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Una bocca per parlare e due orecchie per ascoltare
Massimo Zedda, il Sindaco di Cagliari, ci deve essere rimasto molto male alla notizia che le donne di Sant’Elia, organizzate nell’associazione culturale S.Elia Viva, abbiano accusato la sua amministrazione di disinteressarsi dei problemi del quartiere. Andatevi a vedere e ad ascoltare i video-servizi de L’Unione Sarda e di CagliariPad, ripresi dalla nostra News, per rendervi conto di quanto siano pesanti le rimostranze di queste cittadine.
Ma come? - avrà pensato il Sindaco – e il lungomare, che è costato qualche milione di euro alle casse del Comune, non è nulla? Non è ancora finito, ma già in buona parte può essere fruito. Ci stiamo lavorando per completarlo. E poi abbiamo già mandato in appalto il porticciolo. Quello sì che sarà una vera figata!… Che ingrate queste donne di S.Elia!
E, invece, diciamo noi, hanno pienamente ragione. Non disconoscono certo la bontà e la bellezza di quelle realizzazioni e dei progetti in itinere, ma loro, vivono la quotidianità dei problemi della gente del quartiere, che sono di “poco conto”: la disoccupazione, la disgregazione sociale che colpisce soprattutto i giovani e che si appalesa per esempio con la dispersione scolastica o con il fenomeno dei NEET (ragazzi che non studiano e che non lavorano), la violenza che ancora si esercita nei confronti delle donne, l’abbandono degli anziani… A fronte di questi problemi di “poco conto” ha voglia di dire il Sindaco che in larga parte non sono di competenza dell’amministrazione comunale. E no, caro Sindaco, tu te ne devi far carico, eccome! Agendo con le tue attuali competenze (che non sono affatto minori o residuali) e attivando le competenze delle altre Istituzioni e anche dei privati, imprese e terzo settore. Restando alle Istituzioni, i compartimenti stagni che caratterizzano il loro modo di operare (o anche di non operare) è quanto mai pernicioso per gli interessi della Comunità che rappresenti al massimo livello. E tu, poco te ne curi e poco ti preoccupi! Ma torniamo ai problemi di Sant’Elia. Le donne del quartiere hanno le idee chiarissime su quali siano le emergenze sociali, e le hanno anche nell’individuare una serie di rimedi, che certo non costituiscono “ricette” risolutive, ma che hanno la credibilità del successo di chi le mette in pratica. E che pertanto le induce a proporre con forza. La prima cosa da fare è rimettere in funzione il circuito virtuoso della partecipazione democratica. Come? Fornendo alla gente spazi e strumenti di partecipazione, di autorganizzazione. Ecco perchè la gente ti ha chiesto di aprire un “centro civico” o “centro di aggregazione sociale”, chiamiamolo come ci pare, utilizzando il vecchio asilo, modificando a questo fine i ventilati diversi (nel senso di contrari) progetti del Comune, di cui la gente del quartiere poco sa (e che avrebbe invece diritto di conoscere e di avere al riguardo voce in capitolo). Da li si inizia, perchè aveva ragione don Vasco Paradisi (il parroco di S.Elia della stagione delle lotte sociali degli anni 70), quando affermava che “solo il popolo salva il popolo”. Proprio riferendoci a quel periodo crediamo che solo la gente organizzata in comitati e associazioni determina una qualità di vita sociale accettabile. Infatti quando i movimenti di base furono sconfitti e annientati il quartiere ripiombò nella disgregazione. Riferendoci ai citati anni 70, emblematica fu la sconfitta e il conseguente scioglimento del Comitato di quartiere, ben descritta nelle sue conseguenze da Umberto Allegretti, che fu un animatore di quelle lotte: la fine del Comitato… “comportò un regresso ancora oggi non superato della organizzazione e della stessa coscienza politica del quartiere…” .
. Torneremo ovviamente su tutte queste questioni. Per ora siamo veramente grati alle donne di Sant’Elia perchè quelle lotte, di cui furono forse protagonisti i loro genitori, le hanno nel sangue e le ripropongono a partire dalla situazione odierna del loro quartiere a tutta la città. E’ pertanto naturale che alla loro lotta si colleghi con immediatezza la “vertenza della Scuola Popolare di Is Mirrionis”, che persegue le medesime finalità. Al Sindaco, alla sua amministrazione e a tutta la classe politica, ma anche a noi, ricordiamo una frase, attribuita al filosofo greco Epitteto: “Dio ci ha dato due orecchie, ma soltanto una bocca, proprio per ascoltare il doppio e parlare la metà”.
Se hanno (e abbiamo) l’umiltà di ascoltare (nel nostro caso le donne di S.Elia) e tradurre in pratica quanto ci viene detto, potremo sicuramente essere meno pessimisti.
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Sul fenomeno drammatico della dispersione scolastica siamo più volte intervenuti. In questa sede ci piace richiamare un buon progetto in attuazione in 6 regioni italiane (ma non in Sardegna) che tra l’altro si basa sulla rete di centri di aggregazione sparsi sul territorio. Per noi questi centri sono esattamente quelli che richiediamo per S.Elia, per Is Mirrionis e per gli altri quartieri della città.
FREQUENZA200. Il progetto prevede l’avvio di un “centro civico” in ognuna delle prime tre città identificate con il supporto e la collaborazione dei partner locali (associazioni del Terzo settore) che sarà operativo 5 pomeriggi alla settimana con attività educative condivise con le istituzioni del territorio, in particolare la scuola dell’obbligo e i servizi sociali. I percorsi educativi verranno realizzati in attività di supporto scolastico e relazionale a favore dei minori coinvolti, parallelamente saranno coinvolte le famiglie dei minori con azioni di counseling e rinforzo delle competenze genitoriali. Le scuole saranno coinvolte con attività di formazione degli insegnanti, per creare un’equipe d’intervento omogenea verso i beneficiari.
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- La pagina fb dell’Associazione culturale S.Elia Viva.
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Ci libereremo mai dai muri?
di Nicolò Migheli
By sardegnasoprattutto / 20 giugno 2015/ Società & Politica/ One Comment
Chi almeno una volta ha superato la frontiera tra l’Europa occidentale e i paesi del Patto di Varsavia sa che cosa è un muro. Militari in mimetica con fucili d’assalto esibiti. Cani addestrati a fiutare ed aggredire, valige aperte, borse rovesciate davanti a sguardi gelidi e diffidenti. Fino al 1989 l’Europa era così, in bianco e nero. Da una parte noi e dall’altra loro, simili e diversi. Ora tornano i muri. L’ungherese Orbán ne vorrebbe costruire uno tra la Serbia e il suo paese. Centosettantacinque chilometri di filo spinato, fasce di terra di nessuno, torrette e riflettori che sciabolano il buio della notte; la solita panoplia di allarmi elettronici controllati in remoto.
Non è l’unica barriera, nell’enclave spagnola di Melilla in Marocco ne esiste una, così tra Grecia Bulgaria e la Turchia. Muri che dovrebbero proteggere i cinquecento milioni di europei della Ue dalle invasioni dei disperati. Valli che hanno più effetto rassicurativo per chi li erige che una utilità. La Grande Muraglia non ha impedito all’Orda d’oro di conquistare la Cina e il muro di Berlino non ha salvato la DDR.
L’Europa nei secoli scorsi ha conosciuto ondate emigratorie che hanno colonizzato interi continenti sradicando popolazioni, sopprimendole, sottoponendole al proprio dominio. In questo secolo è proseguito lo sfruttamento coloniale dei paesi africani, appoggiando qualsiasi dittatore che facesse i nostri interessi, destabilizzando Medio Oriente e Nord Africa. Quelle popolazioni in fuga presentano il conto.
Se la geopolitica spiega, le scienze umane potrebbero dare risposte ulteriori. Perché tanta paura dell’altro? Solo perché di etnia e religione differente? Solo perché poveri? C’è qualcosa di più. Lo suggeriva l’antropologo francese Marc Augé, sostenendo che è un comportamento che tocca archetipi insiti nelle culture umane. È la paura che le comunità stanziali hanno sempre avuto verso quelle nomadi. Il timore di quelli che non hanno o non posseggono più un luogo, che si muoverebbero per impadronirsi del tuo. Nel contempo in queste migrazioni si immagina un possibile destino per la tua comunità.
Un terrore a cui si reagisce con il rafforzamento delle identità – qualsiasi cosa significhino- con una feticistica rappresentazione delle radici. Tensioni a cui non si sottraggono neanche le socialdemocrazie scandinave, messe in crisi da movimenti xenofobi e parafascisti. Il Partito Popolare Danese descrivendo gli immigrati come appartenenti ad una civiltà inferiore, nelle elezioni del 18 di giugno scorso, ha ottenuto il 21,1% dei voti; diventando il secondo partito del parlamento con buone possibilità di entrare nel governo. Nessuna società europea contemporanea è immune da queste regressioni. In Sardegna, alcuni che si definiscono indipendentisti, cominciano ad adottare il linguaggio di Salvini o di Grillo. Pochi per fortuna, però sono il segnale debole di fenomeni che possono diventare devastanti.
È pur vero che ogni società produce i suoi fascismi, che spesso il patriottismo è l’ultimo rifugio delle canaglie, come sosteneva il protagonista dell’indipendenza americana Samuel Johnson. Lo scontro continuo tra “razzisti” e “buonisti” comporta una impossibilità a capirsi, a trovare soluzioni ad una emergenza che rischia di travolgere le nostre società democratiche. Non c’è cultura o status che tenga, sono comportamenti che evidentemente affondano nel subconscio.
Il disprezzo dell’alterità si rivela anche in persone che hanno fatto gli studi giusti, ed hanno professioni che sono indenni alla supposta concorrenza dei migranti. È la paura delle proprie opinioni pubbliche che spinge la Francia ad applicare l’accordo di italo-francese di Chambéry del 1997 impedendo il passaggio dei profughi e respingendoli, così come sta facendo l’Austria con un trattato simile. Molti pensano che tutto ciò sia l’effetto della scomparsa di una sinistra forte. Forse è solo una nostalgia senza vero fondamento.
È stato il Partito Socialista francese ad affondare la costituzione europea per paura della concorrenza dell’idraulico polacco. Cento anni fa il Partito Socialista tedesco ruppe gli accordi internazionali del movimento operaio, per aderire alla guerra mondiale che le classi dirigenti di quel paese avevano imposto. Il dominio della finanza internazionale ha dato l’ultimo colpo, riducendo i residui della classe operaia a massa di manovra salariale – Marx è sempre utile- e i ceti medi alla perdita di reddito e status. Drammi che mostrano che il capitale apolide non vuole confini, mentre le persone impoverite o che temono di perdere quel che hanno, sognano barriere e respingimenti. Siamo destinati a non liberarci mai dai muri? Speriamo di no, però rischiamo conflitti da cui potrebbero nascere forme di governo autoritario.
Non a caso il modello di certe destre europee sono l’Ungheria di Orbán e la Russia di Putin. L’unica strada per evitare queste derive è costruire società meno ineguali e cambiare totalmente la politica europea verso l’Africa. Più facile a dirsi che a farsi. Viviamo in tempi di alleanze di volenterosi e di egoismi nazionali molto forti. La solitudine dell’Italia sul fronte dei migranti e la vicenda greca lo dimostrano. L’unica etica per uno stato è il proprio interesse. Così scrisse il politologo tedesco-americano Hans Morghenthau.
Occorrono èlite europee che riprendano il sogno dei padri fondatori. Non se ne vede traccia. Il declino e la disgregazione incalzano, con la prospettiva di un nuovo fascismo.
Pratica dell’obbiettivo. Le donne di Sant’Elia avanguardia delle lotte per i centri di aggregazione socio-culturali
La lotta delle donne di Sant’Elia per riappropriarsi degli spazi socio-culturali.
Non di solo pane e non di sole case vivono le persone… Le donne di Sant’Elia vogliono il centro di aggregazione sociale, strumento contro la disgregazione e per l’inclusione sociale, contro la dispersione scolastica… W le donne di Sant’Elia, avanguardia di una lotta che deve coinvolgere tutti i quartieri popolari per la rivendicazione degli spazi socio-culturali pubblici. In questa stessa direzione la lotta per il ricupero della ScuolaPopolareIsMirrionis.
- Il servizio su L’Unione Sarda.
- Il servizio su CagliariPad.
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Da Aladinews. I Centri di aggregazione sociale peseranno nelle contese elettorali municipali, soprattutto nelle elezioni per il comune di Cagliari.
A volte ritornano…
CENTRI DI AGGREGAZIONE SOCIO-CULTURALI A S.ELIA COME A IS MIRRIONIS E IN TUTTI I QUARTIERI DELLA CITTA’ E NEI PAESI (…) l’esigenza di disporre di dette strutture resta ed anzi è cresciuta in questi anni. Dunque proponiamo che si intervenga subito e bene. In questa direzione impegniamo la nostra news per quanto possiamo fare. A cominciare dalla “vertenza della Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis”. In quel quartiere, il più popoloso di Cagliari, sono assolutamente carenti le strutture di aggregazione sociale, necessarie per affrontare concretamente i problemi della disgregazione sociale (e quello strettamente correlato della dispersione scolastica) che lo affliggono in misura maggiore rispetto ad altre aree cittadine, certo congiuntamente con altre misure [a tal proposito non possiamo esimerci di citare le opportunità del programma ITI finanziato dall’Unione Europea con i fondi strutturali, che riguarda Olbia, Sassari (San Donato) e Cagliari (Is Mirrionis)]. A parole quasi tutti sono d’accordo, nei fatti le scelte delle amministrazioni locali, a cui compete la titolarità degli interventi in argomento, vanno in direzione contraria. Il direttore dell’Azienda Area, in un recente incontro, di cui abbiamo dato ampio resoconto, ha sostenuto che il Comune di Cagliari, così come tanti altri Comuni italiani, sta adottando una politica di dismissione dei centri sociali come di altre strutture consimili, nella logica dello spending review. Ha sostenuto, infatti, che l’Azienda Area può costruire bellissimi centri, ma poi i Comuni (non solo quello di Cagliari) non li prendono in carica, seppure ceduti ad essi gratuitamente, perché non hanno soldi per poterli gestire in proprio e non trovano chi lo possa fare a titolo oneroso, tanto da non creare ulteriori costi per le finanze comunali. Le eccezioni di cui ogni Comune può fare vanto non spostano la realtà della inadeguatezza degli interventi rispetto alle esigenze richiamate. Al riguardo è lecito pensare che le descritte politiche municipali non rispondano solo a logiche di risparmio quanto a un’impostazione antidemocratica che vede con fastidio la partecipazione popolare, considerata una minaccia alla stabilità del potere nelle mani degli attuali suoi gestori. Vale per la destra e purtroppo in misura eguale per la sinistra al governo, a tutti i livelli. Non disturbate il manovratore: questa è la regola prevalentemente adottata, a cui dobbiamo opporci senza alcuna esitazione. Contrastiamo pertanto le decisioni comunali di dismettere scuole e centri sociali magari per costruirvi al loro posto case popolari, nonostante esista un vasto patrimonio abitativo inutilizzato e aree già nella disponibilità pubblica per costruire abitazioni ex novo. La scelta politica impostata dalla destra e continuata dalla sinistra di contrapposizione tra le due esigenze primarie del diritto alla casa e del diritto ai centri di socialità porta solo ad accentuare i problemi di disgregazione sociale e accentua la carenza di qualità della vita soprattutto delle periferie urbane. Noi vogliamo invertire questa impostazione sbagliata.
Torneremo presto su questa questione, cercando di affrontarla nei diversi aspetti, segnatamente di carattere politico, compresi quelli che hanno e avranno peso nelle scadenze elettorali, Cagliari in primis.(…)
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Dispersione scolastica e politiche regionali di contrasto. L’emergenza non consente la calma della Giunta. Fate subito un’unità di crisi. Come? Ispiratevi per esempio ai Magnifici Sette…
di Franco Meloni
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Il rapporto Crenos ha ulteriormente messo in risalto il fenomeno della dispersione scolastica e universitaria, una vera e propria emergenza per la Sardegna. Come si contrasta? Le politiche messe in campo dalla Regione, con risorse statali, comunitarie e proprie negli anni passati non hanno avuto in generale esito positivo. Il trend attuale è di continuo aggravamento. La Giunta regionale ha impostato nuove politiche di contrasto, di cui diamo informazione riportando i documenti ufficiali che le descrivono. Non facciamo allo stato una disamina degli stessi, che peraltro hanno carattere di indirizzo generale, seppure con alcuni dettagli descrittivi di specifiche attività. Di primo acchito ci sembra che prevalga un approccio eccessivamente calmo, rassegnato rispetto ai tempi burocratici, considerati vincoli insormontabili, mentre il carattere di emergenza imporrebbe provvedimenti eccezionali, da realizzare in certa parte in tempi rapidi. Ad esempio l’affidamento alle procedure normali dei bandi non consente di muoversi con efficienza, rapidità ed efficacia. Ovviamente non si vogliono suggerire modalità irregolari, ma chiedere che si studino e si scelgano procedure che consentano tempi rapidi e risultati misurabili già dal momento in cui di fanno le attività.
Occorre il coinvolgimento di diversi soggetti, che il documento prevede esaustivamente (“… i diversi attori che agiscono nel sistema dell’istruzione e della formazione, in primis Assessorati regionali, USR, scuole e Università. Verranno attivati dei tavoli strategici a carattere interistituzionale tra i diversi Enti che hanno competenza e interessi nel sistema formativo sardo, composti da rappresentanti della Regione, degli EELL, dell’Ufficio scolastico regionale, delle Università, delle associazioni di categoria e dagli ulteriori stakeholders individuati sulla base di specifiche esigenze”), ma non ci si preoccupa del coordinamento operativo, che a nostro parere dovrebbe essere affidato a una task force o “unità di crisi” che dir si voglia, composta da persone competenti, motivate e disponibili, selezionate con sistemi efficaci. Come? Beh esempi interessanti possiamo trovarli in almeno tre film, per le modalità con cui si costruiscono i “gruppi di lavoro”: “I magnifici 7“, The Commitments (con questi riprendiamo una vecchia idea) e, ancora, “Gli intoccabili“. Suggeriamo a Pigliaru, Paci, Firino e soci di visionarli insieme, con predisposizione all’apprendimento…
Torneremo sull’argomento, ma non vogliamo chiudere senza suggerire una rassegna di “buone pratiche” in giro in Italia e nel mondo che affrontano in modo serio la questione dispersione. Con riferimento alla dispersione scolastica (che è una parte del problema) richiamiamo ancora una volta il “Progetto Frequenza 200“, che ci sembra ben congegnato e che, allo stato, dovrebbe aver già prodotto risultati da valutare. Approfondiremo a breve.
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Delibera del 19 maggio 2015, n. 24/10 [file .pdf]
Programmazione Unitaria 2014-2020. Strategia 1 “Investire sulle Persone” – Priorità Scuola e Università.
- All. 1 24/10 [file .pdf]
- All. 2 24/10 [file .pdf]
- All. 3 24/10 [file .pdf]
INSISTIAMO
- Frequenza200, il progetto -
Frequenza200 è il primo Network realizzato in Italia per contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Il fenomeno in Italia ha dimensioni allarmanti: i ragazzi di età compresa tra i 10 e 16 anni che abbandonano gli studi prima della conclusione del ciclo scolastico obbligatorio rappresentano il 17%. Un numero spaventoso se si pensa che parliamo di oltre 600.000 studenti a rischio.
La situazione in Sardegna è ancor più allarmante: lascia il 25,5 per cento dei ragazzi. L’isola è la regione italiana con il più alto numero di abbandoni. Cagliari è una delle otto città italiane “a rischio”, in cui il fenomeno è maggiormente rilevante e preoccupante.
Chi sono questi ragazzi? Dove abitano? Perché arrivano a questa scelta? Sono tanti gli interrogativi da porsi per poter iniziare un percorso insieme a loro, per supportarli e motivarli. Frequenza200 è un programma di azione triennale che è la risposta alla qualità della società civile che vorremmo avere: cittadini consapevoli e capaci di scegliere. Questo progetto allo stato attuale non coinvolge la Sardegna. La nostra proposta è: estendiamolo alla Sardegna o, se non è praticabile questa strada, costruiamone uno simile.. Colleghiamo questa idea alla vertenza sugli spazi di aggregazione sociale a Cagliari, rappresentata emblematicamente dall’iniziativa per la Scuola Popolare dei Lavoratori di Is Mirrionis.
- Approfondimenti
Frequenza200: un programma da proporre in Sardegna
- Frequenza200, il progetto
Frequenza200 è il primo Network realizzato in Italia per contrastare il fenomeno dell’abbandono scolastico. Il fenomeno in Italia ha dimensioni allarmanti: i ragazzi di età compresa tra i 10 e 16 anni che abbandonano gli studi prima della conclusione del ciclo scolastico obbligatorio rappresentano il 17%. Un numero spaventoso se si pensa che parliamo di oltre 600.000 studenti a rischio. La situazione in Sardegna è ancor più allarmante: lascia il 25,5 per cento dei ragazzi.
L’isola è la regione italiana con il più alto numero di abbandoni.
Chi sono questi ragazzi? Dove abitano? Perché arrivano a questa scelta? Sono tanti gli interrogativi da porsi per poter iniziare un percorso insieme a loro, per supportarli e motivarli. Frequenza200 è un programma di azione triennale che è la risposta alla qualità della società civile che vorremmo avere: cittadini consapevoli e capaci di scegliere. Questo progetto allo stato attuale non coinvolge la Sardegna. La nostra proposta è estenderlo alla Sardegna o, se non è praticabile questa strada, costruirne uno simile.
- Approfondimenti
Emergenza scuola
Dispersione scolastica, numeri choc in Sardegna: lascia il 25,5 per cento dei ragazzi.
L’isola è la regione italiana con il più alto numero di abbandoni. La media nazionale è del 17 per cento. Su La Nuova Sardegna on line.