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In piazza fra i metalmeccanici Fiom con Landini
di Gianna Lai su Democraziaoggi
Il tamburo di una vera batteria annuncia l’ingresso in piazza del Carmine di Maurizio Landini, il leader della Fiom-Cgil che apre la manifestazione dei metalmeccanici sardi, tra le note di De Andrè e dei Modena City Ramblers. Fiom Sardegna Sciopero generale dei metalmeccanici Lavoro legalità uguaglianza democrazia www.fiom.cgil.it. E a tenere lo striscione insieme al Segretario generale, Maddalena, Elena, Margherita, Franca, Domenica, Orly, Daniela, Carla, Lella, Paola, Franca e ancora Paola. C’è una forte mobilitazione operaia, una partecipazione ampia di tutta l’isola, che si esprime nelle bandiere rosse e negli striscioni di Cagliari e dell’Ogliastra, del Sulcis-Iglesiente e di Sassari e di Ottana, mettendo in luce lotte e vertenze sempre aperte, dalla Keller di Villacidro all’Ex Ila, dai lavoratori in utilizzo di Terralba all’Alcoa di Portovesme. E poi ci sono gli striscioni del Crs4, e degli studenti e dei pensionati, tutto il centro cittadino invaso dalla manifestazione per il lavoro, fino a Piazza Garibaldi, dove il corteo si ferma accolto dal Gazebo della Cgil contro la violenza sulle donne, e dove vengono distribuiti i fiocchetti rossi del 25 novembre.
Negli interventi finali che lasciano ampio spazio alle varie categorie, le ragioni dello sciopero per il lavoro e contro le politiche del governo Renzi, che vorrebbe cancellarlo, cancellarne i diritti. E se Mariano Carboni, Segretario regionale Fiom, intavola un discorso diretto col presidente del Consiglio, per sviluppare le proposte del Sindacato e denunciare gli ingiusti provvedimenti, che non risolvono il problema delle 20mila persone in cassa integrazione e di quel 50% di giovani disoccupati in Sardegna, il Segretario regionale della Cgil Michele Carrus parte direttamente dagli assassinii contro le donne, uno ogni due giorni, per denunciare il vero esplicito significato della diseguaglianza. E rivendica l’appartenenza alla cultura di sinistra come vero impegno per la costruzione di una civiltà superiore, che ponga fine a questa strage. Il paese si rimette in moto col lavoro, dice Michele Carrus, che è fondamento di civiltà e ci rende liberi. Nè ci può essere crescita economica soggiogata alla finanza, dove proprio alligna l’immoralità politica di questo governo. Salari e diritti negati per derubare il futuro dei nostri figli e impunità per i disonesti. Batte le mani all’industria che se ne va in America Renzi, e accoglie come un principe chi vive in mezzo alla ricchezza, al sicuro nei paradisi fiscali del mondo, come potrebbe avere il consenso delle persone oneste? E tassa i risparmi il governo, e taglia i servizi, invocando la crisi. Ma le risorse si trovano nella lotta all’evasione e alla corruzione, che ammonta a oltre 240 miliardi l’anno, non nell’abolizione dell’articolo 18. In realtà il governo vuole eliminare la contrattazione collettiva e delegittimare il sindacato, dice Carrus, ‘ritorno al medioevo, per una modernità da servitù della gleba’. Invece esiste un Piano del lavoro Cgil che vuole rilanciare l’occupazione, attraverso interventi pubblici e privati, investendo sulle professionalità e estendendo i diritti a chi non li ha. Perchè esiste in tutto il mondo una norma come l’articolo 18 che consente ai lavoratori di contrattare le regole del lavoro. E c’è un Piano del lavoro anche per la Giunta regionale, tutta chiusa in un circuito autoreferenziale, che dovrebbe con noi condividere progetti sul sistema produttivo, contro la distruzione dei nostri presidi industriali. Alcoa vuol dire 900 lavoratori in meno, Euroallumina meno 700, ex Ila meno 200. E contro un patto di stabilità che anche in Sardegna impedisce di utilizzare i soldi stanziati per i territori devastati dalle alluvioni.
Maurizio Landini, il più atteso, spiega come si è preferito articolare lo sciopero in più giornate, per dar forza a tutte le realtà e permettere a tutto il paese di esprimersi a fianco dei metalmeccanici. Milano, Napoli, Sardegna, registriamo il consenso crescente, la volontà di cambiare, a partire dal 25 ottobre a Roma, dice Landini, in vista dello sciopero del 12 dicembre, che raccoglie sempre nuove adesioni. Diciamo al Paese che per cambiare bisogna estendere i diritti a tutti, sennò il lavoro è schiavismo. L’Italia ha i livelli salariali più bassi in Europa, occupa gli ultimi posti per ricerca e innovazione, i primi per corruzione, tanto che settori importanti di produzione industriale appartengono direttamente alla malavita, attraverso il sistema degli appalti e dei subappalti, che ne consente poi anche la vendita pezzo per pezzo. Cosa c’entra tutto questo con l’articolo 18? E intanto se non si modificano i vincoli della Banca Centrale Europea, se non si rimettono in discussione gli interessi del debito pubblico, non ci sarà ripresa. E intanto il sistema industriale rischia di saltare nei prossimi mesi, in un paese col 50% dei disoccupati e i giovani in fuga, mentre calano i consumi e i livelli industriali. E intanto gli stranieri non investono in Italia per mancanza di infrastrutture e per l’alto livello di corruzione. A dare l’esempio devono essere le aziende pubbliche, in primo luogo un intervento pubblico nella siderurgia, che deve tornare nelle mani dello Stato. Ma l’Eni investe fuori d’Italia, e Finmeccanica e Fincantieri non hanno un progetto industriale, ecco le ragioni vere del tracollo.
Con responsabilità la Fiom vuole difendere le fabbriche e si arriverà ad occuparle se saranno ancora in pericolo, dice Landini, perchè ci rifiutiamo, come Sindacato, di accompagnare la chiusura delle fabbriche e la fine del sistema industriale. L’emblema delle lotte è nei 205 giorni dell’Alcoa, un presidio che coinvolge l’intero paese, e che questa nostra mobilitazione vuole rendere visibile, perchè la visione dei problemi della Sardegna deve essere nazionale. E vuole difendere lo Statuto dei lavoratori la Fiom, che va esteso a tutti, perchè il dimensionamento, la dequalificazione delle persone è mobbing. E le 46 forme di lavoro esistenti si devono ridurre a 5, impedendo le forme selvagge dell’organizzazione aziendale in appalti e subappalti, dove l’azienda madre è del tutto deresponsabilizzata rispetto ai lavoratori degli appalti. Cosa c’entra tutto questo con l’articolo 18, se a resistere sono proprio le imprese che fanno la contrattazione e non hanno paura del Sindacato?
Avviandosi alla conclusione Landini rivendica al Sindacato la forza della rappresentanza, contro un governo che non ha dalla sua la maggioranza dei lavoratori, essendo espressione il presidente del Consiglio di manovre parlamentari, in un parlamento delegittimato dalla Corte costituzionale. Come il recente voto in Emilia e in Calabria dimostra, attraverso il grave fenomeno dell’astensionismo, il vero campanello d’allarme per la democrazia è la mancanza di partecipazione. E la crisi della rappresentanza tocca anche il Sindacato e le imprese, una volta venuti meno i luoghi del dibattito e della partecipazione. Un esempio finale sul sindacato tedesco che, insieme a imprese, governo e partiti, discute come si possono vendere nei prossimi anni un milione di macchine elettriche. Ma la Germania ha deciso di non licenziare e di non chiudere le fabbriche: ‘ecco le ragioni che ci spingono a proseguire anche dopo lo sciopero del 12, e che anche Renzi dovrebbe seriamente valutare, per non rischiare di andare a sbattere insieme ai responsabili di questo disastro’.
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Alan Friedman, Topolino e il Gattopardo
di Gonario Francesco Sedda *
“Operazione patata bollente” … è l’ultima missione sanguinosa di Topolino. Lo strano nome della missione è dovuto al fatto che il nostro eroe è obbligato a parlare in italiano tenendo in bocca una patata bollente. La delicatezza dell’operazione impone a Topolino anche di non presentarsi come tale, ma coperto sotto il nome di Alan Friedman. Niente a che vedere con l’impotente tentativo di Pierluigi Bersani che voleva soltanto smacchiare il giaguaro. Qui si tratta di “ammazzare” il Gattopardo, anzi di fare una strage di Gattopardi. E l’arma letale è Matteo Renzi, il bambino quarantenne che piace al ragazzotto cinquantottenne sedicente Alan Friedman: «La guerra di Renzi ai Gattopardi e le riforme vere da mandare in porto» [Il Corriere della Sera, 17 novembre 2014 – un estratto della nuova edizione del libro di Alan Friedman “Ammazziamo il Gattopardo”].
Non trovo argomenti nuovi nello scritto di questo personaggio che vede nel “renzismo” l’unica possibilità di esistenza di una “sinistra” come piace ai propagandisti dell’apparato ideologico del blocco dominante. Tuttavia mi interessa lo “stile” con il quale questo renziano più renziano di Renzi costruisce la sua narrazione di delirante fondamentalista liberal-liberista. Sono due gli ingredienti che colorano il suo stile: a) la “libertà” che può concedersi nel prendere le distanze da Renzi dubitando che non voglia andare fino in fondo e limitarsi solamente a stordire il Gattopardo invece di “ammazzarlo”; b) l’idea che il suo sogno di intellettuale organico del potere possa essere distrutto dalla insidiosa forza della quasi opposizione della quasi renziana minoranza del PD.
1. «Il dibattito sull’articolo 18, la petulanza della leader della Cgil, Susanna Camusso, e la durezza della risposta di Matteo Renzi alla Cgil e agli ultrà del Pd fa cambiare qualcosa». Sulla noia del dibattito riguardo all’art. 18 (ultimo chiacchiericcio di una inconcludente democrazia che “preferisce il parlare al fare”), sulla petulanza di S. Camusso, sulle pretese degli ultrà del PD spicca la “durezza” di Matteo Renzi (e non c’è paragone con quella di U. Bossi). Se una volta tanto la CGIL non riesce e/o non vuole essere docilmente la cinghia di trasmissione della politica di M. Renzi, se una volta tanto si mostra più sensibile alla pressione dei suoi iscritti e del “popolo dei lavoratori” a mettersi contro l’esecuzione dei compiti a casa imposti dall’oligarchia europea (politica, industriale e finanziaria), allora è già abbastanza per far gonfiare di sacrosanta indignazione il difensore della “vera sinistra”, fino alla allucinazione di una S. Camusso petulante. Ma chi ha mai conosciuto la “petulanza” dell’attuale segretaria della CGIL? Cioè, chi si ricorda di sue richieste insistenti, moleste, inopportune e avanzate talvolta con arroganza e presunzione? Io ricordo una S. Camusso responsabile e collaborativa, attenta a non disturbare troppo il suo partito di riferimento (il PD) sempre più coinvolto in politiche orgogliosamente antipopolari («le scelte dure e difficili», secondo Alan Friedman). È quella la S. Camusso che piacerebbe sempre ai ragionevoli, equilibrati, responsabili, indipendenti, obiettivi intellettuali organici del potere, quella sarebbe la S. Camusso alla quale si potrebbe perdonare tutto.
E gli «ultrà del PD» contro i quali si sarebbe abbattuta la dura reazione del titanico (seppur cinguettante) Matteo? Qualcuno ha mai visto degli “ultrà” nei quasi oppositori quasi renziani, affiliati alla stessa ditta?
2. La dura reazione del “comandante in capo” ha finalmente messo «in dubbio la rilevanza della Cgil, un sindacato che non ha saputo rinnovarsi e prendere in considerazione i veri problemi dei giovani, dei precari, e che si è trasformato in un partitino di pensionati guidato da una leader che parla con la retorica degli anni Settanta, con quella nostalgia per il cattocomunismo di un’altra epoca».
Ma se è in dubbio la rilevanza della CGIL perché tanta potenza di fuoco contro di essa? Evidentemente la realtà non coincide ancora con i desideri. Lo scopo è da una parte dividere i sindacati esistenti e renderli irrilevanti e dall’altra impedire la nascita di nuovi sindacati capaci di esprimere e di organizzare gli interessi di larghe masse di lavoratori. Creare il deserto e spargere il sale: per rendere vana qualsiasi speranza che anche dalle macerie possa rinascere un’organizzazione sindacale capace di non lasciare solo ogni singolo lavoratore difronte al suo datore di lavoro (padrone/imprenditore) o i lavoratori di un’azienda isolati dagli altri lavoratori del proprio settore o da tutti gli altri lavoratori dell’intera economia nazionale (almeno). Dividere i sindacati e individuare il “maggiore nemico”. Attualmente l’area di maggiore resistenza è quel che resta di una CGIL che «non ha saputo rinnovarsi» – è vero – e che non ha saputo e/o voluto organizzare i lavoratori precari (soprattutto giovani) né si è opposta con tutta la forza di cui disponeva all’allargamento e al consolidamento del lavoro precario.
Io sono tra quanti hanno cominciato a criticare errori, ritardi e omissioni della CGIL fin dall’inizio degli anni settanta. Ma mi dà fastidio la sufficienza e il disprezzo con il quale questo ragazzotto cinquantottenne sedicente Alan Friedman parla della trasformazione di quel sindacato «in un partitino di pensionati guidato da una leader che parla con la retorica degli anni Settanta, con quella nostalgia per il cattocomunismo di un’altra epoca». Intanto chiamare “partitino” un’organizzazione che nel 2013 ha avuto 2.988.198 iscritti allo SPI (il 52,6% dell’intera CGIL) è indicativo dello stato di allucinazione ideologica in cui versa il nostro fondamentalista liberal-liberista. E poi, i pensionati di oggi non sono stati i giovani lavoratori di ieri? Non hanno forse anche loro il diritto di organizzarsi in sindacato? E i sindacati che sono “più disponibili” a farsi carico delle “magnifiche sorti e progressive” delle riforme retrograde di M. Renzi non hanno pensionati iscritti? In ogni caso non sono iscritti alla CGIL solamente “pensionati”: sempre nel 2013 ne facevano parte altri 2.698.012 attivi. È un “partitino” anche questa seconda parte? E se considerassimo la CGIL come un’organizzazione di “cittadini” (lavoratori attivi e pensionati), i suoi 5.686.210 iscritti (2013) sarebbero un “partitino”? Il Grande Partito che piace al nostro Mickey Mouse (Topolino) lamentava qualche mese fa un ritardo nel tesseramento del 2014: meno di 100.000 tessere rispetto alle 539.354 del 2013. Riuscirà entro l’anno non solo a ricuperare il ritardo, ma anche a spingersi oltre di slancio verso il milione di iscritti? Il Grande PD sarebbe nel migliore dei casi solo un sesto circa degli iscritti di quel “partitino” che sarebbe la CGIL!
Infine, dopo aver dato un colpo mortale alla «retorica degli anni Settanta» e non volendo risparmiarsi nulla, Alan Friedman accusa S. Camusso di aver nostalgia «per il cattocomunismo di un’altra epoca». Ma di tante cose può essere accusata la segretaria della CGIL fuorché di essere stata una cattocomunista. Invece sicuramente M. Renzi è stato un cattodemocristiano. Susanna Camusso è stata iscritta al PSI fin dall’inizio del suo impegno sindacale negli anni settanta e ha proseguito sulla scia della componente socialista fino alla chiamata alla vicesegreteria da parte di G. Epifani proveniente anche esso dal PSI. Forse con questa svista Alan Friedman ci dà una chiave per capire il suo odio per i Gattopardi: li confonde con i G…attocomunisti!
3. «Se andassero in porto e diventassero realtà tre quarti o anche due terzi delle riforme messe sul tavolo da Renzi nel 2014 sarebbe un miracolo italiano, una vera rivoluzione. […] Bisogna andare fino in fondo. […] Nell’Italia di oggi, non c’è alternativa». Se davvero – come scrive Alan Friedman – nei confronti dei «“reduci” della sinistra radicale [!!??] del Pd» M. Renzi «si è mostrato un Tony Blair … o forse qualcosa di più complesso» in quanto capace di giocare il ruolo «sia di Blair sia di Thatcher», allora si capisce perché l’apparato ideologico del blocco dominante accrediti l’attuale capo di governo “senza alternativa”. O la politica catto-blairian-thatcheriana di M. Renzi o il diluvio. Ma le masse “popolari” sono già da decenni sotto il diluvio. «Le scelte dure e difficili» sono state fatte e si continuano a fare contro di loro. Non v’è nessuna speranza che la politica “cambi verso” né in Italia né in Europa per impulso di un “Blai-tcher” fiorentino che si accontenta solo di un nuovo modo di “fare il verso” alle politiche antipopolari dell’oligarchia europea (politica, industriale e finanziaria).
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* anche su Democraziaoggi
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