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RIFLESSIONI. C’è un Tsipras in Italia?
di Andrea Pubusa
Esiste in Italia un Tsipras possibile? Questo, dopo l’esito delle elezioni in Gracia, è il quesito o, forse meglio, l’auspicio di molti nella sinistra dispersa, ma resistente in Italia. Non è facile rispondere e, a ben vedere, cimentarsi col quesito è un esercizio forse inutile, essendo la risposta rimessa ai processi sociali più che alle discettazioni astratte. Tuttavia, molti, dopo il voto, si sono proposti come versione nostrana di Syriza, ma non sono mancati i tentativi di emulazione già prima. C’è stata una lista Tsipras per le elezioni europee, formata da ottime persone, certamente esponenti di un’intellettualità alta della sinistra e del mondo democratico. Ma basta questo per formare un partito o un movimento politico con ambizioni di governo? Pur senza svalutare la serietà dell’impegno di questo movimento e dei suoi esponenti, si può e si deve ammettere che la loro azione è preziosa, ma funge più da stimolo verso le altre ben più corpose formazioni politiche che come soggetto capace di sviluppare una autonoma azione politica. Per farla breve, le avanguardie intellettuali sono sempre state il sale della terra, indispenabili per imprimere una dinamica sociale, politica e culturale, ma, per incidere nella politica, occorre ch’esse s’innervino in una forza organizzata con forte radicamento sociale. In mancanza, restano testimonianze importanti di processi mancati o che hanno preso altre strade.
Si può allora far riferimento ai piccoli gruppi della sinistra? Ai residui della grande storia della sinistra italiana? A quei cespugli divenuti minuscola ombra di ciò che è stato il PCI? Il discorso è necessariamente severo. Questi movimenti si sono ridotti all’inconsistenza non per la mancanza di possibili referenti sociali, ma perché si sono chiusi in un autoreferenzialismo estremo, che hanno declinato in un’azione rissosa, tutta giocata nella ricerca di posizioni di potere: elezione al parlamento o ai consigli regionali, partecipazione senza freni al sottopotere ove possibile. Hanno così mantenuto un astratto, quasi liturgico linguaggio di sinistra, ma pratica una incontrollata azione di destra, quella che un tempo si chiamava, negli aspetti deteriori, pratica democristiana, oggi, in modo più appropriato, berlusconiana. Il legame sociale è ormai nullo. E si badi, questo intreccio non solo non è voluto, ma è temuto, perché la dinamica sociale produce sempre nuovi protagonisti e muta continuamente le cose: questi signori-compagni, invece, vogliono mantenere il loro status a tutti i costi e a vita, anche perché un loro ritorno alla vita normale li condurrebbe alla totale inconsistenza sociale e professionale. Ognuno di noi può girarsi intorno e vedere cosa sarebbero sindaci, deputati, senatori di casa nostra, provenienti da questi cespugli, fuori dalla politica.
D’altronde, costoro l’occasione l’hanno avuta per crescere, ma se la sono giocata sull’altare della loro sete di carica. Non solo dopo la scomparsa del PCI, ma quando si è formato il PD, la fuoriuscita di un folto gruppo di iscritti (Sinistra Democratica) poteva addirittura contendere al PD i consenso a sinistra, solo che subito si fosse avviato un processo di unificazione con Rifondazione e i Comunisti italiani. E’ in quel momento che bisognava creare l’alternativa al nascente PD mediante la costituzione di un riferimento forte per chi non si riconosceva nella prevedibile deriva centrista del PD. Quell’occasione fu mancata e, siccome il treno della storia non passa a frequenza rapida, ognuno nella sua referenzialità si è ridotto all’osso, spesso a vivere da acaro di un corpo altrui, SEL verso il PD, ad esempio. Il contrario di quanto ha fatto Tsipras, passando in pochi anni dal 3 al 36%. Per questo l’ennesimo cantiere lanciato a Milano domenica da Vendola non incanta più nessuno.
L’alternativa tuttavia non è impossibile a patto che si guardi ai movimenti sociali organizzati che in questi anni duri hanno tenuto il campo: la Fiom ed altri settori sindacali, Emergency, alcuni movimenti cattolici di base. Queste realtà sociali organizzate hanno espresso anche leader forti, affidabili, riconoscibili. Certamente Landini è uno di questi. E’ immediato, appassionato e certo suscita negli strati popolari e democratici una istintiva fiducia e simpatia. Ha le caratteristiche del leader, non è uomo da salotto, è uomo di lotta e di popolo, dovunque vada riempie le piazze. Si capisce che non teme il popolo, ma che lo vuole mobilitare e nobilitare. Niente è oiù lontano da lui del populismo, è sempre propositivo e, da ottimo sindacalista, non è per lo scontro fine a se stesso, indica sempre un punto di possibile accordo.
C’è poi il M5S, che la sinistra con la puzza sotto il naso non considera. Ma, se si guarda ai fatti, fa molte cose di sinistra: la rinuncia al finanziamento pubblico, l’autoriduzione delle indennità di carica, la richiesta del salario minimo garantito, la domanda di onestà, la difesa della Costituzione ed altre ancora. Certo, non è nelle corde della sinistra un partito telematico, preferiamo il contatto diretto, ci sono poi taluni eccessi e molte chiusure. Ma basta tutto questo per espungerlo da un disegno ricostruttivo di una sinistra di governo? Credo che sarebbe un errore grave, anche perché è un movimento che quasi vinceva le passate elezioni e comunque è sempre, a livello nazionale, intorno al 20% o, chissà, anche di più. Sol per questo è necessariamente un interlocutore nella ricostruzione della sinistra. Fra l’altro, sfrondato di molti frilli, che del resto, se ne stanno andando da soli affascinati dall’indennità di carica piena, c’è un gruppo di giovani, i Di Maio, i Di Battista per intenderci, di indubbio interesse e rilievo.
Insomma, se da Tsipras vogliamo trarre esempio, è qui, nel sociale, che dobbiamo pescare, come ha ben detto Rodotà l’altro giorno. La vecchia sinistra è morta, si è suicidata. Fuori, però, è cresciuta una nuova sinistra sociale, con alcune forti personalità, Landini fra tutti, su cui si può pensare a un nuovo inizio. Ci vuole però decisione. Anche questo Tsipras ci ha trasmesso. La storia necessita di levatrici.
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C’è un Tsipras in Italia? Andrea Pubusa su Democraziaoggi
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La divina sorpresa che viene da Atene
di Barbara Spinelli
Il Fatto Quotidiano del 27/01/2015. Nella storia francese, quel che è accaduto domenica in Grecia ha un nome: si chiama “divine surprise”. Il maggio 68 fu una divina sorpresa, e prima ancora – il termine fu coniato da Charles Maurras – l’ascesa al potere di Pétain. La storia inaspettatamente svolta, tutte le diagnosi della vigilia si disfano. Fino a ieri regnava l’ortodossia, il pensiero che non contempla devianze perché ritenuto l’unico giusto, diritto. L’incursione della sorpresa spezza l’ortodossia, apre spazi ad argomenti completamente diversi.
LA VITTORIA di Alexis Tsipras torce la storia allo stesso modo. Non è detto che l’impossibile diventi possibile, che l’Europa cambi rotta e si ricostruisca su nuove basi.
Non avendo la maggioranza assoluta, Syriza dovrà patteggiare con forze non omogenee alla propria linea. Ma da oggi ogni discorso che si fa a Bruxelles, o a Berlino, a Roma, a Parigi, sarà esaminato alla luce di quel che chiede la maggioranza dei greci: una fondamentale metamorfosi – nel governo nazionale e in Europa – delle politiche anti-crisi, dei modi di negoziare e parlarsi tra Stati membri, delle abitudini cittadine a fidarsi o non fidarsi dell’Unione. Ricominciare a sperare nell’Europa è possibile solo in un’esperienza di lotta alla degenerazione liberista, alla fuga dalla solidarietà, alla povertà generatrice di xenofobie: è quel che promette Tsipras.
I tanti che vorrebbero perpetuare le pratiche di ieri proveranno a fare come se nulla fosse. I partiti di centrodestra e centrosinistra continueranno a patteggiare fra loro – son diventati agenzie di collocamento più che partiti – ma la loro natura apparirà d’un tratto stantia; per esempio in Italia apparirà obsoleto qualunque presidente della Repubblica, se i nomi vincenti sono quelli che circolano negli ultimi giorni.
Dopo le elezioni di Tsipras, anche qui sono attese divine sorprese che scompiglino i giochi tra partiti e oligarchie. Non si può naturalmente escludere che Tsipras possa deludere il proprio popolo, ma il pensiero nuovo che impersona è ormai sul palcoscenico ed è questo: non puoi, senza il consenso dei cittadini che più soffrono la crisi, decretare dall’alto – e in modo così drastico – il cambiamento in peggio della loro vita, dei loro redditi, dei servizi pubblici garantiti dallo Stato sociale. Non puoi continuare a castigare i poveri, e non far pagare i ricchi. Non esiste ancora una Costituzione europea che cominci, alla maniera di quella statunitense, con le parole “Noi, popoli d’Europa…”, ma quel che s’è fatto vivo domenica è il desiderio dei popoli di pesare, infine, su politiche abusivamente fatte in loro nome.
L’establishment che guida l’Unione è in stato di stupore. Meglio sarebbe stato, per lui, che tra i vincitori ci fosse solo l’estrema destra di Alba Dorata, e che Syriza avesse fatto un’altra campagna: annunciando l’uscita dall’Euro, dall’Unione. Non è così, per sfortuna di molti: sin dal 2012, Tsipras ha detto che in quest’Europa vuol restare, che la moneta unica non sarà rinnegata, ma che l’insieme della sua architettura deve mutare, politicizzarsi, “basarsi sulla dignità e sulla giustizia sociale”. La maggioranza di Syriza – da Tsipras a eurodeputati come Dimitrios Papadimoulis o Manolis Glezos – ha scelto come propria bandiera il Manifesto federalista di Ventotene. DICONO che Syriza sfascerà l’Unione, non pagando i debiti e demolendo le finanze europee.
Non è vero. Tsipras dice che Atene onorerà i debiti, purché una grossa porzione, dilatata dall’austerità, sia ristrutturata. Che gli Stati dell’Unione dovranno ridiscutere la questione del debito come avvenne nel ’53, quando furono condonati – anche con il contributo della Grecia, dell’Italia e della Spagna – i debiti di guerra della Germania (16 miliardi di marchi). Che l’Europa dovrà impegnarsi in un massiccio piano di investimenti comuni, finanziato dalla Banca europea degli investimenti, dal Fondo europeo degli investimenti, dalla Bce: è la “modesta proposta” di Yanis Varoufakis, l’economista candidato di Syriza in queste elezioni.
Quanto al dissesto propriamente greco, Tsipras ne ha indicate le radici anni fa: i veri mali che paralizzano la crescita ellenica sono la corruzione e l’evasione fiscale. “È un fatto che la nostra cleptocrazia ha stretto un’alleanza con le élite europee per propagare menzogne, sulla Grecia, convenienti per gli eurocrati ed eccellenti per le banche fallimentari” (Tsipras al Kreisky Forum di Vienna, 20-9-2013). Questi anni di crisi hanno trasformato l’Unione in una forza conflittuale, punitiva, misantropa. Hanno svuotato le Costituzioni nazionali, la Carta europea dei diritti fondamentali, lo stesso Trattato di Lisbona. Hanno trasformato i governi debitori in scolari minorenni: ogni tanto scalciano, ma interiorizzano la propria sottomissione a disciplinatori più forti, a ideologi che pur avendo fallito perseverano nella propria arroganza.
Quel che muove Tsipras è la convinzione che la crisi non sia di singoli Stati, ma sistemica: è crisi straordinaria dell’intera eurozona, bisognosa di misure non meno straordinarie. Tsipras rimette al centro la politica, il negoziato tra adulti dell’Unione, la perduta dialettica fra opposti schieramenti, il progresso sociale. L’accordo cui mira “deve essere vantaggioso per tutti”, e resuscitare l’idea postbellica di una diga contro ogni forma di dispotismo, di riforme strutturali imposte dall’alto, di lotte e falsi equilibri tra Stati centrali e periferici, tra Nord e Sud, tra creditori incensurati e debitori colpevoli.
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- Il Tar salva la governabilità o l’anatra senza gambe? Andrea Pubusa su DEMOCRAZIAOGGI
in giro con la lampada di aladin…
Art. 18: la soppressione un colpo alla civiltà giuridica. Andrea Pubusa, su Democraziaoggi
La legge elettorale sospetta di incostituzionalità: un macigno sulle elezioni sarde di domenica 16
Un intervento di Andrea Pubusa, ordinario di diritto amministrativo dell’Università della Sardegna – Università di Cagliari
Elezioni truccate: legge elettorale incostituzionale
dal sito web di Democraziaoggi, 13 Febbraio 2014
di Andrea Pubusa*
Sono valide le elezioni regionali del 16? Sono elezioni truccate quelle di domenica? Si può pensare ad un ricorso alla Consulta anche per la legge elettorale regionale bipartisan? Ci sono indizi sulla sua illegittimità costituzionale? Sembra proprio di sì, e lo abbiamo scritto prima dell’approvazione. La nuova legge regionale pare cozzare con la Costituzione non meno del porcellum, caduto miseramente sotto la scure della Consulta nel gennaio scorso. Si obietterà: le preferenze nella disciplina sarda esistono, tant’è che i santini (per ridere, qualcuno ne fa raccolta!) circolano e in abbondanza. La legge elettorale però non è volta solo alla scelta dei rappresentanti, disciplina anzitutto la trasformazione del voto degli elettori in seggi. Dunque regola la rappresentanza, elemento centrale, anche se non unico, di qualsiasi sistema democratico. - segue -
La LAMPADA di ALADIN
Verso le elezioni. Questione Morale e Questione Politica
- Il punto di Vito Biolchini sul suo blog (ripreso da Aladinews). Come la pensano Vito Biolchini, Luciano Marrocu, Andrea Pubusa (su Democraziaoggi), Giommaria Bellu, Ettore Cannavera (su SardiniaPost) e altri.
Programmazione UE 2014-2020:Formazione delle amministrazioni meridionali. Il Formez mette in cantiere in progetto Esperi@
ZONA FRANCA. In un intervento nella sua pagina fb Marco Sini ci aiuta a capire cosa ha votato il Consiglio regionale e che forse non hanno capito molti degli stessi consiglieri. Po carirari! L’articolo di Marco chiude con una serie di proposte di cosa si può fare subito, perfettamente concordi con le posizioni di Aladin, ampiamente illustrate sulla news e che qui riproponiamo.
Il 2 settembre 1813 a Cagliari
STORIA SARDA
di Piero Marcialis
Il 2 settembre 1813 a Cagliari, nella piazza de Is Istelladas (dove oggi sorge il mercato di S.Benedetto) viene impiccato Salvatore Cadeddu, il capo della Congiura di Palabanda del 1812.
Avvocato, segretario dell’Università (oggi diremmo direttore generale), era già stato tra i capi della cacciata dei piemontesi da Cagliari il 28 aprile 1794.
Nel 1812, “anno della fame”, a Cagliari la corte di Vittorio Emanuele I vive nel lusso, mentre il popolo sardo muore di fame (muove davvero, non per modo di dire) un gruppo di patrioti pensò di liberare la Sardegna.
Per averlo soltanto progettato essi furono condannati, chi a morte, chi al carcere, chi all’esilio.
Avrei dovuto raccontare oggi la loro storia a Quartu, nella biblioteca comunale. L’amica Elena Vacca, fin dal 14 luglio, ne aveva chiesto la disponibilità. Solo pochi giorni fa le fu risposto di no, gli spazi saranno occupati da altra attività. Non è facile fare cultura a Quartu.
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Nell’occasione ripubblichiamo un intervento del prof. Andrea Pubusa su Democraziaoggi del 31 dicembre scorso, con il quale avanzava la proposta di dedicare a Salvatore Cadeddu la Facoltà di Giurisprudenza, per le ragioni ben spiegate nel suo scritto. Oggi la Facoltà di Giurisprudenza non esiste più, in quanto per effetto dell’applicazione della legge di riforma delle Università (riforma?) dell’improbabile ministro Gelmini al nostro Ateneo, la stessa facoltà è stata inglobata nella “Facoltà di Scienze Economiche, Giuridiche e Politiche“, nella quale sono confluite anche Economia e Scienze Politiche. La proposta mantiene intatto il significato simbolico attribuitogli da Andrea, comunque occasione per ricordare un grande patriota sardo e cagliaritano.
Perché non dedicare Giurisprudenza a Salvatore Cadeddu?
31 Dicembre 2012
Andrea Pubusa
Oggi [31 dicembre 2012] alle 12, su iniziativa del Comitato per i Martiri di Palabanda, nell’0rto botanico il Comune di Cagliari scoprirà due lapidi in onore dei MARTIRI DI PALABANDA. L’appuntamento dei partecipanti è fissato alle ore 11.30 all’ingresso dell’Orto Botanico. Da lì si partirà per lo scoprimento delle due lapidi. E’ prevista la partecipazione di un suonatore a launeddas, per il Comune è probabile la presenza del sindaco.
L’iniziativa è importante, ma si può e deve far di più.
Le iniziative sul bicentenario della congiura di Palabanda mi hanno dato grandi emozioni e consentito tante piccole scoperte. Ad esempio, che ho lavorato per ormai circa 40 anni nel luogo in cui l’Avv. Salvatore Cadeddu aveva la “casa di campagna”, dove riuniva un club di democratici. Ho appreso che l’ingresso del suo orto (l’attuale orto botanico), per lui, che veniva da Castello, era nei pressi del Convento dei capuccini, più o meno dove oggi si accede alla Facoltà di Giurisprudenza.
Sarà il caso, ma è una felice coincidenza che, dopo la damnatio memoriae del sito e del suo proprietario, a circa 150 anni dalla congiura e dal supplizio dei suoi promotori, in quel luogo sia sorta la Facoltà di Giurisprudenza. Dunque, la congiura di Palabanda ideata e decisa nel luogo dove da oltre mezzo secolo si formano alla democrazia e ai diritti i giovani sardi.
C’è però in tutto questo una cosa che mi tormenta. Fra questi due momenti non c’è alcun legame, nessuna consapevolezza. Salvatore Cadeddu vagheggiava una società democratica, non so se nella forma della monarchia costituzionale enucleata nella Costituzione di Cadice del 1812 oppure nella più radicale forma della repubblica sul modello rivoluzionario francese. Certo è che anche la Costituzione di Cadice del 1812 rispetto alla monarchia assoluta dei Savoia era un fatto rivoluzionario. Anticipava di oltre trent’anni lo Statuto albertino. Si ricordi che la prima Costituzione concessa da Carlo Alberto nel 1821 fu revocata dieci giorni dopo proprio da Carlo Felice, che, per reprimere i moti liberali, chiamò le truppe austriache! Carlo Felice ancora grondante del sangue di tanti rivoluzionari sardi.
Comunque sia il club di Palabanda era una fucina di idee e propositi democratici, riuniva intellettuali e popolani, così come oggi la Facoltà di Giurisprudenza forma le nuove leve di giuristi e con la ricerca dà un contributo alla cultura giuridca nazionale. Fra i due momenti, se ci fosse consapevolezza storica, dovrebbe esserci uno stretto legame. Fin dalla costruzione della Facoltà, alla metà degli anni ‘50 del 1900, si sarebbe dovuto darle il nome di ”Palabanda – Salvatore Cadeddu”. Ma per far ciò occorreva conoscere la storia del luogo e ancor più averlo scelto coscientemente per ubicare la Facoltà di Giurisprudenza. Ma è stato solo un caso. Un caso felice, tanto più che Cadeddu era un giurista ed anche segretario dell’Università. A questo lgame, non avendo dato rilievo ex ante, si può però dare rilievo ex post. Adesso, chiamando lo Studio giuridico cagliaritano “Facoltà di Giurisprudenza di Palabanda “Salvatore Cadeddu”. Ma so, ahinoi!, che anche in Facoltà la consapevolezza è di là da venire. Si lavora e si studia in un luogo nel quale la damnatio memoriae imposta dai savoia continua sotto la Repubblica e dopo la conquista delle libertà democratiche per le quali Salvatore Cadeddu e gli altri Martiri di Palabanda diedero la vita. Non è giunto il momento di porre rimedio all’omissione? Il Comitato potrebbe sensibilizzare il Comune, che oggi scopre le lapidi ai Martiri, a fare un passo formale verso la Facoltà.