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Agenda Sardegna. Apriamo i cassetti dei ricercatori universitari
Nei laboratori delle Università della Sardegna opera una nutrita schiera di ricercatori che si dedicano a tempo pieno allo studio di fenomeni complessi nei vari ambiti delle scienze chimiche, fisiche, biomediche, ingegneristiche e veterinario-agrarie con, tra essi, non poche eccellenze riconosciute e apprezzate dalla comunità scientifica internazionale. I risultati della ricerca di base condotta da questi validi scienziati raramente esce dai loro laboratori, se non sotto forma di pubblicazioni scientifiche.
Manca quindi un ente che, anche se in modo figurato, “metta le mani nei cassetti dei ricercatori” in modo da verificare quali prodotti della ricerca di base, teorica o applicata, possono essere suscettibili di trasferimento tecnologico verso il comparto industriale della Sardegna.
Sprechi e esigenze sociali: nessuno si senta escluso, a cominciare dai professori (accademici)!
In questi tempi si parla molto della necessità di combattere gli sprechi di denaro pubblico. Se ne parla (e poco si fa) soprattutto con riguardo agli sprechi nella pubblica amministrazione con particolare attenzione agli esagerati costi della politica, alle inefficienze organizzative e alla scarsa produttività del personale pubblico, e così via. Giusto! In questa sede vogliamo aggiungere un altro spreco, certamente meno eclatante, ma tuttavia di rilevanti dimensioni soprattutto in termini di mancata e quindi cattiva utilizzazione di importanti risorse pubbliche. Ci riferiamo allo spreco generato dal mancato utilizzo delle ricerche scientifiche per le esigenze del territorio. Quantunque il nostro paese finanzi la ricerca scientifica in misura minore rispetto ai paesi europei ed extraeuropei più evoluti, osserviamo come gli esiti della stessa ricerca non ricadano, se non in minima parte, sul territorio, certamente in misura quantitativamente e qualitativamente non commisurata alle risorse dedicate (ci riferiamo, a ragion veduta, specificamente alla Sardegna). Da cosa dipende questo fatto? Da meccanismi organizzativi (il sistema inadeguato)? Dalla perdurante (e colpevole) incapacità delle università di investire negli uffici liaison office per favorire il trasferimento della ricerca sul territorio? Dalla poca sensibilità dei ricercatori rispetto all’impiego dei risultati dei loro studi? Dalla mancanza dell’applicazione di efficaci metodi di valutazione a 360 gradi? Dal disinteresse dell’opinione pubblica? Dall’incapacità dei politici di ottenere la “resa del conto” da parte dei ricercatori, avendo spesso nei loro confronti una sorta di “rispetto reverenziale”? E così via. Non abbiamo una risposta univoca a questi interrrogativi, anche per il fatto che la situazione attuale è la risultante di diverse cause interconnesse. Per dipanare la matassa occorre analizzare la situazione, possibilmente anche con il contributo degli stessi ricercatori, a cui è richiesta “onestà intellettuale” nell’esercizio di autoanalisi e spirito critico (autocritico) e almeno un uguale impegno col quale alcuni di loro rivolgono spietate critiche al sistema politico e istituzionale. Per raggiungere lo scopo a noi sembra utile partire dalla comunicazione, facendo riferimento agli obblighi imposti al riguardo in materia di trasferimento e diffusione dei risultati della ricerca scientifica dalla Commissione Europea per il progetti del “VII programma quadro”. L’Unione Europea formula precise indicazioni come risulta dal documento che citiamo: “La comunicazione e la diffusione dei risultati sono obblighi contrattuali per i partecipanti al programma quadro di ricerca dell’UE. Lo scopo è di stimolare l’innovazione e promuovere la partecipazione alla conoscenza, la consapevolezza di un pubblico più grande, la trasparenza, il dibattito e la formazione. La comunicazione è un elemento chiave di una società basata sulla conoscenza. Perchè la società sia messa in grado di valutare e di accettare il contributo della scienza deve essere informata su di essa. Nel settimo programma quadro la Commissione propone, per la prima volta, che i partecipanti ai progetti, per tutta la durata degli stessi, coinvolgano il pubblico circa gli obiettivi, i mezzi e i risultati dei progetti” (tratto dal documento della Commissione Europea del 19 gennaio 2009). Sono indicazioni che, a nostro avviso, devono essere seguite scrupolosamente non solo per quanto riguarda i progetti finanziati dall’Unione Europea, ma per tutti i progetti da chiunque finanziati (Stato, Regioni, Enti Locali, privati, etc.). Nella circostanza non possiamo non fare riferimento ai progetti finanziati dalla Regione Sardegna con la legge regionale n. 7 del 2007, specificamente a quelli recenti (vedasi la documentazione pubblicata sul sito web della Regione Sarda). Cominciamo proprio da questi progetti, seguendo queste sintetiche proposte: 1) “tradurre” i titoli dei progetti e la sintesi dei contenuti dal linguaggio degli “addetti ai lavori” a quello del comune cittadino, a questo scopo compilando apposite schede, da pubblicare in un apposito sito web dedicato; 2) dare conto delle attività effettuate “in corso d’opera” e degli esiti delle ricerche con apposite iniziative, per le quali si può fare utile riferimento al manuale pubblicato dalla stessa Commissione Europea.
Ecco è una proposta che crediamo trovi fondamento nelle indicazioni europee nonchè nella stessa legge regionale sulla ricerca. Alla Regione spetta far rispettare tali indicazioni a cui i ricercatori dovrebbero di buon grado attenersi. Altrimenti, in caso contrario, sarebbe lecito e auspicabile che intervenissero i carabinieri!
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Per connessione: https://www.aladinpensiero.it/?p=1799
Apriamo i cassetti dei ricercatori universitari
di Alberto Concu*
Nei laboratori delle Università della Sardegna opera una nutrita schiera di ricercatori che si dedicano a tempo pieno allo studio di fenomeni complessi nei vari ambiti delle scienze chimiche, fisiche, biomediche, ingegneristiche e veterinario-agrarie con, tra essi, non poche eccellenze riconosciute e apprezzate dalla comunità scientifica internazionale. I risultati della ricerca di base condotta da questi validi scienziati raramente esce dai loro laboratori, se non sotto forma di pubblicazioni scientifiche.
Manca quindi un ente che, anche se in modo figurato, “metta le mani nei cassetti dei ricercatori” in modo da verificare quali prodotti della ricerca di base, teorica o applicata, possono essere suscettibili di trasferimento tecnologico verso il comparto industriale della Sardegna.
Ma questa operazione, per poter essere efficace, deve essere attuata “in house”, ovvero deve essere l’esito di un rapporto “face to face” tra il ricercatore in possesso di un know how interessante ed un collega docente (che parla quindi li stesso linguaggio del ricercatore) esperto nella valutazione del prodotto – sia sul piano scientifico che sul piano delle potenzialità della sua trasferibilità in ambito industriale – che si assume l’onere di supportare il flusso di informazione tra il ricercatore e la struttura attuatrice delle politiche per lo sviluppo delle imprese (l’Assessorato regionale all’Industria? L’associazione industriali? La Camera di Commercio?).
Si tratta quindi di costituire un’interfaccia snella tra il comparto della ricerca nelle Università della Sardegna e il comparto delle imprese la quale, con pochissimi passaggi intermedi, metta in relazione funzionale ricerca e industria. In questo modo si favorirà l’instaurarsi di un ciclo virtuoso che miri direttamente a creare il contatto tra l’offerta potenziale – il know how generato nei laboratori universitari – e la domanda potenziale – le imprese che intendono innovarsi attraverso l’acquisizione di conoscenze strategiche -.
Verranno quindi bypassati farraginosi processi intermedi quali gli incubatori d’impresa, gli sportelli per gli start up ecc., strumenti ormai soffocati da una burocrazia sempre più pervasiva e fine a se stessa, che per un verso tendono a forzare i ricercatori all’interno di una veste da imprenditore che non è loro congeniale, e per un altro verso tendono a trattare gli imprenditori alla stregua di potenziali trasgressori delle norme implementate negli articolati piani per le agevolazioni, senza creare quel rapporto di amichevole consulenza per le strategie aziendali che invece dovrebbe essere privilegiato.
La costituzione di un gruppo di lavoro per le interazioni tra Università e imprese, se concepito con le modalità sopra accennate, potrebbe agevolmente vicariare megastrutture caratterizzate da costi di funzionamento stratosferici e pesante impatto ambientale. Si tratterebbe di un gruppo di lavoro regionale per il trasferimento tecnologico dei prodotti della ricerca delle Università della Sardegna al comparto industriale della stessa regione che, in termini di risorse umane, non richiederebbe più di una dozzina di unità, senza nessun costo rilevante per strutture ad esso dedicate in quanto le attività primarie – quelle della ricerca di base teorica o applicata – si sviluppano totalmente all’interno dell’Università.
* professore ordinario di fisiologia dell’Università di Cagliari
L’articolo del prof. Alberto Concu ripropone l’intervento effettuato in occasione del Seminario “Rapporto ricerca-imprese” tenutosi sabato 28 aprile presso la Fiera della Sardegna, organizzato dalla Camera di Commercio di Cagliari