Risultato della ricerca: contamination lab
Start up e giovane impresa opportunità di lavoro per i giovani e per lo sviluppo della Sardegna
Interessante dibattito promosso dall’Associazione Farmacia politica: occorre un’iniziativa forte e produttiva nei confronti del potere politico da parte dei giovani imprenditori e aspiranti tali
di Franco Meloni
Idee valutabili come eccellenti o comunque buone; ottima preparazione accademica degli aspiranti imprenditori; apprezzabile incubazione dei progetti di impresa finanziata dal sostegno pubblico… Ma complessiva impreparazione ad affrontare il mercato, con scarso sostegno pubblico proprio nella fase più complessa. Questa è la fotografia della situazione della giovane impresa innovativa cagliaritana consegnataci dall’incontro di giovedì 31 ottobre organizzato dall’associazione Farmacia Politica di Cagliari. [segue]
Università di Cagliari, Maria Chiara Di Guardo nuovo prorettore all’innovazione e ai rapporti con il territorio
Maria Chiara Di Guardo nuovo prorettore all’innovazione e ai rapporti con il territorio.
(Unica, Sergio Nuvoli, Cagliari, 21 luglio 2017) – Il Rettore Maria Del Zompo ha comunicato agli organi di governo dell’Università degli Studi di Cagliari – Senato accademico e Consiglio di amministrazione – la nomina della prof.ssa Maria Chiara Di Guardo (nella foto), docente ordinario di Organizzazione aziendale, a Prorettore delegato per il territorio e l’innovazione, in sostituzione della prof.ssa Annalisa Bonfiglio, nominata nei giorni scorsi Presidente del CRS4.
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Cara Università della Sardegna: da te vogliamo di più
. Maria Del Zompo, Rettore, vive il suo impegno universitario con totale dedizione, da sempre: da quando era studentessa, da docente e ricercatrice poi, fino ad oggi, negli ultimi due anni al massimo livello politico-amministrativo dell’Ateneo, che interpreta con grande capacità professionale e politica. Di più non le si potrebbe chiedere e pertanto qualsiasi critica del suo operato sembra ingiusta. In più lei aggiunge una grande carica di passione che stempera con il sorriso e spesso con una risata contagiosa. E tutto ciò è bene ed importante comunque e perfino maggiormente nella conduzione della più importante Istituzione culturale della Sardegna, nella misura in cui ispira fiducia e ottimismo (della volontà) nei suoi interlocutori. Ma noi, impertinenti, con tutto l’affetto e l’amicizia che le vogliamo, osiamo criticare alcune sue scelte di gestione politica. Ovviamente ci limitiamo a criticare per quanto riteniamo di esserne legittimati da specifiche informazioni in nostro possesso e per la pretesa di avere precise impostazioni da contrapporre. Nel senso che non entriamo in campi nei quali non abbiamo informazioni e competenze. In questo contesto ci limitiamo allora ad alcune tematiche (neppure tutte) trattate da Maria nell’intervista di domenica su L’Unione Sarda.
1) CAMPUS e VUOTI URBANI
Ha ragione il Rettore a sostenere che si trova a gestire scelte non sue, come quella della Cittadella di Monserrato e del suo ampliamento, che vengono da lontano e che sono state sostanzialmente confermate (sia pur ridimensionate rispetto ai progetti originari) dalle ultime gestioni rettorali. Sicuramente il suo predecessore avrebbe potuto invertire la rotta anzicché proseguire nell’investimento in nuove costruzioni, a tal fine riconsiderando l’uso dei vecchi edifici universitari (e non), che vanno oggi in rovina (inesorabilmente?). Per stare nell’ambito delle proprietà universitarie parliamo della (ormai ex) Clinica Macciotta, del palazzo delle Scienze e, per estenderci verso altre proprietà, dell’Ospedale San Giovanni di Dio, dell’ex Ospedale militare, alle quali aggiungere altre strutture pubbliche in dismissione, di possibile cambio d’uso rispetto a quello originario (Carcere Buoncammino, ex servitù militari, etc.). Sono questi i “vuoti urbani” di cui parla Pasquale Mistretta? Crediamo di si, anche se noi che non siamo urbanisti, preferiamo classificarli come “beni comuni”, ossia delle cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona, che vorremmo pertanto restituiti a funzioni civili in favore della popolazione. Ma, si dirà, altre scelte sono state fatte anche perché i soldi non bastavano e sempre meno bastano. Invece, noi non accettiamo tale liquidazione. Al contrario vorremmo che si sviluppasse un diverso ragionamento e che si impostassero scelte politiche in direzione radicalmente opposta a quella attualmente dominante. Lo abbiamo suggerito altre volte e sarà necessario ritornarci in un dibattito aperto. C’è ancora tempo per evitare ulteriori disastri.
2) UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA
Fa bene il Rettore a difendere l’identità e la storia dell’Università di Cagliari, come pure fa bene il suo collega per l’Università di Sassari. Fanno male entrambi a non impegnarsi per costruire realmente l’Università della Sardegna, attraverso una vera Federazione dei due Atenei, sotto l’egida appunto dell’“Università della Sardegna – Universidade de Sardigna – University of Sardinia”. Anche per questa tematica rimandiamo a quanto più volte abbiamo scritto, nella consapevolezza che i processi storici che non si sanno gestire ci vedono soccombenti. E questo è esattamente quanto già accade per le Università sarde, costrette a continui ridimensionamenti perché incapaci di misurarsi su una necessaria più grande dimensione almeno regionale.
3) IL RUOLO DELL’UNIVERSITA’ SUL TERRITORIO (impegno per la Terza Missione)
Il rapporto con la città è fondamentale, ma solo se Cagliari saprà rappresentare l’intera Sardegna, cosa che non solo non le riesce, ma che non la vede in cambiamento in tale direzione. E in questo l’Università di Cagliari non sembra di grande aiuto alla città. Complessivamente si ha l’impressione (e non solo) di un declino complessivo della nostra Isola, che singole realtà in controtendenza non possono arrestare. Cagliari e la sua Università non si salvano se non insieme alla Sardegna e alla sua Università Sarda. Riflettiamoci e se ci riusciamo usciamo da impostazioni provinciali. Ci riusciamo ad osare di più? Detto questo, mentre riconosciamo il grande sforzo fatto dall’Università per porsi al servizio del territorio, nell’impegno per la “terza missione” (le politiche di promozione dell’innovazione, con Contamination Lab e altre iniziative, ne sono una prova), riteniamo al riguardo tuttora inadeguata la propria iniziativa, se solo pensiamo alla ridottissima offerta formativa post lauream e allo scarso impegno nella formazione professionale (longlifelearning). O, ancora, all’insufficiente investimento di studio e ricerca nelle tematiche della “nuova economia”, quella che può valorizzare le significative esperienze in atto anche in Sardegna e dare prospettive consistenti di occupazione rispetto alle vecchie e superate impostazioni socio-economiche, che si sostengono solo con interventi assistenziali a carico dei fondi pubblici. E poi: balza all’occhio come l’Università tenda ad esaurire il rapporto con il territorio nel rapporto con le Istituzioni. Molto importante, ma l’Università è un entità autonoma, qualità costituzionalmente garantita, che deve essere al servizio di tutti, includendo, tra questi “tutti” e in aggiunta alle Istituzioni, altri soggetti: le imprese, le entità del terzo settore, i cittadini associati e singoli. Insomma vorremo al riguardo una Università che praticasse la sussidiarietà, secondo il principio costituzionale (art.118), cioè una Università che sappia riconoscere come interlocutori anche i cittadini e le loro associazioni.
4) PICCOLO PISTOLOTTO CONCLUSIVO
“Ask not what your country can do for you; ask what you can do for your country”. “Non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”. E’ questa una delle frasi più famose tra quelle pronunciate da John Fitzgerald Kennedy; esattamente risale al 20 gennaio 1961, giorno del suo insediamento alla Casa Bianca come 35° presidente degli Stati Uniti d’America. Riscrivendola “a nostro uso e consumo” suona così: cara Università “non chiederti cosa può fare il tuo paese per te, chiediti cosa puoi fare tu per il tuo paese”, mettendo concretamente da parte la tua autoreferenzialità.
Forse troverai più gente e più organizzazioni convintamente al tuo fianco per salvarti insieme al paese!
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“DEL ZOMPO, UNA MAGNIFICA SFIDA”
Sergio Nuvoli, Unica
Cagliari, 6 marzo 2017 – E’ stata pubblicata ieri su L’Unione Sarda un’intervista di Paolo Paolini con il Rettore Maria Del Zompo. Il colloquio è il primo di una serie che il giornalista realizzerà con le figure più autorevoli nella città di Cagliari. Nella conversazione pubblicata ieri dal quotidiano, la prof.ssa Del Zompo fa il punto della situazione e risponde puntualmente ad alcuni rilievi, senza sottrarsi ad alcuna domanda.
- L’UNIONE SARDA - segue –
Università e territorio. La “terza missione” e l’Università come agorà
di Franco Meloni*
E’ di questi giorni la notizia che la Regione Sarda cofinanzierà – utilizzando i fondi europei, con un investimento di 1 milione e 200mila euro, totale ripartito nei prossimi tre anni – l’attività del progetto Contamination Lab dell’Università di Cagliari, giunto quest’anno alla quarta edizione (1). Il ContaminationLab (Clab) aiuta i giovani studenti, di diverse appartenenze disciplinari, a ipotizzare e praticare nuova impresa legata ai saperi appresi o comunque sviluppati in ambito universitario. E’ solo un buon esempio, tra i tanti, della realizzazione della “terza missione” dell’Università, che affiancandosi alle altre due missioni canoniche della ricerca scientifica e dell’alta formazione, mette a sistema capacità e conoscenze al servizio del territorio.
Ma non ci basta, perchè quantunque oggi risulti evidente lo sforzo dell’Università di impegnarsi in tale direzione, se ne coglie ancora una persistente inadeguatezza rispetto alle esigenze della nostra società, tanto da giustificarsi tuttora l’accusa di sua eccessiva autoreferenzialità, che ne limita le potenzialità. E invece la nostra società ha bisogno come il pane delle conoscenze – elaborate, in parte importante, seppure non in esclusiva, al suo interno – che complessivamente costituiscono un fattore indispensabile per lo sviluppo dei territori e per il benessere delle comunità. E allora, cosa chiedere di più all’Università rispetto a quanto già fa positivamente? Innanzitutto di sviluppare la capacità di ascolto dei cittadini, delle imprese, delle amministrazioni e dell’associazionismo, moltiplicando al riguardo le occasioni di confronto, oltre le sedi formali. E, in conseguenza, di adeguare la sua offerta formativa e la sua presenza nel sociale. In pratica, come efficacemente sostiene Pietro Greco, giornalista di Rocca, “significa che nell’aprirsi l’Università si proponga come una «nuova agorà», una delle piazze della democrazia partecipativa (dove i cittadini si riuniscono per documentarsi, discutere e decidere) e della democrazia economica (dove non solo le grandi imprese attingono conoscenza per l’innovazione, ma i cittadini tutti acquisiscono i saperi necessari per il loro benessere, per la loro integrazione sociale, persino per una imprenditorialità dal basso)… superando l’ambito, riduttivo, del trasferimento di conoscenze per l’innovazione tecnologica e costituendo «reti sociali» con associazioni, centri culturali, enti locali, cittadini, lavoratori, imprese (piccole, medie e grandi)… promuovendo la nascita di un’intera costellazione di nuovi attori culturali, che si interfacciano con la società, e dall’altra sviluppando nuova conoscenza intorno ai rapporti scienza e società, con appositi centri interdisciplinari di ricerca” (2). – segue –
Il dibattito sul Brexit
Brexit, democrazia, costituzionalismo, istruzione
di Rosamaria Maggio su Democraziaoggi
L’ esito del Referendum tenutosi in Gran Bretagna lo scorso 23 giugno tiene banco nella stampa, nei programmi televisivi, nei discorsi della gente. È stato come un fulmine a ciel sereno, come se anche coloro che tifavano ”Leave” fossero rimasti spiazzati dal risultato. Perchè una cosa è fare “propaganda” per una posizione o l’altra, altra cosa è valutarne realmente gli effetti.
C’è chi dice che la generazione dei Beatles abbia tradito i giovani. C’è chi osserva che i giovani in realtà si siano in gran parte astenuti.
Le conseguenze di questo risultato non sono effettivamente conosciute neanche dagli esperti. Si vedrà, ma alcuni effetti si possono già ipotizzare. I giovani sono preoccupati per il loro futuro: potranno ancora andare in Gran Bretagna col progetto Erasmus? Gli inglesi potranno andare nelle Università dell’Unione Europea a studiare? I fondi per la ricerca, sempre abbondantemente finanziata in Gran Bretagna dall’Unione Europea, saranno confermati o sarà il Governo inglese a dover garantire lo stesso livello di finanziamenti?
Poi naturalmente ci sono le preoccupazioni per l’import ed export con dazi o senza, per la finanza e le grandi Banche. Resteranno o se ne andranno? Si dovranno esibire i passaporti per entrare in Gran Bretagna e gli inglesi ugualmente dovranno farlo per entrare nei paesi UE?
Le risposte piano piano saranno evidenti, ma stupisce che nessuno di chi era direttamente coinvolto si sia posto questi problemi in modo esplicito prima del voto.
Qualcuno sostiene che questa è la democrazia, la sovranità popolare prevista dalle nostre Costituzioni. Mi permetto di dissentire da questa visione.
È vero che la divisione dei poteri e la sovranità popolare sono garanzia di democrazia, ma che cosa si intende per democrazia?
Il mero voto popolare non è espressione sempre di democrazia. Il costituzionalismo ci insegna che la sovranità si esercita nei modi previsti dalla Costituzione. Questo è ciò che recita il nostro art. 1. Il che vuol dire che non sempre la Costituzione prevede il voto diretto per ogni tipo di questione.
Per esempio, esclude il referendum abrogativo in una serie di situazioni come le leggi tributarie o quelle di autorizzazione alla ratifica del trattati internazionali (art. 75 Cost.). Ragion per cui non credo che sarebbe possibile proporre un referendum di questo tipo nel nostro Paese e neanche a riguardo dell’eventuale uscita dall’euro. Ci sono ragioni superiori che hanno fatto sì che il legislatore costituente regolasse il principio di sovranità proprio al fine di evitare derive populiste di questo tipo.
E queste sono cose che a scuola si dovrebbero insegnare poiché fanno parte delle consapevolezze, seppure complesse, indispensabili al cittadino. Che poi ne farà l’uso che crede, ma intanto le dovrebbe conoscere.
Ripensando a quanto è accaduto, è inevitabile ripercorrere la storia dell’unità europea (altro tema rilevante di consapevolezza contemporanea): una unità ancora monca, che lascia insoddisfatti del grado di integrazione europea raggiunto.
In questi ultimi anni i paesi dell’Unione hanno sofferto le conseguenze delle decisioni delle nostre istituzioni prevalentemente orientate su politiche di austerità, che hanno pesato principalmente sui paesi più fragili e sugli strati più fragili delle loro popolazioni. È il caso della Grecia, ma anche dell’Italia, che stenta a riprendersi, soprattutto per quanto riguarda l’occupazione e il sostegno alle fasce più deboli. È pertanto ovvio che i ceti meno abbienti, più deprivati, di fronte a forti sperequazioni nella distribuzine della ricchezza e alle politiche di austerità volute dalle istituzioni europee, siano tentati di attribuire tutte le responsabilità a queste stesse istituzioni. Il che non è del tutto falso, ma non ci si può esimere dal considerare come la maggior parte delle istituzioni europee siano affette da deficit democratico in quanto istituzioni non elettive (fatta eccezione per il Parlamento Europeo), ed è quindi proprio in ultima istanza ai nostri Governi nazionali che dobbiamo chiedere conto di queste politiche e principalmente ognuno al proprio.
Si dice spesso che il vizio di fondo delle politiche europee sta nel fatto di essere orientate e governate più dall’economia che dalla politica. Del resto, com’è noto, tutta la vicenda europea ha avuto origine da comunità di natura economica, nel 1951, al tempo dell’istituzione della CECA, la comunità economica del carbone e dell’acciaio, istituita col trattato di Parigi tra i sei paesi fondatori, Italia, Francia, Germania, Belgio, Lussemburgo e Paesi Bassi.
Quella comunità aveva uno scopo ben preciso, e cioè il controllo delle risorse energetiche che erano state il presupposto degli scontri bellici della prima metà del secolo. Si trattava quindi di uno scopo ambizioso, diretto a mantenere la pace, ma realizzato su presupposti prioritariamente economici. Fu una scelta molto importante, che se fosse fatta ora per esempio fra i paesi produttori del petrolio, potrebbe contribuire a fermare molte guerre; quindi il fatto che si trattasse di un accordo economico non deve sminuirne l’importanza. Anche se i trattati non avevano come scopo ufficiale la pace, la assicurarono in Europa per ben 70 anni. Sempre auspicando che gli eventi attuali non aprano nuove conflittualità fra i paesi europei. Le ragioni successive di una unione economica più complessa, attraverso la istituzione della Comunità Economica Europea e poi attraverso Maastricht fino all’unione monetaria, all’eurozona, sono stati importanti passi verso l’integrazione.
Dal punto di vista istituzionale e politico, però, i passi fatti non sono stati sufficienti. E in questi ultimi anni da più parti si è denunciata la carenza democratica delle varie istituzioni e l’atteggiamento poco europeista dei vari Governi dei 28. Lo si è visto nell’incapacità di gestire il terrorismo internazionale, di affrontare la crisi economica dal 2008 e infine di gestire unitariamente il problema dei flussi migratori.
Questa incapacità è alla base di questo voto e della sfiducia dei cittadini europei. Ma nel contempo è probabile che questi non abbiano fatto i conti con gli effetti di una uscita dall’Unione. In queste ore ognuno di noi forse sta cominciando a rendersi conto che non si tratta di un gioco, che – come sempre – i forti cadranno in piedi e che i deboli pagheranno ancora una volta il prezzo più alto.
Qualche considerazione andrebbe fatta sugli elettori inglesi. Sembra che quelli fra i 18 ed i 24 anni abbiano votato “Remain”, ma essi rappresentavano solo il 36 % circa. Gli altri, quelli dai 25 anni in su (peraltro forbice troppo larga per poter essere considerato un campione di adulti) che hanno votato “Leave” hanno rappresentato oltre l’80%. Ricordiamo che la Gran Bretaga è entrata nella CEE solo nel 1973, con oltre 20 anni di ritardo rispetto ai Paesi fondatori: malgrado gli auspici di Winston Churchill, che è stato uno dei primi politici a parlare di Stati uniti d’Europa nel 1946 in un famoso discorso alla gioventù accademica all’Università di Zurigo, essa ha un trascorso di poco più di cinquanta anni senza mai aver aderito alla moneta unica.
Questi giovani, che hanno votato seppure in percentuale ridotta a favore del “Remain”, sono nati a ridosso dell’era euro e del processo di Copenaghen, che dal 2002 si è proposto di migliorare la qualità dell’istruzione e della formazione professionale dei paesi dell’Unione. È vero che non esiste una politica comunitaria unitaria in questo settore in quanto ogni Paese ha un suo sistema di istruzione, ma i vari Ministri europei si sono spesso espressi nel senso di una maggior cooperazione nel settore.
Le azioni che sono state portate avanti attraverso la progettazione europea hanno favorito lo scambio di esperienze, la mobilità fra studenti, la cooperazione per favorire l’apprendimento. E ora da insegnanti, non possiamo non chiederci quale politica per l’istruzione sia stata portata avanti dall’Unione in questi anni. I processi di Copenaghen e di Bologna per l’Università sono stato sufficienti a sviluppare nei giovani l’idea di una Europa solidale?
Evidentemente questo voto giovanile, soprattuto nella sua parte astensionista, ci dice che nei giovani non è maturata la consapevolezza di una cittadinanza euopea, e questo al di là dei risultati e degli effetti che si produrranno con questo voto. Gli altri 27 paesi dovranno molto riflettere sia sulle politiche dell’Unione sia sul messaggio che stiamo trasmettendo ai nostri ragazzi. Non basta che una grande percentuale di essi si spostino con facilità nell’Unione, conoscano le lingue, studino e lavorino lontani da casa. In Gran Bretagna, come negli altri Paesi della Unione Europea, c’è il fenomeno dei NEET (acronimo costruito proprio in lingua inglese), che indica come larghe fasce di giovani non studino, non lavorino non si formino. Sono ragazzi che hanno rinunciato a un progetto di vita. Sono ragazzi che non credono che l’Unione rappresenti quella opportunità in più che nella loro famiglia e nel loro paese non hanno avuto.
Quindi è da questa riflessione da cui dobbiamo ripartire. E la risposta certo non ce la potranno dare le forze politiche, sempre più populiste, diffuse in Europa. A chi ha a cuore l’uguaglianza delle opportunità e i diritti della persona spetta il compito di riflettere e di agire.
A PROPOSITO DI BREXIT
VABBE’ L’EUROPA OGGI NON TIRA, MA E’ SBAGLIATO DIMENTICARLA PER LE BUONE COSE CHE FA!
Unica Contamination Lab: indubbiamente un’ottima iniziativa che la Regione Sarda giustamente incoraggia e sostiene con i fondi europei della programmazione 2014-2020 e con il proprio cofinanziamento. Ecco, al riguardo segnalo una gravissima omissione (almeno a me così appare): quella di aver dimenticato l’Europa. Che almeno in questa circostanza fornisce un sostegno. L’Europa non appare se non per un marchietto, (la bandiera blu con le dodici stelle) peraltro obbligatorio, nella pagina di presentazione del progetto. Dimentica l’Europa perfino Raffaele Paci, assessore regionale alla Programmazione, nonché vice presidente della Regione, ascrivendosi d’ufficio ai british e/o agli americani (statunitensi). Nella circostanza mi sovviene una dichiarazione di Tim Parks scrittore e professore inglese a proposito dell’esito referendario inglese (Brexit):
“(…) il peggior fallimento dell’Unione è che, con tutto il libero movimento delle persone (un diritto splendido), non c’è stato un minimo di avvicinamento culturale tra i vari paesi membri. Governati, almeno fino a un certo punto, dalla Germania, dei tedeschi sappiamo poco o nulla. Leggiamo solo i nostri quotidiani nazionali, i quali, se ospitano un giornalista straniero, opteranno immancabilmente per un americano, un inglese o un francese. Mai un tedesco o un polacco, raramente uno spagnolo. Siamo rimasti in nazioni separate, ma vincolate da una volontà altrui. Accettiamo diktat sul debito da Bruxelles, ma leggiamo romanzi americani, guardiamo film americani, seguiamo le elezioni americane molto più attentamente che non quelle di qualunque paese dell’Unione. Non può dirsi, questa, una “comunità”. La nostra identità collettiva rimane quella nazionale, ma imbrigliata, castigata, tranne, ogni tanto, in 90 minuti di delirio calcistico (…)”. Ecco le omissioni dell’Università e della Regione riguardo all’Europa mi sembrano precisamente e coerentemente situate in questo contesto culturale.
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Paxit
Con Caravaggio
In prosecuzione della bella serata di ieri con Licia Lisei su Caravaggio (organizzata da Associazione Stampaxi - Associazione Amici sardi della Cittadella – Aladinews)
Canone occidentale.
Caravaggio: Sacra famiglia (1606), Metropolitan Museum, N.Y.
La pelle candida del Bambino e vivace rosso della veste di Maria contrastano con lo sfondo scuro della scena e la penombra che avvolgono la figura del vecchio Giuseppe, il cui braccio sinistro con la mano che tiene il bastone, circonda le due figure. Con la mano destra, invece, egli prende la manina di San Giovannino, per accostarlo al gruppo. Dolcissimo l’abbraccio del figlioletto, stretto al collo della Madre, che rivolge il suo sguardo al piccolo, in basso. Maria guarda invece verso di noi, guidando, con tenerezza il nostro sguardo sul Figlio (dalla pagina fb di Licia Lisei)
CARAVAGGIO. Arregordarì Save The date Prendi Nota
Licia Lisei parla di Caravaggio
La donna nella pittura (e non solo) di Caravaggio. – La pagina fb dell’evento, promosso da Stampaxi Associazione Culturale in collaborazione con Amici Sardi della Cittadella di Assisi e Aladinews.
La Manifattura promessa
Ecco la delibera. Più avanti daremo conto del dibattito in corso…
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DELIBERAZIONE N. 19/2 DEL 8.4.2016
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Oggetto: Manifattura Tabacchi di Cagliari. Indirizzi per l’avvio della gestione.
Il Presidente ricorda che la Regione è pienamente impegnata nella Programmazione comunitaria 2014-2020, al fine di attuare le priorità definite dalla Commissione Europea con la strategia “Europa 2020”, il cui scopo è promuovere una crescita intelligente, sostenibile ed inclusiva. Questi principi sono declinati a partire dal Programma Regionale di Sviluppo 2014-2019, con la Strategia 2 – Creare opportunità di lavoro favorendo la competitività delle imprese, attuata nell’ambito della Programmazione Unitaria 2014-2020. L’obiettivo è quello di garantire un approccio strategico e unitario sul territorio regionale, sia in ordine alle azioni, per ottimizzare gli impatti ed evitare sovrapposizioni e duplicazioni, sia per quanto concerne la necessaria concentrazione delle risorse derivanti da fonte comunitaria, nazionale e regionale.
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Oggi martedì 22 marzo 2016
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Oggi, “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini alla Cineteca Sarda.
Martedì 22 marzo, dalle ore 16.30 alle 19.30 presso la Cineteca Sarda di viale Trieste 118, Cagliari:
Proiezione del film “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini. Segue dibattito.
Iniziativa promossa e organizzata dall’Associazione “Amici sardi della Cittadella” in collaborazione con la Cineteca Sarda.
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Il Vangelo secondo Matteo alla Cineteca Sarda
Martedì 22 marzo, dalle ore 16.30 alle 19.30 presso la Cineteca Sarda di viale Trieste 118, Cagliari:
Proiezione del film “Il Vangelo secondo Matteo” di Pier Paolo Pasolini. Segue dibattito.
Iniziativa promossa e organizzata dall’Associazione “Amici sardi della Cittadella” in collaborazione con la Cineteca Sarda.
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DOCUMENTAZIONE
- La recensione del film di Alberto Moravia, L’Espresso 4 ottobre 1964
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Clab Unica über alles. Prima Yenetics, ma hanno vinto tutti!
Clab Unica über alles. Prima Yenetics, seconda Bxtar, terza Bautifulbox, ma hanno vinto tutti! Tutte le informazioni domani su Unicanews e su TTecnologico. Intanto alcune notazioni a caldo…
Contamination Lab di Unica. Pigliaru promette di proseguirne il sostegno con i fondi della programmazione europea 2014-2020. Ammette di non aver avuto alcun merito in questo progetto, ma strada facendo se ne è convinto. Ne siamo felici. Pigliaru si vanta di essere renziano. Poteva risparmiare di ricordarcelo, anche perché Renzi è oggi il principale responsabile del tentativo di annientamento delle Università del Sud isole comprese. Ma, dice Pigliaru, che Renzi non è consapevole dei guai che la sua politica genera. Un po’ come Scaiola per la casa al Colosseo… Non lo sapeva. Pigliaru ha promesso di spiegarglielo!ClabUnica, Contamination Lab. Ottima iniziativa dell’Università di Cagliari. Potrebbe avere una nuova vetrina, anche come disseminazione dei buoni risultati alla Fiera Internazionale della Sardegna di aprile-maggio 2016. Casi di successo: Nausdream, Intendime, Babaiola
Bravi tutti e brave Maria del Zompo (Rettore), Annalisa Bonfiglio (Pro Rettore all’innovazione), Chiara Di Guardo (responsabile progetto), Michela Loi (coordinatrice), Anna Rita Etzi (responsabile gestionale) e tutti/e gli/le altri/e che comunque saranno citati/e nei servizi di UnicaNews. Proseguite in Fiera, perché con il vostro apporto la Fiera Internazionale della Sardegna potrà essere ripensata. L’innovazione potrà essere la salvezza della Fiera al servizio di Cagliari e della Sardegna! Siamo alle battute finali. Chi ha vinto? Yenetics! Tutte le informazioni e molto di più su Unicanews.
Finale della III edizione del Contamination Lab Cagliari
L’Università di Cagliari ha scelto Fabio Aru come testimonial d’eccezione del CONTAMINATION LAB. Il campione di Villacidro, classe 1990, vincitore della Vuelta di Spagna 2015, ha accettato (gratuitamente) di promuovere l’Università di Cagliari con la sua immagine e le sue parole. Così parte oggi la campagna di promozione del CLab UniCa, un progetto innovativo di promozione d’impresa dell’Università al servizio dello sviluppo del territorio. . Tutte le informazione e gli approfondimenti nel servizio di Sergio Nuvoli su UnicaNews.
Clab – Contamination Lab. Unica Contamination Lab
La nuvola del lavoro
di Corriere – @Corriereit
E l’impresa contamina (finalmente) l’Università
7 GENNAIO 2016 | di Silvia Pagliuca
di Silvia Pagliuca
Chi l’ha detto che l’Università è lontana dal mondo reale? Che è sempre e solo libri e cattedre? A Cagliari accade qualcosa in più. Si chiama Clab – Contamination Lab – ed è un esperimento para-universitario che parte da un motto inequivocabile: «Forget your limits. Let your ideas fly», «Dimentica limiti. Fa volare le tue idee».
Come? Partecipando a un campus di formazione per veri innovatori, per chi ama l’imprenditoria ma non sa come muovere i primi passi. Per chi dal percorso di laurea desidera qualcosa in più.
«Trasformiamo le conoscenze in ciò che interessa al mercato, facciamo in modo che i ragazzi mettano in pratica ciò che hanno appreso tra le aule. Perché la nostra è una scuola di vita, un modo nuovo di interpretare la formazione universitaria» – chiarisce la professoressa Chiara Di Guardo (a destra nella foto con Michela Loi), coordinatrice del progetto, che nelle prime due edizioni ha già portato alla nascita di 15 nuove imprese, molte delle quali finanziate da investitori privati.
Tra queste, IntendiMe, startup sociale fondata da Alessandra Farris per migliorare la vita delle persone sorde rendendole indipendenti e sicure, dentro e fuori casa.
«Ho pensato ai miei genitori, entrambi sordi. Con il team del Clab sono riuscita a tirare fuori questa idea dal cassetto e a renderla viva» - racconta lei, studentessa di Lettere Antiche oggi alle prese con la creazione di speciali placche che possono rilevare i suoni dalle abitazioni e avvisare l’utente direttamente sul proprio smartphone, tablet o dispositivo da polso.
Un progetto a cui ha lavorato con i colleghi incontrati al Clab anche quattordici ore al giorno e che adesso inizia a portare i primi frutti: «Abbiamo vinto diversi premi, stiamo crescendo e abbiamo buone speranze di poter rendere IndendiMe la nostra principale attività» – confida.
Un desiderio molto simile a quello di Mario Fanari, CEO di Snuplace, il servizio che aiuta studenti e freelance a trovare un posto comodo in cui lavorare.
«Siamo partiti da un problema nostro e ci siamo accorti che era condiviso da molte altre persone: non avevamo un ufficio, una stanza, neanche un garage in cui portare avanti la nostra attività. Così è nato Snuplace che oggi offre moltissimi spazi a Cagliari e che a breve ne offrirà altrettanti anche a Milano» – assicura Mario, laureato in Economia, che il suo «salto nel buio» in un certo senso l’ha già fatto, abbandonando il vecchio lavoro per dedicarsi interamente a quello che definisce il suo «piccolo bambino» e che ai futuri temerari del Clab ha un consiglio da dare:
«Lavorate sodo, non abbandonate alla prima difficoltà e anche se alla fine la vostra idea non diventerà un’impresa, questa sarà comunque un’esperienza che potrà tornarvi utile in moltissime altre occasioni, anche le più improbabili».
Così è accaduto a Nicola Usala, infatti, ingegnere elettronico nonché partecipante «vittorioso» del Clab, che dall’avventura cagliaritana ha creato Babaiola, un sito dedicato all’organizzazione di viaggi per la comunità LGBT.
«Anche in questo caso siamo partiti da una necessità: ci siamo accorti che mancava un servizio dedicato ai viaggiatori del mondo gay. Al momento ci rivolgiamo al pubblico italiano e abbiamo località principalmente europee, ma l’obiettivo è coprire tutto il mondo» – spiega lo startupper.
Che assicura: «L’aspetto più interessante del Clab? La competizione, certo, ma soprattutto la cooperazione. La possibilità di conoscere persone diverse da me, con idee a forte vocazione imprenditoriale e molto stimolanti. Una vera e propria contaminazione dalla quale è impossibile non trarre il meglio».
E adesso, non resta che attendere le finali della terza edizione che vede in gara 18 idee di imprese. L’appuntamento con i vincitori per febbraio 2016.
twitter@silviapagliuca
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Dove va l’Università? E dove va l’Università della Sardegna? BISOGNA OSARE DI PIU’ !
Dal sito web dell’Università della Sardegna – Università di Cagliari il servizio di Sergio Nuvoli sull’inaugurazione del 395° anno accademico dell’Ateneo di Cagliari, in particolare una sintesi della relazione del Rettore Maria Del Zompo.
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Cagliari, 10 dicembre 2015 – “Le cose, per essere fatte bene, devono essere fatte insieme. E si fanno insieme se con la città, con le imprese e con le istituzioni troviamo obiettivi comuni. Vogliamo continuare a lavorare insieme”. Con queste parole il Magnifico Rettore dell’Università di Cagliari, Maria Del Zompo, ha chiuso la sua relazione questa mattina durante la cerimonia di inaugurazione del nuovo Anno accademico. Dopo la sua relazione, gli interventi dei rappresentanti del personale, Roberta Silvagni, e degli studenti, Francesca Serra. Quindi la prolusione del professor Enrico Berti.
“ORGOGLIOSI DELLA FIDUCIA DI STUDENTI E FAMIGLIE”
“La cultura come strumento per uscire dalla crisi, come mezzo per cambiare il destino della propria famiglia e di tutta la società” è stato invece il punto di partenza di un discorso ad ampio raggio in cui il Rettore ha elencato le ombre e le luci del sistema universitario. Tra le prime certamente quelli che la prof.ssa Del Zompo ha definito “prelievi forzosi dal Fondo di finanziamento ordinario” operati dal Governo: “è un gioco al massacro, e noi non ci stiamo – ha detto – E’ un percorso ad ostacoli che equipara in base a parametri iniqui atenei profondamente diversi tra loro”.
Sul numero di iscritti totali in calo pesa la crisi economica, come pure sul numero degli esonerati per reddito e per merito, passati dal 16% dell’anno scorso al 18% dell’anno appena cominciato. Diminuisce il numero dei laureati, passati dai 4002 del 2014/15 ai 3586 attesi alla fine di quest’anno; a Cagliari si registra un docente ogni 51 studenti, contro la media di uno a 18 di Padova o uno a 4 di Yale.
Anche il personale è in costante diminuzione numerica, e sconta il blocco degli stipendi e il mancato riconoscimento economico della propria professionalità: “Un problema quest’ultimo – ha detto il Magnifico – che intendo affrontare al più presto. Siamo i paria della Pubblica amministrazione italiana”. Tra le luci, il fatto che l’Università di Cagliari si confermi research university, con la sua multidisciplinarietà che permette di offrire 38 corsi di laurea triennale, 34 magistrale e 6 a ciclo unico.
“C’è qualcosa di nuovo e di positivo – ha proseguito il Rettore – Il numero degli immatricolati cresce: è un segnale di fiducia dei ragazzi e delle loro famiglie che ci responsabilizza, perché vuol dire che la cultura universitaria è ancora vista come ascensore sociale. Vogliamo agire, nei limiti del possibile, anche sul diritto allo studio: abbiamo cercato di attutire l’effetto iniquo delle nuove fasce ISEE sulle famiglie sarde, e vogliamo migliorare la qualità dei nostri corsi di laurea”.
L’internazionalizzazione procede spedita “fiore all’occhiello delle nostre attività”. “Stiamo migliorando sulla terza missione, nel rapporto con imprese e territorio”. Quindi le opere: la nuova biblioteca del Polo di Piazza d’Armi (“contiamo di inaugurare presto”, l’impegno della prof.ssa Del Zompo), la nuova spina dipartimentale e il Centro per la ricerca nella Cittadella di Monserrato.
Quindi un passaggio sul rapporto con il Comune: “L’Università di Cagliari è la città di Cagliari – ha detto il Rettore – C’è perfetta identità tra l’Ateneo e la città che lo ospita: vogliamo proseguire nel rapporto intrapreso a vantaggio degli studenti”. Spazio nella relazione di inaugurazione anche per i progressi nel completamento del “Duilio Casula” di Monserrato e per il “Contamination Lab”, il riuscito progetto che punta sulla cultura di impresa cui hanno partecipato 350 studenti e ha generato 15 startup (tra cui “IntendiMe”, che ha vinto recentemente il Premio Nazionale per l’Innovazione).
Infine “Unica Social”, cioè la presenza dell’Università di Cagliari sui social media: “il nostro è il secondo ateneo pubblico in una recente classifica – ha concluso il Rettore – in base al numero dei like e per il livello di interattività mostrato con gli utenti”.
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INAUGURAZIONE ANNO ACCADEMICO UNIVERSITA’ DELLA SARDEGNA – UNIVERSITA’ DI SASSARI. La relazione del Rettore Massimo Carpinelli.
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Gli studenti italiani voltano le spalle all’università: in sette anni -20%
[di A. D. G.]
By sardegnasoprattutto / 11 dicembre 2015/ Conoscenza /
Corriere della sera.it 10 dicembre 2015. Il Rapporto della Fondazione Res. Dal 2008, 66mila matricole in meno: in fuga dagli atenei del Sud il 30% degli studenti. Diritto allo studio: nel Meridione 40% di idonei non ricevono borse di studio
Se il Paese non investe sull’Università, l’università si restringe. Una pozza d’acqua che si asciuga. Per la prima volta nella sua storia, è diventata più piccola di circa un quinto. Lo conferma il Rapporto 2015 della Fondazione Res «Nuovi divari. Un’indagine sulle Università del Nord e del Sud» curato da Gianfranco Viesti e presentato giovedì a Palermo.
Contrazione. Rispetto al momento di massima espansione nel 2008, scrivono i ricercatori, la tendenza alla contrazione ha raggiunto oggi il momento più critico: gli studenti immatricolati si sono ridotti di oltre 66mila (-20%); i docenti sono scesi a meno di 52mila (-17%); il personale tecnico amministrativo a 59mila (-18%); i corsi di studio a 4.628 (-18%). E la tendenza a disinvestire è evidente nei dati sul Fondo di finanziamento ordinario, diminuito, in termini reali, del 22,5%. In valore: sette miliardi, che vanno comparati agli oltre 26 miliardi della Germania. Una tendenza opposta a quelle in corso in tutti paesi avanzati. L’obiettivo europeo di raggiungere, al 2020, il 40% di giovani laureati sembra decisamente fuori dalla portata dell’Italia che, con il 23,9%, è all’ultimo posto fra i 28 stati membri.
Effetto «palla di neve». La situazione è drammatica soprattutto per gli atenei del Centro-Sud, e peggio ancora va nelle isole: il Fondo di finanziamento, ripartito in modo assai diverso negli ultimi anni, ha visto tagli, al Sud, di circa il 12% e nelle Isole di oltre un quinto. I cambiamenti introdotti nei meccanismi di ripartizione dei finanziamenti, con un aumento fino al 20% della quota premiale legata a risultati conseguiti nella didattica e nella ricerca, paradossalmente aggravano il quadro perché penalizzano le università del Mezzogiorno per la loro inefficienza, senza spingerle realmente su un sentiero di miglioramento e di maggiore responsabilizzazione. Un meccanismo «a palla di neve», dice la Fondazione: posizione sfavorevole e riduzione delle risorse finanziarie e umane peggiorano offerta didattica e immatricolazioni: «tutti elementi che si contraggono contemporaneamente o in sequenza, ciascuno rinforzando l’effetto degli altri».
Studenti in fuga. Dell’esercito di giovani che non si iscrivono più a un corso di laurea, oltre il 50% disertano atenei del Mezzogiorno: (37mila matricole in meno dal 2003 al 2014). Maggiore, nel Meridione, la quota di studenti che abbandona gli studi universitari dopo il primo anno (il 17,5% al Sud, contro il 12,6% al Nord e il 15,1% al Centro).
La mobilità studentesca, che potrebbe essere anche letta in positivo, mostra invece solo il volto triste della «migrazione»: il 30% degli immatricolati meridionali si iscrivono in università del Centro-Nord. Un flusso a senso unico. Tra le cause, va considerata anche la scarsa disponibilità di borse di studio e di servizi per gli studenti nelle regioni meridionali: nel 2013-14, il 40% degli idonei non beneficiava di borsa per carenza di risorse (60% nelle Isole).
Il gap. Per sottolineare il gap ci sono anche i dati sul tempo medio di completamento di un corso triennale: 5,5 anni al Centro e al Sud, e 4,5 al Nord. O quelli sulla diminuzione del personale docente di ruolo: 18,3% nel Mezzogiorno, 11,3% al Nord e 21,8% nelle università del Centro. Per qualità della ricerca, poi, tutti gli atenei meridionali presentano valori inferiori alla media nazionale.
Serie A e serie B. Alberto Campailla, portavoce di LINK – Coordinamento Universitario mette sotto accusa soprattutto i servizi del diritto allo studio, che «si rivolgono solo al 10 % del totale degli universitari. «Tra gli idonei a ricevere la borsa di studio – dice – uno su quattro non la ottiene per mancanza di fondi. Anche i servizi mensa e alloggio sono a dir poco carenti: solo il 2% degli studenti è assegnatario di un posto alloggio nelle residenze universitarie, mentre è disponibile un posto in mensa ogni 35 studenti iscritti». «Queste profonde differenze derivano in larga parte – afferma Campailla – da un sistema di riparto dei fondi che insistendo su ambigui criteri di merito sta finendo per concentrare le risorse e gli investimenti in pochi atenei di serie A che coprono un triangolo di 200 chilometri di lato con vertici Milano, Bologna e Venezia (e qualche estensione territoriale a Torino, Trento, Udine); mentre la serie B, cioè gli altri atenei, copre il resto del Paese».
Accuse che Francesca Puglisi, responsabile Scuola, Università e Ricerca del Pd, cerca di smontare: «Dopo anni di tagli nella legge di stabilità in discussione alla Camera dei deputati il Governo Renzi torna ad investire nell’Università e nel diritto allo studio. È vero, come argomenta la Fondazione Res i divari che attraversano il Paese nascono anche dalla diversa attenzione che le Regioni del centro nord tradizionalmente hanno dedicato all’istruzione, all’innovazione e al diritto allo studio. Oggi il Governo aumenta di 50 milioni di euro il diritto allo studio perché tutti i capaci e meritevoli privi di mezzi possano accedere ai più alti gradi di istruzione, sblocca la possibilità di assumere giovani ricercatori a tempo determinato e realizza un piano straordinario di assunzioni di 1000 ricercatori». «Ma le Regioni che secondo la riforma costituzionale dovranno promuovere il diritto allo studio devono fare la loro parte», aggiunge.
«Programma pluriennale per il rilancio». Per Jacopo Dionisio, coordinatore nazionale dell’Unione degli Universitari «è necessario un programma pluriennale per il rilancio dell’università italiana, specie nel Mezzogiorno – conclude -. Noi lo denunciamo da tempo e continueremo la nostra campagna sulla “questione meridionale” realizzando una serie di iniziative in tutt’Italia. Scuola, università e diritti sono i punti di partenza per il rilancio del Meridione e di tutto il Paese».
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