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AladiNewsEstate. I racconti immaginari di Stampace
SUOR MARTA È ANCORA VIVA .
di P.Ligio
- Suor Marta non è morta!, fu Barbasanta a portare la sconvolgente notizia ai quattro amici che cercavano di sopravvivere ad un’afosa serata d’estate. Sedevano davanti ad un tavolino all’aperto del bar tabacchi, davanti ad alcune bottiglie di birra Ichnusa e ad un mazzo di carte.
- Non dire fesserie, gli rispose il Cavaliere. Ziu Pissenti espresse la propria incredulità con un sorriso ironico, il Maresciallo continuò a mischiare il mazzo di carte, Angelino Sollai confermò, con un monosillabo, il giudizio del Cavaliere.
Intanto i quattro fecero spazio attorno al tavolino per consentire al nuovo venuto di collocare la propria sedia. Barbasanta si sedette e fece un cenno alla proprietaria del bar, anziana quasi quanto loro, perché portasse un altro bicchiere.
Lo stupore derivava dal fatto che suor Marta, che nessuno di essi aveva più incontrato da almeno 30 anni, veniva da tutti ricordata come persona molto anziana, per cui risultava loro difficile credere che potesse essere ancora viva.
Il Cavaliere sentì il dovere di dire la sua. Perché era uomo di chiesa, era stato componente del consiglio parrocchiale, dirigente della società di San Vincenzo, organizzatore delle feste del patrono. Senza contare quel suo titolo di cavaliere, che nessuno sapeva a cosa fosse dovuto, ma che egli, grazie anche alla mole robusta ed alla voce baritonale, portava molto bene. Per lunghi anni aveva utilizzato quel dono, quello della voce, cantando in un piccolo coro, composto da lui, dal Rais, e da un organista tedesco che abitava nel quartiere e la cui origine era sempre rimasta misteriosa. L’organista, nonostante le origini, si era inserito perfettamente nella cultura del quartiere, era persino diventato grande estimatore di gatti. Era capace di annegarli, non senza fatica, all’interno di un recipiente colmo d’acqua coperto da una tavola tenuta stabile da alcune pesanti pietre. Aveva anche imparato a scuoiarli, li esponeva alla luna per due notti di seguito, al clima secco del maestrale, dopodiché li imbottiva con aglio, rosmarino e sale prima di cucinarli.
Il suo problema principale era quello di procurarseli, i gatti. Acchiappava quelli che poteva tra i tetti ed i vicoli del quartiere, suscitando le ire di zia Annica, una vecchietta che divideva il suo tempo tra le funzioni religiose e la cura dei felini del vicinato. Preparava per loro dei piattini con il cibo, li distribuiva nella piccola terrazza, nel vicolo della propria casa e qualche volta, approfittando dell’assenza degli abitanti del palazzo, persino nell’androne. Li riconosceva uno per uno e li chiamava per nome. Ogni volta che qualcuno di essi mancava all’appello attribuiva le colpe, immancabilmente, all’organista tedesco. Lo riempiva di maledizioni, più di una volta, se solo le forze glielo avessero consentito, le si sarebbe avventata contro.
Il Cavaliere non era amico dell’organista, ma non poteva fare a meno del suo accompagnamento, sia quando cantavano nella chiesa parrocchiale, dotata di un grande organo, sia quando si dovevano accontentare di qualche scalcinato armonium nelle sette chiesette del quartiere. Si diceva, ma anche di ciò non vi era certezza, che in qualche occasione il quartetto fosse stato chiamato a cantare in altri quartieri e, forse, persino in alcuni paesi dell’interno.
Il Cavaliere era intimo amico del Raìs, erano soliti familiarizzare nel retrobottega della drogheria, una sorta di piccolo circolo privato per pochi intimi amici rigorosamente selezionati, si spostavano nei transetti o nei cori delle cappelle dove venivano chiamati. Preferivano i cori, perché dall’alto potevano dominare la navata della chiesa, inoltre, non essendo esposti alla vista dei fedeli, potevano continuare a sgranocchiare semi di zucca ed a sostenere le loro voci con qualche manciata di murta ucci, potevano continuare a scherzare, a scambiarsi battute sugli ignari fedeli, sugli sposi o sul morto, a seconda delle occasioni. [segue]