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Sardegna Che fare? Si rompe il silenzio degli intellettuali? Si ricomincia da quelli fuori dai libri paga

sardegna-dibattito-si-fa-carico-181x300Per uscire dalla crisi, un nuovo sviluppo fondato su beni comuni e bravi maestri.
SardiniaPost loghettpdi Antonio Sassu su SardiniaPost
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La programmazione “dal basso” e la politica territoriale si trovano oggi in condizioni completamente diverse rispetto a vent’anni fa dal punto di vista del mercato, della tecnologia e della globalizzazione. E’ necessario che esse vengano rivisitate e con esse la politica economica regionale.
Il territorio cambia continuamente. La Sardegna ha intrapreso nella seconda metà dell’Ottocento e nella prima metà del Novecento uno sviluppo industriale notevole. Sono sorti nuovi settori industriali (il vino, le granaglie, la farina, i tessuti, i laterizi, le miniere) e sono state applicate nuove tecniche (il trasporto dell’acqua, l’idrovora, l’energia elettrica, il sistema bancario) che hanno dato vita a uno sviluppo economico in qualche modo diffuso nel territorio regionale, talora ad opera di imprenditori locali, talaltra con l’intervento di uomini e capitali esterni.

Tutti, però, avevano una caratteristica di fondo: idee, conoscenze, connessioni con imprese e persone, erano basate sul territorio: su ciò che in esso avveniva, su ciò che esso poteva dare. Si può dire uno sviluppo “dal basso”. Erano gli imprenditori che partivano dai territori per considerarne la dimensione fisica, le caratteristiche, le persone. Il territorio regionale aveva pecore e latte, campi e grano, argille e pietre, minerali di diverso tipo, e aveva bisogno di acqua da distribuire a uomini, animali e campi, di idrovore per prosciugare paludi, di energia da diffondere presso abitati, imprese e aziende.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, quasi per tutta l’ultima metà del secolo ventesimo, l’Isola viene considerata un luogo di arretratezza da combattere con una politica “dall’alto”, con il Piano di Rinascita prima e con la legge 164 poi. Il territorio è assente. Ciò su cui ci si focalizza sono le necessità economiche e l’occupazione, indipendentemente dalle peculiarità, dalle conoscenze, dalle attività e dall’identità di un popolo.

Nel periodo 1990- 2010 si ritorna al territorio con la politica “dal basso”, si forma prima la politica dei distretti e successivamente quella della programmazione negoziata. Il territorio è il protagonista dello sviluppo, sono i suoi saperi, i suoi mestieri, le sue caratteristiche culturali e sociali, oggetto di scambio e di compravendita, quindi, di valore. Così sono analizzati e promossi il sughero, i formaggi, il vino, i tessuti, la bottarga, il pane, ma anche la meccanica, l’informatica e le comunicazioni (Video on line e Tiscali) ecc.

Ma anche questa politica si rivelerà insoddisfacente. Non sono solo le delusioni della programmazione negoziata, ma anche il fatto che, poiché il territorio cambia rapidamente, le conoscenze, che chiamiamo codificate, diventano sempre più trasferibili e possono essere copiate o addirittura trasferite altrove. Il valore che prima veniva creato all’interno del territorio è ora prodotto anche da altri soggetti più competitivi. In parte la globalizzazione ci porta conoscenze di altri, in parte i nostri beni vengono da noi assemblati e prodotti con tecniche e beni di altri. Complessivamente lo sviluppo diventa sempre più esogeno e, per questa via, comunque, va comparativamente diminuendo.

Da noi, nel nostro territorio, rimangono (sempre che non ci sia esportazione di capitale umano) le conoscenze tacite, derivanti dal DNA, legate all’ambiente e alla famiglia, che si imparano naturalmente e che difficilmente possono essere trasferite se non con gli uomini. Si capisce, quindi, come il territorio sia sempre importante perché permette di sviluppare queste conoscenze, queste abilità che possono dare luogo a innovazioni (la gran parte sono “locali”, cioè incrementali), o a progetti e a idee.

Dal punto di vista delle conoscenze codificate siamo molto indietro rispetto alla media europea e da quello delle conoscenze tacite facciamo molto poco per mantenere e incrementare le specializzazioni e le abilità. In questo modo l’allargamento del gap rispetto ai paesi più avanzati è sempre più ampio.

Bisognerebbe dotare il territorio di beni comuni, di beni collettivi, di bravi “maestri” che possano sviluppare tutte le conoscenze: quelle codificate, che gli altri possono replicare, ma che possiamo replicare a nostra volta, e soprattutto quelle tacite, che difficilmente sono acquisibili dagli altri. Fra queste metterei, al primo posto, quelle relative alla trasformazione della Pubblica Amministrazione e delle nostre imprese tramite investimenti di diverso tipo (corsi, tirocini, concorsi tra imprese, esperienze all’estero, nuovi modelli da sviluppare).

Va precisato, comunque, che i “capitani capitalisti” da soli non possono farcela anche mettendo in campo tutte le energie possibili. E’ necessaria la volontà politica, la volontà di sistema, che agisca come input e testimonianza e trascini e muova uomini e imprese. Regole, impegni, connessioni e collegamenti, disponibilità di infrastrutture e servizi, talvolta sussidi, sono strumenti necessari.

Antonio Sassu
(docente di Politica economica europea all’università di Cagliari)
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Sardegna universitaria F Figari
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Anthony e Vito rianimano il dibattito fra i sovranisti
7 Ottobre 2016
democraziaoggiAndrea Pubusa su Democraziaoggi

Non essendo dentro la costellazione “sovranista-indipendentista” le mie considerazioni sono certamente approssimative. Leggo di un arricchimento dell’area con l’imgresso militante di Anthony Muroni, liberato dal fardello della direzione de L’Unione Sarda e vedo subito una presa di posizione di Vito Biolchini che mette dei paletti sulle modalità di scelta della leadership di quell’area. Sono comprensibili schermaglie in vista delle elezioni regionali del 2019, a cui tutti iniziano a pensare.
Devo dire, che, pur non avendo avuto particolari ragioni per apprezzare la direzione di Antony nel maggior quotidiano sardo, giudico condivisibili le sue posizioni sul referendum costituzionale. In particolare, lui stimola alla ragionevolezza quell’area, che abbagliata dal programma massimo (la sovranità e/o l’indipendenza), non vede che lo scempio costituzionale di Renzi va nella direzione di un duro neocentralismo statale. Dice giustamente Muroni che c’è un grosso passo indietro nella revisione del titolo V e che la modifica preclude qualsiasi avanzamento delle istanze di autodecisione dei sardi. Muroni ha anche diffuso un documento programmatico, che sembra preordinato ad una sua autocandidatura alla leadership. Così l’ha intesa Vito Biolchini, che, memore della autocandidatura di Michela Murgia, ragionevolmente obietta: dobbiamo prima fare un programma comune e poi scegliere il leader, e – come avviene in tutti i casi in cui non c’è un gruppo dirigente sedimentato e autorevole – lo strumento di scelta viene affidato alle primarie.
Già in passato mi sono permesso di fare alcune osservazioni critiche, che Vito ha interpretato come attacco, anche se non lo erano, così come non lo sono ora che le riformulo. Quest’area a me sembra peggio di quella sinistra che, non ricordo in quale anno, si presentò alle elezioni con la lista arcobaleno e scomparve dal parlamento nazionale. Mi pare più incasinata. Perché dico questo? Perché in Sardegna ci sono sovranisti a dir poco stravaganti. Per esempio, l’amico Paolo Maninchedda, che rimane in giunta e sostiene un esecutivo a maggioranza PD, ossia un gruppo dirigente che a Roma fa scempio del regionalismo e delle autonomie locali. Stessa cosa per i Rossomori. Ritengono Maninchedda e Muledda che l’abolizione del carattere elettivo delle province dia ai territori maggior peso e più efficace rappresentanza? E quei bizzarri enti intermedi che stanno creando (Carbonia sarà il capoluogo della provincia di Cagliari coast to coast!) daranno più potere decisionale alle periferie? E un senato non elettivo con Zedda e Pigliaru a Palazzo Madama darà al Sulcis, all’Ogliastra o alla Gallura più peso di quanto ne aveva con l’attuale Senato, a cui talora i territori hanno inviato valenti rappresentanti? Si dirà, ma queste formazioni sono per il NO al referendum costituzionale di dicembre. D’accordo, ma, scusate, la sovranità non è un’entità astratta, è capacità di decisione autonoma ai vari livelli. Questa capacità verrà rafforzata da queste riforme che generano mostri, appendici di burocrazie regionali (le attuali province) o partitiche (il futuro senato)? Non so chi altri fra i sovranisti sostenga la giunta. Ricordo Sale che, con l’abito nuovo del consigliere regionale grazie alla genuflessione al PD, è giunto perfino a ritenere positivo l’intervento degli emiri del Qatar in Gallura, buttando alle ortiche tante belle e spettacolari battaglie del passato.
Orbene, lo dico senza astio e senza animosità, se queste forze non tagliano netto con le appendici renziane locali, che credibilità possono avere? Qui Muroni ha ragione, come l’aveva Michela Murgia nel non accettare il bacio alle pantofole dei dirigenti PD per entrare nella coalizione del centro-sinistra. Non è entrata in consiglio per una legge regionale antidemocartica, di cui altri sedicenti sovranisti hanno approfittato, ma una battaglia dignitosa l’ha fatta (salvo poi abbandonare il campo e le truppe!).
Caro Vito, questa è una forbice che va ricomposta se si vuole il programma comune e le primarie. E il programma, per essere credibile, deve essere accompagnato da fatti politici concreti. Può il fronte avere un programma comune con due spezzoni così divaricati: uno (Maninchedda e Muledda) con Renzi-Pigliaru e l’altro fuori e contro? Il programma, se non vuole essere fittizio, deve pur partire da un’analisi dell’oggi e da condotte coerenti e convergenti. So che Vito fa parte di un’associazione d’ispirazione sovranista formata da persone serie, che sta fuori dalle dinamiche filogovernative regionali e dunque nazionali e che tenta di introdurre nel dibattito in seno all’area sovranista elementi di unità e ragionevolezza, ed anche la sua proposta, programma e primarie, è sensato. E’ tuttavia astratta. Già Muroni replica che, semmai gli venisse l’idea di candidarsi, non chiederebbe il permesso a nessuno. Paolo sta riunendo transughi e ingrossando le fila non certo col proposito di farsi da parte e i Rossomori non saranno da meno. Della Murgia si son perse le tracce e non si sa cosa le frulla per la testa. Al momento l’esito più credibile è che quest’area vada alle future elezioni in ordine sparso (una parte, insieme a SEL, col PD, l’altra con lista autonoma) e perda in termini elettorali e anzitutto di credibilità, di capacità di politica autonoma. E, sia detto per inciso, poco importa che Maninchedda faccia qualche strada e o qualche ponticello, se poi gli spazi di autogoverno dei sardi si chiudono ulteriormente sotto la scure renziana. L’unico beneficiario di questa insipienza è il M5S, che diventa l’unica alternativa a questa situazione di crisi e degrado a marca PD. Certo ci sono due anni davanti e strada se ne può fare tanta. Ma al momento le direzioni dei movimenti sovranisti sembrano divergenti tanto da apparire opposte. Per creare un senso unico bisogna avere concretamente la stessa collocazione politica e istituzionale rispetto al PD e al renzismo. E qui vorrei, ma non vedo riavvicinamenti. Comunque, la storia e la cronaca offrono esempi di impensabili ricomposizioni politiche, chi vivrà, vedrà. Good luck!
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Per completezza informativa
RossomoriJPG-160x1591Dalla pagina fb di Gesuino Muledda (Rossomori)
Oggi ho letto un saggio di Paolo Maninchedda nel quale dice che ai Sardi non deve interessare niente del referendum costituzionale. Lui deve fare lo stato. Con Renzi. E noi e gli indipendentisti di Sardegna votiamo NO. I maligni dicono che voglia affiliare il suo partito della nazione a quello di Renzi. Ora non più perché Renzi non ne parla più. Altri maligni dicono che si aspetta la benedizione di Renzi per la sua candidatura a presidente della Regione. E noi e i sardisti e gli indipendentisti votiamo. Noi vogliamo una Sardegna forte. Che sappia e possa difendere se stessa il suo Popolo con tutti gli strumenti statutari e con un grande movimento di POPOLO. NOI VOTIAMO NO. PRO SARDINNA