Lo stesso Israele ha un grande interesse al successo di una Palestina democratica. L’occupazione permanente minaccia l’identità e la democrazia di Israele. Quindi gli Stati Uniti continuano a sfidare i leader israeliani affinché adottino misure concrete per sostenere l’emergere di uno Stato palestinese vitale e credibile. Man mano che ci siano progressi verso la sicurezza, le forze israeliane devono ritirarsi completamente dalle posizioni che detenevano prima del 28 settembre 2000 (il giorno della salita di Ariel Sharon sulla spianata del Tempio e l’inizio della seconda Intifada). Le attività di insediamento israeliano nei territori occupati devono finire. Man mano che la violenza si placa, la libertà di movimento dovrebbe essere ripristinata, permettendo ai palestinesi innocenti di riprendere il lavoro e la vita normale. Gli Stati Uniti possono svolgere un ruolo cruciale ma, in definitiva, una pace duratura può arrivare solo quando Israeliani e Palestinesi risolvano i problemi e pongano fine al conflitto tra loro”.
Nulla di tutto questo da allora è avvenuto: la Cina è diventata cattiva e coattiva, l’ultimo Nemico da abbattere, NATO e Russia si sono affrontate in Ucraina, 750. 000 coloni hanno invaso la Cisgiordania, è stata liquidata l’idea di uno Stato palestinese, gli Stati Uniti si sono ben guardati dal promuovere una indipendente e democratica Palestina, Hamas non ha rinunciato al terrorismo e a Gaza è stato scatenato l’inferno. E ora arriva la destra al potere in America, e le destre accorrono a Washington per l’inaugurazione di Trump. Ma perché, non erano destre al potere quelle che ci hanno governato fin qui? Trump comincerà la deportazione degli immigrati. Ma perché, in Albania che cosa si vuol fare? “A tutti i costi”!
A questo punto la prognosi è difficile. Ma grande è stata la nostra commozione nel vedere il resto degli ostaggi ancora vivi tornare a casa, il placarsi dell’indignazione nei riguardi di Netanyahu della folla e dei parenti dei sequestrati, l’attesa per la liberazione dalle carceri israeliane di centinaia di palestinesi tenuti in ostaggio e prigionieri estragiudiziali. E grande è il sollievo per il venir meno dello scandalo del nome di Israele associato alle efferatezze di Gaza, vero rovesciamento del comandamento: “non pronunziare il nome di Dio invano”.
La pace, per Israele sarebbe la salvezza, mentre la sua società è divisa, ed è in corso un esodo, una “migrazione al contrario” di molti Ebrei da quella Terra, e il mondo è attonito per ciò che è stato fatto a Gaza. fino all’ultimo, fino allo “scialo di morte” dell’ultima mezz’ora prima della tregua, che ha fatto ancora diciannove vittime.
E se le cose dovessero cambiare davvero, Ucraina compresa, l’evento della tregua di Gaza dimostrerebbe che anche un solo gesto di pace produce frutti, può contagiare il mondo, che “la speranza non delude”, come il Papa ha ripetuto ieri sera nella trasmissione di Fazio.
Con i più cordiali saluti,Lo Scriba per “Prima loro”
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