Risultato della ricerca: Compagne di parola
Ostinatamente contro la guerra
RIPUDIARE la GUERRA si può!?
O è UTOPIA?
Maria Paola Patuelli
Ci fu un tempo, alle nostre spalle, ma non molto lontano da noi, in cui ripudiare la guerra fu considerato un proposito tanto a portata di mano da finire nella nostra Costituzione.
La prima parte dell’ar.11 recita “L’Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali …”. La scelta del termine RIPUDIA non fu immediata. E’ stato con commozione che, tempo fa, vidi una minuta dei lavori della Costituente, preparatoria alla stesura dell’art.11. Nella prima stesura compare il termine “rifiuta”, poi cancellato – la cancellatura è ben visibile – e che diventa ripudia, ben più forte. Non è solo un no, è un no detto con sdegno, con disgusto.
Pace, Pace, Pace
Rocca è online!
Quando viene Natale.
L’editoriale di Mariano Borgognoni*
Capisci che s’avvicina il Natale da qualche timida luminaria davanti alla casa di gente frettolosa e impaziente o dinanzi ad un negozio ruffiano ed ingenuo. Ma soprattutto lo avverti dal saltibeccare nei vari pollai televisivi di Vespa e Mieli, Veltroni e Vattelapesca a propinarti la politica in un pragmatismo che lobotomizza l’anima. Eppure una crescente disuguaglianza sul piano globale e dei singoli Paesi e una benedetta inquietudine antropologica chiama a responsabilità. Non basta la forza cieca del mercato ad aggiustare il mondo. L’assorbimento della politica nell’economia non può produrre che libri da intorto per dirla col mitico Maestrone, signore di Pavana e coltivatore dei nostri sentimenti migliori.
E anche dal fatto che cambia il tempo e c’è nebbia in Val di Tara. Ma di questo non voglio parlare: sarebbe umiliante entrare nel merito. Poi c’è la guerra qui da noi, in Europa. E Gesù bambino se proprio al freddo e al gelo ha da nascere, non può farlo che lì. Se ne accorgeranno in pochi, more solito. Non ne parlerà nessuno come nessuno parla di pace. Chi ne parla poi non ha divisioni da mettere in campo. Eppure dovremmo cercare di combattere per una pace giusta anche dentro questo senso di impotenza che tende a paralizzarci, nella consapevolezza che, come amava ripetere Paolo De Benedetti citando i maestri d’Israele: «Non sta a te compiere l’opera, ma non sei libero di sottrartene».
Come dovremmo fare di più per sostenere la grande, eroica lotta delle donne iraniane contro la tirannia fondamentalista che nega i diritti essenziali ad una vita dignitosa e libera. È di grande conforto vedere insieme a loro tanti uomini, nelle vie di Teheran e di altre città. E quel silenzio dei calciatori iraniani al momento dell’inno vale più di un mondiale. A queste donne e a questi uomini abbiamo voluto dedicare l’ultima copertina dell’anno, con un titolo che vorrebbe far riflettere su come anche le regole del linguaggio, figlie di una lunga storia, possano essere ribaltate dalla forza di una speranza difficile che, quella storia, cerca di cambiare. «Sorelle tutti» può diventare in tante circostanze il modo più profondo per dire «Fratelli tutti».
In ogni caso quello che sembra mancare a questi piccoli e grandi fronti e gesti di lotta per alleggerire il mondo dall’ingiustizia
è un orizzonte. Un ideale e una convinzione che si possano costruire società diverse: più libere e più ugualitarie. Pesa il fallimento dei vecchi sogni e il chiudersi del caos, convulse costellazioni di «particulari» che non fanno sintesi. La profezia di Fukuyama sulla fine della storia giunti, dopo l’89, al migliore dei mondi possibile, sta mostrando la corda. Bisognerà immaginare una radicalità di pensiero e di azione che torni, in modo nuovo, sulle grandi speranze che continuano a covare in quel «guazzabuglio del cuore umano». Sono affezionato ad antichi nomi cristiani e socialisti ma se ne cerchino pure di nuovi, se si vuole, per dare gambe e forza ad un cammino di umanizzazione.
In questo tempo di Avvento, che ci porta verso il Natale, noi cristiani siamo invitati a cogliere e vivere la dimensione dell’attesa. Un’attesa vigile, attenta, perseverante, fiduciosa, operosa. Attesa che è anche attendere qualcosa, non solo attendere Qualcuno. Attesa è non addormentarsi ma continuare a pensare, a fare, a costruire. Sapendo che questo è «il cammino dell’uomo» per dirla con il titolo di un magnifico libretto di Martin Buber. Non sentirsi mai arrivati, mantenere un’apertura, che è un grimaldello critico per scardinare ogni ossificazione ideologica e ogni sacralizzazione del presente.
C’è una fecondità laica nella cifra dell’Avvento che, nella storia, resta un orizzonte irraggiungibile e per questo prezioso, perché muove speranze e al contempo marca un limite. Ed è proprio dentro questo limite che donne e uomini definiscono la loro identità.
Infine, per noi cristiani, in questo cammino comune con le donne e gli uomini del nostro tempo, resta da sussurrare la fede che il Regno verrà nella sua pienezza per tutti, ma soprattutto per gli umiliati e gli offesi di ogni tempo. Quelli che nessuna rivoluzione potrebbe salvare. Quelli senza il cui riscatto nessuna giustizia sarebbe possibile. Buon Natale!
❑
*ROCCA 15 DICEMBRE 2022
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Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri.
Newsletter n.285 del 1 dicembre 2022
LE ARMI NON FINISCONO MAI. GLI UCRAINI INVECE SÌ.
di Raniero La Valle
Cari Amici,
mentre nell’azione di governo i “valori dell’Occidente” appaiono in via di estinzione, in nome dei “valori dell’Occidente” governo e Parlamento si apprestano a mandare altre armi all’Ucraina, Questo vuol dire che la guerra non finirà mai perché, come dice Lucio Caracciolo, America Russia e Cina si sono messe d’accordo di non usare l’arma atomica e perciò, data questa garanzia, la guerra può continuare all’infinito. Infatti una guerra può finire o con un negoziato, o con la vittoria o perché finiscono le armi, o perché finiscono i soldati. Nel nostro caso il negoziato è escluso da Zelensky, e la Russia, che pur ne avrebbe bisogno per la catastrofe che le sta procurando una guerra incauta e sbagliata, ci deve rinunziare. Con la vittoria non può finire, perché nessuno ne è capace e chiunque vincesse, perderebbero tutti e si innescherebbe una tragedia senza pari. Quanto alle armi, all’Ucraina non possono finire, perché l’America e tutto l’Occidente ne rimpiazzano continuamente gli arsenali, mentre Ursula von Der Leyen, Stoltenberg e tutto il corteggio dei loro seguaci non fanno altro che attizzare l’odio per la Russia, necessario per la guerra ad oltranza. Ma se non finiscono le armi, saranno gli Ucraini a finire. E continuare la guerra finché non finiscono gli Ucraini, a quali “valori” corrisponde? Che valori sono quelli per i quali si manda a morire un popolo intero sull’altare di un sacrificio i cui officianti si gloriano della loro laicità, per i quali l’icona del condottiero si innalza su città distrutte, bambini uccisi, eserciti decimati, speranze infrante, per i quali senza esclusione di colpi si combatte la lotta tra “democrazie” e “autocrazie”?
Dovremmo avere qualche remora ad appellarci ai valori dell’Occidente, non solo per il loro cattivo uso, ma perché proprio nell’affermarli, essi si dissolvono. Essi sono fatti consistere nella loro superiorità e differenza rispetto a quelli dell’Oriente, e anzi del resto del mondo. E ciò succede fin da quando si sono messi a confronto con quelli delle Indie appena scoperte, dei “popoli della natura” contro “i popoli dello spirito”, secondo le classifiche di Hegel. Dovrebbero essere invece i valori dell’universalità, che quando si rivendicano come propri, antagonisti ed esclusivi, proprio allora in quello stesso istante si perdono.
Dovrebbero essere infatti i valori semplicemente umani: quelli per i quali padre Balducci diceva che chi aveva bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentazioni sul proscenio delle culture non lo cercasse, perché non era che un uomo, e Alberto Einstein costretto ad emigrare negli Stati Uniti, scrisse: razza umana, sul formulario che alla dogana gli chiedeva di denunciare di che razza fosse, e Kant affermava che gli eserciti sono in se stessi, ancor prima del loro uso, minaccia agli altri popoli.
Essi intanto sono valori in quanto non rinnegano e non discriminano nessuno, non il nemico, non i paria, alla cui condizione Biden vuole ridurre i Russi. Ci sarebbe un modo invece per finire la guerra: non mandare più armi e in contropartita chiedere alla Russia di congelare le sue, e allora la guerra si esaurirebbe da sé. Ma purtroppo questa ipotesi è ben lontana dal potersi realizzare, ed è per questo che ci viene promessa una guerra infinita. Ma fino a quando?
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sull’invito alla guerra da parte dei Parlamenti dell’UE e della NATO.
Un cordiale saluto,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
————-
Martedì a Cagliari bella assemblea con il Presidente dell’ANPI Pagliarulo: ecco l’intervento.
Si è svolta martedì 29 cm a Cagliari un’affollata assemblea con il Presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo. Sono intervenuti, oltre ai dirigenti sardi dell’Anpi, il segretario regionale della CGIL e quello dell’Arci, dando vita ad un interessante confronto sui temi del lavoro, della guerra e della pace nonché della crisi socio-culturale del Paese. Ha concluso il presidente nazionale dell’ANPI, con un intervento, di cui pubblichiamo una sintesi, ricordando che Pagliarulo ha tralasciato i temi già trattati negli interventi di apertura.
Svolgiamo questo incontro in un tempo drammatico, quello di una sconfitta di portata storica. E ha fatto bene chi mi ha preceduto a porsi e a porre una serie di interrogativi, a cominciare dal fatto che è cambiato il mondo. Mi permetto di aggiungere a queste riflessioni qualche parzialissima considerazione.
Credo che occorra ragionare su due parole: sovranisti e conservatori. Il termine sovranismo di estrema destra è un neologismo che richiama immediatamente la più classica parola nazionalismo. Certo, è cambiato il contesto: non siamo più all’inizio del Novecento o negli anni 20 o negli anni 30. Il sovranismo attuale mi pare in gran parte motivato da una reazione ad alcuni aspetti della globalizzazione. Non prevale per ora la violenta aggressività politica e anche militare del nazionalismo novecentesco. Al contrario il sovranismo sembra caratterizzato dall’idea di una chiusura nei propri confini come a definire una priorità di valori e di interessi: “American first” o “Prima di tutto gli italiani” sono slogan di chi si immagina in una fortezza assediata con il nemico alle porte, a cominciare dall’UE che di per sé non gode affatto di buona salute.
Eppure del nazionalismo classico l’attuale sovranismo sembra conservare alcuni tratti distintivi, come la propensione all’autoritarismo, la tendenza a superare i confini costituzionali, l’idea spesso inespressa della presunta superiorità di quel determinato popolo, di quella patria, di quell’insieme di terra e sangue – terra e sangue! – nel cui nome fu scatenato il più drammatico conflitto della storia dell’umanità, la Seconda guerra mondiale.
Conservatori è invece una parola antica e non a caso Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori riformisti europei. Ma il significato di questa parola è molto cambiato. Conservatore è l’ex leader inglese Johnson, conservatrice è Liz Truss, entrambi caratterizzati da una radicalità molto lontana dal tradizionale costume dei tories. Neocon, neoconservatori, è il nome di quella corrente americana che si incarnò nel governo di Bush Junior e nella teoria dell’esportazione manu militari della democrazia. A suo modo conservatore è Donald Trump, portatore di una politica protezionista e isolazionista. In sostanza oggi la parola conservatore è relativamente indefinita e sovente si sposa con le parole oscurantista, nazionalista e, spesso, isolazionista. C’è un grumo di idee, emozioni, giudizi e pregiudizi diverso da Paese a Paese ma comune in tanti Paesi che racchiude una miscela composita di “ismi”: oscurantismo e nazionalismo, come già detto, e assieme razzismo, autoritarismo, neofascismo, neonazismo, con una spiccata propensione al rifiuto delle conquiste della scienza, all’irrazionalismo, qualche volta al misticismo religioso o profano, quella cosa premoderna che alcuni chiamano “pensiero magico”.
Conservazione in questa nuova indefinita accezione e sovranismo come una sorta di novello nazionalismo sono quindi, a mio avviso, le parole chiave dell’estrema destra attuale nel mondo e in Italia.
Tutto ciò non è nato da ieri a oggi, non è una Minerva che nasce miracolosamente dal cervello di Giove, ma ha una lunghissima incubazione, presumo quantomeno una trentina d’anni. Da quanti decenni la Lombardia è in mano al centrodestra? Tutte le regioni del nord Italia sono in mano alle destre dal 2020. 14 regioni sono dal 2020 al centrodestra e cinque al centrosinistra. E i Comuni? E ancora: quanto è cambiato il Paese dal 1994 con Silvio Berlusconi che vinse le elezioni? Voglio dire che la Meloni non è frutto del destino cinico e baro, ma l’esito di una lunga fase preparatoria e assieme – penso – l’avvio di una nuova fase.
Questa lunghissima incubazione coincide con eventi che hanno profondamente cambiato il mondo e che sono interconnessi: dalla rivoluzione tecnologica-informatica ai cambiamenti dell’organizzazione e in alcuni casi del lavoro. Se questo processo ha assunto forme diversissime da Paese a Paese, in un punto è relativamente costante: il progressivo e sempre più veloce aumento delle diseguaglianze sociali. Non è un mistero che la maggioranza degli elettori popolari si riconosce nei partiti di destra in Italia, o che a maggior ragione negli Stati Uniti il consenso di Trump è acquartierato di gran lunga nella grande provincia.
La politica che chiamiamo democratica e di sinistra ha in gran parte smarrito i legami sociali e la connessione sentimentale con gran parte del suo popolo e si è allontanata dal mondo del lavoro, che a mio avviso rimane il cuore del problema. Se ci avviciniamo al nostro Paese osserviamo che i partiti costituenti sono tutti scomparsi; il più vecchio partito oggi presente in Parlamento è la Lega; i partiti attuali hanno smarrito la funzione fondativa che avevano svolto dal dopoguerra fino agli anni 70, e che era fondamentalmente duplice: erano l’anello di congiunzione fra la società e lo Stato, fra il popolo e le istituzioni operando così una virtuosa correzione a un difetto storico del nostro Paese fin dai tempi dell’unità. E svolgevano anche un ruolo fondamentale di formazione civile educando alla politica milioni e milioni di persone in particolare attraverso i grandi partiti di massa. Tutto questo non c’è più e oggi siamo, per così dire, nudi alla meta nella inedita circostanza del primo governo repubblicano a guida di estrema destra post fascista. Aggiungo a questo proposito che non mi pare corretto parlare di un governo fascista tout-court e anche di un partito fascista tout-court, Fratelli d’Italia. Uso le parole di Alberto Olivetti quando ha parlato di Fratelli d’Italia come di un partito con elementi di fascismo in sospensione. Il che non esclude affatto né la presenza di vocazioni autoritarie, come si più leggere nell’infelicissimo decreto cosiddetto anti-rave e nelle dichiarazioni programmatiche sul semipresidenzialismo e sull’autonomia differenziata, né esclude possibili future degenerazioni. Questa nuova conformazione dei partiti rende spesso asfittiche, parziali o del tutto assenti le loro capacità di proporre analisi articolate della realtà, com’era invece costume dei partiti di massa.
Il mondo dell’associazionismo, che per sua natura non tende ad essere né partito né istituto di ricerca, si trova nella particolare condizione di provare a riempire questo vuoto dando vita a momenti o a luoghi di riflessione e di analisi come per esempio state provando a fare voi, come stiamo provando a fare noi, come stanno provando a fare altri soggetti associativi.
Ma nella particolarissima situazione attuale, nel pieno di una guerra che sembra sempre più pericolosa e vicina, quando tutti sentiamo che possono essere messi in discussione i pilastri del vivere comune, e cioè la Costituzione e i suoi princìpi di libertà e di eguaglianza, si ridefinisce nella realtà quotidiana anche una parte dei nostri compiti: per ciò che riguarda l’ANPI agli obblighi legati alla memoria e anche ai sacrosanti riti laici ad essa legati, come le commemorazioni, i giri con le corone, l’ossequio commosso alle lapidi, si aggiunge – sottolineo: si aggiunge, non si sostituisce – un plus di impegno civile e sociale teso sia all’attività di formazione civica – le scuole – e culturale, sia alla ricostruzione di un rapporto di fiducia fra popolo e istituzioni democratiche. A quest’ultimo proposito la drammatica consumazione di quel rapporto di fiducia si manifesta sia con quanto di protesta c’è stato nel voto per l’estrema destra, sia in quel 40% di elettori che non ha votato o che ha annullato la scheda. Credo, in sostanza, che questa sia la grande sfida a cui noi, voi, l’intero mondo dell’associazionismo, sia pur con toni diversi a seconda della natura delle Associazioni, siamo chiamati.
In questa situazione una più generale prospettiva di unità deve rapidamente passare dal libro dei sogni al sogno che si concretizza, anche perché a ben vedere il Novecento ci ha insegnato questo nel male e nel bene. Nel male quando il fascismo prevale dal ’22 in poi anche grazie alla divisione fra le forze antifasciste del tempo. Nel bene quando dal ’43 in poi la politica dei Comitati di Liberazione Nazionale fu alla base della vittoria della Resistenza e dei primi anni successivi alla Liberazione.
Finisco.
Nella nebbia che da tempo ci avvolge, il tema della deportazione politica, come giustamente ha detto chi mi ha preceduto, troppo spesso è stato oscurato o addirittura dimenticato. Forse c’è un punto di malizia politica in questa rimozione, connessa ai tentativi di delegittimare la Resistenza. Si tratta di un ulteriore argomento di riflessione tutto sommato proprio dell’insieme delle Associazioni antifasciste e resistenziali a cominciare dall’ANPI. Ricordo anch’io la grande importanza della costituzione del Forum delle associazioni perché per la prima volta dopo tanti decenni stiamo provando a mettere a valore tutto ciò che ci unisce e senza dubbio, con tutte le difficoltà e le contraddizioni della vita reale, questo processo andrà avanti in una prospettiva unitaria di cui non conosciamo tempi e modalità ma che è oramai tracciata. Voi tutti siete una parte essenziale e insostituibile di questo processo unitario ed è interesse non solo vostro, ma dell’ANPI, del Forum, del mondo dell’associazionismo, del nostro Paese, che il vostro patrimonio non vada disperso. Perché? Perché prima d’essere un pezzo di storia d’Italia è un pezzo di storia degli italiani; è un patrimonio di sofferenza, di vita e di pensiero, unico e insostituibile.
Carissime compagne e compagni, buon lavoro!
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Sempre e comunque contro la guerra per la Pace
Costituente Terra – Chiesadituttichiesadeipoveri.
Newsletter n.285 del 1 dicembre 2022
LE ARMI NON FINISCONO MAI. GLI UCRAINI INVECE SÌ.
di Raniero La Valle
Cari Amici,
mentre nell’azione di governo i “valori dell’Occidente” appaiono in via di estinzione, in nome dei “valori dell’Occidente” governo e Parlamento si apprestano a mandare altre armi all’Ucraina, Questo vuol dire che la guerra non finirà mai perché, come dice Lucio Caracciolo, America Russia e Cina si sono messe d’accordo di non usare l’arma atomica e perciò, data questa garanzia, la guerra può continuare all’infinito. Infatti una guerra può finire o con un negoziato, o con la vittoria o perché finiscono le armi, o perché finiscono i soldati. Nel nostro caso il negoziato è escluso da Zelensky, e la Russia, che pur ne avrebbe bisogno per la catastrofe che le sta procurando una guerra incauta e sbagliata, ci deve rinunziare. Con la vittoria non può finire, perché nessuno ne è capace e chiunque vincesse, perderebbero tutti e si innescherebbe una tragedia senza pari. Quanto alle armi, all’Ucraina non possono finire, perché l’America e tutto l’Occidente ne rimpiazzano continuamente gli arsenali, mentre Ursula von Der Leyen, Stoltenberg e tutto il corteggio dei loro seguaci non fanno altro che attizzare l’odio per la Russia, necessario per la guerra ad oltranza. Ma se non finiscono le armi, saranno gli Ucraini a finire. E continuare la guerra finché non finiscono gli Ucraini, a quali “valori” corrisponde? Che valori sono quelli per i quali si manda a morire un popolo intero sull’altare di un sacrificio i cui officianti si gloriano della loro laicità, per i quali l’icona del condottiero si innalza su città distrutte, bambini uccisi, eserciti decimati, speranze infrante, per i quali senza esclusione di colpi si combatte la lotta tra “democrazie” e “autocrazie”?
Dovremmo avere qualche remora ad appellarci ai valori dell’Occidente, non solo per il loro cattivo uso, ma perché proprio nell’affermarli, essi si dissolvono. Essi sono fatti consistere nella loro superiorità e differenza rispetto a quelli dell’Oriente, e anzi del resto del mondo. E ciò succede fin da quando si sono messi a confronto con quelli delle Indie appena scoperte, dei “popoli della natura” contro “i popoli dello spirito”, secondo le classifiche di Hegel. Dovrebbero essere invece i valori dell’universalità, che quando si rivendicano come propri, antagonisti ed esclusivi, proprio allora in quello stesso istante si perdono.
Dovrebbero essere infatti i valori semplicemente umani: quelli per i quali padre Balducci diceva che chi aveva bisogno di un cristiano per completare la serie delle rappresentazioni sul proscenio delle culture non lo cercasse, perché non era che un uomo, e Alberto Einstein costretto ad emigrare negli Stati Uniti, scrisse: razza umana, sul formulario che alla dogana gli chiedeva di denunciare di che razza fosse, e Kant affermava che gli eserciti sono in se stessi, ancor prima del loro uso, minaccia agli altri popoli.
Essi intanto sono valori in quanto non rinnegano e non discriminano nessuno, non il nemico, non i paria, alla cui condizione Biden vuole ridurre i Russi. Ci sarebbe un modo invece per finire la guerra: non mandare più armi e in contropartita chiedere alla Russia di congelare le sue, e allora la guerra si esaurirebbe da sé. Ma purtroppo questa ipotesi è ben lontana dal potersi realizzare, ed è per questo che ci viene promessa una guerra infinita. Ma fino a quando?
Nel sito pubblichiamo un articolo di Domenico Gallo sull’invito alla guerra da parte dei Parlamenti dell’UE e della NATO.
Un cordiale saluto,
www.chiesadituttichiesadeipoveri.it
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Martedì a Cagliari bella assemblea con il Presidente dell’ANPI Pagliarulo: ecco l’intervento.
Si è svolta martedì 29 cm a Cagliari un’affollata assemblea con il Presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo. Sono intervenuti, oltre ai dirigenti sardi dell’Anpi, il segretario regionale della CGIL e quello dell’Arci, dando vita ad un interessante confronto sui temi del lavoro, della guerra e della pace nonché della crisi socio-culturale del Paese. Ha concluso il presidente nazionale dell’ANPI, con un intervento, di cui pubblichiamo una sintesi, ricordando che Pagliarulo ha tralasciato i temi già trattati negli interventi di apertura.
Svolgiamo questo incontro in un tempo drammatico, quello di una sconfitta di portata storica. E ha fatto bene chi mi ha preceduto a porsi e a porre una serie di interrogativi, a cominciare dal fatto che è cambiato il mondo. Mi permetto di aggiungere a queste riflessioni qualche parzialissima considerazione.
Credo che occorra ragionare su due parole: sovranisti e conservatori. Il termine sovranismo di estrema destra è un neologismo che richiama immediatamente la più classica parola nazionalismo. Certo, è cambiato il contesto: non siamo più all’inizio del Novecento o negli anni 20 o negli anni 30. Il sovranismo attuale mi pare in gran parte motivato da una reazione ad alcuni aspetti della globalizzazione. Non prevale per ora la violenta aggressività politica e anche militare del nazionalismo novecentesco. Al contrario il sovranismo sembra caratterizzato dall’idea di una chiusura nei propri confini come a definire una priorità di valori e di interessi: “American first” o “Prima di tutto gli italiani” sono slogan di chi si immagina in una fortezza assediata con il nemico alle porte, a cominciare dall’UE che di per sé non gode affatto di buona salute.
Eppure del nazionalismo classico l’attuale sovranismo sembra conservare alcuni tratti distintivi, come la propensione all’autoritarismo, la tendenza a superare i confini costituzionali, l’idea spesso inespressa della presunta superiorità di quel determinato popolo, di quella patria, di quell’insieme di terra e sangue – terra e sangue! – nel cui nome fu scatenato il più drammatico conflitto della storia dell’umanità, la Seconda guerra mondiale.
Conservatori è invece una parola antica e non a caso Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori riformisti europei. Ma il significato di questa parola è molto cambiato. Conservatore è l’ex leader inglese Johnson, conservatrice è Liz Truss, entrambi caratterizzati da una radicalità molto lontana dal tradizionale costume dei tories. Neocon, neoconservatori, è il nome di quella corrente americana che si incarnò nel governo di Bush Junior e nella teoria dell’esportazione manu militari della democrazia. A suo modo conservatore è Donald Trump, portatore di una politica protezionista e isolazionista. In sostanza oggi la parola conservatore è relativamente indefinita e sovente si sposa con le parole oscurantista, nazionalista e, spesso, isolazionista. C’è un grumo di idee, emozioni, giudizi e pregiudizi diverso da Paese a Paese ma comune in tanti Paesi che racchiude una miscela composita di “ismi”: oscurantismo e nazionalismo, come già detto, e assieme razzismo, autoritarismo, neofascismo, neonazismo, con una spiccata propensione al rifiuto delle conquiste della scienza, all’irrazionalismo, qualche volta al misticismo religioso o profano, quella cosa premoderna che alcuni chiamano “pensiero magico”.
Conservazione in questa nuova indefinita accezione e sovranismo come una sorta di novello nazionalismo sono quindi, a mio avviso, le parole chiave dell’estrema destra attuale nel mondo e in Italia.
Tutto ciò non è nato da ieri a oggi, non è una Minerva che nasce miracolosamente dal cervello di Giove, ma ha una lunghissima incubazione, presumo quantomeno una trentina d’anni. Da quanti decenni la Lombardia è in mano al centrodestra? Tutte le regioni del nord Italia sono in mano alle destre dal 2020. 14 regioni sono dal 2020 al centrodestra e cinque al centrosinistra. E i Comuni? E ancora: quanto è cambiato il Paese dal 1994 con Silvio Berlusconi che vinse le elezioni? Voglio dire che la Meloni non è frutto del destino cinico e baro, ma l’esito di una lunga fase preparatoria e assieme – penso – l’avvio di una nuova fase.
Questa lunghissima incubazione coincide con eventi che hanno profondamente cambiato il mondo e che sono interconnessi: dalla rivoluzione tecnologica-informatica ai cambiamenti dell’organizzazione e in alcuni casi del lavoro. Se questo processo ha assunto forme diversissime da Paese a Paese, in un punto è relativamente costante: il progressivo e sempre più veloce aumento delle diseguaglianze sociali. Non è un mistero che la maggioranza degli elettori popolari si riconosce nei partiti di destra in Italia, o che a maggior ragione negli Stati Uniti il consenso di Trump è acquartierato di gran lunga nella grande provincia.
La politica che chiamiamo democratica e di sinistra ha in gran parte smarrito i legami sociali e la connessione sentimentale con gran parte del suo popolo e si è allontanata dal mondo del lavoro, che a mio avviso rimane il cuore del problema. Se ci avviciniamo al nostro Paese osserviamo che i partiti costituenti sono tutti scomparsi; il più vecchio partito oggi presente in Parlamento è la Lega; i partiti attuali hanno smarrito la funzione fondativa che avevano svolto dal dopoguerra fino agli anni 70, e che era fondamentalmente duplice: erano l’anello di congiunzione fra la società e lo Stato, fra il popolo e le istituzioni operando così una virtuosa correzione a un difetto storico del nostro Paese fin dai tempi dell’unità. E svolgevano anche un ruolo fondamentale di formazione civile educando alla politica milioni e milioni di persone in particolare attraverso i grandi partiti di massa. Tutto questo non c’è più e oggi siamo, per così dire, nudi alla meta nella inedita circostanza del primo governo repubblicano a guida di estrema destra post fascista. Aggiungo a questo proposito che non mi pare corretto parlare di un governo fascista tout-court e anche di un partito fascista tout-court, Fratelli d’Italia. Uso le parole di Alberto Olivetti quando ha parlato di Fratelli d’Italia come di un partito con elementi di fascismo in sospensione. Il che non esclude affatto né la presenza di vocazioni autoritarie, come si più leggere nell’infelicissimo decreto cosiddetto anti-rave e nelle dichiarazioni programmatiche sul semipresidenzialismo e sull’autonomia differenziata, né esclude possibili future degenerazioni. Questa nuova conformazione dei partiti rende spesso asfittiche, parziali o del tutto assenti le loro capacità di proporre analisi articolate della realtà, com’era invece costume dei partiti di massa.
Il mondo dell’associazionismo, che per sua natura non tende ad essere né partito né istituto di ricerca, si trova nella particolare condizione di provare a riempire questo vuoto dando vita a momenti o a luoghi di riflessione e di analisi come per esempio state provando a fare voi, come stiamo provando a fare noi, come stanno provando a fare altri soggetti associativi.
Ma nella particolarissima situazione attuale, nel pieno di una guerra che sembra sempre più pericolosa e vicina, quando tutti sentiamo che possono essere messi in discussione i pilastri del vivere comune, e cioè la Costituzione e i suoi princìpi di libertà e di eguaglianza, si ridefinisce nella realtà quotidiana anche una parte dei nostri compiti: per ciò che riguarda l’ANPI agli obblighi legati alla memoria e anche ai sacrosanti riti laici ad essa legati, come le commemorazioni, i giri con le corone, l’ossequio commosso alle lapidi, si aggiunge – sottolineo: si aggiunge, non si sostituisce – un plus di impegno civile e sociale teso sia all’attività di formazione civica – le scuole – e culturale, sia alla ricostruzione di un rapporto di fiducia fra popolo e istituzioni democratiche. A quest’ultimo proposito la drammatica consumazione di quel rapporto di fiducia si manifesta sia con quanto di protesta c’è stato nel voto per l’estrema destra, sia in quel 40% di elettori che non ha votato o che ha annullato la scheda. Credo, in sostanza, che questa sia la grande sfida a cui noi, voi, l’intero mondo dell’associazionismo, sia pur con toni diversi a seconda della natura delle Associazioni, siamo chiamati.
In questa situazione una più generale prospettiva di unità deve rapidamente passare dal libro dei sogni al sogno che si concretizza, anche perché a ben vedere il Novecento ci ha insegnato questo nel male e nel bene. Nel male quando il fascismo prevale dal ’22 in poi anche grazie alla divisione fra le forze antifasciste del tempo. Nel bene quando dal ’43 in poi la politica dei Comitati di Liberazione Nazionale fu alla base della vittoria della Resistenza e dei primi anni successivi alla Liberazione.
Finisco.
Nella nebbia che da tempo ci avvolge, il tema della deportazione politica, come giustamente ha detto chi mi ha preceduto, troppo spesso è stato oscurato o addirittura dimenticato. Forse c’è un punto di malizia politica in questa rimozione, connessa ai tentativi di delegittimare la Resistenza. Si tratta di un ulteriore argomento di riflessione tutto sommato proprio dell’insieme delle Associazioni antifasciste e resistenziali a cominciare dall’ANPI. Ricordo anch’io la grande importanza della costituzione del Forum delle associazioni perché per la prima volta dopo tanti decenni stiamo provando a mettere a valore tutto ciò che ci unisce e senza dubbio, con tutte le difficoltà e le contraddizioni della vita reale, questo processo andrà avanti in una prospettiva unitaria di cui non conosciamo tempi e modalità ma che è oramai tracciata. Voi tutti siete una parte essenziale e insostituibile di questo processo unitario ed è interesse non solo vostro, ma dell’ANPI, del Forum, del mondo dell’associazionismo, del nostro Paese, che il vostro patrimonio non vada disperso. Perché? Perché prima d’essere un pezzo di storia d’Italia è un pezzo di storia degli italiani; è un patrimonio di sofferenza, di vita e di pensiero, unico e insostituibile.
Carissime compagne e compagni, buon lavoro!
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Roma, la pace, l’abbraccio, l’Anpi
Gianfranco Pagliarulo
La nostra associazione è stata protagonista di una mobilitazione memorabile, partecipando con migliaia di iscritte, iscritti, dirigenti. E insieme alle altre realtà promotrici, si è confermata soggetto politico ineludibile sulla questione guerra, oltre che sulla difesa della democrazia e della Costituzione
Costituzione Democrazia Guerra e Pace
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Roma, 5 novembre. In migliaia le donne e gli uomini dell’Anpi hanno sfilato da piazza della Repubblica fino a piazza San Giovanni
È avvenuto un grande abbraccio. Chi c’era, sa. Chi ha visto la diretta sui social, sa. Chi ha letto i più importanti quotidiani del giorno successivo o ha visto le tv a reti (quasi) unificate, probabilmente non sa, o non sa bene.
Si è svolta a Roma una manifestazione di dimensioni straordinarie, con più di 100mila persone, con una sola parola d’ordine: pace. Dietro questa parola, ovviamente, una sorta di decalogo. Cessate il fuoco, trattativa e negoziato, intervento pacificatore delle Nazioni Unite, ruolo di intermediazione dell’Unione Europea, conferenza di pace, smilitarizzazione, messa al bando delle armi nucleari, stop alla corsa al riarmo, sicurezza reciproca condivisa, liberazione dalla guerra. Un percorso – oggi è di moda dire road map – che porti a una nuova coesistenza pacifica in un mondo multipolare. Questa manifestazione, promossa da Europe for Peace, è stata diretta e organizzata da un cartello di centinaia di associazioni, movimenti, sindacati dei più diversi orientamenti, con una fortissima e significativa presenza del mondo cattolico. Il Presidente della CEI, Cardinale Zuppi, ha inviato un autorevolissimo messaggio di adesione e partecipazione.
L’Anpi è stata fra le protagoniste di una giornata indimenticabile, partecipando fra l’altro con migliaia di iscritte e iscritti, attiviste e attivisti, dirigenti. Una giornata memorabile, che restituisce speranza ed entusiasmo ai tanti che sembravano rassegnati al silenzio davanti a un vero e proprio terrorismo mediatico scatenatosi fin dall’invasione. Quando chiunque si permetteva di contraddire sia pur parzialmente il verbo del mainstream dominante veniva messo alla gogna come putiniano, in un delirio bellicista teso a militarizzare l’opinione pubblica. Come se fossimo in guerra. E forse lo siamo. Lo specchio deformante è stato infranto, e questo è merito di quei centomila e passa, che hanno rappresentato un’altra Italia, quella che, proprio perché condanna senza remissione l’invasione russa e le sue sanguinose conseguenze, da tempo pensa che occorre agire diplomaticamente per far cessare l’inutile strage, avviare una de-escalation, allontanare l’ombra mostruosa di un conflitto nucleare, restituire al mondo una dimensione di umanità che sembra smarrita.
Questi i fatti. La rappresentazione dei grandi media, invece, ha ridotto il grandissimo peso politico e civile della manifestazione a una controversia fra segretari di partiti, imponendo un grottesco paragone fra il popolo che si è riversato a Roma e qualche centinaio di attivisti di partito, parlamentari e quant’altro che si è riunito a Milano in ostentata polemica con la manifestazione nazionale. In sostanza l’immagine che è stata data di un corteo grandioso e pulsante di aspettativa e dei brevissimi comizi che si sono succeduti in modo tambureggiante, con decine di migliaia di persone che non sono riuscite ad arrivare in piazza San Giovanni, tanto imponente era il corteo, ebbene, tutto ciò è stato ridotto a un confronto polemico fra Conte, Letta, Calenda, ignorando così la funzione straordinaria (letteralmente, cioè al di fuori dell’ordinario) dell’associazionismo democratico nella sua più ampia declinazione: associazioni, movimenti, sindacati. Quale funzione? La funzione fondamentale della rappresentanza democratica di quelle che la Costituzione chiama formazioni sociali, in questo caso del pensiero e della volontà di pace di una parte rilevantissima della società italiana, che sino a oggi era stato espresso soltanto nei sondaggi in clamoroso contrasto con le scelte governative, e che dal 5 novembre si conferma, per così dire, autorevole soggetto politico nel senso più ampio del termine.
L’associazionismo democratico laico e cattolico è stato e rimarrà un soggetto politico ineludibile sulla questione della pace e della guerra, ma anche – aggiungo – sui temi della difesa della democrazia e della Costituzione, oggi più che mai centrali alla luce di alcuni segnali incontrovertibili: il contrasto alla diseguaglianza, tema propriamente costituzionale come recitato dall’articolo 3, il programma semipresidenzialista del governo Meloni, il recente decreto legge cosiddetto anti-rave “portatore – com’è scritto in una presa di posizione della segreteria nazionale Anpi – di una gravissima e intollerabile ambiguità che può far emergere una propensione autoritaria”.
La scesa in campo di un nuovo movimento per la pace a Roma evoca uno scenario nuovo e allude alla possibilità che esso si replichi a Berlino, Londra, Parigi, Madrid. Per ciò che riguarda il nostro Paese, ancora bisogna evitare la trappola delle polemiche, dello scontro, peggio, delle invettive e del tifo da stadio, che fanno soltanto il gioco dei circoli più bellicisti. Perché ancora? Perché costoro hanno dato le carte per mesi, impedendo manu militari che si aprisse un vero dibattito pubblico sui temi della guerra e della pace, riducendolo al teatrino dei talk show, con tanto di aggressioni a chi si permetteva di dissentire. Costoro hanno subito il colpo del 5 novembre, ma di certo non si rassegneranno. Viceversa, occorre allargare il campo del negoziato e della pace, essere instancabili nella prospettiva unitaria, rifiutando ogni degrado della discussione, accogliendo punti di vista diversi ma convergenti sull’urgenza di un’iniziativa politica verso la trattativa.
Roma, 5 novembre, Piazza San Giovanni. Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, durante l’intervento dal palco di Europe For Peace
In conclusione il 5 novembre è un punto di non ritorno e un punto di (ri)partenza, che fa onore a tutte e tutti coloro che hanno partecipato alla manifestazione, che, a costo della fatica di un viaggio spesso lungo, hanno consegnato all’intero Paese la possibilità di una speranza di pace. È avvenuto un grande abbraccio di popolo. Aggiungo qui ed ora il mio, se me lo consentite: uno speciale abbraccio alle compagne e ai compagni dell’Anpi che hanno risposto con responsabilità ed entusiasmo all’appello alla partecipazione che abbiamo lanciato. La poetessa Alda Merini ha scritto: “Ci si abbraccia per ritrovarsi interi”. Ecco, un abbraccio ai mille e mille e mille dell’Anpi. Perché così ci ritroviamo interi. Persone. Cuore e cervello. Sogni e saggezza. Avanti!
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi
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RASSEGNA 30.11.2022. IL DOPPIO VOLTO DELLA MANOVRA
30 Novembre 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
La Rassegna del 30 novembre 2022 (fonte Ceccanti e altro). Si segnala: Angelo Panebianco riflette sul Terzo polo: “Scommesse centriste tra destra e sinistra” (Corriere della sera). Veronica De Romanis commenta la manovra di governo: “Il doppio volto della manovra” (La Stampa). Claudio Cerasa rimprovera la Meloni: “Meloni e la surreale e pericolosa demonizzazione del POS” (Foglio). Gustavo Zagrebelsky commenta criticamente il ministro Valditara: “Altro che merito e umiliazioni, in aula si cresce insieme” (intervista a La Stampa). Rosalba Carbutti annota: “Schlein quasi candidata. E nasce nel Pd la corrente laburista” (Qn). Giulia Merlo sul dialogo Calenda-Meloni: “Calenda è l’alleato occulto di Meloni per gestire Forza Italia” (Domani). Giovanna Vitale e Tommaso Ciriaco: “Armi a Kiev per il 2023. Il governo ora farà un decreto” (Repubblica). Gianfranco Cerea, “Se al Nord la scuola passa alle regioni” (lavoce.info). PARTITO DEMOCRATICO: Matteo Lepore, “Compagni, chiamiamolo partito del lavoro” (Repubblica). MONDO: Nello Scavo, “Via da Odessa un’altra volta. Prima le bombe ora il gelo” (Avvenire). Stefano Zamagni, “Per punire Putin si rischia di sacrificare gli ucraini” (intervista a Il Fatto). Paola Peduzzi, “Le ingerenze virtuose. I casi di Iran e Cina” (Foglio). David Carretta, “Sulla Cina la Ue vuole una linea sua, non quella di Biden” (Foglio).
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Prossimamente a dicembre
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Impegnati per la Pace, ostinatamente, sempre e comunque!
Martedì a Cagliari bella assemblea con il Presidente dell’ANPI Pagliarulo: ecco l’intervento.
Si è svolta martedì 29 cm a Cagliari un’affollata assemblea con il Presidente dell’Anpi Gianfranco Pagliarulo. Sono intervenuti, oltre ai dirigenti sardi dell’Anpi, il segretario regionale della CGIL e quello dell’Arci, dando vita ad un interessante confronto sui temi del lavoro, della guerra e della pace nonché della crisi socio-culturale del Paese. Ha concluso il presidente nazionale dell’ANPI, con un intervento, di cui pubblichiamo una sintesi, ricordando che Pagliarulo ha tralasciato i temi già trattati negli interventi di apertura.
Svolgiamo questo incontro in un tempo drammatico, quello di una sconfitta di portata storica. E ha fatto bene chi mi ha preceduto a porsi e a porre una serie di interrogativi, a cominciare dal fatto che è cambiato il mondo. Mi permetto di aggiungere a queste riflessioni qualche parzialissima considerazione.
Credo che occorra ragionare su due parole: sovranisti e conservatori. Il termine sovranismo di estrema destra è un neologismo che richiama immediatamente la più classica parola nazionalismo. Certo, è cambiato il contesto: non siamo più all’inizio del Novecento o negli anni 20 o negli anni 30. Il sovranismo attuale mi pare in gran parte motivato da una reazione ad alcuni aspetti della globalizzazione. Non prevale per ora la violenta aggressività politica e anche militare del nazionalismo novecentesco. Al contrario il sovranismo sembra caratterizzato dall’idea di una chiusura nei propri confini come a definire una priorità di valori e di interessi: “American first” o “Prima di tutto gli italiani” sono slogan di chi si immagina in una fortezza assediata con il nemico alle porte, a cominciare dall’UE che di per sé non gode affatto di buona salute.
Eppure del nazionalismo classico l’attuale sovranismo sembra conservare alcuni tratti distintivi, come la propensione all’autoritarismo, la tendenza a superare i confini costituzionali, l’idea spesso inespressa della presunta superiorità di quel determinato popolo, di quella patria, di quell’insieme di terra e sangue – terra e sangue! – nel cui nome fu scatenato il più drammatico conflitto della storia dell’umanità, la Seconda guerra mondiale.
Conservatori è invece una parola antica e non a caso Giorgia Meloni è presidente dei Conservatori riformisti europei. Ma il significato di questa parola è molto cambiato. Conservatore è l’ex leader inglese Johnson, conservatrice è Liz Truss, entrambi caratterizzati da una radicalità molto lontana dal tradizionale costume dei tories. Neocon, neoconservatori, è il nome di quella corrente americana che si incarnò nel governo di Bush Junior e nella teoria dell’esportazione manu militari della democrazia. A suo modo conservatore è Donald Trump, portatore di una politica protezionista e isolazionista. In sostanza oggi la parola conservatore è relativamente indefinita e sovente si sposa con le parole oscurantista, nazionalista e, spesso, isolazionista. C’è un grumo di idee, emozioni, giudizi e pregiudizi diverso da Paese a Paese ma comune in tanti Paesi che racchiude una miscela composita di “ismi”: oscurantismo e nazionalismo, come già detto, e assieme razzismo, autoritarismo, neofascismo, neonazismo, con una spiccata propensione al rifiuto delle conquiste della scienza, all’irrazionalismo, qualche volta al misticismo religioso o profano, quella cosa premoderna che alcuni chiamano “pensiero magico”.
Conservazione in questa nuova indefinita accezione e sovranismo come una sorta di novello nazionalismo sono quindi, a mio avviso, le parole chiave dell’estrema destra attuale nel mondo e in Italia.
Tutto ciò non è nato da ieri a oggi, non è una Minerva che nasce miracolosamente dal cervello di Giove, ma ha una lunghissima incubazione, presumo quantomeno una trentina d’anni. Da quanti decenni la Lombardia è in mano al centrodestra? Tutte le regioni del nord Italia sono in mano alle destre dal 2020. 14 regioni sono dal 2020 al centrodestra e cinque al centrosinistra. E i Comuni? E ancora: quanto è cambiato il Paese dal 1994 con Silvio Berlusconi che vinse le elezioni? Voglio dire che la Meloni non è frutto del destino cinico e baro, ma l’esito di una lunga fase preparatoria e assieme – penso – l’avvio di una nuova fase.
Questa lunghissima incubazione coincide con eventi che hanno profondamente cambiato il mondo e che sono interconnessi: dalla rivoluzione tecnologica-informatica ai cambiamenti dell’organizzazione e in alcuni casi del lavoro. Se questo processo ha assunto forme diversissime da Paese a Paese, in un punto è relativamente costante: il progressivo e sempre più veloce aumento delle diseguaglianze sociali. Non è un mistero che la maggioranza degli elettori popolari si riconosce nei partiti di destra in Italia, o che a maggior ragione negli Stati Uniti il consenso di Trump è acquartierato di gran lunga nella grande provincia.
La politica che chiamiamo democratica e di sinistra ha in gran parte smarrito i legami sociali e la connessione sentimentale con gran parte del suo popolo e si è allontanata dal mondo del lavoro, che a mio avviso rimane il cuore del problema. Se ci avviciniamo al nostro Paese osserviamo che i partiti costituenti sono tutti scomparsi; il più vecchio partito oggi presente in Parlamento è la Lega; i partiti attuali hanno smarrito la funzione fondativa che avevano svolto dal dopoguerra fino agli anni 70, e che era fondamentalmente duplice: erano l’anello di congiunzione fra la società e lo Stato, fra il popolo e le istituzioni operando così una virtuosa correzione a un difetto storico del nostro Paese fin dai tempi dell’unità. E svolgevano anche un ruolo fondamentale di formazione civile educando alla politica milioni e milioni di persone in particolare attraverso i grandi partiti di massa. Tutto questo non c’è più e oggi siamo, per così dire, nudi alla meta nella inedita circostanza del primo governo repubblicano a guida di estrema destra post fascista. Aggiungo a questo proposito che non mi pare corretto parlare di un governo fascista tout-court e anche di un partito fascista tout-court, Fratelli d’Italia. Uso le parole di Alberto Olivetti quando ha parlato di Fratelli d’Italia come di un partito con elementi di fascismo in sospensione. Il che non esclude affatto né la presenza di vocazioni autoritarie, come si più leggere nell’infelicissimo decreto cosiddetto anti-rave e nelle dichiarazioni programmatiche sul semipresidenzialismo e sull’autonomia differenziata, né esclude possibili future degenerazioni. Questa nuova conformazione dei partiti rende spesso asfittiche, parziali o del tutto assenti le loro capacità di proporre analisi articolate della realtà, com’era invece costume dei partiti di massa.
Il mondo dell’associazionismo, che per sua natura non tende ad essere né partito né istituto di ricerca, si trova nella particolare condizione di provare a riempire questo vuoto dando vita a momenti o a luoghi di riflessione e di analisi come per esempio state provando a fare voi, come stiamo provando a fare noi, come stanno provando a fare altri soggetti associativi.
Ma nella particolarissima situazione attuale, nel pieno di una guerra che sembra sempre più pericolosa e vicina, quando tutti sentiamo che possono essere messi in discussione i pilastri del vivere comune, e cioè la Costituzione e i suoi princìpi di libertà e di eguaglianza, si ridefinisce nella realtà quotidiana anche una parte dei nostri compiti: per ciò che riguarda l’ANPI agli obblighi legati alla memoria e anche ai sacrosanti riti laici ad essa legati, come le commemorazioni, i giri con le corone, l’ossequio commosso alle lapidi, si aggiunge – sottolineo: si aggiunge, non si sostituisce – un plus di impegno civile e sociale teso sia all’attività di formazione civica – le scuole – e culturale, sia alla ricostruzione di un rapporto di fiducia fra popolo e istituzioni democratiche. A quest’ultimo proposito la drammatica consumazione di quel rapporto di fiducia si manifesta sia con quanto di protesta c’è stato nel voto per l’estrema destra, sia in quel 40% di elettori che non ha votato o che ha annullato la scheda. Credo, in sostanza, che questa sia la grande sfida a cui noi, voi, l’intero mondo dell’associazionismo, sia pur con toni diversi a seconda della natura delle Associazioni, siamo chiamati.
In questa situazione una più generale prospettiva di unità deve rapidamente passare dal libro dei sogni al sogno che si concretizza, anche perché a ben vedere il Novecento ci ha insegnato questo nel male e nel bene. Nel male quando il fascismo prevale dal ’22 in poi anche grazie alla divisione fra le forze antifasciste del tempo. Nel bene quando dal ’43 in poi la politica dei Comitati di Liberazione Nazionale fu alla base della vittoria della Resistenza e dei primi anni successivi alla Liberazione.
Finisco.
Nella nebbia che da tempo ci avvolge, il tema della deportazione politica, come giustamente ha detto chi mi ha preceduto, troppo spesso è stato oscurato o addirittura dimenticato. Forse c’è un punto di malizia politica in questa rimozione, connessa ai tentativi di delegittimare la Resistenza. Si tratta di un ulteriore argomento di riflessione tutto sommato proprio dell’insieme delle Associazioni antifasciste e resistenziali a cominciare dall’ANPI. Ricordo anch’io la grande importanza della costituzione del Forum delle associazioni perché per la prima volta dopo tanti decenni stiamo provando a mettere a valore tutto ciò che ci unisce e senza dubbio, con tutte le difficoltà e le contraddizioni della vita reale, questo processo andrà avanti in una prospettiva unitaria di cui non conosciamo tempi e modalità ma che è oramai tracciata. Voi tutti siete una parte essenziale e insostituibile di questo processo unitario ed è interesse non solo vostro, ma dell’ANPI, del Forum, del mondo dell’associazionismo, del nostro Paese, che il vostro patrimonio non vada disperso. Perché? Perché prima d’essere un pezzo di storia d’Italia è un pezzo di storia degli italiani; è un patrimonio di sofferenza, di vita e di pensiero, unico e insostituibile.
Carissime compagne e compagni, buon lavoro!
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Roma, la pace, l’abbraccio, l’Anpi
Gianfranco Pagliarulo
La nostra associazione è stata protagonista di una mobilitazione memorabile, partecipando con migliaia di iscritte, iscritti, dirigenti. E insieme alle altre realtà promotrici, si è confermata soggetto politico ineludibile sulla questione guerra, oltre che sulla difesa della democrazia e della Costituzione
Costituzione Democrazia Guerra e Pace
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Roma, 5 novembre. In migliaia le donne e gli uomini dell’Anpi hanno sfilato da piazza della Repubblica fino a piazza San Giovanni
È avvenuto un grande abbraccio. Chi c’era, sa. Chi ha visto la diretta sui social, sa. Chi ha letto i più importanti quotidiani del giorno successivo o ha visto le tv a reti (quasi) unificate, probabilmente non sa, o non sa bene.
Si è svolta a Roma una manifestazione di dimensioni straordinarie, con più di 100mila persone, con una sola parola d’ordine: pace. Dietro questa parola, ovviamente, una sorta di decalogo. Cessate il fuoco, trattativa e negoziato, intervento pacificatore delle Nazioni Unite, ruolo di intermediazione dell’Unione Europea, conferenza di pace, smilitarizzazione, messa al bando delle armi nucleari, stop alla corsa al riarmo, sicurezza reciproca condivisa, liberazione dalla guerra. Un percorso – oggi è di moda dire road map – che porti a una nuova coesistenza pacifica in un mondo multipolare. Questa manifestazione, promossa da Europe for Peace, è stata diretta e organizzata da un cartello di centinaia di associazioni, movimenti, sindacati dei più diversi orientamenti, con una fortissima e significativa presenza del mondo cattolico. Il Presidente della CEI, Cardinale Zuppi, ha inviato un autorevolissimo messaggio di adesione e partecipazione.
L’Anpi è stata fra le protagoniste di una giornata indimenticabile, partecipando fra l’altro con migliaia di iscritte e iscritti, attiviste e attivisti, dirigenti. Una giornata memorabile, che restituisce speranza ed entusiasmo ai tanti che sembravano rassegnati al silenzio davanti a un vero e proprio terrorismo mediatico scatenatosi fin dall’invasione. Quando chiunque si permetteva di contraddire sia pur parzialmente il verbo del mainstream dominante veniva messo alla gogna come putiniano, in un delirio bellicista teso a militarizzare l’opinione pubblica. Come se fossimo in guerra. E forse lo siamo. Lo specchio deformante è stato infranto, e questo è merito di quei centomila e passa, che hanno rappresentato un’altra Italia, quella che, proprio perché condanna senza remissione l’invasione russa e le sue sanguinose conseguenze, da tempo pensa che occorre agire diplomaticamente per far cessare l’inutile strage, avviare una de-escalation, allontanare l’ombra mostruosa di un conflitto nucleare, restituire al mondo una dimensione di umanità che sembra smarrita.
Questi i fatti. La rappresentazione dei grandi media, invece, ha ridotto il grandissimo peso politico e civile della manifestazione a una controversia fra segretari di partiti, imponendo un grottesco paragone fra il popolo che si è riversato a Roma e qualche centinaio di attivisti di partito, parlamentari e quant’altro che si è riunito a Milano in ostentata polemica con la manifestazione nazionale. In sostanza l’immagine che è stata data di un corteo grandioso e pulsante di aspettativa e dei brevissimi comizi che si sono succeduti in modo tambureggiante, con decine di migliaia di persone che non sono riuscite ad arrivare in piazza San Giovanni, tanto imponente era il corteo, ebbene, tutto ciò è stato ridotto a un confronto polemico fra Conte, Letta, Calenda, ignorando così la funzione straordinaria (letteralmente, cioè al di fuori dell’ordinario) dell’associazionismo democratico nella sua più ampia declinazione: associazioni, movimenti, sindacati. Quale funzione? La funzione fondamentale della rappresentanza democratica di quelle che la Costituzione chiama formazioni sociali, in questo caso del pensiero e della volontà di pace di una parte rilevantissima della società italiana, che sino a oggi era stato espresso soltanto nei sondaggi in clamoroso contrasto con le scelte governative, e che dal 5 novembre si conferma, per così dire, autorevole soggetto politico nel senso più ampio del termine.
L’associazionismo democratico laico e cattolico è stato e rimarrà un soggetto politico ineludibile sulla questione della pace e della guerra, ma anche – aggiungo – sui temi della difesa della democrazia e della Costituzione, oggi più che mai centrali alla luce di alcuni segnali incontrovertibili: il contrasto alla diseguaglianza, tema propriamente costituzionale come recitato dall’articolo 3, il programma semipresidenzialista del governo Meloni, il recente decreto legge cosiddetto anti-rave “portatore – com’è scritto in una presa di posizione della segreteria nazionale Anpi – di una gravissima e intollerabile ambiguità che può far emergere una propensione autoritaria”.
La scesa in campo di un nuovo movimento per la pace a Roma evoca uno scenario nuovo e allude alla possibilità che esso si replichi a Berlino, Londra, Parigi, Madrid. Per ciò che riguarda il nostro Paese, ancora bisogna evitare la trappola delle polemiche, dello scontro, peggio, delle invettive e del tifo da stadio, che fanno soltanto il gioco dei circoli più bellicisti. Perché ancora? Perché costoro hanno dato le carte per mesi, impedendo manu militari che si aprisse un vero dibattito pubblico sui temi della guerra e della pace, riducendolo al teatrino dei talk show, con tanto di aggressioni a chi si permetteva di dissentire. Costoro hanno subito il colpo del 5 novembre, ma di certo non si rassegneranno. Viceversa, occorre allargare il campo del negoziato e della pace, essere instancabili nella prospettiva unitaria, rifiutando ogni degrado della discussione, accogliendo punti di vista diversi ma convergenti sull’urgenza di un’iniziativa politica verso la trattativa.
Roma, 5 novembre, Piazza San Giovanni. Il presidente nazionale Anpi, Gianfranco Pagliarulo, durante l’intervento dal palco di Europe For Peace
In conclusione il 5 novembre è un punto di non ritorno e un punto di (ri)partenza, che fa onore a tutte e tutti coloro che hanno partecipato alla manifestazione, che, a costo della fatica di un viaggio spesso lungo, hanno consegnato all’intero Paese la possibilità di una speranza di pace. È avvenuto un grande abbraccio di popolo. Aggiungo qui ed ora il mio, se me lo consentite: uno speciale abbraccio alle compagne e ai compagni dell’Anpi che hanno risposto con responsabilità ed entusiasmo all’appello alla partecipazione che abbiamo lanciato. La poetessa Alda Merini ha scritto: “Ci si abbraccia per ritrovarsi interi”. Ecco, un abbraccio ai mille e mille e mille dell’Anpi. Perché così ci ritroviamo interi. Persone. Cuore e cervello. Sogni e saggezza. Avanti!
Gianfranco Pagliarulo, presidente nazionale Anpi
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RASSEGNA 30.11.2022. IL DOPPIO VOLTO DELLA MANOVRA
30 Novembre 2022 by Giampiero Forcesi | su C3dem
La Rassegna del 30 novembre 2022 (fonte Ceccanti e altro). Si segnala: Angelo Panebianco riflette sul Terzo polo: “Scommesse centriste tra destra e sinistra” (Corriere della sera). Veronica De Romanis commenta la manovra di governo: “Il doppio volto della manovra” (La Stampa). Claudio Cerasa rimprovera la Meloni: “Meloni e la surreale e pericolosa demonizzazione del POS” (Foglio). Gustavo Zagrebelsky commenta criticamente il ministro Valditara: “Altro che merito e umiliazioni, in aula si cresce insieme” (intervista a La Stampa). Rosalba Carbutti annota: “Schlein quasi candidata. E nasce nel Pd la corrente laburista” (Qn). Giulia Merlo sul dialogo Calenda-Meloni: “Calenda è l’alleato occulto di Meloni per gestire Forza Italia” (Domani). Giovanna Vitale e Tommaso Ciriaco: “Armi a Kiev per il 2023. Il governo ora farà un decreto” (Repubblica). Gianfranco Cerea, “Se al Nord la scuola passa alle regioni” (lavoce.info). PARTITO DEMOCRATICO: Matteo Lepore, “Compagni, chiamiamolo partito del lavoro” (Repubblica). MONDO: Nello Scavo, “Via da Odessa un’altra volta. Prima le bombe ora il gelo” (Avvenire). Stefano Zamagni, “Per punire Putin si rischia di sacrificare gli ucraini” (intervista a Il Fatto). Paola Peduzzi, “Le ingerenze virtuose. I casi di Iran e Cina” (Foglio). David Carretta, “Sulla Cina la Ue vuole una linea sua, non quella di Biden” (Foglio).
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Giovedì 1 dicembre 2022
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Prossimamente a dicembre
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Energia
Il brusco cambio del clima inibisce il gas di ENI e il CCS di Cingolani
By redazione3|Luglio 30th, 2021
Care/i sorelle e fratelli, compagne e compagni, amiche e amici, tutti quelli che, come noi, stanno conducendo la battaglia affinché venga vissuta con la dovuta consapevolezza la gravità della malattia della Terra.
[segue]
Fratelli tutti: materiali di studio per l’associazione Amici sardi della Cittadella di Assisi
CAPITOLO PRIMO
LE OMBRE DI UN MONDO CHIUSO
Coronavirus, ne verremo fuori. A certe condizioni.
Convivere con il coronavirus e i suoi effetti collaterali
di Fernando Codonesu*
Il coronavirus è un problema serissimo e non ci possono essere atteggiamenti e comportamenti superficiali al riguardo, tanto più ora che l’Italia intera è zona protetta, cioè zona rossa di fatto.
Certo, nella diffusione del virus e nella gestione mediatica della vicenda ci sono state comunicazioni spesso contradditorie, ma credo che sia necessario comprendere la gravità della situazione e accettare il fatto che questo virus ci accompagnerà per molti mesi ancora, senza specifici antivirali e, soprattutto, senza un vaccino da contrapporre al suo contagio, per cui tutti dobbiamo farci carico di stigmatizzare i comportamenti irresponsabili di quei tanti concittadini che non rispettano le prescrizioni governative contenute nell’ultimo DPCM e nei prossimi che verranno.
Incominciamo intanto a chiarire un aspetto tipico di certa vulgata “giornalistica” più dedita al sensazionalismo che alla sostanza delle cose. Mi riferisco qui all’uso delle parole, laddove si parla con tanta faciloneria di “progressione esponenziale” del contagio.
Esponenziale? Non scherziamo, per favore, perché ce n’è abbastanza così com’è anche senza scomodare tale funzione.
Si osserva che se si trattasse di una diffusione basata su una funzione esponenziale non saremmo in grado di riprenderla mai, altro che contenerla, perché non c’è al mondo alcun sistema politico e sanitario in grado di sviluppare un’efficienza ed efficacia tali da poter contenere e stroncare una pandemia basata su una funzione diffusiva di tipo esponenziale; neanche il sistema cinese che, ad oggi va riconosciuto senza alcun dubbio, è stato in grado di esercitare con gli strumenti propri del “regime” il “confinamento” di oltre 60 milioni di persone. Bene, per la Cina è stato possibile fare questo, ma per un sistema democratico come il nostro e come quelli del mondo occidentale ciò non è possibile e neanche pensabile, anche se ci sono da tempo evidenti segni accentratori delle decisioni che, in anche in questo caso, pongono alcune doverose riflessioni sull’ordinamento democratico e sui suoi strumenti.
E veniamo al significato della progressione esponenziale. Per comprendere appieno la potenza di una funzione esponenziale basta ripensare al famoso aneddoto dell’incontro, in un tempo storicamente non ben definito, dell’ambasciatore persiano che mostrò al faraone d’Egitto il gioco degli scacchi. Il faraone imparò presto a giocare e se ne innamorò così tanto che per ringraziare il proprio ospite gli disse che gli avrebbe regalato qualunque cosa avesse desiderato. L’ambasciatore, dopo averci pensato con attenzione, chiese solamente del grano e gli propose di ricompensarlo con una quantità di grano basata sui 64 tasti della scacchiera che avevano di fronte con un conteggio che vedeva un solo chicco di grano sul primo tasto, due chicchi sul secondo, quattro sul terzo e così via continuando e raddoppiando, ovvero con una funzione esponenziale basata sul numero due con esponente crescente da 0 fino ad arrivare alla potenza 263. Il numero risultante sarebbe stato così grande da non poter essere soddisfatto dalla produzione di grano dell’Egitto dell’epoca, né del mondo conosciuto di allora e nemmeno di oggi in quanto si tratta di un numero equivalente a 1.800.000 milioni di tonnellate (si osserva che nel 2017, dati FAO, la produzione cerealicola mondiale era stimata pari a 2.640 milioni di tonnellate!).
Quindi no, per fortuna non si tratta di una diffusione di tipo esponenziale, ma è comunque una diffusione rapida e devastante se in poco più di un mese e mezzo questo virus è stato in grado di contaminare ben 106 paesi su 206 che costituiscono il mondo intero.
Cosa ci sta salvando?
In questa grave circostanza del coronavirus che è destinata a durare nel tempo, ci salvano i decreti del Governo e, soprattutto, il nostro sistema sanitario nazionale, uno dei più efficienti del mondo se non il più efficiente, con il suo principio di universalità perché la cura è garantita a tutti, ricchi e poveri e tutti vengono curati indipendentemente da quanti soldi sono presenti nel proprio conto corrente. Altra cosa di cui possiamo andare orgogliosi è che il nostro sistema sanitario è un “unicum” perché integra nello stesso sistema la sanità umana e la sanità animale, e ciò ne caratterizza la specificità, mentre in sistemi sanitari pubblici analoghi la sanità animale fa sempre capo al ministero dell’agricoltura.
Dobbiamo difendere e pretendere un’inversione di tendenza nei riguardi del sistema sanitario nazionale. In 10 anni di tagli per circa 37 miliardi di euro, tantissime risorse sono state dirottate verso la sanità privata e anche la Sardegna ha visto crescere questa tendenza, soprattutto con la nascita del Mater Olbia, così ribattezzato a seguito del fallimento e dello scandalo del San Raffaele in salsa olbiese, un ospedale di proprietà della Qatar Foundation finanziato dalla Regione Sardegna con 150 milioni di euro sottratti alla sanità pubblica nei soli primi tre anni, finora.
Certo, possiamo ritenerci fortunati perché il coronavirus si è sviluppato in Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, le tre regioni con i migliori sistemi sanitari dell’intero paese che, anche se con difficoltà, hanno retto bene all’urto. Se, disgraziatamente, i primi focolai si fossero diffusi nelle regioni del Sud o in Sardegna, ne saremmo stati interamente e definitivamente travolti.
Vogliamo parlare del sistema sanitario degli USA dove le cure sono affidate al plafond della carta di credito? Tanto per citare qualche esempio sembra che ci siano pochi contagiati, ma intanto sono presenti dei casi di coronavirus in oltre la metà dei paesi membri e non si dimentichi che chi si fa fare un “tampone” deve sborsare 3500$, si avete letto bene. Con quei costi, chi si può permettere di fare il test con il tampone?
Da qui i pochi casi, finora, rilevati.
E gli otto miliardi e mezzo di dollari (equivalenti ai 7,5 miliardi di euro del nostro Governo) stanziati da Trump non sono andati al sistema sanitario, ma alla ricerca, ovvero alle aziende farmaceutiche statunitensi “private” che si vedono finanziare la ricerca degli antivirali e dei vaccini per poter guadagnare centinaia di miliardi con i finanziamenti pubblici. Un ragionamento analogo viene fatto in un recente intervento di Bill Gates che si può leggere su The New England Journal of Medicine. Tante considerazioni riportate nell’intervento di Gates sono condivisibili, soprattutto quando parla dei possibili effetti devastanti di un virus sconosciuto come il “coronavirus” nei paesi con sistemi sanitari poco organizzati come quelli di tanti paesi del continente africano e non solo. In quei casi, il suo auspicio è che ci sia una collaborazione tra il pubblico e il privato per poter affrontare i possibili casi di pandemia, in primis questa del coronavirus. Ma la logica di fondo è che il pubblico metta i soldi e il privato il know how, ma non viene mai neanche accennata la possibilità che dopo, per esempio una volta che si arrivi alla scoperta e alla commercializzazione del o dei vaccini, ci possa essere una condivisione degli utili. No, il pubblico è sempre la parte da mungere: è questa l’essenza del “capitalismo compassionevole” dei Trump e dei Gates per cui l’eventuale rimorso per aver fatto troppi soldi con lo sfruttamento di altri esseri umani può essere compensato con atti di filantropia per avere garantito l’accesso al paradiso. A me pare la solita vecchia storiella che la ricerca deve essere fatta con i soldi pubblici, le perdite delle aziende vanno sempre pagate dalla collettività mentre i profitti devono essere esclusivamente privati. Uno degli aspetti più deleteri della cultura del liberismo è anche questo paradigma che sembra accettato anche a sinistra nel nome del mercato quale entità in grado di autoregolarsi, mentre così non è. Anche nel caso di Gates come di Trump, perciò, non c’è niente di nuovo sotto il sole!
Da tutta questa esperienza deve venir fuori con forza l’esigenza di rafforzare la sanità pubblica perché è l’unica che ci garantisce il diritto alla salute e la qualità delle cure. Per cui va chiesta a tutte le forze politiche l’impegno a invertire totalmente il percorso avviato nell’ultimo decennio nella sanità. Per dirla con uno slogan, dai LEAS, Livelli Essenziali di Assistenza Sanitaria, sarebbe opportuno organizzarsi in modo tale da garantire i LUAS, Livelli Uniformi di Assistenza!
Il coronavirus rappresenta il paradigma della fragilità strutturale del modello di sviluppo che governa il mondo. Oggi più che mai, anche ripensando alla teoria delle catastrofi, appare sempre più evidente che il volo di una farfalla all’equatore può sconvolgere l’ecosistema del polo nord. Infatti, un nemico invisibile e infinitesimale come un virus, scoppiato in Cina, ha sconvolto l’economia mondiale, a partire dalle borse di tutto il mondo che hanno perso fino a questo momento circa il 30% del proprio valore: un disastro mai visto, neanche in presenza delle due guerre mondiali del secolo scorso!
E si sta portando dietro anche alcuni effetti collaterali in maniera aggravata sotto il profilo della democrazia.
Il primo è il pericolo di un’ulteriore spallata al sistema sanitario pubblico su base regionale a vantaggio di una sua ricentralizzazione come evidenziato dall’intervento di Antonio Dessì sul blog www.democraziaoggi.it.
A fianco a questo aspetto, infatti, se in questi ultimi 20 anni siamo stati abituati alla decretazione d’urgenza al punto che anche nella nostra democrazia parlamentare l’esecutivo (il Governo) è prevalente rispetto al legislativo, nella vicenda del coronavirus, come giustamente ci ha ricordato sullo stesso blog Andrea Pubusa in un suo recente intervento, si pone senza dubbio anche un problema di ordinamento democratico. Le decisioni sulla sanità vengono prese “espropriando” il ruolo delle Regioni. C’è da dire che in alcuni casi, primo tra tutti nel caso della Regione Sardegna del presidente Solinas, ampiamente trattati da Vito Biolchini sul proprio blog, un comportamento del genere da parte del Governo non è da biasimare viste le decisioni contradditorie esclusivamente propagandistiche prese dal presidente Solinas che rasentano la farsa in una situazione drammatica. Fatto questo doveroso inciso, è auspicabile che i DPCM siano presto accompagnati non solo da una consultazione di alcune forze di opposizione, ma siano ratificati da un vero voto del parlamento. Solo così non si violano le prerogative dell’equilibrio dei poteri su cui si basa la nostra Costituzione, anche perché un precedente come questo per cui l’esecutivo, formalmente legittimato da una situazione di emergenza, agisce d’imperio nei confronti di tutti (non succede neanche nel caso di una dichiarazione di guerra!) potrebbe essere presto usato da chi appena qualche mese fa chiedeva “i pieni poteri” con tutte le conseguenze facilmente immaginabili e allora, se non ci si oppone oggi, ci sarà ben poco di cui lamentarsi domani!
C’è anche la strana coincidenza della contemporanea presenza della più grande esercitazione militare degli ultimi 25 anni denominata Defence Europe 2020. Difesa nei confronti di chi? Della Russia di Putin e della Via della Seta di Xi Jinping? Ancora una volta, l’Europa dov’è? Perché continua ad essere così supina nei confronti degli USA a oltre 70 anni dalla fine della seconda guerra mondiale quasi non potesse scegliere liberamente anche altre strategie di sviluppo e di cooperazione?
Al di là di considerazioni di geopolitica, nel caso in questione bisogna parlare a voce alta di oltre 20.000 soldati americani con le loro famiglie liberi di circolare in Europa con tutte le restrizioni previste per noi europei mentre loro non sono tenuti al rispetto di nessuna precauzione e comportamento rispettoso dei vari provvedimenti emanati da ciascuno Stato. I soldati americani sono speciali anche all’interno della NATO, nel senso che non rispondono alle regole comuni ma solo alle proprie regole. E’ la legge del più forte! Insomma, dal punto di vista della diffusione del virus è un disastro perché ci saranno comunque almeno 20.000 potenziali untori a stelle e strisce, senza che si sia formalmente levata neanche una parola di protesta da parte degli stessi organismi europei e tanto meno da parte dei singoli Stati.
Appunto, si tratta di effetti collaterali che rischiano di aggravare il già pesante quadro politico sociale in cui si sta diffondendo il coronavirus.
Ci possiamo consolare con l’OMS che, con il direttore Tedros Adhanom Ghebreyesus, così si è espressa su Twitter: “Il governo e i cittadini italiani stanno compiendo passi audaci e coraggiosi per rallentare la diffusione del coronavirus e proteggere il loro paese e il mondo. Stanno facendo autentici sacrifici. L’OMS è solidale con l’Italia ed è qui per continuare a sostenerla”.
Qualche altra considerazione riguarda più in profondità il nostro rapporto con la morte e con la sua anticamera rappresentata, per molti aspetti culturali, dalla peste e dalle pandemie.
Se guardiamo al mito, alla letteratura e alla storia, un tempo era un dio irato che scagliava il “feral morbo e la gente perìa”, poi in tutto il medioevo la peste era comunque dovuta ad una punizione divina (simile come si vede a quella del dio omerico) contro i peccati degli uomini, poi venne additata come causa la “bestia immonda”, topi, pipistrelli, scimmie, maiali, e oggi di nuovo i pipistrelli. La sequenza degli eventi riportati nella storia è nota: la peste di Giustiniano diffusa nell’impero bizantino intorno al 540 D.C.; la peste nera con circa 20 milioni di morti stimati in Europa tra il 1347 e il 1353 e prima almeno altri 5 milioni di morti in alcune zone della Cina, la peste del ‘600 ricordata da Manzoni nei Promessi sposi con il suo lazzaretto che ci riporta anche ai nostri giorni, il vaiolo, il colera, e ancora la peste suina africana, l’aviaria, l’HIV, la SARS.
Insomma pagano sempre gli animali.
Le tecniche moderne di confinamento che stiamo attuando in questi giorni affondano le radici nella cultura medievale e, in effetti, di fronte a un nemico invisibile e così subdolo non abbiamo altre armi che quella di comportamenti responsabili che, limitando al massimo i contatti umani, rendano estremamente difficile per il virus trovare altri spazi di diffusione
L’unica arma seria a disposizione è stare il più possibile a casa, evitare ogni possibile contatto con l’autoisolamento ed evitare il collasso del sistema sanitario, anche perché non ci sono unità di terapia intensiva sufficienti per una diffusione drammatica come questa a cui assistiamo quotidianamente.
Vanno allora rifiutati e condannati in quanto pericolosi per la salute pubblica tutti i comportamenti basati su superficialità e minimizzazione che tendono a considerare il coronavirus come una normale influenza, perché della normale influenza non ha nulla: né del tasso di mortalità né della velocità di diffusione.
E allora bisogna prendere questo virus come un fatto molto serio da cui, se ci saranno comportamenti responsabili, ne verremo fuori più forti e più consapevoli della nostra fragilità come di quella del mondo che abbiamo costruito.
Ma bisogna essere coscienti che il fenomeno durerà ancora a lungo e con questo continueremo a convivere e deve essere una convivenza attenta anche a tutto ciò che gira intorno al coronavirus, avendo la forza di denunciare ogni fatto ed effetto collaterale che alteri le regole della democrazia e della rappresentanza.
*Presidente della Scuola di Cultura Politica Francesco Cocco.
Giovedì 15 agosto 2019 Ferragosto
Estate 2019. La nostra news non va in ferie. Tuttavia vi accompagnerà fino a metà settembre con ritmi più lenti, senza obblighi di scadenze quotidiane. Godetevi e godiamoci un periodo di rallentamento, di tempi lenti, per quanto ci è possibile. Buona estate a tutti noi e non perdiamoci di vista!
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Festa de MESAUSTU
de Gavinu Dettori
Mesaustu puru est arrivadu
Onz’annu lu cherimus festare.
Si sa salude no ad’a mancare
E sa paghe in totu su criadu.
Nessunu si cretada prestadu
In custa vida de la disizare.
Sa vida est sempre unu disizu
Comente amore de mama e fizu.
Traduzione letterale
Festa di FERRAGOSTO
di Gavino Dettori
Ferragosto anche,
è arrivato.
Ogni anno lo vogliamo
festeggiare.
Se la salute non mancherà,
E la pace
in tutto il creato.
Nessuno si senta prestato
In questa vita da desiderare.
La vita è sempre un desiderio
Come l’amore della mamma verso il figlio.
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I sanculotti nella Sarda Rivoluzione
15 Agosto 2019
di Andrea Pubusa su Democraziaoggi.
Il corso dei rivolgimenti sardi dal 1793 in poi in Sardegna e a Cagliari non furono l’esito dell’iniziativa dei soli ceti privilegiati e dell’intellettualità professionale. Erano in campo anche i ceti popolari, gli artigiani, i piccoli bottegai, gli impiegati, in una parola quella componente sociale dei sommovimenti di […]
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SUL DECRETO SICUREZZA BIS
“L’articolo 10 della nostra Costituzione recita: “Lo straniero, al quale sia impedito nel suo paese l’effettivo esercizio delle libertà democratiche garantite dalla Costituzione italiana, ha diritto d’asilo nel territorio della Repubblica, secondo le condizioni stabilite dalla legge“. Quindi i partiti che ora stanno all’opposizione dovrebbero continuare la battaglia in sede di Corte Costituzionale perchè questa robaccia che è stata votata oggi, che fa ribrezzo, è anche in contrasto con la Costituzione. Quindi è illegale”.
(Luciano Canfora, da In onda, La7 – 5/8/2019)
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Decreto Sicurezza bis, la disumanità è diventata legge
Susanna Marietti, su Il fatto quotidiano.
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COSA PREVEDE IL DECRETO (su La Stampa).
Il decreto Sicurezza bis è un provvedimento voluto dal ministro dell’Interno Matteo Salvini. Si compone di 18 articoli: i primi cinque riguardano il soccorso in mare dei migranti, gli altri modificano il codice penale configurando una stretta sulla gestione dell’ordine pubblico durante le manifestazioni di protesta e sportive. Ecco i punti principali:
[segue]
La morte di Gianroberto Casaleggio
Nell’esprimere le nostre condoglianze, prima di tutto alla sua famiglia e poi ai militanti del movimento 5 stelle, ci sembra bello e giusto riportare un ricordo di Gianroberto Casaleggio che Dario Fo fa oggi sul blog di Beppe Grillo.
Dario Fo ricorda Gianroberto.
di Dario Fo
Quando si parla di Gianroberto i giornalisti tendono a classificarlo quasi subito come l’ideologo, il guru, del MoVimento 5 Stelle. È la definizione più banale e ovvia che si possa pensare. Bisogna partire da un fatto importante, la sua cultura. Era un uomo di una conoscenza straordinaria, leggeva tutto quello che riteneva fosse importante sapere, faceva collegamenti molto acuti fra i vari testi e aveva un modo di esprimersi riguardo alle diverse situazioni mai banale e prevedibile. Mi capitava spesso di chiedere se avesse letto dei particolari libri che ritenevo importanti, e non azzeccavo mai un documento che lui non conoscesse già, tanto che un giorno gli ho detto: “Ascolta, fai più presto a dirmi quello che non conosci, così non mi metti più in imbarazzo”. - segue -
Oggi lunedì 28 dicembre 2015
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Quis fuit horrendos primus qui protulit enses?
« מִזְמ֥וֹר לְדָוִ֑ד יְהוָ֥ה רֹ֜עִ֗י לֹ֣א אֶחְסָֽר׃
בִּנְא֣וֹת דֶּ֭שֶׁא יַרְבִּיצֵ֑נִי עַל־מֵ֖י מְנֻח֣וֹת יְנַהֲלֵֽנִי׃
נַפְשִׁ֥י יְשׁוֹבֵ֑ב יַֽנְחֵ֥נִי בְמַעְגְּלֵי־צֶ֗֜דֶק לְמַ֣עַן שְׁמֽוֹ׃
גַּ֤ם כִּֽי־אֵלֵ֙ךְ בְּגֵ֪יא צַלְמָ֡וֶת לֹא־אִ֨ירָ֤א רָ֗ע כִּי־אַתָּ֥ה עִמָּדִ֑י שִׁבְטְךָ֥ וּ֜מִשְׁעַנְתֶּ֗ךָ הֵ֣מָּה יְנַֽחֲמֻֽנִי׃
תַּעֲרֹ֬ךְ לְפָנַ֙י׀ שֻׁלְחָ֗ן נֶ֥גֶד צֹרְרָ֑י דִּשַּׁ֖נְתָּ בַשֶּׁ֥מֶן רֹ֜אשִׁ֗י כּוֹסִ֥י רְוָיָֽה׃
אַ֤ךְ׀ ט֤וֹב וָחֶ֣סֶד יִ֭רְדְּפוּנִי כָּל־יְמֵ֣י חַיָּ֑י וְשַׁבְתִּ֥י בְּבֵית־יְ֜הוָ֗ה לְאֹ֣רֶךְ יָמִֽים׃ »
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« Salmo. Di Davide.
Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla; su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce.
Mi rinfranca, mi guida per il giusto cammino, per amore del suo nome.
Se dovessi camminare in una valle oscura, non temerei alcun male, perché tu sei con me. Il tuo bastone e il tuo vincastro mi danno sicurezza.
Davanti a me tu prepari una mensa sotto gli occhi dei miei nemici; cospargi di olio il mio capo. Il mio calice trabocca.
Felicità e grazia mi saranno compagne tutti i giorni della mia vita, e abiterò nella casa del Signore per lunghissimi anni. »
Tacciano le armi e gli uomini cantino la pace
di Raffaele Deidda
Gli OCCHIALI di PIERO. Voto segreto, Perugia, Clara Zetkin, operazione Mala Gestio, Pio Baldelli…
Per non vantarsi troppo di essere tanto sensibili alla democrazia e alla questione della parità di genere si accingono a votare nel segreto
“e il Padre tuo che vede nel segreto ti ricompenserà” (Matteo 6, 1-6).
Oppure il popolo, perchè voce di popolo voce di Dio.
STRAGE DI PERUGIA
Il 20 giugno 1859 le truppe di papa Pio IX, 2000 uomini la maggior parte svizzeri, entrano a Perugia, ribelle allo Stato Pontificio, massacrano i civili, compresi donne e bambini e saccheggiano le case.
Compagne di parola
Compagne di parola, Cagliari, Centro documentazione donne, lunedì 29 aprile ore 18
Lunedì 29 aprile, alle 18, al Centro di documentazione e studi delle donne di Cagliari in via Lanusei 19a, Lea Melandri, presidente della Libera Università delle donne, presenta “Compagne di parola”, un’occasione per discutere del lavoro di scrittura delle autrici e dei temi affrontati.