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Ahi serva Europa, di dolore ostello, nave senza nocchiere in gran tempesta…
di Franco Meloni
Lo abbiamo segnalato più volte, lo sentiamo nell’aria e ce lo ha confermato una recente indagine demoscopica: l’Europa non tira! Nel senso che sempre meno costituisce per i cittadini europei un riferimento positivo di possibile miglioramento. La sua immagine è offuscata dall’incapacità che hanno avuto le istituzioni dell’Unione Europea di fronteggiare la crisi economica, mettendo in essere politiche recessive che l’hanno aggravata. La Grecia soprattutto, ma anche il Portogallo, la Spagna, l’Irlanda e l’Italia permangono nelle difficoltà economiche e il quadro sociale in termini di benessere delle popolazioni e livello di occupazione, specie giovanile, peggiora. Le drammatiche vicende ucraine ci dicono poi quanto sia inconsistente l’Europa come soggetto politico, oggi incapace di orientare le politiche degli Stati, neppure di quelli della stessa area geografica. Segnali inquietanti di una possibile degenerazione di questa situazione sono il fatto che rialzino la testa e crescano in consenso popolare i movimenti e i partiti xenofobi, razzisti e di estrema destra, a fronte dei quali non corrisponde una sufficiente crescita di aggregazioni progressiste che sappiano proporre politiche alternative a quelle dei governi dominanti, verso i quali va principalmente rivolta la critica per questa situazione, soprattutto quindi nei confronti dei partiti moderati che prevalgono alla guida dei governi europei, ma anche dei partiti socialdemocratici che governano in alcuni paesi o che comunque praticano uguali politiche economiche anche attraverso le cd larghe intese. Per non deprimerci evidenziamo anche i segnali positivi rappresentati da vari nuovi movimenti che si propongono, seppure in misura tuttora insufficiente, e attualmente con inferiore incisività rispetto alle formazioni della destra, ma significatamente in crescita. Tra i quali vogliamo mettere in evidenza i movimenti nazionalitari che attraverso vie democratiche combattono per l’autodeterminazione di popoli con identità nazionale ma privi di Stato, come gli scozzesi, i catalani e i baschi e, al livello trasversale il movimento che si va aggregando intorno alla proposta del leader greco Alexis Tsipras, animatore della Lista L’Altra Europa con Tsipras, per la quale si sta lavorando alacremente in Italia.
Le prossime elezioni europee per l’elezione del Parlamento Europeo, che si terranno dal 22 al 25 maggio, a detta di alcuni osservatori saranno in grande misura disertate dai cittadini europei. Tuttavia si ha ragione di credere che parte di questo probabile astensionismo sarà ridotto dalla presenza delle liste indipendentiste e dalle liste con riferimento Tsipras.
Ma parliamo della situazione sarda.
Scrive Adriano Bomboi in un articolato intervento sul sito Sa Natzione, critico sulle posizioni di Sardegna Sostenibile e Sovrana e sulle “conclusioni” del convegno organizzato di recente dalla stessa associazione che hanno visto la possibile convergenza di importanti componenti dell’area indipendentista/sovranista (così come di Sel e della Federazione della Sinistra) con la Lista Tsipras “… per le elezioni europee non siamo pronti, non ci sono le condizioni e tutta la galassia politica autonomista e indipendentista rimane frammentata e scoordinata. Men che meno in questo frangente storico bisogna considerare seria la proposta di ideologizzare a sinistra un qualsivoglia progetto politico sovranista unitario, sia in un ottica regionale che europea…”. Io invece non credo che l’inserimento nella Lista L’Altra Europa con Tsipras di uno o più candidati dell’area Indipendentista/sovranista determini una “ideologizzazione” del progetto di quest’ultima, proprio per la caratteristica aperta della Lista. Anzi l’inserimento ben visibile dei candidati sardi dell’area ne proverebbe l’apertura, allargandola. Proprio perchè altre soluzioni non sono pronte, questa della Lista Tsipras va praticata. L’alternativa è una sana e onesta astensione, organizzata come esplicita posizione politica (anche come critica alla quasi impossibile costituzione della circoscrizione elettorale autonoma sarda, per colpa soprattutto di Pd, Pdl-FI). Per quanto mi riguarda all’astensione preferirei un voto alla Lista Tsipras, sperando nell’auspicato accordo.
Certo va ribadito quanto scritto pochi giorni fa su questo sito da Vanni Tola, a nome della redazione di Aladin, e cioè che avremo voluto Michela Murgia a capo di questa aggregazione sarda all’interno della Lista Tsipras, ma questa opportunità sembra ormai tramontata e non possiamo che prenderne atto, seppure con rammarico. Giova però al di là della persona o delle persone che dovranno rappresentarci riportare le motivazioni che ci hanno indotto e ci inducono a impegnarci e a sollecitare un impegno dei sardi per la Lista Tsipras.
Ripetiamo
La Sardegna non può immaginare alcun tipo di futuro, alcuna prospettiva politica e di sviluppo, prescindendo dalle scelte del Consiglio Europeo che tanta parte hanno negli indirizzi di politica economica e nelle scelte legislative dei paesi aderenti all’Unione. Ne può essere indifferente per i Sardi il fatto che in Europa si affermi questa o quella visione del tipo di Unione da realizzare. Non è indifferente per noi che, con le prossime elezioni europee, si riconfermino le scelte neoliberiste del blocco politico-economico rappresentato dalla Cancelliera Anghela Merkel o che prevalgano altre strategie che favoriscano una visione differente dell’Unione e sappiano tenere conto delle problematiche specifiche dell’area mediterranea. A meno che non ci si vada a collocare in quell’area politica che fonda le proprie scelte sul rifiuto radicale della logica stessa di Unione europea in nome dello statalismo e del nazionalismo ben rappresentata dalla destra europea e, nel nostro paese, dalla Lega, da Forza Italia e dal “grillismo”. Una partecipazione attiva e unitaria dell’area indipendentista e di tutti i sardi al dibattito su quale Europa realizzare, sulle scelte di indirizzo economico e politico del vecchio continente, sulla necessità di completare il processo di unificazione europea superando i limiti dalla sola unione monetaria e bancaria, è necessaria, direi prioritaria in questo particolare momento politico. Sono anche fatti nostri. In questo senso andrebbe analizzata con grande attenzione la possibilità di aderire alla lista Tsipras che nasce come proposta della sinistra europea ma si presenta con un programma di grande apertura a tutte le forze progressiste d’Europa e con dei contenuti sui quali è facilmente raggiungibile un ragionevole consenso, a prescindere dalla differente formazione e posizione politica di ciascuno.
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A proposito della situazione in Ucraina. Un commento di Marina Spinetti, tratto dalla sua pagina fb
Mentre Schulz dice che “bisogna dialogare con i neonazisti di Svoboda”, io ho molta paura di questa guerra e di questa Europa. Europa delle banche e dei mercati, che prepara guerre, si nutre di ingiustizie e vuole dialogare con chi non crede nei valori di democrazia e solidarietà. Non era nata per questo.
Perché è chiaro che quanto succede in Ucraina non sono manifestazioni di protesta, di lotta politica. E’ guerra. Ed è la terribile e purtroppo logica conclusione della degenerazione irreversibile del progetto democratico europeo, di quell’Europa che ha incoraggiato, preparato e forse finanche finanziato tutto questo.
America e Europa sono in crisi, e la guerra è sempre stato il modo migliore per occultare le crisi.
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DECLARATION FINALE DELL’ASSEMBLEA DEL 2 MARZO
SCRITTO DA ACT (Agire, Costruire, Trasformare) Lista L’Altra Europa con Tsipras
Agire, Costruire, Trasformare. Prende avvio con l’assemblea nazionale del 2 marzo il difficile e entusiasmante cammino politico di un’intera generazione: studenti, inoccupati, stagisti e tirocinanti, lavoratori precari ma anche reti locali, circoli di partito, attivisti di associazioni sociali. Convintamente a sostegno della lista unitaria “l’Altra Europa per Tsipras” abbiamo l’obbiettivo di dare corpo al mandato programmatico europeo con il quale ci confronteremo il 25 e 26 maggio, che tenga conto delle istanze sociali e politiche di cambiamento di una intera generazione.
La sfida della candidatura Tsipras è un atto di rinnovamento radicale e realmente alternativo, che innanzitutto rifiuta le ambiguità e le timidezze di gran parte della socialdemocrazia nell’affrontare temi centrali quali i diritti e la protezione sociale, e le cui politiche sono risultate fallimentari, finendo con il favorire la concentrazione della ricchezza nelle mani di un’esigua oligarchia industriale e finanziaria.
Sul piano economico abbiamo assistito all’imporsi di decisioni che riguardano milioni di cittadini europei, decisioni prese da organismi non rappresentativi (Bce, Fmi e Commissione europea) forti dell’appoggio di singole cancellerie (soprattutto quella tedesca) che hanno ridotto le questioni puramente contabili a questioni morali, ignorando, per pura convenienza economica, il nefasto impatto sociale che tali misure hanno prodotto in questi ultimi anni.
Allo stesso tempo, nei singoli paesi si sono formati governi di “grande coalizione” che aggirano, per non dire ignorano del tutto, il verdetto delle urne, e al tempo stesso parlamenti silenti accettano quasi nell’indifferenza generale manomissioni nelle proprie carte costituzionali. Un’ulteriore evidenza della fragilità dei diritti democratici si esprime nella diffusione di strategie repressive nella gestione dei conflitti che animano le piazze di tutta l’Europa. Infatti, i governi, ma anche i partiti stessi, hanno finora affrontato tali rivendicazioni escludendo qualsiasi forma di dialogo con i movimenti, le associazioni, riducendo la gestione della protesta a un problema di ordine pubblico, senza mai mettere in discussione il proprio operato. Ed è proprio con la necessità di riaprire il perimetro della sinistra al contributo di nuovi soggetti del conflitto che si misura la sfida di Tsipras.
Crediamo che l’Europa sia l’unico luogo dove si possa preservare un modello sociale, dove si possano proteggere i cittadini dalle pressioni della globalizzazione, dove si possano compiere quegli investimenti volti al progresso, al miglioramento delle condizioni di vita, all’energia verde, alla lotta contro il cambiamento climatico. Ma questa Europa non può raggiungere nessuno di questi obiettivi senza un’inversione di rotta nel processo d’integrazione e in particolare nella strategia complessiva della politica economica europea. Dobbiamo dunque da una parte riaprire una discussione complessiva sull’architettura istituzionale europea, che metta al centro di una nuova unione, istituzioni rappresentative come il parlamento e i rappresentanti di regioni e parti sociali, riduca il peso dei governi nazionali, sperimenti pratiche di partecipazione democratica sempre più avanzate. Dall’altra è fondamentale lo fine delle politiche di austerità. Serve una riforma dei trattati per arrivare a modificare le regole esistenti della governance economica. C’è bisogno di un bilancio europeo (basato su delle risorse proprie e adeguate, derivanti da una patrimoniale europea, da una tassa sulle transazioni finanziarie e da imposte ambientali) per un nuovo modello di sviluppo basato sulla giustizia sociale e ambientale. Occorre modificare gli obiettivi fiscali del fiscal compact e del six-pack, per ridare margini di manovra agli stati membri soprattutto per favorire investimenti produttivi. Per accelerare la transizione verso un’economia a bassa emissione di carbonio si deve incentrare un green new-deal europeo su un grande piano di investimenti su scala europea da finanziare attraverso obbligazioni emesse dalla Banca Europea per gli Investimenti o da un Fondo europeo creato appositamente per questo fine Occorre inoltre un piano straordinario per l’occupazione giovanile che migliori la transizione dalla formazione al lavoro e che incentivi l’occupazione non precaria
Il tema dell’occupazione, del welfare e della lotta alla precarietà è per noi assolutamente fondamentale, sia per il legame che ha con la nostra esperienza di vita quotidiana sia per la centralità che ha nel presente e nel futuro dello sviluppo in Europa. Per questo riteniamo prioritari la fine delle politiche di austerità e il rilancio di politiche di investimento pubblico nell’economia per la creazione di nuova e buona occupazione. Oggi le politiche europee sull’occupazione giovanile sono emergenziali, sottofinanziate, prive dei criteri e dei vincoli necessari a renderle efficaci. Serve un lungo processo di rilancio, ristrutturazione e armonizzazione delle politiche attive del lavoro, dai centri per l’impiego agli ammortizzatori sociali. Se l’obiettivo è quello di colmare il divario dei diritti da una parte tra lavoratori tradizionali e atipici, dall’altra tra lavoratori di altri paesi, la lotta al dumping sociale deve diventare una priorità, attraverso la costruzione uno spazio contrattuale europeo, di uno spazio europeo del welfare, di uno spazio europeo di diritti universali. La lotta alla povertà, all’esclusione sociale, al ricatto della precarietà deve partire da politiche di redistribuzione della ricchezza, ad esempio utilizzando parte dei dividendi delle rendite finanziarie per finanziarie un reddito di base universale.
Rivendichiamo inoltre la centralità dei saperi come motore della trasformazione sociale. La contraddizione che ha attraversato le politiche educative europee negli ultimi decenni, dal processo di Bologna alla strategia di Lisbona, tra internazionalizzazione, convergenza e promesse di economia della conoscenza da una parte, e precarizzazione, privatizzazione e parcellizzazione dei saperi dall’altra, si sta risolvendo nettamente sul secondo di questi poli. È in corso un attacco predatorio ai processi formativi, con l’obiettivo di smantellare i sistemi educativi pubblici per aprire spazi di profitto al credito e ai privati. Questo attacco va fermato attraverso il rilancio degli investimenti pubblici su scuola, università e ricerca. Dobbiamo inoltre rivendicare una cittadinanza europea dei saperi, che preveda l’accesso universale e gratuito alla conoscenza in tutto il continente e livelli standard di diritto allo studio e welfare studentesco in tutti i paesi. Serve una Maastricht dell’educazione che stabilisca criteri e vincoli validi per tutti, per livellare verso l’alto i diritti e l’accesso ai saperi, compresi quelli dei dottorandi e degli stagisti. Serve inoltre aprire un’ampia discussione sul finanziamento della ricerca, che metta in luce i rischi di controllo totalitario, disciplinamento e snaturamento del lavoro di ricerca connessi alla concentrazione sulla Commissione europea dell’intera struttura dei fondi. Va inoltre riaperta la discussione sui TTIP, i testi di libero scambio che rilanciano meccanismi privatistici sul piano della proprietà intellettuale e dei brevetti. È a partire da questi contenuti che intendiamo costruire il nostro contributo alla lista per l’Altra Europa, in un processo che intendiamo lasciare aperto a idee e discussioni nei prossimi messi. È a partire da questi temi che si concretizza il nostro impegno. Partiamo da qui, andiamo avanti, iniziamo ad agire, costruire, trasformare.