Risultato della ricerca: Azuni
Sa Die de Sa Sardinia – La celebrazione in Consiglio regionale
[Dal sito web della RAS] Cagliari, 28 aprile 2024 – La presidente della Regione Alessandra Todde ha partecipato oggi, in Consiglio regionale, alle celebrazioni della Sa Die de sa Sardigna.
Di seguito la traccia del suo intervento.
Presidente Comandini, consigliere e consiglieri, ragazzi e ragazze, noi sardi abbiamo diritto a festeggiare noi stessi e la nostra storia. Ed è con emozione che prendo la parola per celebrare con voi “Sa Die de sa Sardigna”. Per troppo tempo ci siamo raccontati che di storia non ne avevamo, dando per buono che il nostro passato fosse solo un susseguirsi di dominazioni, un vuoto di vera storia, quella con la S maiuscola, quella prodotta da soggetti attivi che lottano, creano, sognano. Oggi siamo qui a ricordare a noi stessi, e a chiunque ami questa terra, che abbiamo avuto una storia nostra, imbevuta di mondo, intessuta di grandi aspirazioni, certo complicata da cadute ma anche ricca di momenti alti. Siamo un popolo che ha affrontato contraddizioni ma anche depositario di grandi potenzialità che ancora dobbiamo dispiegare totalmente. Conoscendo questa storia, condividendola, meditandola, traducendola giorno dopo giorno noi costruiamo gli strumenti per alimentare il nostro desiderio di unità, libertà e prosperità. Per questo dobbiamo festeggiarci senza incensarci: Sa Die non è e non deve essere un giorno di parole roboanti a compensazione degli altri 364 giorni dell’anno. Sa Die non è e non deve essere una sbornia di fierezza o di rivalsa che ci esime dal fare i conti con la nostra coscienza e la nostra azione politica ogni giorno dell’anno. Sa Die non è il fine ma è un impegno. L’impegno a conoscerci, a fare i conti con noi stessi. Per migliorarci, per agire in modo differente. L’autodeterminazione, lo abbiamo detto, cammina sulle spalle di un popolo istruito. Un popolo consapevole di sé. La nostra coscienza nazionale di sardi è un compito, e Sa Die è l’occasione per assumere l’impegno a svolgere questo compito con slancio rinnovato, costante, convinto, chiamando alla partecipazione ogni donna e uomo di Sardegna. A maggior ragione lo dico parlando a voi giovani, che siete i costruttori del presente e del prossimo futuro.
Il nostro patto generazionale si è rotto e possiamo ricostruirlo attraverso la conoscenza della nostra storia che ci aiuti a creare una nuova comune coscienza collettiva. Sa Die non è un giorno solitario: non lo fu allora e non deve esserlo oggi. Gli eventi che commemoriamo non iniziarono e non finirono in quel 28 Aprile 1794. Quella giornata di sollevazione – che la parte più timorosa della classe dirigente immediatamente bollò come “emozione popolare” – affondava le sue radici alla metà del Settecento, nella riscoperta da parte dei sardi della loro diversità nazionale, così come nella crescente consapevolezza popolare di una condizione di ingiustizia di cui il feudalesimo era il segno più appariscente. Questa corrente, alimentata carsicamente dalla nostra lunghissima storia di sovranità, testimoniata dal rifiorire della lingua sarda, si alimentava al contempo delle correnti di pensiero illuministe, riformiste, rivoluzionarie che attraversavano l’Europa. Per questo Sa Die fu più di una ribellione estemporanea. Per questo il suo culmine non è la cacciata temporanea della classe dirigente sabauda e la sua esemplarità non risiede nello spirito di rivendicazione che innerva le “cinque domande” che la classe dirigente sarda rivolse con ingenua fiducia al sovrano sabaudo. Sa Die ci parla di tempi costituenti. Tempi in cui un parlamento riprende vita, la virtù patriottica accende gli animi, le nostre comunità sperimentano patti federativi per liberarsi dal giogo feudale, una parte importante della classe dirigente sarda pone la felicità e la dignità della Nazione sarda come suo obbiettivo. “Un Regno non mai Colonia d’alcun altra Nazione, ma separato ed indipendente dalli Stati di Terraferma”, così si esprime il Parlamento sardo una volta autoconvocato nel 1793. “La Nazione Sarda contiene in sé stessa delle grandi risorse per potere sviluppare una grande forza coattiva, onde fare rispettare la sua costituzione politica”, così recita L’Achille della Sarda Liberazione, uno dei pamphlet simbolo del triennio rivoluzionario sardo. Non è questa l’occasione per discutere su come e perché questo spirito si sia infranto, tanto da arrivare a noi offuscato se non completamente dimenticato. L’occasione odierna è piuttosto quella di guardarci nello specchio della storia e capire insieme se, proprio grazie a questa storia, possiamo fare di più e meglio per la nostra gente e la nostra terra. Se possiamo trovare in essa alimento per delle sfide enormi, come quelle di chi deve affrontare le molteplici crisi che sembrano condannare la Sardegna a un destino di spopolamento e spoliazione. Nel 1798, nel suo Essai sur la Sardaigne indirizzato da Parigi al Parlamento Sardo, il grande giurista sassarese Domenico Alberto Azuni scriveva: “Il mio unico scopo è ricordare alla Nazione lo studio dell’economia politica, e di stimolarla a mettere ogni cura nel commercio, nell’industria, nelle manifatture, nella navigazione. La posizione dell’isola al centro del Mediterraneo, tra i due grandi continenti d’Africa e d’Europa; la molteplicità delle sue produzioni, le cui considerevoli eccedenze possono essere annualmente esportate; la sicurezza dei suoi porti; la ricchezza dei suoi mari, dovrebbero renderla consapevole che essa è destinata dalla Natura ad avere un rango distinto fra le Nazioni commercianti dell’Universo”. Nel 1799, nel suo Memoriale scritto dall’esilio, il leader della Sarda Rivoluzione, Giovanni Maria Angioy, diceva: “Malgrado la cattiva amministrazione, l’insufficienza della popolazione e tutti gli intralci che ostacolano l’agricoltura, il commercio e l’industria, la Sardegna abbonda di tutto ciò che è necessario per il nutrimento e la sussistenza dei suoi abitanti. Se la Sardegna in uno stato di languore, senza governo, senza industria, dopo diversi secoli di disastri, possiede così grandi risorse, bisogna concludere che ben amministrata sarebbe uno degli stati più ricchi d’Europa”. Queste parole di fiducia forse suonano lontane. E ancor più lontano suona forse il loro presupposto: “testimoniare pubblicamente l’attaccamento alla patria”, contribuire alla “felicità della Nazione sarda”, fare della Sardegna uno Stato d’Europa. Il punto non è risolvere la distanza fra noi e quel passato in un giorno, tantomeno con un discorso. Il punto è non aver paura a ricordare queste parole e quello spirito, anche queste parole e quello spirito, per cui tanti sacrificarono la loro vita. Se avremo la forza di fare i conti, da domani, nel nostro concreto operare – come Governo, come Parlamento, come classe dirigente, come società sarda nella sua interezza -, con questo lascito, allora apriremo davvero una via, difficile ma necessaria, ad una diversità consapevole, effettiva, produttiva. In altre parole, mentre celebriamo, abbiamo l’occasione di domandarci se sia meglio proseguire con una storia di rivendicazione, in cui noi sardi chiediamo ad altri di farsi carico dei nostri problemi e delle loro soluzioni, o se non sia il caso di entrare in una fase di reale autodeterminazione, in cui plasmare una nuova politica sarda, in cui costruire con tutta la passione e l’intelligenza possibile delle istituzioni al pieno servizio dei sardi e della Sardegna. Il primo modo per cambiare la propria storia è raccontarla in modo diverso. È raccontarci in modo diverso. Anche a costo di mettere in discussione quegli stereotipi e quell’orgoglioso senso di identità che dietro un velo di confortante abitudinarietà nasconde la difficoltà a darsi valori alti e obbiettivi chiari. Motivi di unità. Motivi per avanzare. Da troppo tempo siamo intrappolati in un racconto che è “contro”. Un racconto in cui altri hanno il potere di decidere della nostra vita e a noi non rimane che ribellarci per rivendicare un trattamento meno opprimente. Ma questa non è la nostra storia. Non è l’unica che il nostro passato ci ha lasciato in eredità. Non è la migliore che possiamo raccontare a noi stessi e, soprattutto, ai nostri figli e alle nostre figlie. C’è una storia di autodeterminazione tutta da scrivere, tutta da fare. E allora quando cantiamo le strofe di ‘Su patriota sardu a sos feudatarios”, scritto da Francesco Ignazio Mannu nel 1795, durante i moti rivoluzionari e dal 2018 inno della Sardegna,
andiamo oltre la rivendicazione e sforziamoci di costruire, progettare, inventare ciò che vogliamo la nostra isola diventi.
Sa Die de Sa Sardigna è l’occasione per ricordarlo a noi stessi.
—————————-
- Su La Nuova Sardegna.
Cagliari amore mio. Una storia illustre (III)
L’Istituto Martini,
un pezzo di storia di Cagliari
di Carla Deplano
Dieci anni prima della Breccia di Porta Pia, un anno prima della proclamazione dell’Unità d’Italia. Cronistoria dell’Istituto Tecnico Economico Martini
In ottemperanza alla Legge Casati, nel 1860 il Consiglio provinciale di Cagliari fonda l’Istituto Tecnico Commerciale. Negli anni successivi il Comune sistema gli alunni nell’ex convento di Santa Teresa e poi in quello di Sant’Antonio, nel quartiere di Marina. Entrambe le strutture, tuttavia, si rivelano ben presto inadeguate e sottostimate per il crescente numero di iscritti.
Nel 1916 la scuola nel frattempo intitolata a Pietro Martini viene ospitata all’interno dei locali della Caserma degli allievi dei Carabinieri, di inizio Novecento. Negli anni ’30, con la realizzazione del nuovo Comando Generale progettato da Angelo Binaghi e Flavio Scano (l’attuale Legione dei Carabinieri compresa tra via Grazia Deledda e via Sonnino) si realizza il definitivo insediamento della nostra scuola nel casamento di via Sant’Eusebio.
Dopo l’apertura delle sedi staccate di Carbonia, Oristano, Senorbì, Decimomannu e Monserrato tra gli anni ’50 e ’70, a seguito del successivo dimensionamento il Martini integra l’ITC Da Vinci-Besta e nel 2016 viene trasferito dalla sua sede storica ubicata nelle propaggini di Villanova e diviso tra i due plessi di Via Ciusa e Via Cabras.
Pietro Martini, classe 1800
Con la dismissione delle fortificazioni murarie Cagliari si trasforma da piazzaforte militare in città borghese e si apre al territorio comunale assecondando quel respiro europeo che, pur su scala ridotta, bene esprime le nuove esigenze di una comunità che si rinnova attraverso un sensibile sviluppo economico e un proporzionale risveglio culturale.
Nella illuminata temperie culturale ottocentesca, intellettuali come Alberto Azuni, Ludovico Baylle, Giuseppe Manno, Pietro Martini, Vittorio Angius, Giovanni Siotto Pintor, Vincenzo Sulis, Giovanni Spano – cui vengono intitolate strade e scuole – alimentano una stagione prevalentemente cagliaritana della cultura sarda, in uno straordinario fermento di studi storiografici che avranno grande influenza sul pensiero autonomistico e nella “questione sarda”.
La nostra scuola è intitolata a Pietro Martini, cagliaritano classe 1800. Dopo le Scuole Pie e la Laurea in Legge, questi presta servizio presso la Segreteria di Stato, viene nominato bibliotecario, quindi Presidente della Biblioteca della Reale Università di Cagliari, membro della Reale Deputazione di Storia Patria e Cavaliere mauriziano.
Una carriera esemplare, macchiata nondimeno dall’abbaglio delle false Carte d’Arborea, che traggono in inganno molti suoi illustri contemporanei.
Le trasformazioni urbanistiche di Cagliari in atto alla nascita dell’Istituto Martini
Immaginando Gramsci.
Gli allievi della quinta T, indirizzo Grafica e Comunicazione, dell’Istituto “D. A. Azuni” di Cagliari hanno realizzato la Mostra itinerante “Antonio Gramsci agli occhi dei bambini” che sarà inaugurata sabato 6 maggio alle 10.30 nella sede dell’Istituto “D. A. Azuni”, a Cagliari in via Is Maglias, 132.
A tagliare il nastro saranno i ragazzi in presenza delle autorità e delle associazioni gramsciane.
Settimana santa a Cagliari: da Venerdì santo a Domenica di Pasqua.
07 aprile 2023 – Venerdì Santo – Processione del Cristo morto:
ore 13:15 – Arciconfraternita della Solitudine – Processione del Cristo morto, percorso: partenza dalla Chiesa di San Giovanni, Viale Regina Elena, Piazza Martiri, Via Mazzini, Via Mario De Candia, Via Canelles, Duomo (sosta di circa 45 minuti), Via Martini, Via Lamarmora, Via Mario De Candia, Via G.Spano, Via Gaetano Cima, Via Manno, Piazza Martiri, Viale Regina Elena, Via San Giovanni fi no all’altezza della Chiesa di San Mauro, Via Giardini, Via San Giovanni fino alla Chiesa omonima alle ore 16:30.
ore 16:15 – Arciconfraternita del Gonfalone – Sant’Efisio Martire – Processione Venerdì Santo. Percorso: P.zza San Giacomo, Via Sulis, Via Garibaldi, Via Oristano, Via Eleonora d’Arborea, Via San Lucifero (Chiesa San Lucifero), Via Sant’Eusebio, Via Lo Frasso, Via Alghero, Via Garibaldi, Portico Romero, Via San Domenico, Via San Giacomo, P.zza San Giacomo.
ore 20:30 – Processione del Cristo Morto. Percorso: Sant’Efisio, Via Sant’Efisio, Via Santa Restituta, Via Azuni, Portico degli Alberti, via Portoscalas, Corso V. Emanuele II, Piazza Yenne, Via Azuni, Via Sant’Efisio, rientro in Chiesa.
A un amico della Toniolo
LA TONIOLO È QUELLA COSA …
(a Nanni Murgia)
Dalla via Fara partirono,
alla conquista di un futuro immaginato
non lontano dalla ratantina
che tutti anni ritornava
prima della passione.
[segue]
Contus e arregordus de Stampaxi
Racconti del quartiere tra sacro e profano
di Giacomo Meloni
Su fb 7 ottobre 2021
GIOVEDI’ 7 OTTOBRE 2021
SANTA VERGINE DEL SANTO ROSARIO
LA TRADIZIONALE SOLENNE SUPPLICA ALLE ORE 12 DEL MATTINO IN TUTTE LE CHIESE A PARTIRE DALLA BASILICA DI POMPEI.
Nel passato questo giorno era celebrato con solennità in tutte le Parrocchie specialmente in città. Nella collegiata di Sant’Anna, in via Azuni, nel Quartiere di Stampace alle ore 12 in punto, mi recavo da bambino in chiesa con mamma quando c’era l’anziano parroco mons.Mario Piu, in seguito sostituito da mons.Pasquale Sollai, che, vestito con la tonaca rossa di canonico della Cattedrale, essendo Delegato arcivescovile ai tempi dell’Arcivescovo mons.Paolo Botto, intonava a voce alta la Supplica alla Madonna del Rosario.
Non tutti sanno che proprio nella chiesa di S.Anna, entrando dal portone principale dopo essere saliti dall’ampio scalone dono del cav.Signoriello, vi è sulla destra la cappella dedicata alla Madonna del Rosario, venerata in un quadro che riproduce esattamente l’immagine miracolosa che campeggia sull’altare maggiore della Basilica di Pompei. Questo dipinto, una sorta di “falso d’autore” è davvero molto bello.
I fiori che adornavano nei mesi dedicati alla Madonna (maggio e ottobre) l’altare della Cappella si dice venissero offerti dalle signorine del Casino Popolare poco distante, sito nella via Cammino Nuovo, due porte in là della casa dei miei genitori. Riprendo questa notizia da una simpatico raccontino di mio fratello [https://www.aladinpensiero.it/?p=85121], mentre io stesso sono testimone del fatto che la signora Liliana, amministratrice del Casino Popolare, a metà del mese di luglio – con l’approssimarsi della festa di S.Anna ( 26 luglio) – portava a mia mamma una grossa busta piena di soldi da consegnare al parroco per addobbare l’altare maggiore di S.Anna con centinaia di garofani rossi. [segue]
Stravanati quegli anni! Anche quelli del “dopo-Toniolo”.
di Gianni Loy
Nel 1971 l’esperienza della Toniolo si era già esaurita. Ciascuno di noi andava per la propria strada ma continuavamo ad incontrarci. Perché molti di noi abitavano ancora nel quartiere e altri continuavano a frequentarlo. Poi, e soprattutto, perché i rapporti d’amicizia non potevano esaurirsi soltanto perché il portone di via Fara non veniva più aperto tutti i pomeriggi, come un tempo.
Una delle occasioni d’incontro, in estate, rimaneva il cinema all’aperto dei Salesiani, la domenica sera nel viale S. Ignazio. 50 lire per un western o qualcosa del genere. A condizione di non lamentarsi per una possibile rottura della pellicola o per una censura estemporanea, nel caso di qualche scena osé, realizzata coprendo con una mano il fascio di luce che usciva dal proiettore.
Continuavamo a frequentare quel cinema, per la verità, non tanto perché attratti dalla pellicola in programmazione, quanto perché occasione per un po’ di fresco, e perché avremmo quasi sicuramente incontrato qualche amico.
[segue]
Sant’Efis passa duminigu, fui fui.
Il Sindaco scordato
Signor Sindaco di Cagliari, Paolo Truzzu, il 25 aprile 2020 lei si è colpevolmente scordato di aver giurato fedeltà alla Costituzione antifascista della Repubblica Italiana.
Cagliari, 25 aprile 2020. Nella foto (Archivio Anpi) la delegazione del Comitato 25 aprile che depone una corona di fiori nel monumento ai Caduti, per ricordare coloro che pagarono con il sacrificio della vita la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo. La delegazione era formata da Carlo Boi, Antonello Murgia, Franco Boi e Carlo Dore. Assenti il Sindaco di Cagliari e gli altri rappresentanti istituzionali.
Il 25 aprile e i sindaci disertori
26 Aprile 2020, il manifesto sardo
di Roberto Loddo.
[segue]
Ricordando Peppino Ledda
Il 9 luglio scorso è morto Peppino Ledda, l’amico nostro di sempre. Ci saranno molte occasioni per ricordarlo e ulteriormente onorarne la memoria. Oggi, a due mesi dalla sua dipartita, lo facciamo pubblicando il ricordo affettuoso e commovente che del nostro amico fece Gianni Loy nella messa del trigesimo, nella chiesa parrocchiale di Sant’Anna. Ci concediamo questo ricordo, nonostante Peppino non amasse nostalgie e rimpianti, ritenendo giusto abbandonarci per un attimo alla sua funzione bella e consolatoria.
———————————-
Peppino
L’ho incontrato per la prima volta proprio qui accanto, in via Sant’Efisio, nello spiazzo antistante l’ingresso secondario della chiesa. Avremmo avuto 7 o 8 anni. Era pallido, bianco, lungo. Diverso da noi, che il sole di generazioni ci aveva reso scuri di pelle e, d’estate, color nero-tunisino. Ci siamo incrociati per via delle fiamme, verdi o rosse che fossero. La prima volta, mi sembra di ricordare, proprio in attesa che incominciasse la riunione delle Fiamme, mi pare affidati alla sig.na Trincas. E poi, la sua carta d’identità recitava che veniva da Orbetello, che, per noi, non solo era più lontana di Pirri e di Pauli, ma addirittura si trovava oltre il mare, esotica, lontana.
Allora, ancora non sapevo che sarebbe diventato il mio primo e migliore amico, almeno per tutto l’arco più esaltante della vita, quello che attraversa tutta l’adolescenza e si inoltra nella giovinezza.
[segue]
Contus de Stampaxi. Sa conca tostada de Mussolini
Nome e cognome non li ho mai saputi, in quartiere lo chiamavamo tutti Mussolini per l’impressionante somiglianza al duce, ma solo per il faccione, piantato sul collo taurino di un sottodimensionato corpo tozzo e nerboruto. Contrariamente al defunto originale che gli stampacini non amavano più da quando era finito male*, il nostro era rispettato e ben voluto, perché persona seria e servizievole più che un gran lavoratore. Il suo mestiere all’epoca del nostro racconto? Fattorino fac totum e soprattutto distributore di bombole di gas a domicilio presso un negozio di via Santa Margherita (parleremo dopo della proprietaria) che vendeva anche cucine, mobili e materassi in gomma. Di questi ultimi, a dire il vero, ben pochi, perché gli stampacini si ostinavano a preferire quelli di crine, che un abile “mantalaferi” rifaceva come nuovi dietro modesto compenso. Ma torniamo a Mussolini e al suo lavoro di consegna delle bombole che trasportava su un apposito triciclo. (segue)
Festa Patronale Stampacina di Sant’Anna 2018
Dal 17 luglio 2018 ore 19:00 al 26 luglio 2018 ore 23:30
Festa Patronale Stampacina di Sant’Anna
Festa Patronale di Sant’Anna 2018.
Dal 17 al 26 luglio 2018 si terrà la Festa Patronale Stampacina di Sant’Anna. Una bella iniziativa resa possibile dalla collegiata di Sant’Anna in coabitazione con l’Arciconfraternita del Gonfalone, l’Associazione BalluTundu Karalis, l’Associazione Religiosa Miliziani di Sant’Efisio, la Congregazione degli Artieri, la Società Sant’Anna e Sardegna Sotterranea.
Di seguito il calendario e il programma completo:
Addio al nostro amico Peppino Ledda
E’ morto questo pomeriggio il nostro carissimo e fraterno amico, di sempre, Peppino Ledda. Alla moglie Giovanna, alla figlia Luciana, al fratello mons. Mario e a tutti i suoi cari e agli amici dovunque si trovino, le nostre sentite condoglianze e l’affettuosa vicinanza nel momento di infinita tristezza perché Peppino non è più con noi.
I funerali domani martedì 10 luglio alle ore 16 nella Chiesa parrocchiale di Sant’Anna, Stampace, in via Azuni.
——————–
Materiali per il Convegno CoStat-Anpi-Cidi “Prima di tutto il Lavoro e la Scuola” di oggi martedì 13 marzo 2018
La scuola fabbrica di disoccupati di Fiorella Farinelli, su Rocca.
(segue)
Prima di tutto il Lavoro e la Scuola
La scuola fabbrica di disoccupati
di Fiorella Farinelli, su Rocca
Qualsiasi governo avremo dopo il 4 marzo, dovrà occuparsi delle persistenti difficoltà di inserimento lavorativo dei neodiplomati – una parte molto grande della coorte annuale dei 19-20enni che non proseguono gli studi – e delle misure da adottare. Di sicuro misure tampone, come nelle politiche più recenti, ma augurabilmente anche strategiche, che sappiano guardare più in là della punta del naso.
Il lavoro, il futuro dei figli è tra le maggiori preoccupazioni delle famiglie italiane. È un problema che pressa da vicino anche le scuole e parte delle imprese. Che condiziona molto del presente e del futuro economico e sociale del Paese. Ma con la campagna elettorale, la più confusa ed insulsa che sia dato ricordare, non si sono fatti passi avanti. Nessuna analisi nuova, dopo la modestia di risultati delle politiche degli ultimi anni, nessun indirizzo programmatico convincente, nessuna convergenza interessante.
Come si uscirà dal disastro di una disoccupazione/sottoccupazione giovanile che costringe per anni in panchina anche chi consegue titoli professionali? Che tanto spesso obbliga a lavori non solo intermittenti ma per nulla coerenti con gli studi fatti? Che alimenta incessantemente il bacino di quelli che non studiano, non hanno un lavoro e neppure lo cercano?
le proposte LeU e Calenda
Tra gli attori in campo qualcuno in verità il tema l’ha toccato, ma senza bucare lo schermo. L’ha fatto, per esempio, Liberi e uguali, proponendo di azzerare le tariffe di iscrizione all’università per incoraggiare a studi post-diploma anche i figli dei ceti più deboli che, dall’inizio della crisi, hanno maturato un maggiore disinteresse a investire sull’istruzione di livello alto, provando invece a entrare da subito nel mondo del lavoro.
Un approccio diverso – più orientato a mettere al centro le sfide dell’evoluzione tecnologica – ha avuto invece il ministro allo sviluppo Calenda che non ha perso occasioni per sostenere la necessità di aggredire le difficoltà di inserimento dei diplomati poco propensi ai lunghi anni di formazione accademica con l’offerta di un’alta formazione tecnologica, più breve e più ancorata al lavoro, fuori dell’università. Cioè nei percorsi biennali di «istruzione tecnica superiore» che, pur istituiti già nel 2008 dal governo Prodi, sono stati poi così poco finanziati da contare oggi solo la miserabile cifra di 8.000 iscritti (contro gli 800.000 dei percorsi analoghi che ci sono da tempo in Germania), e che – particolare non banale – assicurano il lavoro, un buon lavoro, e in tempi rapidi, a più dell’80% dei superdiplomati.
Se Pietro Grasso, insomma, in sintonia con il leader dei laburisti inglesi Corbyn, punta a un paese con più laureati (in Italia siamo largamente sotto la media europea) e a un sistema di istruzione più equo e meno classista, Calenda, che nell’ultima legge di bilancio ha piazzato un surplus di finanziamento per gli Istituti Tecnici Superiori (10 milioni per il 2018,20 per il 2019, 35 a partire dal 2020), punta sì anche lui a un più diffuso proseguimento degli studi dopo il diploma, ma strettamente mirato allo sviluppo delle competenze necessarie per sostenere «Industria4.0», il piano di sviluppo dell’impresa ad altissimo contenuto tecnologico. Scommessa decisiva per un paese manifatturiero come il nostro, e orientato in una sua parte importante all’esportazione.
Ma le due proposte, che pure hanno punti di contatto, non si sono incrociate in confronti costruttivi. Ovvio, si dirà, considerata la distanza politica, e la competizione elettorale, tra Liberi e Uguali e un ministro del governo Gentiloni. Assai meno ovvio, invece, se si guarda al merito e all’importanza delle questioni. Ma ancora più grave è che entrambe le posizioni sono state inesorabilmente oscurate dal polverone provocato da un lato dal proclama tutto ideologico di un impraticabile reddito universalistico di cittadinanza che dà per scontata l’impossibilità di contrastare la «distruzione tecnologica del lavoro», dall’altro dalla replica delle solite ricettine congiunturali, quelle degli incentivi a termine alle imprese per l’assunzione dei più giovani. Per non parlare dell’idea geniale di affidare l’incremento dell’occupazione giovanile soprattutto all’abolizione dell’allungamento dell’età dei pensionamenti voluto dalla legge Fornero, come se non fosse sotto gli occhi di tutti che non sono più tempi di turn over lineari e automatici, neppure in una pubblica amministrazione pigra, conservativa, attenta al «consenso» come la nostra.
nuovi paradigmi educativi
E intanto incombe, con lo sviluppo della robotizzazione, una drastica diminuzione dei lavori esecutivi a bassa qualificazione. E la certezza, comunque, che molte delle professionalità cui sono indirizzati i curricoli attuali della scuola e anche dell’università, di qui a qualche anno non ci saranno più, o saranno profondamente trasformate. Che fare? Comincia ad essere evidente che l’elemento di forza, per le persone e per le imprese, sarà sempre di più nella capacità di creare nuove macchine, di ideare nuovi prodotti e servizi per i mercati dei paesi emergenti, quindi di disporre dei livelli culturali e delle competenze in grado di contaminare diversi saperi, e della possibilità di saper apprendere anche dopo la scuola, autonomamente e continuamente. Si chiama lifelonglearning/apprendimento permanente lungo tutto il corso della vita, e anche su questo siamo terribilmente indietro. Per tutto ciò, e per molti altri motivi, un’istruzione che si fermi al conseguimento del diploma non può bastare.
Ma oggi, a mostrare la corda, sono anche i tradizionali paradigmi educativi. C’è, certo, nella scuola italiana la nuova scommessa dell’alternanza scuola-lavoro. Ma tamponare, anche lì, non basta. Ed è addirittura sconcertante che, a fronte di una licealizzazione crescente della secondaria superiore (i liceali sono ormai il 54% degli iscritti) e di un corrispondente calo di attrattiva dei professionali e dei tecnici, il Miur non sia capace che di omeopatici ritocchi che non cambiano la sostanza delle cose.
diplomati e inserimento lavorativo
Non è un dettaglio, insomma, l’elaborazione di politiche strategiche per risolvere le difficoltà di inserimento lavorativo di tanti dei nostri diplomati. I numeri ci dicono che si tratta principalmente dei diplomati del comparto tecnico-professionale, visto che a proseguire all’università è solo il 30% di loro, contro l’80% e oltre dei diplomati liceali.
Delle correlazioni tra liceali e ceti sociali più forti – e, viceversa, tra tecnici/professionali e ceti sociali più deboli – sappiamo tutto da tempo, così come del profilo sempre più classista del nostro sistema di istruzione secondaria superiore, ma cosa succede quando il 70% di questi ultimi si presenta nel mercato del lavoro?
I dati più aggiornati vengono da una recente indagine, la prima di tipo censuario, svolta dalla Fondazione Agnelli con l’Università Bocconi di Milano e presentata qualche giorno fa al Miur (1), ma anch’essa del tutto oscurata dal turbinoso magma della campagna elettorale.
Che cosa ci dicono questi dati? Che nei primi due anni post-diploma non più del 28% dei neodiplomati non iscritti all’università ha lavorato per più di 6 mesi, mentre il 14,7% ha svolto solo lavori saltuari e frammentati. Nel 27,4% dei casi, poi, la situazione è quella, disperante, dei Neet, né lavoro né studio. Non solo, a due anni di distanza da queste prime inquietanti performances, solo 1 su 3 degli occupati svolge un lavoro coerente con gli studi fatti, la metà abbondante (51,3%) deve accontentarsi di un lavoro qualsiasi, accessibile anche con maturità di tipo diverso, o con studi di livello inferiore. Un quadro che resta preoccupante – anche se una parte tutt’altro che insignificante prima o poi ce la fa a entrare in un’occupazione stabile – in cui si riscontrano anche svantaggi relativi delle ragazze, dei neodiplomati più «vecchi» per bocciature e ritardi scolastici, dei nati in paesi diversi dall’Italia. E le solite differenze tra Nord e Sud. Poco o niente, invece, conta il voto di maturità, a cui invece guardano con immutata passione le scuole e le famiglie. Evidentemente le differenze di valutazione scolastica tra territori e scuole sono troppo grandi, e troppo note, perché i datori di lavoro di oggi ne facciano gran conto.
cecità imprenditoriale
A sembrare indifferenti a questi dati, a una scuola «fabbrica di disoccupati», non sono comunque solo le forze politiche impegnate in tutt’altri duelli. Anche all’interno delle associazioni imprenditoriali c’è ancora chi, invece che puntare – anche in proprio – a costruire opportunità di alta formazione professionale per i giovani, a partire dalla formazione continua per i propri addetti, entra nell’arena incoraggiando i giovani a fermarsi in livelli di studio medio-bassi. Lo ha fatto, recentemente e con una lettera aperta alle famiglie in occasione della scadenza delle iscrizioni scolastiche, la Confindustria di Cuneo, un’area produttiva in cui l’anno scorso ci sono state effettivamente molte nuove assunzioni di giovani operai e tecnici specializzati. E in cui c’è stata anche qualche difficoltà di reperimento di forza lavoro, o per preparazione professionale inadeguata o per indisponibilità dei giovani a lavori pesanti e mal retribuiti.
Ci sono anche queste contraddizioni, ovviamente, nell’inefficiente sistema di incrocio domanda-offerta di lavoro che c’è in Italia, e nella nostra scadente offerta di formazione professionale regionale, contraddizioni che pendono da anni e che si dovrebbero prima o poi risolvere.
oltre alle convenienze immediate
Ma non è solo dalla specificità dell’uno o dell’altro distretto industriale che si deve partire per affrontare il problema. E, tan- to meno, per sostenere che di laureati ne abbiamo fin troppi, e che l’istruzione e la formazione secondaria devono essere declinate, per assicurare un lavoro, solo sulle specifiche prestazioni professionali che servono in questo preciso momento. Chi oggi si è iscritto a un istituto tecnico o professionale, si troverà, da neodiplomato, di fronte a un mondo del lavoro diverso da quello di oggi, ad applicazioni tecnologiche oggi largamente impensabili, alla richiesta di competenze non previste dai curricoli attuali. In questione, ci sono le scuole (e in altri comparti le università), ma ci sono evidentemente anche le imprese. Non tutte orientate al futuro, non tutte lungimiranti, non tutte capaci di guardare oltre alle convenienze immediate. Cosa saranno, da qui a 10 o 15 anni, quelle che oggi preferiscono lavoratori con competenze modeste e che si augurano giovani non «troppo» formati, retribuibili con salari a dir poco modesti? O meglio, cosa pensano di voler diventare da qui ad allora? Se vogliono stare al passo con le tecnologie, espandersi in mercati nuovi, sviluppare prodotti innovativi, dovranno investire in manodopera molto qualificata, di alto livello formativo, che ne sa di più e che può imparare di più di quello che serve oggi per specifiche prestazioni. La partita, insomma, è più grande di quanto possa a prima vista sembrare. E le scorciatoie non ci sono per nessuno, governi, forze politiche, imprese, famiglie.
Fiorella Farinelli
Nota
(1) La transizione dei diplomati tecnici e professionali al mondo del lavoro, www.fga.it
ROCCA
ISTRUZIONE E LAVORO
la scuola fabbrica di disoccupati
ROCCA n. 6, 15 MARZO 2018
——————————–
- La foto del giovane al telescopio, in testa all’articolo, è tratta dal sito web della Fondazione Agnelli.